tag:blogger.com,1999:blog-2154345956251781802024-03-08T16:08:34.910+01:00Almanacco di conclusioni provvisorieRiflessioni aperte, tra suggestioni, certezze in fieri e dubbi urgentiivaneuscarhttp://www.blogger.com/profile/13381655735594702472noreply@blogger.comBlogger70125tag:blogger.com,1999:blog-215434595625178180.post-9153687770043691442015-05-20T09:06:00.002+02:002015-05-20T09:24:18.796+02:00Traversie di un “Principe senza scettro”. Omaggio a Lelio Basso, costituente /4<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><b><br /></b></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><b><a href="http://almancoprov.blogspot.com/2015/05/traversie-di-un-principe-senza-scettro_0.html">[Vai alla terza parte]</a></b></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><b>Quarta parte</b></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Nei
restanti capitoli del </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i><b>Principe
senza scettro</b></i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">, Lelio Basso
denuncia i ritardi del legislatore nel dare applicazione ai princìpi
costituzionali, ritardi non casuali, anzi spesso politicamente
significativi, poiché – come il deputato socialista afferma
citando casi specifici e documentati – si legano alla riluttanza,
da parte di ambienti conservatori della Democrazia Cristiana e in
misura minore di altri partiti allora suoi alleati di governo, ad
abrogare varie norme varate dal fascismo, ad esempio in tema di
pubblica sicurezza. Quello messo in atto dai governi centristi
dell'epoca è, secondo Basso, un vero e proprio sabotaggio, se non un
tradimento, dello spirito e della lettera della Costituzione.</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Poiché queste parti del
testo sono legate alla situazione che L. Basso registrava nel 1958, e
hanno oggi soprattutto importanza sotto il profilo della
ricostruzione storica della vita politica italiana degli anni
Cinquanta del secolo scorso, non ce ne occuperemo qui se non
sommariamente: chi volesse “saperne di più”, su questi e sugli
altri temi che il volume in esame tratta, non ha che da cercarlo in
qualche biblioteca e leggerlo per intero – e in fondo mi auguro che
qualcuno, incuriosito da questo post, lo faccia.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
<br />
<a name='more'></a><br />
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Rodotà,
riferendosi a questa parte di denuncia del testo, ritiene che Basso
abbia trascurato il peso che la “questione comunista” (ovvero la
necessità – intesa come imprescindibile e prioritaria dalle forze
centriste e “filoatlantiste” – di sbarrare il passo a tutti i
costi all'“avanzata del comunismo”, al “pericolo comunista”)
ha avuto nel determinare gli “ostruzionismi di maggioranza”
contro l'attuazione piena delle norme costituzionali: «Con
l'argomento del realismo politico […] si potrebbe obiettare al
politico Basso di non aver visto, o di non aver voluto vedere, quale
fosse la ragione vera della situazione che tanto impietosamente
denunciava» </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Rodotà 1998, p.
9]</u></span><span style="font-family: Georgia, serif;">.</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Non
trovo però del tutto convincente questa tesi: basta leggere
attentamente i capitoli che Lelio Basso, nel </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i><b>Principe
senza scettro</b></i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">, dedica alla
“Continuità delle leggi fasciste” e a quello che lui definisce
“Sovvertimento dello Stato” (messo in atto a suo parere dalle
forze di governo di quegli anni), per rendersi conto che la
“questione comunista” può essere tutt'al più una delle cause, e
non sempre la prevalente, dell'atteggiamento che Basso denuncia; si
ha insomma l'impressione che ciò che faceva paura ai settori più
conservatori (Basso avrebbe aggiunto senza esitazione: “...e
reazionari”) non solo della politica istituzionale, ma anche della
società, era in realtà proprio la democrazia intesa come “sistema
inclusivo”, che se attuata integralmente nel rispetto scrupoloso
della Costituzione, avrebbe rapidamente messo in crisi (e spazzato
via) la mentalità stessa che reggeva gli orientamenti legislativi e
di governo tipici di quegli anni, i “dogmi sociali” che
regolavano i rapporti reciproci fra le persone e fra i ceti, certi
tabù collettivi improntati a una miscela di tradizionalismo
autoritario e puritanesimo fuori tempo massimo, norme (antecedenti al
1945, ma vigenti) paternalistiche e lesive, ancor prima che della
dignità delle persone, della loro intelligenza, e così via. La
politica (delle forze di governo) e la società italiana (non tutta,
certo, ma nella sua parte “elettoralmente maggioritaria”)
sembravano incapaci, pur dopo aver liquidato sul piano
politico-istituzionale la logica autocratica del fascismo, di
liberarsi anche della mentalità autoritaria e antipluralistica che
aveva caratterizzato quel regime e di cui questo si era al contempo
sapientemente alimentato.</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Sulla
necessità – e sull' “occasione mancata” – di varare la
Repubblica democratica disegnata dalla Costituzione facendo </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>tabula
rasa</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;"> della legislazione
fascista e più in generale delle norme incompatibili con lo spirito
del nuovo ordinamento, Lelio Basso è netto e intransigente: in
proposito, per far comprendere il proprio pensiero, ricorda – sia
pure in forma di annotazione a margine – come nel 1946 Vittorio
Emanuele Orlando, già Capo del Governo in era prefascista, avesse
dichiarato che </span>«[...] se ne avesse avuto il potere, “la
sera del 25 luglio avrebbe con un articolo unico stabilito che tutte
le leggi e i provvedimenti emanati dal gennaio 1925 fino a quel
momento erano abrogati. Ma provvedimenti simili si devono prendere a
sangue caldo”» <u>[Basso 1998, p. 202, in nota]</u>.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Secondo L. Basso la scelta,
che la classe dirigente italiana che gestì la “transizione”
fece, di far prevalere il principio della “continuità
istituzionale” fu sbagliata ma non casuale: ebbe infatti il
sopravvento la preoccupazione «di impedire qualunque elemento di
rottura, qualunque affermazione rivoluzionaria» <u>[Basso 1998, p.
202]</u>; la legislazione fascista rimase quasi integralmente in
vigore e «[...] nessun serio provvedimento fu preso per […]
ristabilire, almeno in fatto di pubbliche libertà, la legislazione
precedente» <u>[Basso 1998, pp. 202-203]</u>.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Oltre che alla continuità
delle leggi, Basso non manca di accennare alla <i>vexata quaestio</i>
della «continuità degli uomini» <u>[Basso 1998, p. 203]</u> che
erano stati immessi in posti di responsabilità nella Pubblica
Amministrazione dal passato regime e che non vennero rimossi alla
caduta del medesimo.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Per il costituente
socialista la decisione più discutibile fu però un'altra, ovvero
quella di sancire il passaggio alla Repubblica col consenso della
monarchia – una monarchia che aveva avallato gli arbitrii del
fascismo; per salvare la “forma” della legalità istituzionale,
si umiliò la “sostanza” del significato storico e politico di
quel cambiamento: «La repubblica nacque così, paradossalmente, in
virtù di un decreto della monarchia» <u>[Basso 1998, p. 204]</u>.
Si trattò di un atto simbolico tutt'altro che innocuo, poiché
autorizzò a ritenere che, dal punto di vista giuridico, non di una
cesura tra due sistemi politici incompatibili si trattasse, ma della
prosecuzione del vecchio ordinamento, salvo “qualche ritocco” di
facciata. Tra gli effetti di questo vero e proprio “equivoco
istituzionale” «[...] il primo e più grave [fu] quello di dare
così una sanatoria a tutto il passato e di assumere senz'altro nella
nuova legislazione repubblicana tutto il vecchio bagaglio della
legislazione fascista» <u>[Basso 1998, p. 204]</u>.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Dietro le esitazioni delle
classi dirigenti, operanti nei primi anni di vita della Repubblica, a
disfarsi dei “residui normativi” del passato, e il vero e proprio
“ostruzionismo di maggioranza” da quelle messo in atto per non
dare tempestivamente attuazione alle norme costituzionali considerate
più “scomode”, Lelio Basso intravede il tentativo delle «classi
conservatrici italiane» di contrastare la tendenza delle classi
popolari a conquistare sempre maggiore spazio nella politica e nella
società italiane, come cittadini-sovrani a pieno titolo e non più
sudditi di maggiorenti e “notabili”: è un motivo ricorrente di
riflessione del deputato socialista in queste pagine. Il tentativo
sembra incoraggiato dal successo nelle urne elettorali, a partire dal
1948 <u>[Basso 1998, p. 206]</u>.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">L'ostinazione – peraltro
anche anacronistica – con la quale i ceti conservatori italiani
tentavano di sbarrare il passo ai cambiamenti sociali, favoriti
d'altra parte dalla fine dell'isolamento “autarchico” del Paese
(anche sotto il profilo dello scambio di saperi, conoscenze e
informazioni) e dall'incipiente sviluppo industriale (come la
“contestazione” degli anni Sessanta di lì a poco dimostrerà) –
prima fase di accelerazione di quel processo di lungo periodo che
solo oggi classifichiamo come “globalizzazione” – si rifletteva
nelle forzature che, come Lelio Basso puntualmente registra, le
classi dirigenti, persa probabilmente la loro lucidità, operavano
nell'interpretazione e nell'applicazione del diritto, forzature
talmente evidenti da costituire veri “mostri” giuridici. Come
Basso fa notare, in base ai princìpi elementari del diritto <span style="font-family: Georgia, serif;">«[...]
l'entrata in vigore della Costituzione avrebbe dovuto mettere nel
nulla tutte le norme anteriori che la contraddicevano, non solo
perché la Costituzione era una legge posteriore, ma perché […],
come costituzione rigida, aveva un valore gerarchico superiore»
</span><u>[Basso 1998, p. 207]</u><span style="font-family: Georgia, serif;">.</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Invece queste due chiare
motivazioni non vennero praticamente tenute in considerazione dalle
forze politiche di maggioranza, e di conseguenza l'ordinamento
giuridico disegnato dalla Costituzione risultò contraddetto in più
punti dalla perdurante e incostituzionale vigenza e “vitalità”
di alcune norme liberticide.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Vi fu secondo Lelio Basso
una vera e propria strategia di “dilazione infinita”, messa in
atto dalle forze politiche della maggioranza “centrista”, per
sottrarsi al dovere di emanare le norme attuative previste dalla
Costituzione; tale strategia non a caso ebbe fra i suoi bersagli
principali l'istituto della Corte Costituzionale. Affinché
l'apparato legislativo repressivo fascista rimanesse in vigore,
infatti, <span style="font-family: Georgia, serif;">«[...] occorreva innanzi tutto
che non entrasse in funzione la Corte Costituzionale la quale avrebbe
potuto dichiarare l'inefficacia delle leggi incompatibili con la
Costituzione, in secondo luogo che il Parlamento non le abrogasse
apertamente o tacitamente facendone di nuove, poi che la Magistratura
si piegasse a riconoscere la validità delle leggi fasciste [...]» e
che il Governo le interpretasse, in sede di applicazione, in maniera
“opportuna” dal proprio punto di vista, ovvero con scarso
riguardo per la Costituzione </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso
1998, p. 213]</u></span><span style="font-family: Georgia, serif;">.</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">A
tutti questi punti della “strategia” venne data febbrile
attuazione, come Basso documenta. In particolare egli ricorda appunto
come si fece di tutto per ritardare l'emanazione delle norme che
avrebbero dovuto istituire la Corte Costituzionale (e poi anche la
nomina dei giudici) e consentirle di operare. Fu Piero Calamandrei a
coniare l'espressione </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>ostruzionismo
di maggioranza </i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">per indicare e
stigmatizzare la strategia coscientemente dilatoria adottata dalle
forze di governo in merito a tale delicata questione; e Basso è
pienamente d'accordo con lui. Tutta la vicenda è ricostruita dal
costituente socialista ed è istruttivo leggerne anche i dettagli,
per i quali rinvio al testo </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[si
veda: Basso 1998, pp. 215-219]</u></span><span style="font-family: Georgia, serif;">.</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Fra le norme fasciste che la
maggioranza “centrista” preferiva – contro la stessa
Costituzione, la sua ispirazione, i suoi princìpi fondamentali –
mantenere in vigore vi era la legge di Pubblica Sicurezza;
“preferenza” nient'affatto casuale, come ben si comprende, e
quantomeno allarmante.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Anche
in questo caso, L. Basso documenta i dettagli della “strategia
dilatoria” adottata dalla maggioranza </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso
1998, pp. 219-225]</u></span><span style="font-family: Georgia, serif;">.</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Basso
denuncia anche come la Magistratura, non ancora garantita nella sua
indipendenza tramite il CSM, e quindi ancora dipendente dalla
“benevolenza” del Governo in fatto di nomine, trasferimenti,
ecc., non fosse in grado di esercitare – nelle more
dell'istituzione della Corte Costituzionale – un efficace potere di
supplenza quale soggetto temporaneamente preposto al controllo di
costituzionalità delle leggi: infatti, a norma della VII
disposizione transitoria della Costituzione, «[...] l'autorità
giudiziaria, pur non avendo il potere di dichiarare, come la Corte
Costituzionale, l'inefficacia </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>erga
omnes</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;"> di una norma giuridica,
poteva e doveva rifiutarne l'applicazione ogni qual volta ritenesse
quella norma inapplicabile perché abrogata o costituzionalmente
illegittima.» </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso 1998, p.
228]</u></span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">In realtà, la Magistratura
esercitò questa sua funzione in maniera “timidissima”, nel
complesso.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">(E'
utile leggere in particolare quanto il costituente socialista scrive
in merito a certi orientamenti della Corte di Cassazione in quegli
anni, non molto “attenti” ai princìpi innovativi che la
Costituzione aveva introdotto nell'ordinamento in fatto di libertà
personali </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso 1998, pp.
230-233]</u></span><span style="font-family: Georgia, serif;">).</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Basso
ama tuttavia sottolineare che, davanti alla </span>«[...] battaglia
combattuta fra i cittadini e i pubblici poteri per il rispetto di
alcune norme della Carta Costituzionale», vari magistrati si
dimostrarono all'altezza del loro compito civile e in molti casi «si
ribellarono coraggiosamente alla Cassazione, stimando giustamente di
dover maggiore rispetto alla Costituzione» <span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso
1998, pp. 233-234]</u></span>.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Le forzature
anticostituzionali di cui si rese responsabile la maggioranza
politica al governo nel primo decennio di vita della Repubblica sono
varie e, riesaminate con gli occhi di oggi, ci appaiono assurde,
stravaganti o sconcertanti. Ad esempio, in contrasto palese con
l'art. 51 della Costituzione, in base al quale ai concorsi per
accedere a pubblici impieghi dev'essere consentito a tutti i
cittadini di partecipare senza discriminazioni di alcun genere, il
Governo si riservava talora di inserire nei bandi dei concorsi
pubblici una clausola che diceva testualmente: «“Il Ministro potrà
negare, con provvedimento non motivato, l'ammissione ai concorsi”»
e tale norma era chiaramente diretta a impedire l'accesso al pubblico
impiego a persone politicamente “non gradite” al Governo <span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso
1998, p. 235]</u></span>.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">O ancora, si tentò di
mantenere in vita le norme fasciste sulle competenze dei Tribunali
Militari, sotto la cui giurisdizione ricadevano, in base ad alcune
disposizioni del Codice Penale Militare di Pace, interpretate in
maniera discutibile dalla Cassazione – e peraltro chiaramente
incompatibili con l'art. 103 della Costituzione –, tutti i
cittadini arruolati fino al congedo assoluto: si voleva cioè
sottoporre potenzialmente alla giurisdizione militare tutti i
cittadini che avevano svolto il servizio di leva, fino all'età di 55
anni. In tal modo si rischiava di avallare il principio fascista del
cittadino-soldato, per il quale un cittadino, anche dopo avere svolto
il servizio militare, resta essenzialmente un soldato in attesa di
essere richiamato in servizio (e pertanto sottoposto alla “spada di
Damocle” della disciplina militare anche quando è tornato alla
vita civile) <span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso 1998, pp.
236-239]</u></span>, principio incompatibile con l'art. 52 della
Costituzione, in virtù del quale il militare di leva «non è che un
cittadino il quale provvisoriamente presta un determinato servizio e
quindi riveste una determinata uniforme», sicché secondo i princìpi
democratici costituzionali «non è più la qualità di militare che
si sovrappone a quella di cittadino, ma è la qualità di cittadino
che domina in ogni momento della vita» <span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso
1998, p. 239]</u></span>.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">E' particolarmente grave che
le forze di governo dell'epoca abbiano tentato di ignorare la
Costituzione in àmbiti come questo, in cui il contrasto tra la norma
fascista e i princìpi democratici di libertà personale e di
cittadinanza è di un'evidenza macroscopica.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Altro àmbito in cui si
proponeva tale contrasto, ignorato ancora una volta platealmente
dalla maggioranza politica dell'epoca, è quello della censura sugli
spettacoli, settore in cui erano rimaste in vigore norme palesemente
confliggenti con l'art. 21 della Costituzione <span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso
1998, pp. 250-252]</u></span>.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Anche i poteri attribuiti ai
prefetti continuavano a essere quelli stabiliti dalle leggi fasciste,
ed erano perciò imperniati sul principio della “piramide
gerarchica” al cui vertice in ogni territorio provinciale erano
posti appunto i prefetti <span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso 1998,
pp. 270-272]</u></span>; e in particolare l'art. 2 della legge di
P.S. continuava ad attribuire a questi ultimi poteri eccezionali,
incompatibili con la Costituzione, e <span style="font-family: Georgia, serif;">«fu
in base ad esso che i prefetti presero i provvedimenti più
arbitrari, in violazione dei diritti di libertà, fino ad annullare
decisioni di magistrati [...]» </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso
1998, p. 272]</u></span><span style="font-family: Georgia, serif;">.</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Nel
complesso, la strategia attuata dalle forze di maggioranza finiva per
configurare, secondo L. Basso, una vera e propria “procedura
alternativa” (e non legittima) di revisione della Costituzione
</span><span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso 1998, p. 244]</u></span><span style="font-family: Georgia, serif;">,
che lasciava intatto in apparenza il testo delle disposizioni
costituzionali ma ne riduceva la portata e la “forza normativa”,
sino a farne un mero </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>flatus
vocis</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">, una bella ma inefficace
dichiarazione di intenti continuamente contraddetta dalla prassi.</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">In
effetti, come testimonia Lelio Basso, il modo peculiare col quale le
forze di governo negli anni Cinquanta interpretavano il ruolo delle
norme costituzionali emerge con chiarezza nella </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>querelle</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">
che contrappose il Governo alla Corte Costituzionale, quando questa
finalmente poté insediarsi, nel 1956. Si stenta a crederlo oggi, ma
sta di fatto che il Governo dell'epoca </span>«tentò in un primo
momento […] di limitare i poteri della Corte, contestandole la
facoltà di pronunciarsi sulla costituzionalità delle leggi emanate
prima della Costituzione e quindi in particolare delle leggi
fasciste. Ma la Corte, nella propria sovrana decisione, respinse
questa assurda pretesa e si pronunciò anche su quelle leggi» <span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso
1998, p. 257]</u></span>.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Ritengo che non fosse
soltanto la “questione comunista” – per tornare all'ipotesi
avanzata da Stefano Rodotà –, a spingere il Governo ad agire in un
modo così poco consono allo spirito della democrazia: con buona
probabilità, certi orientamenti erano il portato di una cultura
autoritaria dura a morire.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Ad ogni modo, la Corte
Costituzionale fu sin da sùbito cosciente del proprio compito. Nella
sua prima sentenza – con la quale respinse le surreali tesi del
Governo, sostenute dall'Avvocatura dello Stato, che avrebbero
condotto a un'“insindacabilità” delle leggi emanate da un regime
antidemocratico – la Corte dichiarò – fra la costernazione della
maggioranza al governo – l'illegittimità dell'art. 113 della legge
di P.S., «che esigeva un'autorizzazione di polizia per l'affissione
dei manifesti», perché contrario all'art. 21 della Costituzione che
tutela la libertà di espressione pubblica di pensieri e opinioni
<span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso 1998, p. 306]</u></span>.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Un'altra pronuncia della
Corte che suscitò malumori nel Governo riguardò l'istituto
dell'ammonizione, previsto anch'esso dalla legge fascista di P.S.: la
Corte ne dichiarò l'illegittimità in quanto, in contrasto con
l'art. 13 della Costituzione, effettuava «una sorta di degradazione
giuridica di taluni individui in virtù d'un atto discrezionale della
pubblica Amministrazione» <span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso
1998, p. 307]</u></span>.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">In questo caso la reazione
governativa alla decisione della Corte fu particolarmente veemente, e
l'allora ministro degli Interni, Tambroni, «fece apertamente
l'apologia degli istituti dell'ammonizione e del confino»,
presentandoli come indispensabili strumenti di prevenzione e
“profilassi sociale” «e dichiarò che, privata di strumenti, la
polizia non era in grado di sostenere la lotta con la delinquenza ed
era vittima di “una crisi psicologica di allarmanti proporzioni”».
Dichiarazioni di questo tipo ebbero da un lato l'effetto di
autorizzare moralmente – fatto gravissimo – le forze dell'ordine
alla disobbedienza nei confronti di una pronuncia della Corte
(infatti, come Basso documenta, «si ebbero casi clamorosi di
ribellione da parte delle autorità locali di polizia»), e
dall'altro di gettare discredito su un organo essenziale
dell'ordinamento democratico, quale appunto la Corte Costituzionale,
tanto da provocare le dimissioni del suo primo presidente, Enrico De
Nicola, nel settembre del 1956 <span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso
1998, p. 257]</u></span>.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Ma questi attriti non
scoraggiarono l'azione della Corte, che emanò fin dai suoi primi
anni di attività (come ricorda L. Basso) importanti sentenze per
imporre il rispetto dei princìpi costituzionali; tra l'altro,
riguardo ai poteri prefettizi previsti dall'art. 2 della legge di
P.S., ai quali si è accennato, pur non dichiarando l'illegittimità
della norma, la Corte ne ridimensionò la portata, riconducendo i
poteri prefettizi nell'alveo dell'ordinamento democratico, poiché
stabilì che essi non sono al di sopra delle leggi, in quanto si
tratta di meri atti amministrativi, con tutti i limiti di competenza
e validità tipica di tali atti, e sono sottoposti, in quanto tali,
«ai normali controlli giurisdizionali» <span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso
1998, p. 308]</u></span>.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">E' il caso forse di
riflettere su queste vicissitudini della Corte Costituzionale, per
comprendere come il suo ingresso sulla “scena” dei poteri
democratici di garanzia previsti dalla Costituzione sia stato
decisivo per indurre gradualmente il legislatore e i governi a mutare
i loro indirizzi e orientamenti, svolgendo indirettamente una
funzione di “educazione alla democrazia” anche nei confronti
dell'opinione pubblica.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Oggi la Corte subisce
nuovamente attacchi e critiche, non dovuti soltanto a questa o quella
sentenza (le sue pronunce possono certo essere criticate, poiché
anche rispetto ad esse vige la libertà di pensiero, prevista dalla
Costituzione), ma al suo stesso ruolo, considerato talora “intrusivo”
nei confronti dell'azione legislativa, la quale – secondo queste
critiche – si vedrebbe sempre più limitata nella sua libertà
“sovrana” di operare scelte e valutare opzioni.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Non vi è qui lo spazio
sufficiente per entrare nel merito di tali critiche (è un argomento
che richiederebbe in sé un'ampia trattazione e discussione), ma
proprio queste vicende relative agli “albori” della storia della
Corte Costituzionale ci suggeriscono che le conseguenze di
un'eventuale “estromissione” di tale organo dal nostro
ordinamento, o di un drastico ridimensionamento delle sue funzioni,
sarebbero preoccupanti, sotto il profilo della difesa e
dell'attuazione dei princìpi sanciti dalla Costituzione.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">In molti punti la
riflessione di Lelio Basso è ancora attuale; alcuni li abbiamo già
illustrati; si potrebbe aggiungere anche l'allarme che egli lancia,
nel <i><b>Principe senza scettro</b></i>, circa la tendenza dei
partiti a occupare e invadere, da posizioni di potere, spazi «della
vita nazionale» al di fuori delle istituzioni, gettando le basi di
una “deriva partitocratica” che evidentemente egli già
registrava, sul finire degli anni Cinquanta <span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso
1998, pp. 274-278]</u></span>.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Basso mette costantemente in
guardia il lettore-cittadino, ricordandogli che «[...] la democrazia
non è mai un pacifico possesso, perché nella società agiscono in
senso contrario forze poderose miranti ad un rigoroso concentramento
e controllo del potere, [sicché] un ordine democratico può reggersi
solo sulla base di una costante e robusta pressione delle masse, di
una continua e vivace partecipazione di tutti alla vita pubblica».
Ma perché questa sia realmente possibile, bisogna altresì esigere
che lo Stato dia scrupolosa attuazione ai princìpi enunciati
nell'art. 3 della Costituzione, affinché non ci siano settori della
società che versino «in condizioni tali di miseria o di ignoranza
da impedire una reale e cosciente partecipazione o da distrarre
comunque le loro energie verso esigenze di vita immediata» <span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso
1998, p. 283]</u></span>.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Proprio la storia del nostro
Paese, secondo il costituente socialista, insegna che ogni
generazione ha «dovuto lottare per riconquistare, non diciamo un
ordinamento democratico, ma le premesse di uno Stato liberale». La
«resistenza delle classi dominanti all'avanzata delle classi
popolari, la volontà di respingerle ai margini della vita sociale
(miseria, disoccupazione, analfabetismo, arretratezza di intere
regioni, ecc.) e della vita politica (diniego delle fondamentali
libertà)» <span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso 1998, p. 284]</u></span>
rappresenta una costante della storia italiana, benché non sia una
caratteristica esclusiva dell'Italia. Cambiano col tempo solo gli
strumenti dei quali le classi dominanti si servono.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Anche se, come Basso
ribadisce a più riprese, l'affermarsi della democrazia in forma
compiuta è condizionato dalla dialettica “classi dominanti/classi
popolari”, o “classe dirigente/masse”, ovvero è ostacolato o
perlomeno ritardato dall'azione di gruppi che si trovano in posizioni
privilegiate nella società o che detengono il potere economico o
politico, egli non ritiene che il destino della democrazia, anche in
un Paese caratterizzato da profondi squilibri come l'Italia, sia
segnato: tutt'altro. Traendo le conclusioni del suo testo, L. Basso
parla di “Democrazia in cammino”: pur tra molte incertezze e
difficoltà, alcune istituzioni aventi la missione di vigilare sul
rispetto dei princìpi e valori fondamentali dell'ordinamento, come
la Magistratura, si sono rese rapidamente coscienti del loro ruolo;
la Corte Costituzionale, una volta insediatasi, ha contribuito a
contraddire e contrastare autorevolmente le pulsioni e gli
atteggiamenti antidemocratici ancora serpeggianti nel Paese perfino a
livello governativo; l'opinione pubblica non ha subìto in silenzio
gli atti discutibili delle autorità.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Non bisogna, esorta Basso
tracciando il bilancio politico relativo all'anno in cui scriveva
(1958), scoraggiarsi rilevando che le conquiste sinora fatte quanto
ad attuazione dei princìpi democratici sanciti dalla Costituzione
sono modeste. Ogni conquista pur piccola, in questo campo, reca in sé
il germe di ulteriori progressi <span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso
1998, p. 311]</u></span>.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">E' però la coscienza
democratica diffusa il bene più prezioso; e a giudizio del
costituente socialista, essa ha compiuto, in un solo decennio, «passi
giganteschi» <span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso 1998, p. 312]</u></span>.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Si sono dileguate le
ingenuità dei primi anni dopo la Liberazione, caratterizzati dalla
«facile illusione che la democrazia, una volta scritta nella
Costituzione, fosse definitivamente conquistata: la superficiale
contrapposizione fascismo-democrazia, l'unità antifascista
realizzata nella lotta di Liberazione avevano reso più agevole
abbandonarsi all'idea che alla caduta del fascismo dovesse subentrare
automaticamente un periodo di sviluppo democratico e di unità
nazionale.» <span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso 1998, p. 312]</u></span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">L'esperienza, la politica
“alla prova dei fatti”, la gestione del quotidiano, hanno fatto
maturare in fretta l'opinione pubblica, o perlomeno i cittadini «più
avvertiti», mostrando loro «che la democrazia, soprattutto la
democrazia ai suoi primi passi, dev'essere la conquista di ogni
giorno, che essa è un regime a misura dell'uomo comune, senza capi
taumaturgici, senza investiture carismatiche, senza destini segnati e
senza guide provvidenziali, ma che appunto perciò richiede l'umile e
quotidiano impegno di ciascuno, impone la presenza continua,
vigilante e operante, del sovrano nella vita pubblica, così nei
grandi problemi nazionali come nei piccoli problemi locali.» <span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso
1998, p. 312]</u></span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Oggi,
con l'ulteriore esperienza che abbiamo accumulato, possiamo
cancellare l'inciso </span>«soprattutto la democrazia ai suoi primi
passi»<span style="font-family: Georgia, serif;">, sottoscrivendo tutto il resto,
visto che tali considerazioni conservano intatta la loro validità.</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Grazie
ai valori che la Costituzione ha introdotto nell'ordinamento e nella
società italiani, si è andata creando e si sviluppa – registra
Lelio Basso – una diffusa familiarità con l'idea e con la pratica
democratiche: insomma </span>«[...] è nata la coscienza di che cosa
significhi essere cittadino sovrano di uno Stato democratico: l'alta
dignità che si esprime in questa figura e la severa responsabilità
che vi è connessa. Dignità di cittadino che non si piega ad ordini
illegittimi, che non postula favori illeciti, che sa difendere il
proprio diritto e far rispettare la propria personalità colle armi
civili di una società moderna, e contemporaneamente assolvere ai
propri doveri verso la collettività; responsabilità di cittadino
che conosce il dovere di impegnarsi ogni giorno per la difesa
democratica, […] responsabilità soprattutto di fare da sé le
proprie scelte, di non subire tutele menomatrici, di non operare
abdicazioni rinunciatarie.» <span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso
1998, pp. 312-313]</u></span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Dignità e responsabilità
sono dunque i concetti che illustrano e riassumono le qualità del
moderno cittadino-sovrano della democrazia. Sono fra loro intimamente
connesse: la dignità di chi non piega il capo davanti a soprusi e
sopraffazioni “legalizzate”, di chi non mendica favori e non si
svende in cambio di piccoli o grandi privilegi – e quindi abbandona
le abitudini e le pratiche tipiche di chi è avvezzo a “sopravvivere
da suddito” in ordinamenti e regimi autoritari e paternalistici –
si accompagna alla responsabilità di chi sa di dover contare sulle
proprie forze, scegliere in prima persona, non affidarsi alla tutela
o alla protezione di nessun “signore” o “condottiero” o
“tecnocrate”.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Lelio
Basso sa bene che si tratta di un percorso ancora molto lungo, e che
in definitiva il “cittadino-sovrano” (o meglio, il
“cittadino-lavoratore-sovrano”) è ancora nella fase
dell'apprendistato e dell'incertezza. Tuttavia il cammino da compiere
è quello, non sono previste inversioni di marcia: una volta
enunciati i princìpi della dignità e della responsabilità, questi
non possono più essere rinnegati o dissolti: </span>«[...] chi ha
vissuto in questi anni l'esperienza di tante battaglie politiche e
giudiziarie, chi è stato in più occasioni a fianco soprattutto di
contadini meridionali, magari ancora analfabeti, e ha visto quale
augusto significato abbia per essi la Costituzione, che cosa
significhi per essi la coscienza che contro la millenaria oppressione
esistono oggi delle leggi e dei giudici che garantiscono i diritti
anche del debole, non può non aver avvertito i segni di una profonda
rivoluzione morale che prepara nuove generazioni di cittadini.»
<span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso 1998, p. 313]</u></span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Dalle
conclusioni che egli trae – ottimistiche, nonostante le difficoltà
e gli ostacoli – si evince che Lelio Basso ha fiducia nelle nuove
generazioni, quelle che si vanno formando e si formeranno
“respirando” i valori democratici della Costituzione,
nutrendosene, e che comprenderanno sempre più l'importanza della
diade “dignità/responsabilità”. Forse non prevede la “lunga
durata” e la “resistenza inerziale” di certe abitudini sociali
acquisite (come il «postula[re] favori illeciti»), il servilismo e
il “familismo” millenario di chi dentro di sé continua a
ripetere con cinismo e scetticismo irranciditi: “Franza o Spagna
purché se magna”. Tuttavia sa che ogni progresso, per quanto
piccolo, lungo la strada della realizzazione concreta dei princìpi
costituzionali, crea le condizioni per produrne altri: i decenni che
seguiranno immediatamente la stesura de </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i><b>Il
Principe senza scettro</b></i></span><span style="font-family: Georgia, serif;"> lo
confermeranno.</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Ritiene che la democrazia
non potrà dirsi compiuta finché ci saranno disparità di classe,
finché una classe sociale pretenderà di far prevalere i propri
interessi a scapito delle classi “diseredate” e prive di mezzi e
di potere. E' una concezione, la sua, in cui l'influenza del marxismo
è evidente, profonda; tuttavia egli non è un marxista “ortodosso”
(se per convenzione intendiamo come “ortodossa” la linea del
“marxismo-leninismo”) e non crede neppure per un attimo nelle
virtù di una qualsivoglia dittatura, neppure se questa si appone
l'etichetta “del proletariato”.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">In quanto frutto, sia pure
prezioso, di una società ancora basata sugli squilibri e i conflitti
di classe, per L. Basso la Costituzione non è <span style="font-family: Georgia, serif;">«una
conquista definitiva», non perché debba essere in futuro rinnegata,
ma perché non rappresenta «il punto d'arrivo della nostra battaglia
democratica». Dunque essa non è immutabile né intoccabile; però,
come egli ha già spiegato, può essere riformata solo in direzione
di una maggiore democrazia, che permetta maggiori spazi di
partecipazione e di intervento ai cittadini. Ciò non significa in
ogni caso che la Costituzione sia da considerare un esito di poca
importanza o un “ripiego” da archiviare al più presto: sarebbe
infatti «[...] colpevole sottovalutare il significato morale e
politico della Costituzione, la forza che si sprigiona dal fatto che
essa esiste, che contiene principi, che è stata il frutto di tanti
sacrifici passati ed è oggi il punto di riferimento di tante
speranze avvenire.» </span><u>[Basso 1998, p. 316]</u></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Considerando le
problematiche con le quali la democrazia deve confrontarsi ai giorni
nostri, bisognerebbe probabilmente riflettere sull'evoluzione del
concetto cardine del discorso di Basso, ovvero il
“cittadino-sovrano”. Entrambi gli elementi che lo compongono,
ovvero la cittadinanza e la sovranità, vanno analizzati. L'idea di
cittadinanza infatti si presenta oggi come un'idea <i>double face</i>:
da un lato essa è ancora un'idea-guida o un'idea-simbolo che
richiama una costellazione di diritti e di garanzie, e la stessa
nozione di “dignità” su cui insisteva il costituente socialista;
dall'altro, però, essa rischia di rappresentare la versione moderna
di un privilegio – si hanno diritti solo in quanto si è compresi
nel “cerchio magico” della cittadinanza; chi ne è fuori è nella
“zona grigia” del “non-garantito”, del “non-riconosciuto”,
rispetto alla quale non possono applicarsi i “riguardi” che il
“potere” tributa o dovrebbe tributare al cittadino. Quanto questa
“doppia faccia” della cittadinanza sia compatibile con la
democrazia compiuta della quale parla L. Basso è appunto tema (arduo
e tutt'altro che risolto) del dibattito attuale.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">La sovranità, a sua volta,
in virtù dei processi ai quali si fa riferimento col nome di
“globalizzazione”, è sempre meno una “risorsa” a
disposizione degli Stati nazionali; il che vuol dire che il
“cittadino” degli Stati-nazione è sempre meno “sovrano”.
Anche l'Unione Europea ha contribuito a indebolire lo spazio di
decisione autonoma degli Stati: quanto conta ancora realmente, nella
cornice di questo “edificio” sovranazionale, la “decisione
sovrana” dei cittadini e degli organi rappresentativi all'interno
degli Stati? E se le Corti Costituzionali si pongono a guardia della
prevalenza del diritto comunitario su quello degli Stati, non perdono
di vista il loro compito prioritario, che è quello di far rispettare
le norme delle Costituzioni nazionali che sono espressione diretta e
garanzia essenziale della “sovranità dei cittadini”?</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Anche questi sono temi in
linea col dibattito attuale, che certo L. Basso non poteva
preconizzare.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Il costituente socialista
era invece già attento all'equilibrio fra diritti e doveri, o fra
diritti e responsabilità: e questo è un tema che è stato a lungo,
ed è tuttora sottovalutato – pur risultando cruciale specialmente
oggi per ricomporre il rapporto fra interessi privati e beni
collettivi.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Forse
Lelio Basso ha riposto troppe speranze in certe riforme auspicate
dalla Costituzione, come quella relativa al decentramento regionale:
ne </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i><b>Il Principe senza scettro</b></i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">
ne sostiene a più riprese la necessità. Nel 1970 essa sarà
finalmente attuata, ma i suoi effetti, soprattutto sulla lunga
distanza, non saranno esaltanti, e comunque ci appaiono oggi
discutibili, e sono vivacemente “discussi” in effetti.</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Lo
stesso ruolo dei partiti, che Basso – sulla scorta dell'esperienza
della Costituente – ritiene di fondamentale importanza, non sempre
oggi appare una chiara “risorsa” per la democrazia, essendosi nel
frattempo trasformato in un “problema”. (Non è il caso qui di
inserire un </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>excursus</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">
su questo tema; mi limito a rinviare all'abbondante letteratura che
in anni recenti è fiorita in materia </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Si
vedano ad esempio: Ignazi 2012; Revelli 2013; Raniolo 2013]</u></span><span style="font-family: Georgia, serif;">.)</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Tuttavia (come l'appena
menzionata letteratura specifica sul tema conferma) non si può dare
torto a L. Basso, quando sostiene che la democrazia è
necessariamente una “democrazia di partiti”: bisogna vigilare
affinché questi non vengano meno ai loro compiti e doveri e affinché
siano trasparenti quanto al loro operato ed alla gestione dei
finanziamenti, al tesseramento, ecc.; li si deve forse riformare
profondamente, ma non li si può abolire, se non si vuole tornare, in
maniera palese o surrettizia, a una qualche forma di regime “a
partito unico”.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">La
difesa dei valori e dei princìpi costituzionali che Basso fa
incessantemente, nel testo esaminato ma anche in molti suoi altri
scritti e discorsi, è un monito che col passare del tempo non perde
un grammo della sua efficacia e giustezza. Riallacciandoci a
un'incisiva osservazione di Rodotà, possiamo dire che se un tempo –
all'epoca in cui Basso pubblica </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i><b>Il
Principe senza scettro</b></i></span><span style="font-family: Georgia, serif;"> –
bisognava difendere la Costituzione da coloro che la consideravano
una “trappola” da scansare (perché troppo “avanzata”
rispetto al conservatorismo dominante), negli ultimi trent'anni è
stato – ed è tuttora – necessario rintuzzare le argomentazioni
di coloro che la considerano invece un “ferrovecchio” da
“rottamare” quasi per intero </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Rodotà
1998, p. 12]</u></span><span style="font-family: Georgia, serif;">. In sostanza, la
Costituzione repubblicana è sempre apparsa “scomoda” e
“ingombrante”, per un motivo o per l'altro, agli occhi di coloro
che evidentemente considerano il potere che detengono (la sua
conservazione, il suo accrescimento, ecc.) più importante del suo
scopo e della sua stessa legittimazione – la quale risiede soltanto
nel consenso </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>condizionato</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">
(ovvero non incondizionato e non illimitato) e </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>informato</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">
del cittadino-sovrano. E – questo il cuore del monito di Basso –
perché quella sovranità sia sempre piena e garantita, il cittadino
deve difenderne quasi </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>giorno
per giorno</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;"> la fonte concreta e
simbolica: la Costituzione.</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
<div style="text-align: right;">
<span style="font-size: large;">(i.s.)</span></div>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><b><u>Testi citati</u>:</b></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">-
<u>[Basso 1998]: L. Basso, <i>Il Principe senza scettro </i>(I
ediz.: 1958), Feltrinelli, Milano.</u></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">-
<u>[Bagehot 1995]: W. Bagehot, <i>La Costituzione inglese</i>,
Il Mulino, Bologna</u> //<u>
ed. orig.: <i>The English Constitution</i>, Oxford University Press,
Oxford 1867.</u></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">-
<u>[Bernocchi 2012]: P. Bernocchi, <i>Benicomunismo. Fuori dal
capitalismo e dal </i><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>«comunismo»
del Novecento</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">, Massari,
Bolsena (VT).</span></u></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">-
<u>[Bernocchi 2015]: P. Bernocchi, <i>Oltre il capitalismo.
Discutendo di benicomunismo, per un'altra società</i>, Massari,
Bolsena (VT).</u></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">-
<u>[Bobbio 1984]: N. Bobbio, <i>Il futuro della democrazia</i>,
Einaudi, Torino.</u></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">-
<u>[Canfora-Zagrebelsky 2014]: L. Canfora – G. Zagrebelsky,
<i>La maschera democratica dell'oligarchia. Un dialogo</i>, a cura di
G. Preterossi, Editori Laterza, Roma-Bari.</u></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">-
<u>[Giorgi 2014]: Ch. Giorgi, <i>La fantasia giuridica del
costituente: Lelio Basso e il secondo comma dell'articolo 3</i>, in
Fondazione Lelio e Lisli Basso – Issoco, <i>Il progetto
costituzionale dell'uguaglianza</i>, a cura di Ch. Giorgi, Ediesse,
Roma, pp. 53-70.</u></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">-
<u>[Ignazi 2012]: P. Ignazi, <i>Forza senza legittimità. Il
vicolo cieco dei partiti</i>, Editori Laterza, Roma-Bari.</u></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">-
<u>[Lijphart 2014]: A. Lijphart, <i>Le democrazie
contemporanee</i>, II edizione, a cura di L. Verzichelli, Il Mulino,
Bologna</u> // <u>ed.
orig.: <i>Patterns of Democracy. Government Forms and Performance in
Thirty-Six Countries</i>, II ed., Yale University Press, London 2012.</u></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">-
<u>[Raniolo 2013]: F. Raniolo, <i>I partiti politici</i>,
Editori Laterza, Roma-Bari.</u></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">-
<u>[Revelli 2013]: M. Revelli, <i>Finale di partito</i>,
Einaudi, Torino.</u></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">-
<u>[Rodotà 1998]: S. Rodotà, <i>Prefazione</i> a L. Basso,
<i>Il Principe senza scettro</i>, cit., pp. 7-13.</u></span></span></div>
<br />
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
ivaneuscarhttp://www.blogger.com/profile/13381655735594702472noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-215434595625178180.post-43853833259555719462015-05-20T09:02:00.002+02:002015-05-20T09:23:56.241+02:00Traversie di un “Principe senza scettro”. Omaggio a Lelio Basso, costituente /3<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><b><a href="http://almancoprov.blogspot.com/2015/05/traversie-di-un-principe-senza-scettro_20.html">[Vai alla seconda parte]</a></b></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><b><br /></b></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><b>Terza parte</b></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Per
quanto riguarda i diritti e le garanzie stabilite a tutela dei
singoli, vi è da rilevare che la Costituzione, a giudizio di L.
Basso, ha recepito l'evoluzione delle democrazie moderne e ha perciò
</span>«superato il concetto di “individuo” sostituendovi quello
di “persona”» <span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso 1998, p.
192]</u></span>.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">La differenza sembra
sottile, e quasi soltanto terminologica, ma in realtà essa rinvia a
due precise e distinte concezioni della società, della politica e
anche (se non soprattutto) dell'essere umano. La nozione di
“individuo” è legata a una concezione filosofica e
socio-politica (di ispirazione principalmente liberale) che considera
i singoli come unità autonome e a sé stanti, autosufficienti,
ovvero – per usare un termine di illustre ascendenza filosofica –
come monadi. Gli “individui” sono piccoli mondi che determinano,
a partire dalla loro autonomia (nel senso letterale di “capacità
di dare norme a sé stessi”), tutto ciò che è intorno a loro e
non ne vengono a loro volta determinati (in linea di massima). Sono
insomma, per dirla in termini semplici, l'alfa e l'omega del mondo:
tutto parte da loro e tutto deve convergere verso i loro interessi, i
loro voleri, i loro bisogni, ecc.. In quest'ottica, la società
(ammesso che esista: ricordiamo <i>en passant</i> che non a caso una
liberal-conservatrice come la “Lady di Ferro” Thatcher negava
l'esistenza stessa di una cosa chiamata società...), la società
dunque è la risultante dei desideri e bisogni degli individui, è
solo ciò che gli individui vogliono che sia ed è uno strumento al
loro servizio, così come lo Stato (considerato un “male
necessario” la cui esistenza si giustifica solo se resta dentro il
proprio recinto di “controllore del traffico” e non viola la
soglia del “sacro domicilio” costituito dalle libertà
dell'individuo).</span></span><br />
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><br /></span></span>
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"></span></span><br />
<a name='more'></a></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">L'idea di “persona”
rinvia invece a una concezione del mondo per la quale il singolo è
un essere certamente dotato di una propria incoercibile e inviolabile
dignità, un essere certamente unico e irripetibile, valido in sé e
per sé, ma non slegato né indipendente dall'ambiente che lo
circonda; viene al mondo per l'atto di altri esseri (e non certo per
propria “autonoma” decisione), si forma grazie all'interazione
con la sua famiglia (che peraltro se ne prende materialmente cura) e
con la società, e per esistere e condurre una vita dignitosa ha
bisogno di stabilire e definire incessantemente relazioni con i
propri simili. La “persona” (specialmente in un contesto
democratico) contribuisce a determinare gli indirizzi della società,
ma è a sua volta influenzata e in qualche misura “co-determinata”
dalla “rete” di interrelazioni nella quale è immersa e che
contribuisce a tenere in vita. (E' appena il caso di accennare che il
concetto di “persona” è anche parte integrante della dottrina
cristiana, che lo arricchisce di ulteriori connotazioni).</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Optando per la nozione di
“persona”, la Costituzione considera di capitale importanza
tutelare la partecipazione di ciascun cittadino alla vita sociale,
poiché è precisamente in questa partecipazione che consiste il
contributo del singolo all'esercizio del potere sovrano che spetta al
popolo: «Poiché dunque ciascuno partecipa alla vita sociale, anche
i diritti di libertà devono essere calati nella realtà sociale. Non
difesa del privato contro l'invadenza del pubblico, ma equilibrio fra
privato e pubblico, fra momento individuale e momento sociale: questa
è la libertà in uno Stato moderno».</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Ciò significa «che i
diritti individuali non possono esercitarsi a detrimento del bene
pubblico, significa che lo Stato, rappresentante della collettività,
deve assicurare questo equilibrio reale, non soltanto giuridico e
formale, intervenendo in difesa delle posizioni più deboli.» <span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso
1998, p. 192]</u></span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">E'
essenziale che il bene pubblico non venga sistematicamente
sacrificato in nome di interessi privati (la nozione chiave, come
Basso correttamente afferma e come oggi si fa di tutto per ignorare,
è quella di </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>equilibrio</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">):
possiamo forse capirlo meglio se teniamo conto delle volte e delle
situazioni nelle quali, in anni recenti, abbiamo visto parti della
società o del territorio subire le conseguenze della scarsa
considerazione del bene pubblico (interventi di edilizia selvaggia
che hanno devastato territori, emissioni inquinanti ben al di là dei
limiti di sicurezza, abusi “assortiti” legati alla gestione e
allo smaltimento dei rifiuti, ecc.). I diritti delle future
generazioni sono un esempio lampante di “interesse pubblico” che
va tutelato dalla possibile “invadenza famelica” degli interessi
privati e immediati (che assumono il ruolo di “soggetto forte” e
prevaricatore): non sempre è lo Stato il “cattivo”, colui che
invade spazi che non gli appartengono...</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Queste riflessioni conducono
all'art. 3 della Costituzione, sul quale Lelio Basso si sofferma
diffusamente, essendone stato tra l'altro in buona misura l'artefice
e l'estensore materiale.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Come rileva un recente
saggio di Chiara Giorgi, in sostanza questo fondamentale articolo
della Costituzione «afferma che non si realizzerà l'uguaglianza
proclamata nel primo comma (secondo cui “tutti i cittadini hanno
pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza
distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni
politiche, di convinzioni personali e sociali”), se lo Stato non si
farà carico di rimuovere gli ostacoli che nella realtà impediscono
questa sostanziale uguaglianza, “il pieno sviluppo della persona e
l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione
politica, economica e sociale del paese”. Il secondo comma di
questa disposizione costituzionale dichiara dunque che l'ordine
giuridico è in contrasto con l'ordine sociale, perché l'ordine
giuridico (l'articolo 3) vuole l'uguaglianza ma riconosce che essa
non c'è.» <u>[Giorgi 2014, pp. 56-57]</u></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Il ruolo che L. Basso
assegna al diritto in democrazia emerge da questa norma
costituzionale: l'ordine giuridico democratico non si limita (com'è
avvenuto troppe volte in passato) a fotografare i rapporti di forza
esistenti e a cristallizzarli – affidandone la custodia allo
Stato-guardiano – ma mira a denunciare, affinché lo Stato poi
intervenga e provveda, gli ostacoli che non permettono a tutti di
avere effettivamente pari dignità e la possibilità di contare in
egual misura come cittadini a pieno titolo della Repubblica. </span></span>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Il diritto è insomma
strumento di intervento attivo nella e sulla realtà, con una precisa
missione politica di segno democratico, e non un mezzo apparentemente
“neutro e imparziale” (ma nei fatti ben caratterizzato sotto il
profilo politico e ideologico) per congelare lo “stato delle cose”
sul piano dell'ordine sociale, dando per presupposto che quest'ultimo
sia “il migliore possibile” e che comunque non si possa o meglio
non si debba – nel rispetto dei princìpi di libertà – fare
nulla per influenzarlo “dall'alto”. </span></span>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Ma, come si comprende, la
difesa del mero “stato delle cose” non è affatto un atto
“neutrale”; il non intervento è una precisa opzione politica e
una scelta di campo sul piano sociale. D'altra parte, in una
situazione sociale caratterizzata da forti squilibri e disparità, se
l'autorità politica apparentemente non interviene e “non
s'immischia” è perché è intervenuta già a monte, garantendo la
legittimità e l'intoccabilità della situazione esistente (con norme
specifiche ad es. sulla proprietà, sui contratti e sul lavoro, con
l'eventuale repressione del dissenso, ecc.). </span></span>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Lo Stato liberale
“classico”, vestendo apparentemente i panni di imparziale arbitro
che si limita a registrare la disparità esistente fra i soggetti e
le classi sociali, in realtà la difende attivamente, perché è
proprio mediante quella disparità che si rendono possibili i
rapporti di potere economici, i quali poi dall'ordine economico
vengono trasposti nell'ordine politico e “solennizzati”. </span></span>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">La democrazia invece
contrasta l'idea stessa che il potere economico – con le disparità
sociali a cui si accompagna e la condizione di subalternità delle
masse “diseredate” che esso comporta se “sregolato” – possa
essere la base sulla quale fondare il potere politico; quest'ultimo
deve essere svincolato dalle posizioni di vantaggio che gli abbienti
e i possidenti hanno, perché deve essere posto a disposizione di
tutto il corpo sociale. La democrazia in definitiva nega che l'àmbito
dei rapporti sociali ed economici sia il terreno nel quale si afferma
chi “per natura” o “per eminenti meriti” ha il diritto
“intangibile” di detenere il potere; l'àmbito politico
democratico non ha affatto il compito di rispecchiare e replicare
meccanicamente quanto avviene in campo economico, ma <i>rimette in
gioco tutto</i> – per questo motivo la democrazia dev'essere
apparsa “sovversiva” nel momento in cui ha cominciato ad
affermarsi, dopo le grandi Rivoluzioni moderne – e si apre al
confronto dei diversi interessi, dei diversi orientamenti, delle
diverse idee presenti nella collettività. </span></span>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Lo Stato in democrazia non è
un fortino dalle porte sbarrate che mira a difendersi dall'ingerenza
degli “intrusi”, ovvero le classi non privilegiate, o meglio
ancora i “cittadini qualunque” senza un nome illustre e
sconosciuti ai “salotti che contano”, bensì è una stanza dalla
porta perennemente aperta. Gli “intrusi” in democrazia sono i
benvenuti, perché senza la loro partecipazione il principio di
sovranità popolare non è attuato, anzi viene contraddetto, violato.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Una teoria politica
piuttosto conosciuta e “coltivata” da diversi studiosi,
appassionati e addetti ai lavori, ha detto e ripetuto, adducendo
sempre nuovi esempi e argomenti, che nessun sistema politico, nessun
ordinamento si sottrae al dato “brutale” secondo il quale è
sempre un'oligarchia a governare, è sempre una cerchia ristretta di
politici, di eletti, di esperti (e di esponenti dei grandi gruppi
finanziari, industriali, ecc.) a detenere le leve del potere politico
effettivo e a prendere decisioni. In base a questa teoria “elitista”
la democrazia non può che rimanere, rispetto ai suoi intenti più
genuini, una “promessa non mantenuta” (con buona pace di Norberto
Bobbio... <u>[si veda Bobbio 1984]</u>), giacché il potere non sarà
mai veramente e letteralmente “a disposizione” dei cittadini
“comuni”.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Ritengo che l'obiezione più
acuta a tale tesi sia stata di recente formulata da Luciano Canfora,
il quale ha suggerito opportunamente di non farsi fuorviare dal
“fatalismo” (di solito un cattivo consigliere...) immaginando una
situazione eternamente immobile dalla notte dei tempi, con oligarchie
inamovibili, e dunque onnipotenti, saldamente insediate al potere. La
realtà – dice Canfora – è che le oligarchie moderne non sono
affatto inamovibili e non sono inscritte nel nostro “fatale
destino”: <span style="font-family: Georgia, serif;">«[...] l'oligarchia è la
forma concreta in cui il potere si organizza, ma è vulnerabile, ed è
sulla vulnerabilità che si gioca tutta la partita della politica.»
</span><span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Canfora-Zagrebelsky 2014, p.
24]</u></span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">E, si può aggiungere, le
“oligarchie” operanti nelle moderne democrazie hanno bisogno del
consenso, dunque sono in continua relazione con il “pubblico” dei
cittadini, degli interessi diffusi, ecc.; la loro tendenza ad
“arroccarsi” nel proprio fortino (tendenza che si può
intravedere ad es. in certi comportamenti dei partiti politici) non
può mai superare un certo limite di guardia, e in ogni caso
l'opinione pubblica ormai “matura” – laddove, come in Italia,
la sua funzione è tutelata dalla Costituzione – sa dotarsi degli
strumenti per chiedere conto alle “oligarchie” delle loro scelte.
</span></span>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">(Il problema che emerge
negli ultimi decenni è quello delle oligarchie transnazionali, di
tipo burocratico o tecnocratico, che si sottraggono al controllo dei
cittadini; tuttavia neppure la loro azione riesce a sfuggire
all'attenzione della critica politica ed è infatti sempre più
diffusamente oggetto di dibattito e di studi. Questa nuova realtà è
costituita <i>in primis</i> da organismi sovranazionali come quelli
della UE, che come evidenzia ancora una volta L. Canfora, hanno la
caratteristica peculiare di <span style="font-family: Georgia, serif;">«sottrarsi
alla vista», nel momento stesso in cui finiscono per rappresentare i
veri luoghi del potere: «Sottrarsi alla vista vuol dire che noi
sappiamo dell'esistenza di istituzioni, luoghi, ma non li possiamo
raggiungere perché essi non rispondono a noi» </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Canfora-Zagrebelsky
2014, p. 73]</u></span><span style="font-family: Georgia, serif;">.</span>)</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Com'è stato validamente
osservato: «Il rifiuto di una funzione ideologica del diritto,
mistificatrice della realtà dei rapporti sociali, al pari di una
concezione solo formale dell'uguaglianza, accompagnati da una visione
dinamica del diritto e delle istituzioni, inducono Basso a
individuare nella partecipazione effettiva e universale uno dei temi
rilevanti del proprio impegno alla Costituente.» <u>[Giorgi 2014, p.
57]</u></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">E' proprio nell'art. 3 che
emerge pienamente la preferenza della Costituzione per la nozione di
“persona”, alla quale si è già accennato, come punto di
riferimento essenziale dell'ordinamento; lo Stato dunque, preso atto
che non ci sono individui astrattamente uguali, ma persone, ciascuna
delle quali collocata in una precisa situazione ambientale e sociale,
deve farsi carico «positivamente, con un intervento attivo, di ciò
che impedisce il pieno sviluppo della persona umana e la
realizzazione di un'autentica democrazia» <u>[Giorgi 2014, p. 58]</u>.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">La persona in quanto tale ha
diritto essenzialmente a veder riconosciuta la sua <i>dignità</i>;
sotto il profilo politico, non si può parlare di “dignità
differenziate”, è quindi proprio nella dignità delle persone che
risiede il diritto alla pari considerazione, che assume sostanza se
viene sancito il riconoscimento della pari dignità sociale di tutti
i cittadini, il quale di per sé pone un obbligo ben preciso a carico
dello Stato. Riconoscere la pari dignità significa infatti che lo
Stato si impegna, come suo supremo dovere costituzionale, a dare
priorità assoluta a tutti gli atti che contribuiscono a garantirla
concretamente, cioè lo Stato <i>incessantemente</i>, attraverso
tutti i mezzi a propria disposizione (norme, interventi
amministrativi, atti di autorità, interventi di spesa, ecc.), deve
fare in modo che la pari dignità dei cittadini sia <i>realtà</i>.
Detto in altri termini, una volta riconosciuta la pari dignità
sociale dei cittadini, qualsiasi inerzia dello Stato e delle autorità
politiche che ne metta in pericolo l'effettivo rispetto è una
violazione delle norme costituzionali e del carattere democratico
dell'ordinamento.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">L'art. 3 della Costituzione
è lo strumento normativo principale mediante il quale questo
principio viene affermato. Esso è una vera e propria “cartina di
tornasole”: in un certo senso “stana” il legislatore e i
governanti ponendoli di fronte ai loro doveri e alle loro
responsabilità, e mette in mora tutti coloro che detengono pubblici
poteri, come dice L. Basso a chiare lettere: <span style="font-family: Georgia, serif;">«In
altre parole quest'articolo contiene in sé la denuncia delle
contraddizioni della società italiana e della Costituzione, poiché
dichiara che le sue solenni proclamazioni, il suo riconoscimento
della sovranità popolare, la sua affermazione di democraticità
rischiano di rimanere soltanto vane parole per la presenza di
ostacoli sociali ed economici, quali per esempio la miseria,
l'ignoranza, la disoccupazione, il dislivello, gli squilibri e le
abissali distanze fra regioni e regioni, fra ceti e ceti». Come
spiega il costituente socialista, «[...] solo l'adempimento
effettivo del contenuto sociale della Costituzione può rendere
interamente vero e operante anche il contenuto politico. Quell'unità
dialettica fra i due momenti della democrazia, per cui lo sviluppo
della sovranità popolare deve portare ad uno sviluppo del contenuto
sociale e a un miglioramento delle condizioni materiali, e questo a
sua volta deve rafforzare ulteriormente la partecipazione e la
sovranità del popolo, è riconosciuta espressamente dalla
Costituzione italiana» </span><u>[Basso 1998, p. 195]</u><span style="font-family: Georgia, serif;">.</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Prendendo
spunto da questo e dagli altri articoli della Carta costituzionale
riguardanti i princìpi fondamentali, Lelio Basso osserva che la
Costituzione, e di conseguenza la democrazia che essa disegna, è
dinamica, perché va oltre il presente, anzi per meglio dire si pone
apertamente l'obiettivo di superare le condizioni (sociali,
economiche) che lo caratterizzano, e indica la “direzione di
marcia” lungo la quale il legislatore, le istituzioni e i </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>decision
maker</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;"> devono procedere. La
Costituzione, insomma, non auspica il “movimento per il movimento”,
o il cambiamento fine a se stesso – ovvero, per usare espressioni
attuali, non auspica una qualsiasi “politica del fare” o un
“riformismo purchessia” (“riformare per riformare”, non
importa in quale direzione o con quali obiettivi sociali) – ma, al
contrario, impone che il cambiamento sia progettato e realizzato
secondo un preciso orientamento, ossia nella prospettiva di </span>«un
maggiore sviluppo della democrazia», affinché – ribadisce il
costituente socialista – si proceda senza indugi né deviazioni di
percorso «verso un conseguimento reale della democrazia oggi ancora
non attuato» <u>[Basso 1998, p. 197]</u>.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Si può dire – per
tradurre questa riflessione in termini attuali – che la direzione
di marcia indicata dalla Costituzione sia in netta antitesi rispetto
alle tendenze, oggi in voga, all'accentramento dei poteri nelle mani
di organi monocratici o al sacrificio della rappresentanza e della
partecipazione in nome della “governabilità” e della presunta
“efficienza dei risultati” (sempre discutibile, in verità, e
usata fondamentalmente come pretesto propagandistico per trincerarsi
dietro il fatidico monito-invito [che ben poco ha di democratico, se
le parole hanno ancora un senso]: “Ragazzini, non immischiatevi in
cose più grandi di voi, lasciate lavorare gli esperti e gli
eletti”).</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Il processo democratico in
ogni caso – nonostante dunque certi segnali “regressivi” di
ieri e di oggi – è <i>irreversibile</i>, secondo Lelio Basso,
perché «nel sistema della nostra Costituzione non è ammesso un
ritorno indietro dalle conquiste democratiche realizzate» <u>[Basso
1998, p. 197]</u>. E' sottinteso che, affinché ciò sia vero sul
piano della realtà (e non solo sul piano delle enunciazioni), è
necessario che i soggetti preposti a vigilare sul rispetto della
Costituzione (come la Corte Costituzionale o l'opposizione
parlamentare) siano sempre all'erta e soprattutto che sia sempre
all'opera quello che per Basso è il baluardo fondamentale della
democrazia, ovvero – come si è già detto – la «coscienza
democratica diffusa» <u>[Basso 1998, p. 90]</u> della popolazione.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">La democrazia è di per sé
un ordinamento che si evolve continuamente: è la sua stessa natura,
la sua stessa ragion d'essere che ne fa un “contenitore politico”
il cui contenuto è «in continuo arricchimento», giacché la storia
recente dimostra che il concetto di democrazia si è caricato strada
facendo di «un significato sempre più complesso e più ricco ed è
presumibile che il processo abbia a svilupparsi ulteriormente»
<u>[Basso 1998, p. 198]</u>.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Il sistema politico sancito
dalla Costituzione repubblicana deve operare sempre in modo da
conservare il grado di “democraticità” già conseguito, non per
considerarsi appagato dal traguardo già raggiunto, ma per
accrescerlo, e dunque per spingere incessantemente l'asticella sempre
più in alto (per usare una metafora sportiva). In sostanza, «[i]l
nostro sistema costituzionale è un sistema aperto verso il progresso
sociale e lo sviluppo democratico, verso una trasformazione delle
strutture anche economiche, in senso sempre più egalitario e per una
partecipazione sempre più vivace ed effettiva delle masse
all'esercizio del potere. Ma è chiuso a qualunque ritorno indietro,
a qualunque menomazione del <i>quantum</i> di democrazia che è ad
ogni momento realizzato. Il processo è quindi irreversibile ed ogni
tentativo di forzare questo divieto è in realtà un attentato ai
principi della Costituzione, cioè ai fondamenti stessi della nostra
civile convivenza.» <u>[Basso 1998, pp. 198-199]</u> </span></span>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">In varie parti del suo
libro, Lelio Basso accenna al ruolo che la Costituzione riconosce e
al tempo stesso assegna al lavoro e ai lavoratori.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Si tratta di un argomento
particolarmente delicato, come molti comprendono, e per molti aspetti
anche complesso.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Come ricorda il deputato
socialista, nei lavori della I Sottocommissione dell'Assemblea
Costituente si era proposto di far figurare un riferimento ai
lavoratori fin nell'art. 1 del testo costituzionale; era stato
Togliatti a suggerire di emendare la proposta Cevolotto (“Lo Stato
italiano è una Repubblica democratica”) aggiungendovi la
specificazione: “di lavoratori” <span style="font-family: Georgia, serif;">«o
quanto meno – “per evitare equivoci” com'egli stesso precisò
–, “di lavoratori del braccio e della mente”» </span><u>[Basso
1998, p. 136]</u><span style="font-family: Georgia, serif;">. La proposta di
Togliatti, fatta propria anche da Amendola e dallo stesso L. Basso,
non venne accolta; prevalse invece la formulazione proposta da
Fanfani, “fondata sul lavoro”, che secondo i costituenti
democristiani si prestava meno a interpretazioni classiste, pur
salvaguardando il principio della centralità del lavoro nella
democrazia che si andava a costruire </span><u>[Basso 1998, p. 137]</u><span style="font-family: Georgia, serif;">.</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Si
è già detto, del resto, dello stretto legame fra il concetto di
cittadino e quello di lavoratore, che spicca con evidenza nei primi
articoli della Costituzione e in quelli relativi ai rapporti
economici: Lelio Basso ricorda come Giorgio La Pira, l'illustre
politico democristiano, nei lavori della Costituente attribuisse al
concetto di “lavoratore” una funzione innovativa, tale da fornire
un contributo essenziale per superare la concezione atomistica del
cittadino tipica dello Stato liberale e liberista </span><u>[Basso
1998, p. 141]</u><span style="font-family: Georgia, serif;">.</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Come
rammenta Basso, sempre nella I Sottocommissione l'on. Mastroianni,
discutendo di quello che poi diventerà nel testo definitivo l'art.
35 della Costituzione, «affermò che “il lavoro fra i diversi
fattori della produzione deve essere quello prediletto dallo Stato”»
e l'on. Ruini, parlando all'Assemblea come relatore, a proposito
dello stesso articolo affermò che erano maturi i tempi per varare,
dopo la “Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino”,
quella dei “Diritti dei lavoratori” </span><u>[Basso 1998, p.
144]</u><span style="font-family: Georgia, serif;">.</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Dei lavoratori, come abbiamo
visto, si parla espressamente nell'art. 3 della Costituzione; e la
rassegna potrebbe ancora continuare.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">La
questione più delicata su cui è utile soffermarsi, e alla quale il
costituente socialista accenna, è quella sollevata dall'art. 4,
specialmente se si tiene conto della connessione che tale articolo ha
con il primo comma dell'art. 1, poc'anzi menzionato.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">L'art.
1, comma 1, e l'art. 4 della Costituzione infatti convergono nel
qualificare il lavoro «come un diritto di tutti i cittadini […] ma
altresì come un dovere sociale. […] Il dovere cioè che ogni
membro della società ha di dare il suo contributo per il vantaggio
di tutti» </span><u>[Basso 1998, p. 192]</u><span style="font-family: Georgia, serif;">.</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Il
primo comma dell'art. 4 (“La Repubblica riconosce a tutti i
cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano
effettivo questo diritto”), in stretta armonia con alcuni articoli
della parte della Costituzione dedicata ai rapporti economici,
intende «[...] assicurare l'esistenza a tutti i cittadini» e
garantire su solide basi un diritto al lavoro concretamente esigibile
da parte di tutti, in condizioni di dignità e di rispetto per la
persona </span><u>[Basso 1998, p. 194]</u><span style="font-family: Georgia, serif;">.</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Il
</span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>lavoro come diritto</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">
è un concetto che può suscitare oggi perplessità o prestarsi a
varie critiche, anche di segno opposto. Da un lato infatti qualcuno
può obiettare che lo Stato può e magari anche deve fare il
possibile, attraverso gli strumenti dei quali dispone, per promuovere
la crescita economica, la formazione dei giovani, per fissare
incentivi alle assunzioni, ecc. – può insomma operare sulle
condizioni che determinano l'aumento delle opportunità lavorative e
l'occupazione, ma non è nei suoi poteri “creare” posti di lavoro
come se possedesse la “bacchetta magica”. Intendere quindi in
senso letterale il concetto di “diritto al lavoro” significa
stravolgere la realtà e illudere le masse che lo Stato possegga
appunto la “bacchetta magica” delle favole e che, se non la
adopera, è perché la tiene ben nascosta per qualche misterioso e
sospetto motivo.</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Dall'altro
lato sono possibili però – come dicevo – anche critiche di segno
opposto: vi è infatti ormai, soprattutto fra i critici radicali del
capitalismo (che non sono necessariamente “marxisti ortodossi”...),
una corrente di pensiero che nega al lavoro il ruolo di strumento per
la liberazione e l'emancipazione delle masse e delle persone,
considerandolo invece irredimibile strumento di oppressione. L'unica
libertà possibile, dicono i sostenitori di queste tesi, è la
libertà </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>dal</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">
lavoro; la liberazione </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>dal</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">
lavoro dev'essere insomma il vero obiettivo della lotta per
l'emancipazione degli oppressi: il lavoro è sempre servaggio, è
sempre sfruttamento, appropriazione del tempo del lavoratore, un bene
che gli viene sottratto irreversibilmente e che non potrà mai
essergli risarcito. Secondo questa scuola di pensiero, quindi, l'idea
stessa di un “diritto al lavoro” rappresenta un inganno ai danni
delle masse, giacché le induce a ritenere, ripetendo passivamente il
“credo” degli sfruttatori, che il lavoro debba essere il
principale obiettivo della loro esistenza, che il lavoro le “redima”
e dia loro uno status, equiparandole in prospettiva – nella
considerazione sociale, nei vantaggi, nei privilegi – all'élite di
“sfruttatori” che detiene il potere.</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Non entrerò nel merito di
tali differenti critiche all'idea di “diritto al lavoro”, giacché
un'analisi puntuale delle argomentazioni che sono alla base delle
loro tesi richiederebbe un post a parte, ma ritengo sia opportuno
interrogarsi sul vero significato che quel diritto ha, il che vuol
dire interrogarsi sui motivi per i quali è sancito, come s'è detto,
dagli artt. 4 e 1 (comma 1) della Costituzione, oltre che da altre
norme contenute nella nostra Carta fondamentale.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Il
“lavoro come diritto” va connesso, come si accennava, all'idea di
dignità della persona, ed è in questo stretto legame che se ne
comprende meglio il senso. Il diritto al lavoro scardina le logiche
dei rapporti di subordinazione servile alle quali erano costrette a
sottostare le masse “diseredate” in epoche anche recenti: ciò
significa che il lavoro non è più, o non può più essere, una
“concessione” che il “signore”, il possidente o il notabile
di turno fa al “poveraccio” e per la quale quest'ultimo gli
dev'essere eternamente grato (e inchinarsi riverente, ecc.). Il
lavoro dignitoso libera la persona dal bisogno e dall'umiliazione di
dover dipendere, per la propria esistenza, dalla benevolenza e dalla
carità altrui.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Aver diritto a un lavoro
dignitoso e dignitosamente retribuito significa dunque poter
rivendicare libertà e dignità per sé e per la propria famiglia;
significa non dover dipendere dagli umori dei “potenti” per poter
condurre e programmare la propria vita.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
“<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Diritto al lavoro”, in
quest'ottica, significa poi permettere a chiunque, a prescindere
dalla classe sociale di provenienza, di mettere a frutto le proprie
capacità a beneficio della collettività, dando il proprio
contributo effettivo e quotidiano alla soddisfazione dei bisogni
della società, alla crescita del benessere, alla sua diffusione,
ecc..</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Non a caso la battaglia
delle donne per la pari dignità sociale e la “piena cittadinanza”
è passata attraverso il riconoscimento del loro diritto – sancito
peraltro dalla Costituzione – a svolgere un lavoro, o esercitare
una professione, alla pari degli uomini e senza subire
discriminazioni.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Ritengo che il senso
politico del “diritto al lavoro”, e la sua immutata ragion
d'essere, siano questi: come si vede, vi è una relazione
strettissima fra un tale diritto e l'idea di cittadinanza democratica
che la Costituzione enuncia e sostiene.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Lelio Basso ricorda che
l'art. 4 fa parte delle cosiddette norme “programmatiche” della
Costituzione, le quali, com'è noto, richiedono un intervento del
legislatore, ovvero specifiche leggi di attuazione, per poter
diventare “operative”.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Egli,
pur sostenendo che il diritto al lavoro si traduce nel dovere del
legislatore e dei governi di garantire la piena occupazione </span><u>[Basso
1998, p. 287]</u><span style="font-family: Georgia, serif;">, considerata assieme
alla sicurezza sociale come «fondamento di una convivenza civile»
</span><u>[Basso 1998, p. 312]</u>,<span style="font-family: Georgia, serif;">
sottolinea come non basti la proclamazione del principio, “la
Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro”,
«perché ogni disoccupato possa trovare lavoro: sarà necessario un
apparato non indifferente di leggi, di regolamenti, di istituti, di
provvidenze sociali affinché tale risultato si consegua davvero, ove
lo si voglia, e sia possibile» </span><u>[Basso 1998, p. 229]</u><span style="font-family: Georgia, serif;">.</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Qui
mi sembra che L. Basso sia consapevole del nodo complesso che bisogna
affrontare affinché questa norma costituzionale trovi adeguata
applicazione; e al “nodo” concorrono almeno due elementi: la
volontà del legislatore di ottemperare al compito che la
Costituzione gli assegna e le concrete possibilità di intervento che
la realtà sociale ed economica offre, nel momento in cui lo Stato si
accinge eventualmente a operare. Vi è da dire infatti che, per dare
concreta applicazione all'art. 4 e alle norme ad esso connesse, è
necessario intervenire periodicamente, monitorando costantemente
l'andamento dell'occupazione, i contratti di lavoro, ecc.. Per
garantire il “diritto al lavoro” non è sufficiente emanare una
legge una volta per tutte, giacché l'economia e la società sono in
costante trasformazione.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Per
tornare ai due tipi di obiezioni all'idea del “diritto al lavoro”,
al primo si può replicare in sostanza che non si tratta di figurarsi
un ruolo “irrealistico” dello Stato, da </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>deus
ex machina</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;"> che col suo
intervento risolve l'intreccio di ogni “racconto”, ma non si deve
neppure immaginare che il mercato e il lavoro “se la sbrighino”
ottimamente da soli e che lo Stato debba rimanere alla finestra a
guardare. Come ha detto recentemente Gustavo Zagrebelsky, partendo
dalla constatazione che molti dei diritti previsti dalla Costituzione
rischiano di essere consegnati all'oblio: «[...] basterebbe
ricordare l'articolo 1 (“L'Italia è una Repubblica democratica
fondata sul lavoro”). La </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>communis
opinio</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">, la vulgata, è che il
lavoro c'è in quanto, come prodotto di fattori economici che si
sviluppano per conto loro, si producono posti di lavoro. La nostra
Costituzione, viceversa, partiva dall'idea che il lavoro è il
principio e quei fattori che possono influire sulla creazione di
posti di lavoro vanno elaborati e costruiti dalla politica.»
</span><span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Canfora-Zagrebelsky 2014, p.
84]</u></span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Non
bisogna dimenticare, dunque, che il lavoro non è solo un concetto
economico, e non è perciò di esclusiva pertinenza dei mercati,
delle agenzie di </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>rating</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">,
dei revisori di conti, delle banche centrali, dei tecnici più
intransigenti del “liberismo applicato”; la Costituzione ci
ricorda che è soprattutto un àmbito dai connotati fortemente
politici e dai risvolti sociali e deve essere un fine costante
dell'azione politica, non un mezzo o una “pedina” che si può
spostare a piacimento sulla scacchiera della politica economica, a
seconda delle esigenze della finanza. Se i mercati tendono in certe
fasi a “sbarazzarsi” del lavoro o a dimenticare totalmente il suo
significato politico (legato, come si è visto, all'idea di dignità
della persona), è compito dello Stato intervenire per ribadire –
riporto le parole di Zagrebelsky – che «il lavoro è il principio»
e la sua tutela fa parte dell'orizzonte irrinunciabile che
l'ordinamento costituzionale assegna all'azione politica. Detto in
altri termini, il lavoro (ovvero: la creazione di occupazione, la
tutela dei diritti dei lavoratori, ecc.) non può essere un “effetto
collaterale” di politiche economiche decise tenendo presenti altri
scopi e altre priorità, ma affinché i princìpi costituzionali
siano rispettati scrupolosamente (e non elusi o aggirati con pretesti
di prammatica, come “ma ce lo chiede l'Europa”, “ma ce lo
chiedono i mercati”, ecc.) deve essere sempre fra gli obiettivi
prioritari e irrinunciabili dell'azione legislativa e di governo.</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Quanto al secondo tipo di
obiezione all'idea del “diritto al lavoro”, quello elaborato da
alcuni settori dell'“anticapitalismo radicale”, si può dire che
esso colga un aspetto importante di quel diritto (pur contestandolo),
ovvero la necessità che il lavoro non sia sfruttamento e non si
trasformi in servaggio, in schiavitù. E' lo stesso diritto al
lavoro, inteso come corollario del diritto alla dignità, a
contemplare il diritto di ciascuno di disporre di tempi e spazi
liberi dalle costrizioni che il lavoro pur sempre comporta. Certo,
l'idea che le società possano liberarsi letteralmente e
completamente della necessità del lavoro, pur essendo allettante in
quanto “emotivamente liberatoria”, non riesce al momento a
superare il suo statuto di provocazione, di idea-paradosso che serve
a ribaltare i princìpi degli “antagonisti” (i sistemi
capitalisti) per rifiutarli “il più radicalmente possibile”,
senza tuttavia sapersi e potersi trasformare – al di là di un
generale invito al ribellismo e al sabotaggio – in alternativa
politica dai chiari contenuti (e dunque di evidente applicabilità su
scala generale: potrebbe mai il lavoro, a livello di interi Stati,
essere rimpiazzato da una sorta di sciopero totale, permanente e
“irreversibile”? E con quali risultati, con quale gradimento
reale da parte della popolazione? Per costruire quale sistema
alternativo, sotto il profilo istituzionale, economico, ecc.?).</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<br />
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><b><a href="http://almancoprov.blogspot.com/2015/05/traversie-di-un-principe-senza-scettro_88.html">[Vai alla quarta parte]</a></b></span></span></div>
ivaneuscarhttp://www.blogger.com/profile/13381655735594702472noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-215434595625178180.post-63582097715876833552015-05-20T08:59:00.000+02:002015-05-20T14:39:32.947+02:00Traversie di un “Principe senza scettro”. Omaggio a Lelio Basso, costituente /2<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><b><a href="http://almancoprov.blogspot.com/2015/05/traversie-di-un-principe-senza-scettro.html">[Vai alla prima parte]</a></b></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><b>Seconda parte</b></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Il secondo capitolo de <i><b>Il
Principe senza scettro </b></i>si sofferma su “Lo spirito della
Resistenza”. Qui Lelio Basso sottolinea il contributo che
l'esperienza della lotta al fascismo ebbe per la maturazione dei
valori democratici che sarebbero poi stati alla base della
Costituzione repubblicana, ma mette anche in evidenza i problemi e le
difficoltà coi quali la Resistenza dovette fare i conti, e che le
impedirono – a differenza di quel che avvenne in altri contesti
nazionali, ad es. in quello francese – di essere la fonte chiara e
univoca di un nuovo pensiero politico e di un conseguente e organico
programma di riforme. Come nota il deputato socialista, dopo la
<span style="font-family: Georgia, serif;">«lunga notte fascista» che «aveva reso
impossibile in Italia una continuità di pensiero democratico»,
isolando le giovani generazioni e impedendo loro qualsiasi contatto
con gli «sviluppi del pensiero e delle esperienze internazionali»
</span><u>[Basso 1998, pp. 93-94]</u><span style="font-family: Georgia, serif;">,</span>
negli anni della Resistenza <span style="font-family: Georgia, serif;">«[n]on vi fu
[…] una vera simbiosi fra le masse e il personale politico
specializzato, entrati da poco in contatto e preoccupati, le une e
gli altri, soprattutto delle esigenze belliche immediate; le loro
idee e il loro linguaggio non furono sempre coincidenti, anche se,
naturalmente, si andò a poco a poco creando una fusione sempre più
organica. […] Ed è anche per questo che è più appropriato
parlare, per quanto riguarda l'Italia, di uno “spirito” della
Resistenza, piuttosto che di un vero e proprio pensiero.» </span><u>[Basso
1998, p. 94]</u></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
<br />
<a name='more'></a><br />
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Secondo Basso, questo
“spirito”, che accomunava le varie componenti dei Comitati di
Liberazione Nazionale e i cittadini desiderosi di modificare le
fondamenta istituzionali del Paese, si può «riassumere in una
frase: fare tutto il contrario del fascismo» <span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso
1998, p. 99]</u></span>. Dietro la facciata dello slogan polemico, e
a monte di esso, L. Basso sviluppa una riflessione che parte dai dati
storici del colpo di stato del 25 luglio, che con la sua «facilità
addirittura operettistica […] mise a nudo, dietro la cortina
fumogena creata dalla propaganda, la natura di cartapesta del regime»
e della fuga dell'8 settembre, che squalificò definitivamente la
monarchia, per ricordare la condizione in cui si trovò il popolo
italiano in quegli ultimi mesi del 1943, ossia «veramente solo: solo
colla propria coscienza. Quattro anni prima che la Costituente la
registrasse nel testo dell'articolo primo, la democrazia, cioè la
maturità e la responsabilità del popolo, nasceva da questa diretta
esperienza [...]» <span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso 1998, p.
99]</u></span>.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">La democrazia coincide
dunque con la maturità di un popolo che si rende conto che, svanite
tutte le illusioni e rivelatisi i vecchi poteri (frutto di dinastie
di <i>ancien régime</i>, di oligarchie, di dittature, ecc.) come
soggetti opportunisti e parassitari interessati soltanto alla propria
sopravvivenza anche a spese del popolo medesimo – che peraltro
considerano estraneo e cinicamente “sacrificabile” –, deve fare
affidamento soltanto sulle proprie capacità ed energie e assumersi
la responsabilità di compiere scelte. Definizione più incisiva
della democrazia – ideale e al tempo stesso pragmatica, di
“spirito” e di “carne” a un tempo – non può forse esserci.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">In tal modo, lo “spirito”
della Resistenza si manifesta segnando alcune precise priorità:
«Ricostruzione dal basso, impegno e responsabilità di ciascuno per
assolvere nel miglior modo il proprio compito, liquidazione
definitiva del passato» <span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso 1998,
p. 99]</u></span>.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">All'idea di democrazia come
età della “maturità politica” di un popolo è connaturato il
concetto di responsabilità, e non a caso Lelio Basso lo rimarca a
più riprese. In particolare sottolinea come uno dei valori che «fu
conquistato quasi d'impeto in quei mesi» sia «il senso della
responsabilità personale, principio e fondamento di ogni vita
democratica» <span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso 1998, pp.
99-100]</u></span>.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">La dittatura fascista si era
adoperata quasi “scientificamente” per avvilire e umiliare le
persone e il loro senso di libertà e di dignità, «la coscienza che
ciascuno deve avere del proprio diritto e dovere di scegliere, di
decidere, di assumere delle responsabilità», provando
sistematicamente ad annullare tutto questo «nel conformismo,
nell'indifferentismo o nell'ipocrisia» <span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso
1998, p. 100]</u></span>, i buoni “compagni di viaggio” di ogni
sistema autoritario e autocratico.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Con la democrazia, le
persone (ri)conquistano il diritto di non essere “conformi” a un
modello prestabilito (da un regime di turno o da un'ideologia) ma
anche la responsabilità di confrontarsi coi propri simili, poiché
decidere ciò che è bene per la collettività non è un privilegio
concesso a pochi, e del quale non si debba render conto ai
“governati”, ma una facoltà che discende dalla dignità stessa
di cittadino, che a tutti spetta in egual misura.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Nel terzo e nel quarto
capitolo del libro, Lelio Basso parla rispettivamente del lavoro di
elaborazione che ha portato alla Costituzione e dei contenuti di
quest'ultima.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Egli innanzitutto affronta
una celebre critica che veniva (e tuttora viene) mossa alla
Costituzione, ovvero quella «di essere sorta sulle fragili
fondamenta di un compromesso politico fra i principi del liberalismo
e quelli del socialismo, senza soddisfazione né delle correnti
liberali né di quelle socialiste, e, quel che più importa, senza
un'organicità giuridico-politica con lo sviluppo storico del paese»
<span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso 1998, p. 131]</u></span>.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">In realtà, usato in questo
contesto, il termine “compromesso”, in sé non necessariamente
negativo, serve spesso a costruire una “narrazione” (diremmo
oggi) che giustifichi «l'applicazione di una vera e propria
“costituzione di fatto” presentata in maniera arbitraria come
rispondente alla reale fisionomia storico-politica della nazione, in
contrapposizione alla costituzione “di diritto” votata nel
dicembre 1947, denunciata invece come una astratta enunciazione di
principi ibridamente fusi in una congiuntura storica e politica di
eccezione» <span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso 1998, pp. 131-132]</u></span>.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">E' una “narrazione”,
questa, che è servita allora (negli anni Cinquanta) come in séguito
per giustificare i ritardi nell'applicazione delle norme
costituzionali, o le “deviazioni” della prassi politica rispetto
alla lettera della Costituzione; ma le “circostanze eccezionali”
del 1946-48, lungi dall'essere un “incidente di percorso” da
dimenticare al più presto, sono state in effetti un'occasione
importante di reciproco riconoscimento delle forze politiche che
rappresentavano le maggiori tendenze ideali e le “famiglie
ideologiche” presenti in Italia, occasione che ha consentito il
determinarsi di un accordo di alto livello per disegnare attraverso
la Carta costituzionale il futuro democratico del Paese.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Così, il compromesso che
pure vi fu tra le forze di ispirazione cattolica, quelle di
ispirazione socialista e quelle liberal-democratiche (secondo la
tripartizione proposta da Basso), «non si risolse in una
giustapposizione di principi inconciliabili, ma rappresentò una
sintesi non infelice, sostanzialmente vitale» <span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso
1998, p. 132]</u></span> che, eccettuate alcune norme nelle quali la
presenza di reciproche concessioni è evidente, fece emergere un
accordo di tutte le forze politiche dell'arco costituente sui valori
fondamentali che lo “spirito della Resistenza” aveva contribuito
a manifestare e a sostenere.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Basso ricorda come nei
dibattiti della Costituente si andò delineando un concetto di
cittadino non più inteso come astratto “tassello” del corpo
politico, ovvero dell'edificio-Stato, ma come soggetto concreto
inserito in una società della quale subisce le iniquità, soggetto
che quindi deve essere messo in grado di contribuire coi propri
simili, in condizioni di parità, alla determinazione degli indirizzi
politici, sociali ed economici del Paese. Il <i>cittadino</i>, per il
Costituente, proprio perché si identifica in una figura concreta (il
che implica un'opzione politica forte), è anche un <i>lavoratore</i>:
«la preoccupazione del costituente di assicurare l'uguaglianza del
<i>cittadino</i> non è fine a se stessa, ma mira ad assolvere a una
precisa funzione, per cui sembra possibile la concreta
identificazione del cittadino stesso nel <i>lavoratore</i> come
cellula umana costitutiva, organica della società costituzionale, e
innanzi tutto come unità tipica, sotto il profilo sociale ed
economico e quindi giuridico, di quel “popolo” al quale
appartiene […] la sovranità e che l'on. Ruini definì vero e
proprio “organo fondamentale” della Costituzione.» <span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso
1998, pp. 140-141]</u></span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Naturalmente
– come L. Basso opportunamente commenta – l'accordo raggiunto tra
le forze politiche in seno alla Costituente su questo modo di
intendere la nozione di cittadino esclude che il concetto di
“lavoratore”, in tale contesto, possa avere una connotazione
classista, anche se la sua comparsa nei lavori della Costituente e
poi nel testo definitivo della Costituzione è segno inequivocabile
di </span>«un graduale spostamento dell'asse sociale ed economico
dello Stato moderno dai ceti capitalistici ai ceti lavoratori»
<span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso 1998, p. 141]</u></span> che le
forze politiche democratiche non possono non registrare.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Questa
concezione della cittadinanza emerge a più riprese nel dibattito; lo
stesso Lelio Basso, nella sua attività di costituente, la considerò
alla base delle norme sul diritto di voto, tanto da proporre nella I
Sottocommissione che esso non dovesse essere concesso, tra gli altri,
</span>«a coloro che non esercitano un'attività produttiva». E sul
principio vi era sostanzialmente un largo consenso, tanto che Moro
intervenne per sostenere che «la proposta si armonizzava con le
norme “sancite nella Costituzione in base alle quali non è
assolutamente concepibile vi siano in Italia persone che non si
dedicano volontariamente a un'attività produttiva” (benché
proprio per questa ragione dubitasse dell'opportunità di ribadirla)»
<span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso 1998, p. 147]</u></span>.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Circa
il testo che poi è stato approvato in via definitiva dall'Assemblea
Costituente ed è diventato la Costituzione della Repubblica
italiana, Lelio Basso rileva come esso – nonostante i suoi molti
pregi e i princìpi avanzati che enuncia – non sia del tutto
armonico, dal momento che non sempre le forze innovatrici sono
riuscite a far prevalere il loro punto di vista rispetto alle
posizioni degli elementi più conservatori dell'Assemblea. Una delle
parti della Costituzione che evidentemente non soddisfa del tutto
Basso è quella riguardante gli organi statali, che risente di vecchi
schemi liberali non più adeguati ai tempi: </span>«In modo
particolare rimangono come espressione del vecchio Stato il
bicameralismo e l'indipendenza dei parlamentari.» <span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso
1998, p. 164]</u></span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">A
giudizio di L. Basso, il bicameralismo venne sancito nel testo
definitivo della Costituzione soprattutto con lo scopo di fungere da
ostacolo alle politiche che i partiti di sinistra avrebbero
prevedibilmente sostenuto in Parlamento. Per di più, il
bicameralismo non è stato aggiornato ai tempi, prevedendo – come
in altri ordinamenti all'epoca esistenti – la prevalenza di una
Camera sull'altra; si è preferito invece un obsoleto e
ingiustificato “bicameralismo paritario”, </span>«cercando poi
di introdurre elementi estrinseci di differenziazione (età degli
elettori, età degli eleggibili, durata) che in realtà non hanno
nessuna giustificazione» <span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso 1998,
p. 164]</u></span>.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Altro principio proveniente
dalla tradizione liberale è quello che Basso definisce qui della
«indipendenza dei parlamentari rispetto al corpo elettorale» e che
con linguaggio tecnico-giuridico si definisce in genere come “divieto
del mandato imperativo”. Secondo il deputato socialista, un simile
principio contrasta con la realtà della democrazia imperniata sui
partiti e con la stessa norma costituzionale che sancisce la funzione
dei partiti medesimi, ovvero «quella di concorrere alla
determinazione della politica nazionale (art. 53 [<i>sic</i>; in
realtà si riferisce all'art. 49: <i><u>mia nota esplicativa</u></i>]),
dato che il modo più efficace con cui i partiti possono assolvere a
questa loro funzione è quello appunto di dare direttive ai propri
rappresentanti in Parlamento.» <span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso
1998, pp. 164-165]</u></span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Sono temi sui quali ancora
oggi si dibatte: come si vede, Basso offre spunti di riflessione
tanto sul superamento del “dogma del bicameralismo” (da lui
auspicato in tempi non sospetti) – benché vi siano buone ragioni
per conservare tale assetto del legislativo, sacrificandone soltanto
l'eccesso, ovvero la forma “paritaria” – quanto sulla revisione
o abolizione del “divieto di mandato imperativo”, che oggi viene
invocata per motivi differenti da quelli indicati da Basso (che
tuttavia sono importanti, giacché i partiti in tutti questi decenni
hanno vanificato l'assolutezza di quel principio, condizionando di
fatto il voto in aula dei loro eletti), ovvero sul presupposto di una
maggiore coerenza dell'eletto rispetto agli impegni assunti in
campagna elettorale.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Di
fondamentale importanza, come ognuno comprende, è l'affermazione
contenuta nell'art. 1, comma 2, della Costituzione, secondo la quale
“la sovranità appartiene al popolo”: è una formulazione chiara
e semplice, che vuol rendere esplicito il carattere democratico dello
Stato, esaltando fin dall'esordio del testo la centralità del
cittadino, e tuttavia, come ricorda L. Basso, si è giunti a quella
versione dell'art. 1 dopo un lungo dibattito nell'Assemblea
Costituente, e il testo inizialmente previsto era: “La sovranità
emana dal popolo”, certamente più “timido” e meno incisivo
</span><span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso 1998, p. 167]</u></span><span style="font-family: Georgia, serif;">.</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Il
popolo però non è un “corpo astratto” e la Costituzione non
intende avallare la concezione vetero-liberale che faceva del popolo
o della “nazione” soggetti </span>«omogenei ed esprimenti
un'unica volontà» <span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso 1998, p.
171]</u></span>, e pertanto fittizi. In altre parole, il popolo di
cui parla la Costituzione è un popolo fatto di concreti soggetti,
con le loro differenti idee e aspirazioni, dunque un popolo
articolato, un “popolo-pluralità”.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">E' per questo motivo che la
mediazione dei partiti si rende necessaria: essi rappresentano la
pluralità delle posizioni, degli interessi, delle prospettive
presenti nella collettività e ricevono dagli elettori un mandato che
ha una duplice finalità: da un lato, sostenere una determinata
visione della società e dell'azione politica e darle visibilità, e
dall'altro contribuire a ricomporre in sede parlamentare e
istituzionale i diversi e talora contrapposti interessi dei
cittadini.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Questi ultimi dunque, nella
cabina elettorale, votano a favore di un partito prima ancora che di
un parlamentare; il partito si fa garante del programma elettorale e
dell'operato dei singoli eletti, è al partito innanzitutto che
l'elettore chiede conto. Ecco perché Basso sostiene che è un
equivoco ritenere «che il Parlamento riceva direttamente dal corpo
elettorale la sua investitura» <span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso
1998, p. 171]</u></span>. Senza la partecipazione di una <i>pluralità</i>
di <i>partiti</i> alla competizione elettorale, quest'ultima non si
può ritenere valida (non rispetta infatti i requisiti minimi di
pluralismo democratico): non è sufficiente che vi sia una pluralità
di candidati.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Secondo Basso, la
Costituzione prevede e incoraggia una partecipazione costante del
cittadino alla politica: dunque, in netto contrasto con le concezioni
vetero-liberali dei diritti politici dei cittadini, le elezioni
parlamentari non sono «l'atto unico, o press'a poco, della
sovranità» <span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso 1998, p. 174]</u></span>.
Il cittadino ha molte forme di partecipazione a sua disposizione, a
cominciare dagli istituti di democrazia diretta; i diritti a questi
connessi sono «esercitabili continuamente, e il cittadino che li
voglia esercitare effettivamente non deve spogliarsi mai del suo
abito mentale di cittadino-sovrano: si pensi, per esempio, che il
Parlamento approva ogni anno centinaia di leggi, nella grande
maggioranza suscettibili di essere sottoposte a referendum
abrogativo, e si vedrà che <i>se il popolo vuole avere la certezza
che i suoi interessi siano bene gestiti dai suoi rappresentanti</i>
<i>ne deve sorvegliare l'attività, si può dire, ogni giorno</i>.»
<span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso 1998, p. 175: corsivo aggiunto
da me]</u></span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Questa considerazione
riveste un'importanza particolare, se teniamo conto del fatto che
quando Basso la espresse non era stata ancora emanata la legge
attuativa dell'art. 75 della Costituzione, sul referendum abrogativo
(solo nel 1970, a ben 22 anni di distanza dall'entrata in vigore
della Costituzione, essa venne approvata e varata). Implicitamente
qui l'autore ci dice il perché del ritardo del legislatore
ordinario: non si voleva incoraggiare la “maturità” del
cittadino controllore “quotidiano” dell'operato dei suoi
rappresentanti, anzi si voleva decisamente scoraggiare un simile
atteggiamento...</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Come ricorda L. Basso, i
cittadini possono inoltre contribuire a determinare la politica
nazionale attraverso i partiti, che devono essere associazioni,
organismi aperti al loro intervento e al loro contributo: è lo
spirito che informa l'art. 49 della Costituzione <u>[Basso 1998, p.
175]</u>, che il deputato socialista ha personalmente elaborato,
durante i lavori dell'Assemblea Costituente.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">In
definitiva, secondo Lelio Basso, </span>«[...] il nuovo sovrano, il
popolo, non diversamente da quanto faceva o avrebbe dovuto fare il
sovrano assoluto delle antiche monarchie, deve considerarsi sempre
nell'esercizio delle proprie funzioni, che non sono soltanto quelle
di votare, ma altresì quelle di sorvegliare, controllare, criticare
e insomma fare quanto è necessario perché la sua vera volontà (che
è poi la risultante di tante diverse e contrastanti volontà) si
traduca in azione politica e legislativa.» <span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso
1998, p. 176]</u></span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Questa
riflessione permette di comprendere meglio la portata
“rivoluzionaria” dei princìpi sanciti dall'art. 1 della
Costituzione: un'importante conseguenza giuridica, prima ancora che
politica, dell'affermazione del costituente secondo la quale la
sovranità “appartiene al popolo”, è che vi deve essere una
corrispondenza necessaria e continua </span>«fra la reale volontà
popolare e gli organi a cui il popolo affida l'attuazione di questa
volontà, in modo particolare, naturalmente, le assemblee
parlamentari» <span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso 1998, p. 176]</u></span>.
Queste ultime devono essere «la fotografia il più possibile fedele
dei contrasti di opinioni e di tendenze politiche che esistono nel
Paese» e, secondo Basso, la Costituzione rispetta e rispecchia
questo principio, sicché «il rapporto fra l'Italia, cioè il popolo
italiano, e la Repubblica, cioè gli organi statali, sarà veramente
democratico, come vuole il primo articolo della Costituzione, quanto
più il Parlamento sarà specchio fedele del popolo» <span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso
1998, p. 176]</u></span>.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">E' vero che – come
stabilisce l'art. 67 della Costituzione – il parlamentare
rappresenta “la Nazione” e non singoli cittadini o gruppi di
elettori, ma è altresì vero – secondo le tesi di L. Basso – che
la libertà di interpretare la volontà della Nazione, che
apparentemente il testo costituzionale assegna a ciascun singolo
parlamentare (liberandolo da qualsiasi “vincolo di mandato”, come
si è già detto), non può spingersi sino al totale arbitrio ma deve
rimanere ancorata alle reali richieste provenienti dai
cittadini-elettori, alle loro priorità e alle loro visioni del
mondo; giudici del “buon uso” della libertà della quale il
parlamentare dispone non possono essere che i cittadini stessi,
membri del “popolo sovrano”, dalla cui volontà scaturisce la
stessa “investitura” conferita ai singoli parlamentari, il che
equivale a dire che la carica di parlamentare non è un privilegio
concesso a qualcuno “per meriti speciali ed esclusivi” affinché
se ne serva a proprio piacimento e a detrimento della collettività e
dei suoi interessi, bensì un ruolo consistente in una precisa
funzione di rango costituzionale, sottoposta al continuo vaglio dei
“deleganti”, i cittadini-elettori, i quali non perdono <i>mai</i>,
in nessun istante, la funzione di <i>soggetto sovrano</i>.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Il referendum abrogativo e
lo scioglimento anticipato delle Camere sono due degli istituti che
la Costituzione prevede affinché i cittadini possano porre rimedio
agli eventuali scostamenti delle assemblee parlamentari – e
conseguentemente dei governi – dalla reale volontà popolare.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Tuttavia dal principio della
corrispondenza necessaria fra volontà popolare («e cioè, in realtà
– come Basso opportunamente chiarisce –, le molteplici volontà e
tendenze del popolo») e rappresentanza parlamentare discende anche
un'altra importante conseguenza, oggigiorno poco considerata (e non
casualmente): la necessità della rappresentanza proporzionale. E'
proprio in virtù del legame strettissimo fra principio della
corrispondenza volontà popolare/volontà parlamentare (base
essenziale della democrazia) e legge elettorale proporzionale che
«s'è potuto sostenere che la proporzionale, pur non essendo
espressamente menzionata, deve intendersi connaturata allo spirito
della Costituzione» <span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso 1998, p.
178]</u></span>. Nell'affermare questo, Lelio Basso si richiama al
parere di illustri studiosi della materia costituzionale, come
Mortati.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">L'unico sistema elettorale
che garantisce il rispetto della sovranità popolare è quello
proporzionale (senza premi di maggioranza, è utile specificare, dato
che questi hanno la stessa funzione dei meccanismi elettorali
maggioritari); il sistema elettorale maggioritario infatti sacrifica
la rappresentatività delle Camere in nome della cosiddetta
“governabilità”: quest'ultima, che sembra in cima alle
preoccupazioni dei governanti e dei “riformatori” d'oggi, è
a ben vedere il residuo di una concezione davvero arcaica del potere,
<i>ancien régime</i> verrebbe da dire, secondo la quale il “potere
di comando” dev'essere in una sola mano, senza alcuna forma di
condivisione – il che, se si riflette, è in contrasto con
l'esigenza comprensibile e diffusa e, questa sì, schiettamente
democratica, di rafforzare gli strumenti di intervento dei cittadini,
di controllo (costante) sull'operato dei pubblici poteri, di
democrazia partecipativa.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Come ha recentemente e
incisivamente sostenuto Luciano Canfora, il sistema proporzionale è
il solo che rispetti il principio che sta a fondamento del suffragio
universale: un uomo, un voto. Egli ha aggiunto che è nel principio
maggioritario «la causa vera del disastro della rappresentanza.
L'argomento della cosiddetta governabilità è fatuo. La
governabilità più semplice è il tiranno: il monarca incarna la
governabilità più rapida. […] Perché il principio proporzionale
è l'unica forma di attuazione del suffragio universale? Perché
nelle società nostre, dove è una minoranza numerica quella che sta
male, noi proprio a quella togliamo la rappresentanza. Non si
vogliono avere in Parlamento delle minoranze che possano inceppare la
macchina» <u>[Canfora-Zagrebelsky 2014, pp. 93-94]</u>.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">E Zagrebelsky, nella sua
replica a Canfora, dopo aver sottolineato il ruolo che i partiti
hanno nel far funzionare (o non funzionare) il sistema proporzionale,
dovendo «fare aggregazione, rinunciando a qualche cosa di sé per
costruire un quadro di collaborazione possibile»
<u>[Canfora-Zagrebelsky 2014, p. 94]</u>, commenta fra l'altro:
«[...] il premio di maggioranza servirebbe a dare stabilità solo se
potesse impedire il trasformismo, vizio italiano di coloro che,
eletti con i voti d'una parte, poi passano dall'altra parte per
motivi che, spesso, hanno poco o nulla di politico. Ma, a questo
proposito, finché esiste la libertà del mandato, ci si può
affidare solo alla correttezza del singolo parlamentare. Cioè, il
serpente si morde la coda.» <u>[Canfora-Zagrebelsky 2014, pp. 94-95]</u></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Vi è dunque consonanza in
queste riflessioni con i dubbi espressi da Lelio Basso nel 1958 circa
la validità odierna e la sensatezza del “divieto del mandato
imperativo”, e soprattutto la sua compatibilità col principio
della sovranità popolare, se vengono rigorosamente tratte tutte le
conseguenze politiche e istituzionali che quest'ultimo comporta.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">A questo proposito, L. Basso
ritiene che sarebbe conforme allo spirito della Costituzione una
norma «che stabilisse la revoca del mandato di quei parlamentari che
abbandonano il partito nel cui nome sono stati eletti, e
presumibilmente si staccano in tal guisa dai propri elettori» <span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso
1998, p. 178]</u></span>.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Dal carattere democratico
delle istituzioni disegnate dalla Costituzione si ricava, secondo
Lelio Basso, anche il principio in base al quale l'opposizione
parlamentare «svolge una funzione sovrana» in quanto essa è parte
integrante del popolo, e la sovranità di cui parla la Carta
costituzionale spetta «a tutto il popolo e quindi a tutti i
cittadini che lo compongono». Ciò significa che i poteri della
maggioranza non sono illimitati, «proprio in contrasto con il
diffuso luogo comune che confonde la democrazia, cioè <i>il governo
di tutto il popolo</i>, con il governo della maggioranza» <span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso
1998, p. 178: corsivo aggiunto da me]</u></span>.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Il Governo in democrazia,
dunque, rappresenta tutto il popolo, e non solo una parte del Paese,
degli elettori, dei cittadini, ecc.: esso è certamente espresso
dalla maggioranza parlamentare, ma in quanto organo che riceve la sua
investitura e i suoi poteri dal “sovrano”, ovvero dalla totalità
del popolo (nelle sue molteplici componenti), «deve tener conto non
solo dell'esistenza ma anche della volontà della minoranza» <span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso
1998, p. 180]</u></span>. Sul piano pratico ciò vuol dire che
l'indirizzo politico del Governo sarà determinato dalla maggioranza,
ma l'azione di governo dovrà tener conto, nei limiti del possibile,
anche degli indirizzi dell'opposizione.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Oggi forse questo principio
enunciato da L. Basso può avere ulteriori e più incisivi sviluppi,
se lo si considera non più soltanto in rapporto alla dialettica fra
maggioranza e opposizione (e dunque fra soggetti politici all'interno
del Parlamento e delle istituzioni rappresentative), ma anche in
relazione al ruolo degli istituti di democrazia partecipativa (e
dunque in riferimento al rapporto fra cittadini e istituzioni). </span></span>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Se dovessimo far riferimento
alle due tipologie di democrazia individuate da Arend Lijphart,
ovvero il “modello Westminster” (o maggioritario) e il “modello
consensuale”, potremmo annoverare con molta probabilità Lelio
Basso fra i sostenitori del modello “consensuale” di democrazia.
Non è detto però che la democrazia “del consenso” tratteggiata
da Basso coincida perfettamente con la democrazia consensuale nella
definizione datane da Lijphart; non c'è lo spazio per soffermarsi su
questo punto, che ci porterebbe lontano dall'analisi del <i>Principe
senza scettro</i>, ma è opportuno ricordare brevemente che secondo
Lijphart sono democrazie “maggioritarie” quelle in cui «le
maggioranze dovrebbero sempre poter governare e le minoranze rimanere
all'opposizione», e sono invece “consensuali” le democrazie che
rifiutano la contrapposizione netta fra maggioranza e opposizione,
giacché «la regola di maggioranza e il modello di governo ad essa
legato […] potrebbero essere considerate addirittura espressioni
non pienamente democratiche, in quanto fondate su un principio di
esclusione» <u>[Lijphart 2014, p. 55]</u>.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Se il modello maggioritario
sembra funzionare in «società relativamente omogenee» <u>[Lijphart
2014, p. 56]</u>, in società attraversate da profonde fratture
culturali, religiose, etniche, ecc., e quindi sostanzialmente divise,
invece «la regola maggioritaria porta alla dittatura della
maggioranza e alla guerra civile, e non alla democrazia. Ciò di cui
ha bisogno questo tipo di società è un regime democratico che ponga
l'accento sul consenso più che sull'opposizione, che includa più di
escludere e che tenti di allargare al massimo le dimensioni della
maggioranza di governo, anziché accontentarsi di una maggioranza
risicata.» <u>[Lijphart 2014, p. 57]</u></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Secondo Lelio Basso, la
Costituzione italiana, facendo propria l'evoluzione che vi è stata
nella concezione della dialettica Stato/cittadini,
governanti/governati e collettività/individui, ha inteso dare al
popolo (nel senso di “popolo-pluralità”, come si è detto) la
facoltà di esercitare appieno il suo potere sovrano <span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso
1998, p. 187]</u></span>. Se <span style="font-family: Georgia, serif;">«ogni
cittadino è portatore di una porzione di sovranità e partecipa
all'esercizio della funzione sovrana» </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso
1998, pp. 187-188]</u></span><span style="font-family: Georgia, serif;">, in maniera
permanente (cioè non soltanto al momento del voto), si può
affermare che «il cittadino è, in un certo senso, un funzionario,
un funzionario chiamato all'esercizio della suprema funzione statale,
quella sovrana», proprio perché questa è permanente ed è
costantemente nelle mani dei cittadini – anche se in effetti il
cittadino-sovrano «non è di continuo nell'esercizio delle sue
funzioni» </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso 1998, p.
188]</u></span><span style="font-family: Georgia, serif;">.</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Se
misurato in rapporto a ogni singolo cittadino, non è un esercizio
effettivamente “continuo” solo per “motivi tecnici”, potremmo
dire; ma potenzialmente esso – se considerato in un'ottica
collettiva – non s'interrompe mai, giacché «l'esercizio di questa
funzione si esplica anche attraverso i partiti, le associazioni e gli
enti minori e l'attività di questi, a sua volta, si esercita
quotidianamente sulla stampa, nelle riunioni e così via» (oggi
potremmo certamente aggiungere all'elenco anche il Web) e ciò
implica che «quelli che un tempo apparivano come diritti “naturali”,
come sfere autonome di attività individuale da contrapporsi alla
sfera di attività pubblica, come libertà limitatrici del potere,
possono essere considerate anche come momenti essenziali
dell'esercizio del potere, non contrapposte quindi, ma coessenziali»
</span><span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso 1998, p. 188]</u></span><span style="font-family: Georgia, serif;">.</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">I
diritti delle persone, </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>in
primis</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;"> quelli politici (ma non
soltanto), non sono perciò concessioni dello Stato che si
“autolimita”, ma «una limitazione che il potere sovrano del
popolo impone agli organi da lui dipendenti» </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso
1998, p. 188]</u></span><span style="font-family: Georgia, serif;">. E' una sorta di
“rivoluzione copernicana” nel modo di considerare i diritti di
libertà, i quali in questa maniera vengono fatti derivare
</span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>direttamente</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">
dai princìpi della democrazia e non passano più attraverso la
“mediazione” esercitata dagli assiomi del liberalismo (se non in
misura limitata “allo stretto necessario”).</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Per
Lelio Basso «la democraticità dello Stato sarà tanto maggiore
quanto più intima sarà questa coessenzialità, quanto più cioè il
potere sarà diffuso e il suo esercizio si esplicherà come momento
di libertà» </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso 1998, p.
188]</u></span><span style="font-family: Georgia, serif;">.</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Il
potere dello Stato, insomma, in una democrazia non può esercitarsi
che allo scopo di garantire e accrescere l'equità sociale, la
giustizia, le opportunità di vita e di emancipazione delle persone,
lo sviluppo delle loro conoscenze e delle loro capacità: infatti
queste considerazioni riguardano non soltanto i diritti politici in
senso lato, ma anche «ogni diritto inerente alla tutela della
personalità, il cui sviluppo è condizione delle qualità necessarie
al cittadino sovrano» </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso
1998, p. 188]</u></span><span style="font-family: Georgia, serif;">.</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">I
cittadini, in democrazia, in quanto sovrani, non solo non sono più
sudditi sotto il profilo del diritto (</span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>de
iure</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">, direbbero i giuristi),
ma non devono neppure più </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>essere
trattati</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;"> come sudditi da parte
dei pubblici poteri, dei funzionari pubblici e della Pubblica
Amministrazione in genere (non sono insomma più sudditi neppure </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>de
facto</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">, per usare ancora il
linguaggio dei giuristi, altrimenti – se la qualifica di
“cittadini-non-sudditi” viene riconosciuta solo </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>de
iure</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;"> e non nei fatti –
vengono violati i princìpi della democrazia, che sono molto esigenti
e pretendono che i fatti corrispondano agli enunciati di diritto).</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Come
ricorda L. Basso, un tempo, prima dell'avvento della democrazia,
quando appunto i cittadini erano soltanto sudditi (immancabilmente </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>de
facto</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">, ma talora anche </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>de
iure</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">), e i funzionari
ritenevano di dover rispondere del loro operato soltanto ai propri
superiori che rappresentavano “il sovrano” (fosse questi un
monarca o un governo che incarnava il popolo soltanto sulla carta),
«ogni rappresentante di questa autorità si sentiva un caporale
dell'ordine politico e sociale, un rappresentante del sovrano, e
quindi in diritto di comandare ai sudditi», limitando a suo
piacimento i diritti di riunione, di associazione e di stampa, in un
quadro nel quale «il potere discrezionale della polizia non era che
un momento dell'esercizio del potere sovrano» </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso
1998, p. 189]</u></span><span style="font-family: Georgia, serif;">.</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">In
proposito Lelio Basso fa una riflessione che è certamente legata
alla situazione del tempo in cui egli scrive (nel 1958 il fascismo
era caduto da “appena” tredici anni), ma che per molti aspetti è
utile per meditare anche oggi: «E' certamente difficile far
comprendere a un prefetto, a un questore, a un commissario di polizia
o a un maresciallo dei carabinieri che la situazione
politico-giuridica è oggi completamente mutata: che essi rimangono
sempre al servizio del sovrano, ma che il nuovo sovrano è il popolo
nella sua totalità, e che perciò la loro funzione precipua è,
oggi, non già quella di difendere il sovrano contro un pericoloso
estendersi della sfera di libertà, ma quella di garantire la piena
esplicazione della libertà proprio in quanto esercizio in atto del
potere sovrano.» </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso 1998,
p. 189]</u></span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Ciò
ovviamente non significa lasciare campo libero agli eccessi dei
singoli e dei gruppi (i funzionari statali «proprio perché la loro
autorità discende dalla potestà d'imperio che spetta al sovrano,
cioè al popolo nella sua totalità [e non ai singoli in maniera
estemporanea: </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i><u>nota
esplicativa mia</u></i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">], hanno il
dovere di intervenire contro chiunque disubbidisca agli ordini del
sovrano legittimamente impartiti, nelle forme e nei limiti stabiliti
dalla Costituzione e dalle leggi» </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso
1998, pp. 190-191]</u></span><span style="font-family: Georgia, serif;">), ma
certamente tra gli eventuali atti arbitrari dei pubblici poteri da un
lato, e l'arbitrio di singoli o gruppi che eventualmente approfittano
in maniera scorretta della libertà, dall'altro (gli estremi si
toccano, e non si giustificano reciprocamente in alcun modo, si
potrebbe dire...), c'è tutto uno spazio di civiltà democratica da
preservare.</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<br />
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><b><a href="http://almancoprov.blogspot.com/2015/05/traversie-di-un-principe-senza-scettro_0.html">[Vai alla terza parte]</a></b></span></span></div>
ivaneuscarhttp://www.blogger.com/profile/13381655735594702472noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-215434595625178180.post-43203066552628206612015-05-20T08:52:00.000+02:002015-05-21T00:02:33.453+02:00Traversie di un “Principe senza scettro”. Omaggio a Lelio Basso, costituente /1<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><b>Prima
parte</b></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">(Premessa)</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: small;"><i>Da
tempo avevo in mente di ricordare Lelio Basso occupandomi del suo
</i>“Principe senza scettro”<i>.
Per ragioni che non so neppure io, ho sempre rinviato questo
appuntamento a cui tenevo: forse l'“invadenza del presente”,
della quale parlo nell'introduzione di questo scritto, mi ha
contagiato, e ho dato la preferenza alle sue urgenze. O forse –
come spesso accade – temevo che la rilettura di un testo che a suo
tempo avevo trovato illuminante mi avrebbe deluso, affrontandola con
gli occhi di oggi (e comunque non sto parlando di “molto” tempo
fa: nel '58 io ancora non c'ero...). Invece poi mi son deciso a
ripercorrere le pagine del testo in questione, e mentre prendevo
appunti cresceva pian piano l'impressione che quel libro parlasse
anche a noi, a noi cittadini, a noi persone dell'Italia di oggi.</i></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: small;"><i>Ecco,
in certi frangenti, per capire cos'è la politica attuale, dove sta
andando, che senso hanno i suoi slogan, quanto respiro ha il suo
impettito “nuovismo” che ritiene di non aver nulla da imparare
dai maestri del recente passato, è particolarmente utile meditare
proprio sulle parole e sulle riflessioni di questi ultimi; forse più
utile di un </i>“tweet”<i>
estemporaneo che si pone all'affannoso inseguimento dell'attualità
quotidiana e si perde nel vero e proprio flusso dell'infinita </i>chat
<i>propagandistica che oggi i protagonisti stessi della
politica istituzionale alimentano.</i></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: small;"><i>Il
</i>“Principe senza scettro”<i>
non è altro che il popolo; è un titolo che dice già molto: ci
ricorda che il primo compito della Costituzione e del legislatore è
quello di rispettare il principio della sovranità popolare, di
renderlo sempre più forte e concreto. Il popolo è sovrano, ma al
contrario dei sovrani del passato non ha scettro, e d'altronde, per
salvaguardare la propria libertà, non gli serve materializzarlo ed
esibirlo come un re qualsiasi. Questo “anomalo principe” è fatto
di molti corpi e di molte teste, anche se talora, per esigenze
discorsive e per convenienza politica, viene rappresentato come “un
solo corpo” bisognoso di “una sola testa”: ed è proprio a
causa di questa rappresentazione “interessata” che rischia ogni
volta di perdere se stesso. </i></span></span>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: small;"><i>Il
“Principe senza scettro”, se comprende fino in fondo il proprio
ruolo, non è obbligato a giocare il gioco del dominio e della
prevaricazione, non deve umiliare nessuno, né ridurre chicchessia al
silenzio. E' un sovrano del tutto particolare, l'unico che non fa il
“tutore” di nessuno e non usurpa il ruolo d'altri. </i></span></span>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: small;"><i>Sì,
questo libro parla della Costituzione italiana e del significato di
certe scelte e di certe norme che i costituenti hanno elaborato.
Lelio Basso era uno di loro.</i></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<div style="text-align: right;">
<i>(i.s.)</i></div>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
<a name='more'></a></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><b>Sui
maestri (una introduzione)</b></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Il
culto dei maestri è diventato una pratica all'apparenza sterile, nel
nostro tempo.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Se
nel Medioevo – e anche oltre – il passato rappresentava
l'Autorità Indiscutibile, e perciò tutto quel che tentava di
sottrarsi ai canoni e alle regole sancite dalla tradizione “dei
padri” appariva come irrimediabile errore, l'era moderna,
specialmente a partire dal Secolo dei Lumi, ha vieppiù reso
marginale il passato, fin quasi a “ghettizzarlo”. Si potrebbe
addirittura vedere in questo processo (nel quale vi è un elemento di
reazione a lunghi secoli di “dittatura degli antenati”, che non
concepiva se non con forte sospetto l'idea di <i>innovazione</i>) una
caratteristica decisiva della mentalità moderna.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Oggi,
che l'idea di <i>progresso</i> si è fatta più problematica benché
non abbia assolutamente smesso di influenzare la mentalità corrente
(giacché il progresso è nei consumi quotidiani, si tocca con mano e
addirittura si può portare in tasca: cellulari, smartphone...),
mentre continuiamo a ghettizzare il passato e a processarlo
incessantemente (usiamo il senno di poi e il giudizio anacronistico
in dosi industriali), non siamo più sicuri del futuro: ci rimane
quindi il presente, l'unica certezza tangibile alla quale
aggrapparci. Consumare qui e ora tutti i frutti possibili del
progresso e dello “sviluppo”, secondo il <i>carpe diem</i>
peculiare della nostra forma di vita: ecco il motto odierno.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">(Finora
la preoccupazione per le generazioni future, per l'ambiente, ecc., è
poco più che una bella enunciazione di principio.)</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">In
un quadro del genere, dunque, che spazio possono avere i maestri?
Dirò di più: siamo ancora disposti a credere che esistano dei
maestri?</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Cosa
può dirci una persona, sia pure illustre, che ha però il “difetto”
di essere vissuta in epoche passate?</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">E'
nozione comune che il tempo – il tempo della società, della
storia, dell'economia – si sia fatto “sempre più veloce”: il
mondo di dieci anni fa (la situazione politica, economica, il livello
della tecnologia, ecc.) ci sembra già vecchissimo, con gli occhi di
oggi. Calarsi con il pensiero nel mondo di trenta anni fa, poi,
equivale a fare un tuffo nella preistoria.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Eppure,
ci sono anche significative continuità, che tendiamo generalmente a
trascurare quando affrontiamo il passato. Abbiamo un singolare
“difetto della vista”, che ci fa percepire con discreta nitidezza
i cambiamenti ma ci impedisce di mettere a fuoco altrettanto bene le
persistenze, i fenomeni di lunga durata che legano l'oggi a un
passato in realtà meno “lontano” di quanto siamo portati a
sentirlo.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Per
dirla con un'immagine, il tempo odierno sarà anche molto veloce in
superficie, ma sotto la “crosta” degli eventi, negli strati più
profondi della “terra del reale”, scorre di gran lunga più
lentamente.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Non
tutto è caduco; il passato non è soltanto, e in blocco, un rudere
più o meno rispettabile. </span></span>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Coloro
che oggi già in età scolare sanno districarsi fra tablet e
connessioni, possono maturare la convinzione di non aver nulla da
imparare da “maestri” del passato, giacché le uniche cose
importanti le possono apprendere da sé, qui e ora, manovrando i
congegni della tecnologia e “stando connessi”. Non si preoccupano
di sapere o di comprendere che dietro alle “fantastiche conquiste”
tecnologiche o scientifiche di oggi ci sono secoli di cammino,
montagne di conoscenza (che comprendono anche errori poi accantonati,
utili però a procedere nel verso giusto); e senza quelle montagne,
non sarebbe stato possibile raggiungere la “quota” attuale.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Ciò
vale anche per le conquiste sociali e politiche: i diritti, la
Costituzione, ecc., non sono stati un “dono del Cielo”; se quelle
tappe e quei traguardi sono stati raggiunti, lo si deve alla tenacia,
al coraggio, alla capacità e all'intelligenza di alcuni e al “cuore”
e all'impegno di molti altri.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">[Sia
chiaro che non critico – e men che meno condanno – il bisogno che
ogni generazione ha di evidenziare in maniera anche “smodata” la
propria presenza, per appropriarsi del “territorio”,
reinventandosi ogni volta la realtà e facendo quindi mostra di non
aver intenzione di ereditare nulla del passato e dei “padri”.
Comprendo meno, tuttavia, proprio gli entusiasmi di questi ultimi:
“Questi qui non hanno bisogno di nulla, sono intelligentissimi,
sanno già tutto!”</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Non
credo in sostanza che l'intelligenza aumenti automaticamente (e
neppure che al contrario diminuisca) col passare delle generazioni e
in virtù degli strumenti tecnologici: ma immaginate che intelligenza
e che capacità di adattamento dovevano avere i superstiti delle
popolazioni ancestrali che hanno dovuto ingegnarsi per affrontare e
superare intemperie, nemici naturali e umani, carestie?</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">E
che intelligenza dovevano avere Galilei, Newton, J.S. Bach, e tutti
coloro che hanno fondato una scienza, un'arte, un sistema
innovativo... e senza grande tecnologia, talora persino dovendo
lottare contro l'indigenza o l'incomprensione della società?]</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Se
l'uomo diventa un essere immemore – programmaticamente immemore –
abbraccia la condizione di Sisifo; dovrà sempre ricominciare tutto
dall'inizio, pensando di scoprire per primo ciò che è già apparso
alla conoscenza dell'umanità.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Forse
è riduttivo legare la nozione di “maestro” a un ragionamento
utilitaristico: “òccupati dei maestri, perché imparerai da loro e
farai meno fatica nel tuo cammino”.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">In
effetti non è sufficiente né soddisfacente: non è tutto lì; però
non per caso si è tentati di cominciare da quell'invito, da
quell'esortazione.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Se
parlavo nell'incipit di <i>culto</i> dei maestri, c'era una ragione.
Bisognerebbe riconoscer loro i meriti che hanno avuto, celebrare le
loro capacità, la loro lungimiranza; ma questo, in un tempo stregato
dal fascino del presente, è più che inattuale e <i>démodé</i>: è
realmente trasgressivo (e non parlo della “trasgressione
consumistica” che non sposta una virgola dell'esistente o delle sue
regole) o francamente eretico.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Abbiamo
un debito di riconoscenza nei confronti di coloro che hanno – anche
coi loro pensieri, con le loro riflessioni – fatto fare qualche
passo decisivo in avanti alla conoscenza, al sapere, alla società
del loro tempo. Se quindi le nostre convinzioni politiche, i princìpi
cardine del “patto costituzionale”, il nostro sapere, la scienza
sono quelli che sono, lo dobbiamo principalmente al contributo di
persone che in diversi campi si sono impegnate in modo esemplare,
recando beneficio a tutta la collettività. Riconoscere, dare a
ciascuno ciò che spetta, è il primo atto di correttezza; non
possiamo esimercene, se vogliamo avere occhi aperti e limpidi sulla
realtà.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Non
si tratta di “superuomini” o di “superdonne” da venerare –
quasi fossero esseri “di un altro mondo”, diversi da noi e
irraggiungibili – ma di figure esemplari alle quali ispirarsi. O
pensiamo forse, essendo arrivati sulla luna e su Internet, di non
aver più bisogno di modelli? (Se è questo che pensiamo, però, vuol
dire che neppure noi saremo maestri o modelli, e che tutto ciò che
oggi facciamo, in apparente autonomia e solitudine, andrà perso,
destinato com'è ad essere rinnegato e cancellato da discendenti
ancor più convinti di noi di non aver nulla da imparare dai
“padri”).</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Detto
questo, tuttavia, non bisogna trasformare i maestri in oracoli o in
semidivinità inaccessibili e intoccabili: il loro lascito non
consiste in una presunta infallibilità; i loro meriti si
accompagnano a inevitabili limiti e a possibili errori. Limiti ed
errori dei maestri, come dei “classici”, non vanno camuffati o
nascosti, li si deve ammettere affinché il confronto coi loro
insegnamenti sia leale e proficuo – barare sulla verità o sui dati
di fatto non è infatti un buon modo per rendere giustizia alla loro
opera, anzi rischia di screditarla (ogni falsificazione e ogni
forzatura, tendente a cancellare possibili “macchie”, incoerenze
o cadute di stile, quando – ed è inevitabile – viene alla luce,
tende a mettere in ombra tutto il resto). Non è neppure giusto,
d'altra parte, usare limiti ed errori dei maestri e dei classici per
darsi l'alibi “perfetto” per dimenticare o sminuire l'apporto che
essi hanno dato alla cultura, alla società o al sapere.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><b>Traversie
di un “Principe senza scettro”</b></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Lelio
Basso può essere considerato effettivamente un <i>maestro</i>,
sotto il profilo del pensiero, dell'azione e della coerenza politica.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Non
molti/e oggi sanno chi fosse, quali fossero le sue idee o le sue
battaglie politiche – ormai ci è difficile perfino ricordare i
partiti e i politici degli anni Novanta dello scorso secolo;
figuriamoci un uomo come Lelio Basso, scomparso nel “lontano”
1978.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Non
intendo certo raccontare qui tutta la sua biografia: per fortuna –
nel bene come nel male – nell'immenso archivio del Web le
informazioni sui campi più disparati della realtà e del sapere non
mancano; e, quel che qui ci interessa, sulla vita e l'opera di Lelio
Basso si trovano notizie abbastanza particolareggiate, ad esempio <b><a href="http://www.treccani.it/enciclopedia/lelio-basso/">qui</a></b>
o <b><a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Lelio_Basso">qui</a></b>.
(<b><a href="http://www.leliobasso.it/vita.htm">Qui</a></b>
si rinvia a una pagina curata dal sito della “Fondazione Basso”.)</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Ricordo però a chi legge
che L. Basso, avvocato, pensatore politico, deputato socialista (ma
ostile al centrosinistra e alle alleanze di governo fra “DC
conservatrice” e PSI, e per questo sospeso dal partito nel 1963), è
stato uno dei più illustri “padri” della nostra Costituzione: il
suo apporto è stato determinante in special modo nella stesura degli
articoli 3 e 49 della nostra Carta fondamentale; L. Basso considerava
il primo dei due l'articolo-chiave di tutto l'edificio
costituzionale, la vera “cartina di tornasole” del carattere
democratico dello Stato.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">L'oggetto principale di
questo post sarà tuttavia un libro che L. Basso pubblicò nel 1958,
per spronare il legislatore a dare attuazione con maggiore rapidità
e coerenza alle norme costituzionali e per denunciare i tentativi
compiuti a suo parere dai partiti di governo dell'epoca (in primo
luogo la DC) al fine (nemmeno troppo recondito) di non dare realmente
séguito ai princìpi più avanzati sanciti dalla Costituzione –
tentativi che costituivano, per L. Basso, una vera e propria opera di
“ostruzionismo governativo” di segno conservatore, se non
addirittura reazionario.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Nel
1958, a dieci dall'entrata in vigore della Costituzione, il deputato
socialista, attraverso il libro in questione, <i><b>Il
Principe senza scettro</b></i>,
intendeva chiedersi “A che punto siamo?” e al tempo stesso
ricordare – con un linguaggio polemico che risentiva certo dei toni
della “guerra fredda” allora in atto ma era generato anche dalle
“resistenze conservatrici” dei ceti dirigenti italiani – con
quale spirito e quali finalità la Costituzione italiana era stata
elaborata e varata. Come dichiara il suo stesso autore, <span style="font-family: Georgia, serif;">«[...]
questo libro è impregnato di esperienza personale, esperienza di
resistente e di Costituente, esperienza di cittadino e di avvocato,
esperienza di militante politico di sinistra e di deputato
d'opposizione, esperienza di chi ha contribuito a preparare e a fare
la Costituzione e di chi deve difenderla, si può dire ogni giorno,
contro lo scempio che se ne sta facendo» </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso
1998, p. 101]</u></span><span style="font-family: Georgia, serif;">.</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Come
si può leggere in un recente saggio, una fondamentale costante del
pensiero politico del costituente socialista, che possiamo ritrovare
anche nel testo di cui qui ci occupiamo, è rappresentata dalla sua
«[...] interpretazione del processo storico come l'arena dove si
svolge ogni giorno il conflitto tra due tendenze contraddittorie che
lacerano la società: l'una tesa a mettere in moto spinte sempre più
progressive “sociali, collettive, socialiste”, l'altra intesa a
resistere, a bloccare in senso conservatore lo sviluppo delle spinte
socializzanti» </span><u>[Giorgi
2014, p. 55]</u><span style="font-family: Georgia, serif;">.
Da questa lettura del processo storico e della “dialettica sociale”
deriva un altro elemento caratteristico del pensiero politico di
Basso, ovvero la sua concezione del diritto e delle istituzioni, che
«è positiva, e non appartiene alla vulgata più nota della
sinistra», giacché essi non sono “condannati” ad essere
meccanicamente strumenti al servizio dei ceti dominanti, ma si
collocano nel quadro degli antagonismi che attraversano e
caratterizzano la società, e ne sono a loro volta attraversati, cioè
in definitiva «sono la risultante di uno scontro continuo tra le
opposte forze sociali e politiche, nel quale non è solo la classe
dominante a trovare spazio» </span><u>[Giorgi
2014, p. 55]</u><span style="font-family: Georgia, serif;">,
sicché quest'ultima non è necessariamente la “vincitrice
assoluta” e garantita del confronto. Stando così le cose, il
costituente democratico ha un compito preciso, ovvero quello di
assecondare attivamente le istanze della parte “progressiva”
della società, introducendo nell'ordinamento giuridico «[...]
elementi antagonistici, volti a creare i presupposti di un nuovo
ordine democratico ed egualitario» </span><u>[Giorgi
2014, p. 55]</u><span style="font-family: Georgia, serif;">.</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Il
primo capitolo del volume ha come tema “Lo sviluppo storico della
democrazia”, e in esso l'autore tratteggia brevemente la storia
dell'attrito “dialettico” fra liberalismo e democrazia a partire
dalla Rivoluzione francese, sottolinea l'importanza dell'avvento del
popolo al potere e, passando per Rousseau, indica le insidie che si
nascondono dietro l'idea di “popolo sovrano” e che allontanano la
realtà dalla teoria; ma L. Basso è convinto che una democrazia che
dia concreta sovranità al popolo “reale” sia possibile, si
tratta soprattutto di vigilare costantemente affinché essa si
realizzi. In una democrazia effettiva il cittadino è il vero punto
di riferimento del sistema politico e a lui spetta questo compito
essenziale di vigilanza, soprattutto in merito all'<span style="font-family: Georgia, serif;">«uso
che dei suoi poteri sovrani fanno i suoi mandatari, i quali gliene
dovranno rendere conto alla successiva scadenza elettorale». Ma per
esercitare tale vigilanza, il cittadino non ha a disposizione solo il
voto, bensì anche «il diritto di servirsi di tutti i mezzi legali
(stampa, riunioni, petizione, scioperi, ecc.) [e di] far conoscere la
propria volontà ai suoi mandatari e mettere così in evidenza,
occorrendo, le eventuali fratture fra paese e Parlamento, che sono
sempre fratture pericolose e sulle quali l'ultima decisione spetta in
ogni caso al paese.» </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso
1998, p. 81]</u></span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Se
si verifica dunque una divaricazione fra volontà del Parlamento e
volontà dei cittadini, deve prevalere quest'ultima: Lelio Basso non
sembra aver dubbi in proposito; e la volontà dei cittadini deve
essere messa in grado – attraverso appositi strumenti informativi,
politici, istituzionali, ecc. – di emergere costantemente, e non
</span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>una
tantum</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">
(in pochi casi eccezionali).</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Più in là, Basso ricorda
che non esistono al momento le condizioni per realizzare «il regime
ideale corrispondente ad una perfetta democrazia, ad un assoluto
autogoverno» <u>[Basso 1998, p. 83]</u> perché la volontà popolare
deve essere mediata attraverso le istituzioni rappresentative, che la
trasmettono e la attuano, ma vi è il rischio che in questo processo
esse creino concentrazioni di potere. Secondo l'autore, questo può
avvenire a causa degli antagonismi di classe presenti nell'attuale
società. Egli auspica l'avvento di una società «fondamentalmente
solidale almeno rispetto ai grandi compiti comuni dello Stato»,
nell'àmbito della quale sarebbe «più facile l'incontro dei
consensi e meno probabile il tentativo di gruppi o partiti di
sopraffare gli altri, di abusare del potere.» <u>[Basso 1998, p. 84]</u></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">In una società nella quale
la divisione fra le classi è accentuata e in cui quindi vi sono
interessi contrastanti e inconciliabili, il potere diventa strumento
di dominio e viene prevalentemente «usato per la difesa di interessi
di gruppo» <u>[Basso 1998, p. 84]</u>.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Finché persiste questo tipo
di struttura sociale permanentemente conflittuale, secondo L. Basso
la democrazia deve difendersi da alcuni pericoli che la minacciano
costantemente.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Il primo di essi è
rappresentato dalla dittatura della maggioranza: quest'ultima ha
certo il diritto di governare (è una delle regole fondamentali della
democrazia), ma l'opposizione ha il diritto, «quando si tratti di
un'opposizione che rappresenta una sufficiente porzione del corpo
elettorale, e quindi del popolo, di veder tenuto in considerazione
anche il proprio punto di vista in modo che la decisione finale in
ogni questione affrontata sia quanto più è possibile il frutto di
una sintesi o un compromesso.» <u>[Basso 1998, p. 84]</u></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Il deputato socialista è
ben lontano quindi da tentazioni “decisioniste” e non riconosce
valore all'assillo – oggi impellente – della “governabilità”:
il consenso vasto della base popolare alle decisioni assunte in
Parlamento deve prevalere su ogni altra considerazione; la vera
democrazia è sintesi e compromesso, non imposizione o
prevaricazione. Le decisioni importanti per il Paese devono essere
condivise, non possono essere calate dall'alto da novelli “prìncipi
illuminati” in nome del “bene del popolo”, quest'ultimo
considerato paternalisticamente incapace di capire da sé in cosa
questo bene consista. Al contrario, è al popolo, quello reale e non
quello “rappresentato”, che spetta l'ultima parola circa ciò che
è bene per se stesso.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">L'altro pericolo che L.
Basso pone in evidenza è costituito dal potere crescente dei
burocrati e dei tecnici. Un rischio che, come si comprende, è
collegato a quello precedentemente illustrato.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Dopo aver esaminato i
pericoli, l'autore espone i rimedi che a suo giudizio la democrazia
ha escogitato. Tra questi, oltre ai meccanismi di garanzia ereditati
dallo Stato liberale (costituzionalizzazione delle libertà
fondamentali, indipendenza della magistratura, previsione di un
controllo giurisdizionale di costituzionalità delle leggi, autonomie
locali), L. Basso enumera <span style="font-family: Georgia, serif;">«il cosiddetto
pluralismo, cioè l'esistenza di associazioni e organismi vari a cui
i cittadini possono liberamente appartenere, in modo particolare
sindacati e partiti, che esercitano un potere di fatto nella comunità
pubblica» </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso 1998, p. 89]</u></span><span style="font-family: Georgia, serif;">.
L'importanza della garanzia del “pluralismo organizzato” risiede
nel fatto che esso funge da contraltare rispetto ai poteri
costituiti, accresce la libertà delle persone (consentendo loro di
non essere condannate a rimanere monadi prive di legami coi loro
simili e con la società) e fornisce «spesso un'efficace difesa alle
minoranze» </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso 1998, p.
89]</u></span><span style="font-family: Georgia, serif;">.</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">E
ancora, fra i “rimedi”, L. Basso annovera l'estensione del metodo
democratico alla sfera dell'economia, ossia la «penetrazione […]
di forme di vita democratica anche nella vita delle aziende», che
attenui «il potere autocratico del padrone o del rappresentante
degli interessi padronali» </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso
1998, p. 89]</u></span><span style="font-family: Georgia, serif;">. E' evidente che
l'autore scorge chiaramente – in sintonia del resto con altri
pensatori di ispirazione democratica – l'attrito fra
l'organizzazione verticistica della grande economia capitalista
(incarnata dai suoi fondamentali “pilastri”, le grandi industrie)
e lo spirito democratico che prevede il potere del </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>demos
</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">(il popolo). Data l'importanza
che il lavoro ha, secondo L. Basso, come sfera che garantisce la
dignità e l'emancipazione delle persone, è imprescindibile la
necessità di includerlo a pieno titolo nel generale processo di
democratizzazione della società (giacché, come il deputato
socialista ritiene, se non si rimettono seriamente in discussione i
rapporti di potere improntati a un modello gerarchico e dunque
non-democratico all'interno della società e dell'economia, la
democrazia </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>politica</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">
poggia su basi molto fragili).</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Costituiscono
un rimedio importante, rispetto ai pericoli che minacciano il “potere
del demos”, anche gli istituti di democrazia diretta; L. Basso
sottolinea tuttavia in un inciso che questi vanno utilizzati «nei
limiti necessariamente ridotti» in cui funzionano </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso
1998, p. 90]</u></span><span style="font-family: Georgia, serif;">. Vi è qui ancora
un residuo di sospetto nei confronti del pieno utilizzo di tali
strumenti, che del resto era condiviso da altri costituenti e
traspare dal testo della Costituzione. Come rileva Rodotà, in
effetti Lelio Basso punta a una maturazione dei cittadini che porti a
un graduale e inarrestabile estendersi della loro partecipazione
politica, il cui esito non deve tuttavia essere </span>«un perpetuo
“potere costituente”, affidato a un generico spontaneismo
collettivo. Il potere dei cittadini s'incardina in istituti ben
definiti, il partito politico e il sistema elettorale proporzionale,
che assicurano le mediazioni necessarie e l'egual peso al voto dei
cittadini. Nulla è più lontano dal pensiero di Basso di una deriva
verso una generica e incontrollata democrazia diretta.» <u>[Rodotà
1998, p. 11]</u></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Non vi può essere insomma
una partecipazione democratica che non sia inscritta in una <i>forma</i>
istituzionale che comporti precise garanzie e regolamentazioni.
L'assemblearismo magmatico, dai poteri virtualmente sconfinati (a
causa della sua funzione “perpetuamente costituente”) ma privo di
regole e di responsabilità definite, è un pericolo piuttosto che
una risorsa, dal punto di vista della democrazia.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Ciò assodato – e
condiviso in linea di principio – non è tuttavia fuori luogo
sostenere, considerando la questione con gli occhi (e la
consapevolezza politica) di oggi, che gli istituti di democrazia
diretta previsti dalla Costituzione andrebbero ripensati, non con lo
scopo di ridurne la portata, ma anzi per accrescerne il numero e il
peso.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Va
però evidenziato che – per tornare al discorso di Lelio Basso –
il rimedio fondamentale da lui indicato per contrastare i pericoli
che minacciano la democrazia «è una coscienza democratica diffusa,
pronta, vigile, sensibile. Questa coscienza democratica non si può
improvvisare e può essere soltanto il frutto di una lunga e maturata
esperienza storica» </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso
1998, p. 90]</u></span><span style="font-family: Georgia, serif;">. In altre parole,
l'autore mette in guardia contro il rischio di considerare un
ordinamento democratico solido e garantito per il solo fatto che
possiede una Costituzione democratica e istituzioni rappresentative:
senza una salda coscienza diffusa del valore e dell'importanza dei
princìpi fondanti della democrazia, quest'ultima rimane fragile,
nonostante tutti i presìdi e i baluardi politico-giuridici dei quali
può dotarsi.</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Non
può esistere o durare una democrazia senza un </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>demos</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">
cosciente di sé e della propria dignità (prima ancora che dei
propri diritti).</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Secondo
Basso, se questa coscienza viene a mancare, possono rimanere salve le
“apparenze” della democrazia, ma la sostanza perisce; gli
istituti parlamentari in questo caso continuano ad esistere, ma si
riducono ad un meccanismo esteriore, ad un rituale che ha il solo
scopo di </span>«dare l'illusione di un'effettiva sovranità
popolare» <span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso 1998, p. 90]</u></span>.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">In effetti, secondo il
deputato socialista, i rimedi da lui indicati sulla base della storia
e della sua personale esperienza, non sono del tutto adeguati a
salvaguardare le prerogative della democrazia, la quale «non ha
creato finora gli organi appropriati alle proprie esigenze, ma si è
sforzata attraverso un compromesso continuo di adattare i vecchi
istituti, in modo particolare quelli parlamentari, che rispondono
però solo molto debolmente allo scopo.» <span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso
1998, p. 90]</u></span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Si nota in passi come questo
l'insoddisfazione del teorico di formazione marxista rispetto alle
istituzioni e agli strumenti politici offerti dal liberalismo,
compreso il parlamento. La democrazia, anche se eredita le
istituzioni rappresentative create dal liberalismo, e le fa proprie,
non può accontentarsi di quest'opera di benefica “appropriazione”.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Si è già visto come L.
Basso auspichi il superamento della società “divisa in classi”,
e quindi delle ingiustizie socio-economiche generate dal capitalismo:
egli, come del resto molti marxisti, sembra ritenere che il
superamento del capitalismo e delle differenze di classe comporti
<i>ipso facto</i> anche la cessazione dei conflitti sociali ed
economici, per dar luogo a una società basata sulla cooperazione e
sulla solidarietà. E' questo probabilmente uno dei punti deboli
della sua impostazione: anche ammesso che sia possibile superare <i>del
tutto e definitivamente</i> gli antagonismi di classe, in una qualche
epoca più o meno prossima, non è detto né garantito che ciò
comporti <i>anche</i> la fine di <i>ogni</i> possibile conflitto
all'interno della società. Sarà mai possibile eliminare del tutto
l'egoismo dalla convivenza umana? E sarebbe ciò davvero auspicabile?
Non è forse più opportuno comprendere a quali condizioni e in che
modo sia possibile reindirizzare gli egoismi verso scopi cooperativi
e fini sociali? <a href="http://almancoprov.blogspot.com/2015/05/traversie-di-un-principe-senza-scettro.html#nota2" name="hook2"><u><b>[*]</b></u></a></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Nonostante queste riserve
tuttavia il nòcciolo della concezione della democrazia espressa da
Lelio Basso non perde affatto di interesse e di valore. Pur se
poniamo in dubbio la possibilità di eliminare definitivamente i
conflitti e i contrasti dall'arena sociale e politica in una qualche
epoca futura, resta il fatto che la democrazia – in questi tempi lo
comprendiamo – non coincide con le istituzioni liberali
rappresentative, anche se ne ha bisogno per esistere. L'esigenza del
“cittadino comune” di partecipare ai processi decisionali e di
chiedere conto costantemente (non solo al momento del voto) ai
rappresentanti politici del loro operato, di domandare
incessantemente il <i>perché</i> delle varie scelte che essi
operano, esigenza che L. Basso intuiva e incoraggiava, si fa oggi
insopprimibile e chiede risposte sempre più adeguate all'enfasi
della richiesta.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Lelio Basso denunciava
d'altra parte un appannamento del ruolo classico del Parlamento,
tanto da indurlo a ritenere che la vecchia concezione liberale della
“divisione dei poteri” e dei <i>checks and balances</i> fosse
messa in crisi dalla stessa evoluzione-involuzione delle istituzioni.
Pur convinto che il ruolo “classico” del Parlamento non fosse
sufficiente a garantire l'effettività del potere del <i>demos</i>
(ovvero il principio della sovranità popolare “preso sul serio”)
che la democrazia pretende, Basso guardava con preoccupazione alla
diminuzione dei poteri reali dell'organo rappresentativo per
eccellenza, che egli registrava: la fusione tra Parlamento e Governo
emergeva dalla prassi politica travolgendo qualsiasi teoria, poiché
la maggioranza politica finiva per dominare tanto l'esecutivo che il
legislativo, diventando la vera arbitra delle istituzioni e il
soggetto chiave dei meccanismi decisionali democratici, secondo un
principio di cooperazione e non di separazione dei poteri. In tal
modo il Parlamento non poteva più esercitare la funzione di
controllo sull'operato del Governo, se non in maniera molto debole, e
neppure continuare ad essere il titolare effettivo della potestà
legislativa. Questo processo, riconosce L. Basso, è stato prodotto
proprio dal percorso che ha condotto gli ordinamenti liberali a
“democratizzarsi”, «attraverso la costituzione di grandi partiti
che guidano l'opinione pubblica e rappresentano i veri operatori
politici», sicché «fra Governo e maggioranza parlamentare si crea
un rapporto di totale solidarietà, ma in ultima analisi la maggiore
autorità spetta al Governo […] mentre il gruppo o i gruppi
parlamentari, che la maggioranza costituiscono, sono tenuti a un
vincolo di disciplina.» <span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Basso 1998,
p. 75]</u></span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Tuttavia
già Walter Bagehot, analizzando il sistema politico inglese alla
fine del XIX secolo, sfatava il “mito” della separazione dei
poteri. Il “modello Westminster” che ha influenzato molti
ordinamenti democratici europei non è stato – proprio nell'epoca
in cui ha cominciato ad essere un concreto punto di riferimento per
altre esperienze liberali continentali – un modello perfettamente
rispondente alle teorie di Montesquieu. Probabilmente – è ciò che
sottilmente suggerisce la lettura di Bagehot – molti pensatori
politici o giuristi “anglofili” hanno frainteso la vera natura
della </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>English
Constitution</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">,
al punto che si può tranquillamente affermare che la fusione fra
legislativo ed esecutivo che denunciava Lelio Basso (e che altri
continuano a maggior ragione a denunciare oggi) è stata da sempre la
</span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>regola</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">,
e non l'eccezione o la deviazione, della democrazia parlamentare di
scuola britannica. Vi è inoltre da dire che Bagehot, nella sua
puntuale analisi, non si limita a registrare i dati di fatto, ma
sottolinea come proprio nella “fusione” fra Governo e Parlamento
risieda il </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>segreto
efficiente</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">
dell'ordinamento britannico </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Bagehot
1995, p. 52]</u></span><span style="font-family: Georgia, serif;">.
In altre parole, il “modello Westminster” funziona proprio perché
non rispetta la separazione fra legislativo ed esecutivo teorizzata
dal liberalismo “classico”. Non si tratta di uno “sviamento”
o di una “deviazione inconsapevole” dalla presunta “via
maestra”, ma di una scelta deliberata che costituisce il vero
“segreto del successo” della forma di governo parlamentare
elaborata dalla Gran Bretagna e diffusasi poi in altri Paesi
democratici, europei e non.</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Ciò però è ben lungi
dall'indebolire la tesi di Lelio Basso circa la necessità che la
democrazia si doti di meccanismi istituzionali ulteriori rispetto a
quelli parlamentari classici, tesi che anzi grazie a queste
considerazioni si rafforza. </span></span>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">_____</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: small;"><a href="http://almancoprov.blogspot.com/2015/05/traversie-di-un-principe-senza-scettro.html#hook2" name="nota2"><u><b>[*]</b></u></a> Questo
tema è affrontato in maniera acuta e stimolante da Piero Bernocchi,
nei saggi che ha recentemente dedicato alla teoria del <i>benicomunismo</i>,
da lui formulata. Criticando ad un tempo quelli che considera
dogmatismi invero “poco scientifici” del marxismo, come l'idea
del “proletariato unico e salvifico” (che non tiene conto della
complessità delle stratificazioni sociali) contrapposto a
un'altrettanto “introvabile” borghesia “compatta nella colpa”,
e le ingenuità che s'insinuano tra le pieghe delle recenti teorie
della democrazia partecipativa, egli sottolinea come, per giungere a
un'autentica liberazione dal capitalismo che sia anche concreta
liberazione politica per tutti, si debba passare attraverso una nuova
teoria dei beni comuni e attraverso una riflessione matura – scevra
da messianismi, paternalismi e nostalgie – sugli ostacoli che
concretamente bisogna superare per realizzare una democrazia
partecipativa stabile, duratura ed effettivamente operante. Per
superarli occorre però innanzitutto – egli sostiene – non
“barare” con la realtà: non bisogna immaginare una “umanità
totalmente altruista” che non esiste né potrà mai esistere.
Infatti un certo <i>quantum</i> di egoismo è necessario alla
sopravvivenza non solo dei singoli, ma anche delle comunità e della
specie (<span style="font-family: Georgia, serif;">«Donne ed uomini devono
necessariamente formare e curare il proprio Ego, tutelare la propria
integrità fisica e mentale, vivendo non solo la parte solidale con
l'Altro prossimo a sé ma anche quella conflittuale: si tratta di
facce coesistenti della stessa realtà, complessa ma non aggirabile.
Un Ego che viva di solo conflitto sarebbe altrettanto squilibrato e
destinato alla sofferenza e all'autolesionismo di uno assolutamente
impreparato ai conflitti e capace di vivere solo in un'atmosfera di
totale protezione, tutela e solidarietà benevola» </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Bernocchi
2012, p. 255]</u></span><span style="font-family: Georgia, serif;">);</span> bisogna
fare in modo che, attraverso pratiche sociali e politiche “virtuose”
emerga piuttosto, e sia valorizzato (non attraverso dichiarazioni
ideologiche e programmatiche, ma approntando condizioni che <span style="font-family: Georgia, serif;">«devono
essere liberamente verificate e scelte da ognuno/a senza imposizioni»
e che «non sono comunque mai date una volta per tutte» </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Bernocchi
2012, p. 256]</u></span><span style="font-family: Georgia, serif;">)</span>, quello
che Bernocchi definisce, con un apparente ossimoro, <i>altruismo
egoistico</i>: «Ciò che una società solidale ed egualitaria può e
deve ripromettersi è favorire l'equilibrio tra la difesa individuale
e la partecipazione all'agire collettivo. Ma questo non richiede la
cancellazione (peraltro impossibile) dell'egoismo, quanto piuttosto
la promozione di tutte le forme possibili di <i>altruismo egoistico</i>
[…], attitudine che non esclude affatto la cura dell'Ego, come
della propria integrità fisica e mentale. Un'adeguata organizzazione
sociale e una reale democrazia devono invogliare l'individuo a
incontrarsi con gli altri umani e a cooperare in modo da ricavarne
anche vantaggi personali, rendendo insomma il cosiddetto <i>altruismo</i>,
e cioè la disponibilità a cooperare con (e ad aiutare) l'Altro,
vantaggioso e proficuo anche per l'Io.» <u>[Bernocchi 2015, p. 217]</u></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<br />
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><b><a href="http://almancoprov.blogspot.com/2015/05/traversie-di-un-principe-senza-scettro_20.html">[Vai alla seconda parte]</a></b></span></span></div>
ivaneuscarhttp://www.blogger.com/profile/13381655735594702472noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-215434595625178180.post-64577105880166890862015-04-01T00:58:00.000+02:002015-05-20T23:51:39.576+02:00Euro ed Europa: quando una speranza si affievolisce e nasce un'accigliata delusione<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: small;"><b>Il
dilemma del momento</b></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Non
sembrano esserci dubbi: la disputa del momento è sull'euro.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">L'idea
che “non avessimo alternative” migliori dell'ingresso nella
moneta unica non mi ha mai convinto: a mio parere ha rappresentato
fin dall'inizio la parte più debole del ragionamento dei sostenitori
dell'euro. Molti di loro infatti – si ricorderà – tra la fine
degli anni Novanta e i primi anni Duemila affermavano che al di fuori
dell'euro “sarebbe stata la catastrofe” per la lira e per
l'Italia. Non c'è, né mai ci sarà, la prova della fondatezza della
loro asserzione.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Soltanto
con un'operazione fantascientifica (nel senso letterale del termine)
avremmo potuto duplicare la storia italiana, magari creando un
“universo parallelo” e facendo sì che esistessero due Italie
che, nello stesso periodo e alle stesse condizioni (sociali,
economiche, politiche, ecc.), arrivate al bivio, prendessero ciascuna
una strada diversa. Due Italie uguali in tutto salvo che in un
dettaglio: una avrebbe aderito all'euro e l'altra no. Soltanto grazie
a questo esperimento fantascientifico di “duplicazione” avremmo
potuto appurare chi avesse ragione, confrontando giorno dopo giorno
lo “stato di salute” delle “due Italie”; in mancanza di
questa possibilità, i sostenitori dell'euro non possono fregiarsi
del titolo di “salvatori della patria”. Si appuntano da soli la
medaglia sul petto, si sa, ma questo, anche dal punto di vista dello
stile, non è serio...</span><br />
<span style="font-family: Georgia, serif;"></span><br />
<a name='more'></a></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">E'
anche vero, però, che neppure i sostenitori a oltranza della lira
possono dire “senza ombra di ragionevole dubbio” cosa sarebbe
successo se non avessimo aderito alla moneta unica europea, per le
stesse ragioni di cui sopra.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">In
casi come questo, è difficile, anzi impossibile, disporre di una
controprova decisiva. Dobbiamo regolarci “a fiducia”... o sulla
base delle impressioni: “oggi sto peggio di ieri; sicuramente con
la lira mi sarebbe andata meglio” (sicuramente? Forse, chissà...).</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">In
ogni caso, ripeto, non si può sostenere se non in maniera del tutto
arbitraria che “non ci fossero alternative”: la verità è che
abbiamo fatto una scelta, una tra quelle possibili, e l'abbiamo fatta
in condizioni che non sono state determinate dal “caso” o dalla
“natura delle cose”, ma dalla politica (ad es., il meccanismo di
conversione fra lira ed euro); quella scelta, come tutte le scelte,
era soggetta ad errori, abbagli, ecc., dunque non può ritenersi al
riparo da critiche, revisioni, ecc.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Detto
con maggiore chiarezza, abbiamo <i>scommesso</i> sull'euro, fidandoci
di alcuni modelli e di alcune previsioni, ma non disponendo di
elementi sicuri di giudizio (non disponiamo in effetti della “palla
di vetro”... o qualcuno sostiene il contrario?); e le scommesse,
com'è noto a chiunque, si possono anche perdere.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Qualcuno
può far notare, in proposito: “Ma molte scelte che prendiamo,
molte innovazioni sulle quali investiamo, molte riforme che
realizziamo sono in fondo scommesse; certo, prima di imbarcarci in
una nuova impresa, facciamo calcoli, previsioni, non ci muoviamo alla
cieca, ma se dovessimo evitare in modo assoluto il rischio, l'alea,
dovremmo rimanere immobili, come e dove ci troviamo.”</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Questo
è senz'altro vero; però un conto è <i>sapere</i> in partenza che
stiamo scommettendo (sulla base di alcuni calcoli e previsioni) su un
percorso dall'esito incerto o comunque non del tutto sicuro; un altro
conto è <i>credere</i> – sulla base di enunciati retorici e
informazioni incomplete o fuorvianti – di essere davanti a una
scelta obbligata, il cui esito è scontato e positivo, e scoprire
soltanto a cose fatte che si trattava di una scommessa.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Il
dibattito politico (e qui la responsabilità è, com'è ovvio,
principalmente di politici e <i>opinion makers</i> “influenti”)
avrebbe dovuto a suo tempo sottolineare <i>pro</i> e <i>contro</i> (e
non soltanto in maniera entusiastica e lirica i “pro”) della
scelta che ci trovavamo ad affrontare (l'abbandono della lira e
l'ingresso nell'euro), mettendo in luce il carattere <i>dilemmatico</i>
della decisione. Lo so, così facendo l'opinione pubblica si sarebbe
potuta “spaventare” e la “festa” dell'adesione all'euro
avrebbe corso il rischio di non poter essere celebrata, con gran disappunto di
coloro che allora suonavano la grancassa a tutto spiano.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">In
questi casi si comprende come le nostre classi dirigenti siano
convinte non solo che il popolo “non sa decidere” (il che <i>a
volte</i> può anche essere
confermato dai fatti), ma soprattutto – cosa a mio parere più
grave – che non bisogna dargli gli strumenti per “conoscere e
deliberare”. Non bisogna insomma, a detta di costoro, fornire al
popolo tutti i dati e gli elementi di un problema; non bisogna
presentarglielo come una questione <i>aperta</i>,
rispetto alla quale sono ammessi contributi, osservazioni e
riflessioni da parte di chiunque, bensì come un <i>dilemma
già risolto</i> (dagli “esperti”
e “sapienti” di fiducia dell'élite dirigente), ovvero come un
“non-problema”, sul quale è inutile che la “gente comune”
affatichi le meningi, perché c'è chi ci ha già pensato ed è
arrivato alla giusta conclusione. Dibattito chiuso, dunque; anzi, mai
aperto...</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">[E,
se ritorniamo un momento sulla questione del popolo che “non sa
decidere”, possiamo renderci conto che – se non vengono fornite
tutte le informazioni necessarie per decidere, se non si dà modo
all'opinione pubblica di aprire un dibattito serio e vasto su temi
importanti come questo – è quasi scontato che poi la cosiddetta
“gente comune” non possa decidere bene...]</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Inoltre,
sarebbe buona norma evitare espressioni generiche come “l'euro”
(o qualsiasi altra cosa) “ha fatto bene <i>all'Italia</i>”,
oppure (il che è equivalente) “<i>l'Italia</i> (o <i>il Paese</i>)
ci ha guadagnato”.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Bisognerebbe
infatti essere più accurati e precisi, ovvero meno evasivi, nel
fornire dati e informazioni: <i>quali settori (produttivi e sociali)
del Paese ci hanno guadagnato e quali ci hanno rimesso?</i> Questa è
la domanda più appropriata.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Infatti
è ben difficile che da una riforma o da un'innovazione economica
come la sostituzione della moneta nazionale con l'euro, abbiano
tratto tutti indistintamente e soltanto benefici.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">E
i guadagni degli uni hanno compensato le perdite degli altri? Se sì,
in che modo?</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">E'
stato un bene recare (eventualmente) svantaggi a determinate
categorie sociali o produttive? Se sì, per quale ragione? </span>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Bisognerebbe
dare risposta a questi interrogativi con un'analisi puntuale, seria,
non approssimativa e non reticente. Farei attenzione soprattutto
all'ultima domanda, dato che non è mai una responsabilità da poco
quella di recare nocumento a intere categorie di persone, anche se
talora si ritiene di farlo in nome di “superiori interessi” e
“delle magnifiche sorti e progressive” eccetera. (Dietro le
cifre, le statistiche, di aziende che chiudono, o di disoccupati che
aumentano, ci sono infatti innanzitutto esseri umani: sarà banale
dirlo, ma è utile ad ogni modo ricordarlo in certe circostanze...)</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Non
ci sono cambiamenti, riforme e rivoluzioni che portano solo vantaggi
e non danneggiano nessuno: posto che ci è ormai difficile,
smaliziati come siamo, dar credito a certe “meraviglie” simili
alla “chimera” del moto perpetuo, non è indifferente capire se i
vantaggi sono andati prevalentemente a settori già dominanti della
società e dell'economia (leggasi: la classica riforma imposta
dall'alto per salvaguardare determinati interessi elitari) o se
invece si sono distribuiti, per così dire, in maniera <i>equa</i> (è
questa la parola chiave: non basta una distribuzione qualsiasi, un
semplice “premio di consolazione” per gli sconfitti), sia pure in
un lungo lasso di tempo, nella popolazione e specialmente nelle
classi sociali più lontane dalle “cabine di regìa” del sistema.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Fra
i sostenitori dell'uscita dall'euro (alla quale alcuni hanno già trovato un nome <i>pop</i>, </span><span style="font-family: Georgia, serif;">“</span><span style="font-family: Georgia, serif;">euroexit</span><span style="font-family: Georgia, serif;">”</span><span style="font-family: Georgia, serif;">),
vi sono teorici ed economisti che elaborano analisi serie,
interessanti, che andrebbero prese in considerazione e non liquidate
con aria di sufficienza e scrollatine di spalle da parte di
chicchessia.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Mi
permetto però di distinguere i teorici ed accademici che riflettono
con scrupolo scientifico sulle opportunità e sulle ricadute positive
offerte dall'ipotesi di uscita dall'euro, nonché sulle conseguenze
che nel breve, medio e lungo periodo si determinerebbero
nell'economia nazionale, e in genere coloro che almeno si informano
con attenzione, da coloro che “a pelle” (in strada, sui social
network, sulla stampa, ma anche nei partiti) pensano che sia meglio
uscire dall'euro, senza tuttavia <span style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial;">sottrarsi
alla tentazione ben poco razionale e ragionevole di attribuire a
questo evento auspicato una funzione genericamente salvifica e
psicologicamente “liberatoria”</span>.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">I
sostenitori avvezzi più alla tifoseria o alla fede nei “miracoli
terreni” che all'analisi attenta, infatti, non di rado si
avventurano in ragionamenti e discorsi dai quali si evince che
attribuiscono all'uscita dall'euro la capacità di dar vita a una
specie di “età dell'oro”.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Scambiando
qualche parola con alcuni di loro, ho percepito proprio una sorta
di fede incrollabile non in una semplice ripresa dell'Italia, bensì
in un ritorno all'Italia degli anni Ottanta o anche dei primi anni
Sessanta (il favoloso “boom”), e forse anche di più: ho sentito
parlare di piena occupazione, di ricostruzione del tessuto
industriale, di aumento demografico... e tutto questo solo in virtù
del ritorno alla lira. [Per certi versi, sembra riproporsi il gioco
<b><a href="http://almancoprov.blogspot.com/2013/03/proviamo-un-nuovo-gioco-anche-tu.html">Anche tu economista</a></b>: mai
le teorie economiche sono state così <i>pop</i>...]</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Ho
l'impressione insomma che qualcuno veda nella “riconversione”
alla lira un atto dai contorni favolosi, che agirebbe come una vera e
propria <i>macchina del tempo</i>, in grado di riportarci indietro
negli anni, ripristinando (come minimo!) <i>esattamente</i> le stesse
condizioni economiche e sociali dei periodi che hanno visto l'Italia
crescere, migliorare i livelli di “benessere diffuso”, ecc.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Forse
non conviene spingere i sogni fino a questo punto, a meno che non
vogliamo ricadere ogni volta nello stesso errore...</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Lo
so, non è vietato sognare, può fare persino bene. Ma da svegli è
sensato credere sul serio alla macchina del tempo?</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Ad
ogni modo non concentriamoci sugli eccessi dell'illusione e tentiamo
di approfondire il ragionamento.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: small;"><b>Una
questione politica che viene da lontano</b></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Non
molti anni fa – non molti, sì, anche se sembra passato un secolo –
ovvero all'incirca nel periodo in cui stavamo entrando nell'“universo
di Maastricht”, e ben prima dell'avvento dell'euro [c'era tuttavia
lo <b><a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Sistema_monetario_europeo">SME</a></b>... e chi lo ricorda più? eppure è stato per anni,
insieme al suo immediato predecessore, il <b><a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Serpente_monetario">serpente monetario</a></b>,
la “bestia nera” della politica italiana], la <i>grande paura</i>
dell'economia italiana era rappresentata dai “Cinesi”: ricordo
che all'epoca molti piccoli imprenditori ed esercenti si lamentavano
della concorrenza distruttiva degli Asiatici e invocavano interventi
del governo che non sono mai arrivati (“dovete abituarvi alla
libera concorrenza!” era la parola d'ordine che veniva </span><span style="font-family: Georgia, serif;">“dall'alto”</span><span style="font-family: Georgia, serif;">). I “competenti”
allora ci spiegavano che non c'era da aver paura “nel lungo
periodo”, perché il nostro </span><i style="font-family: Georgia, serif;">know how</i><span style="font-family: Georgia, serif;">
e soprattutto la nostra </span><i style="font-family: Georgia, serif;">creatività</i><span style="font-family: Georgia, serif;">
non avevano paragoni e sulla </span><i style="font-family: Georgia, serif;">lunga distanza</i><span style="font-family: Georgia, serif;">
avremmo vinto noi con la qualità dei prodotti e dei servizi.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Nel
frattempo in realtà c'è chi ha chiuso i battenti; in alcune zone
d'Italia già allora diverse attività sono state smantellate. La
<i>lunga distanza</i> si è
allungata sempre più... e oggi certi “competenti” fanno finta di
non ricordare quegli accenti trionfalistici.</span></div>
<br />
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Una
crisi già allora c'è stata, per alcuni (non pochissimi, però); non
ha fatto notizia, perché non si è estesa a tutti i settori né a
tutte le aree geografiche. (Se gli alberi cadono in zone troppo lontane
dai centri che contano, non fanno notizia, no? Eppure sono alberi caduti <i>esattamente</i> come quelli che vengono registrati dalle statistiche, perché magari crollano al suolo nel bel mezzo del traffico cittadino...)</span><br />
<span style="font-family: Georgia, serif;"><br /></span>
<br />
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Adesso
però i “Cinesi” sembrano “archiviati”, eppure sono ancora
là. C'erano prima dell'euro; se l'euro andrà via, andranno via
anche loro?</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Questa
è una battuta ovviamente: quel che voglio dire è che l'Italia del
1992-1995 non era già più quella degli anni Ottanta, e men che meno
quella degli anni Sessanta: d'altra parte, chi non ricorda la
“manovrona” del I governo Amato, 1992 (con prelievo forzoso sui
conti correnti, introduzione dell'ISI poi divenuta ICI, ecc.), che
costò grandi amarezze ai contribuenti e alle famiglie italiane? Era
già un segno di crisi profonda dell'<i>Italian way of life</i>,
e soprattutto dei nostri “timonieri” politici e finanziari, che
sembravano navigare a vista... (Basti ricordare, sempre con
riferimento ad Amato e a quell'<i>annus horribilis</i>,
il tentativo da lui fatto di <b><a href="http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1993/09/12/la-svalutazione-ci-ha-fatto-bene.html">difendere la lira</a></b>, rivelatosi
controproducente e rimpiazzato poco dopo quindi da una politica di
svalutazione, di segno nettamente opposto, peraltro non annunciata al
Paese nelle dovute forme: della serie “non so dove sto andando, ma
spero che mi vada bene”...).</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Il
sistema economico stava già mutando rapidamente a livello mondiale,
e c'era chi a metà degli anni Novanta preconizzava la <b><a href="http://books.google.it/books/about/La_fine_dello_Stato_nazione.html?id=llxzAAAACAAJ&redir_esc=y">“fine dello Stato-nazione”</a></b>,
che sarebbe stato sostituito – a detta di certi guru (come Kenichi
Ohmae) – da un “mix virtuoso” di governo locale e governo
globale, che avrebbe liberato e messo in risalto le energie e le
virtù del mercato, a tutto vantaggio del benessere generale.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Era
un grande affresco, una “narrazione” direbbe qualcuno, che mirava
a presentare nella maniera più accattivante possibile il progetto di
grande liberalizzazione dei mercati finanziari che in quegli anni già
si stava avviando. Come possiamo ora vedere, il declassamento degli
Stati-nazione medi e piccoli da protagonisti a caratteristi di lusso
della scena politica – medi e piccoli, sì, giacché la potenza dei
grandi è tuttora intatta – ha coinciso con la riduzione del
Welfare, ma non ci ha regalato tutte quelle gioie che i guru di cui
sopra ci promettevano: niente Paese dei Balocchi, ahimè...</span></div>
<br />
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">(Ancora
una volta, vale l'avvertenza di poc'anzi: quando si propagandano
cambiamenti “favolosi”, sarebbe buona norma anche specificare chi
se ne avvantaggerà di più, chi di meno e chi ci rimetterà... anche
a costo di rendere la presunta “buona novella” molto meno
appetibile per i lettori.)</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">La
“questione dell'euro” non va impostata secondo parametri
economici; è infatti schiettamente <i>politica</i>. Va quindi
ribaltato il discorso circa la “convenienza” o “non
convenienza” dell'andarsene o del restare. Per meglio dire, non possiamo considerare l'autonomia e la libertà di decidere le politiche migliori per il nostro territorio come questioni marginali, che non toccano la <i>convenienza </i>intesa come<i> </i>parametro decisivo in ordine alla valutazione complessiva dell'ipotizzata defezione.</span><br />
<span style="font-family: Georgia, serif;">Nell'assetto attuale
dell'Unione Europea, la moneta unica è uno degli elementi che fanno
sì che gli Stati – determinati Stati, per la precisione – siano
“commissariati istituzionalmente” (uno degli invisibili ossimori
della costruzione europea): essi non hanno più una loro politica
economica, giacché devono costantemente chiedere il permesso ad
altri (il “visto”) per poterla attuare.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">D'altra
parte, non vi è più una vera “legge finanziaria” intesa come
massimo atto di progettazione della politica economica nazionale,
rimpiazzata com'è da una “legge di stabilità” che non è nulla
senza il <i>placet</i> delle
autorità europee. L'introduzione del cosiddetto <b><a href="http://www.dt.tesoro.it/it/analisi_programmazione_economico_finanziaria/documenti_programmatici/sezione3/semestre_europeo.html">Semestre europeo di coordinamento delle politiche economiche e di bilancio</a></b>
ha completato un'opera in più fasi, che ha avuto e ha come obiettivo
quello di sottoporre gli Stati che hanno sottoscritto i vari patti
legati all'unione monetaria (<i>last, but </i><i><b>also</b></i><i>
least</i> il <b><a href="http://www.parlamento.it/application/xmanager/projects/parlamento/file/Fiscal%20compact_IT.pdf">Patto di bilancio</a></b>, il
famigerato <i>“Fiscal Compact”</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">, conosciuto anche come <i>Trattato sulla stabilità</i>, che è stato preceduto dal non meno famigerato </span><b style="font-family: Georgia, serif;"><a href="http://www.rgs.mef.gov.it/VERSIONE-I/Attivit--i/Contabilit_e_finanza_pubblica/Archivio-d/Programma-/cosa-patto-di-stabilita.html">Patto di stabilità</a></b><span style="font-family: Georgia, serif;">),
a controlli sempre più stretti circa le decisioni di politica
economica e di bilancio [basti pensare ai “pilastri” su cui
poggia il suddetto Semestre, ovvero il </span><b style="font-family: Georgia, serif;"><a href="http://www.dt.tesoro.it/it/analisi_programmazione_economico_finanziaria/documenti_programmatici/programma_stabilita.html">Programma di Stabilità</a></b><span style="font-family: Georgia, serif;"> e il
</span><b style="font-family: Georgia, serif;"><a href="http://www.politicheeuropee.it/attivita/17522/programma-nazionale-di-riforma">Programma Nazionale di Riforma</a></b><span style="font-family: Georgia, serif;">, vagliati
minuziosamente in sede europea (fateci caso: ma quante volte ricorre il termine <i>stabilità</i> nella normativa e nel lessico politico europei di questi ultimi anni? E quanti </span><span style="font-family: Georgia, serif;">“rospi” da ingoiare ci vengono elargiti in suo nome? Sembra ormai davvero una parola-<i>passepartout</i>, da utilizzare quando i policy makers realmente influenti del nostro continente, o le loro </span><span style="font-family: Georgia, serif;">“task force” tecniche, ritengono</span><span style="font-family: Georgia, serif;"> urgente </span><span style="font-family: Georgia, serif;">“responsabilizzare” l'opinione pubblica affinché, in nome di un sì nobile principio,</span><span style="font-family: Georgia, serif;"> accetti di sacrificare ancora un po' quel che resta dell'autonomia dei singoli Paesi...</span><span style="font-family: Georgia, serif;">)].</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Non
è certo un caso se le procedure connesse all'approvazione di questi
documenti comportano un aumento dei poteri dei governi e dei premier,
a scapito dei Parlamenti. Il modello decisionale ideale dell'Unione
Europea è il “controllo permanente” da parte di un <b><a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Panopticon">Panopticon</a></b>
minuziosamente disegnato in forma burocratica, che esige continue
pianificazioni, imperniate essenzialmente su impegni “a riformare”
che gli Stati devono incessantemente sfornare. I governi nazionali
assumono tali impegni e ne sono direttamente responsabili, sicché il
ruolo dei Parlamenti nazionali si riduce a quello di classi di
scolaretti continuamente minacciate di sanzioni disciplinari se “non
ottemperano”. I parlamentari sono messi fra il “martello” del
Panopticon europeo e l'“incudine” del governo nazionale, e non
possono far altro che <i>ottemperare</i>, <i>ottemperare</i> fino
allo sfinimento... Se si sottraggono a questo che è diventato il
loro principale, se non esclusivo, dovere, mettono “nei guai” il
loro Paese (contro il quale vengono avviate procedure che portano a
sanzioni) e “in difficoltà” il governo che “ha preso impegni”
con il Supremo Panopticon.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Che
gli Stati – certi Stati – siano costantemente costretti a
svolgere “compiti a casa” (metafora che sembra entrata ormai, non
a caso, nella retorica ufficiale dei consessi europei) è quantomeno
sconcertante.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Proprio
come in una scuola – di quelle rigide, vecchio stile – i vari
popoli europei si vedono assegnare un punteggio: a ciascuno la
propria “pagella”... I popoli-scolari che non fanno bene i propri compiti vengono costretti a sfilare in cortile indossando orecchie da
somaro, mentre gli altri, popoli-scolari diligenti, con le pagelle a
posto, facendo cerchio con visi minacciosi intorno ai reprobi,
attivano i loro megafoni (stampa, esperti, opinion leaders, ma anche
agenzie di rating all'occorrenza...) per indirizzare grida di
dileggio (i classici “Buuh...”) ai popoli-scolari negligenti.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">E
dall'alto, presidi e professori sorridono compiaciuti mentre si
preparano a comminare “sanzioni esemplari” a quei popoli-scolari
che stanno dando “cattivo esempio” e rovinano la “reputazione
della scuola”.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Addirittura,
con una prosa volutamente ambigua, che sembra suggerire più che
imporre ma che di fatto sottintende un obbligo inderogabile <a href="http://almancoprov.blogspot.com/2015/04/euro-ed-europa-quando-una-speranza-si.html#nota" name="gancio"><b>[</b><u style="font-weight: bold;">*</u><b>]</b></a>
(certo, lo “zelo” di certe maggioranze politiche nazionali, a
volte anche bipartisan, fa il resto...), come compiti a casa vengono
assegnate alcune riforme costituzionali: è il caso della <b><a href="https://www.senato.it/1025?sezione=127&articolo_numero_articolo=81">riforma dell'art. 81</a></b> della nostra Costituzione (la controversa riforma
che introduce nella nostra Carta fondamentale il principio del pareggio di bilancio).</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Se
un'autorità qualunque può imporre a uno Stato la riforma della sua
Costituzione, che è anche l'architrave del suo “patto
sociale”, il ruolo del Parlamento di quel determinato Stato viene
sostanzialmente eroso fino all'osso, giacché si riduce a puro
“contorno”, <i>rappresentazione teatrale</i> come certe
rievocazioni in costume: un puro “omaggio alla tradizione” senza
più alcuna rilevanza politica. E col Parlamento vengono privati di
sostanziale potere i suoi elettori, i cittadini, nel momento stesso
in cui le istituzioni europee formalmente li omaggiano e sembrano
metterli al centro delle proprie preoccupazioni (“Tutto questo lo
facciamo per il vostro bene: tagliamo le unghie e gli artigli di quei
cattivoni dei vostri Stati, accidenti! Dovreste esserci grati!”).</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Un modello essenziale di riferimento per la UE sembra essere costituito
dagli USA </span><span style="font-family: Georgia, serif;">– basti pensare al fatto che qui gli Stati Uniti vengono costantemente omaggiati e celebrati come </span><span style="font-family: Georgia, serif;">“la più grande democrazia del mondo”, il che vorrà pur dire qualcosa, no?</span><span style="font-family: Georgia, serif;"> </span><br />
<span style="font-family: Georgia, serif;">Eppure – bella contraddizione costitutiva europea –
non si vuole procedere verso un concreto federalismo. E in effetti gli Stati sulla carta restano sovrani, e hanno un peso
notevole in alcune istituzioni importanti, come il </span><b style="font-family: Georgia, serif;"><a href="http://europa.eu/about-eu/institutions-bodies/council-eu/index_it.htm">Consiglio dell'Unione Europea</a> </b><span style="font-family: Georgia, serif;">[che ha tra
i suoi poteri quello di approvare la legislazione e il bilancio UE] o
una delle sue formazioni più influenti, il </span><b style="font-family: Georgia, serif;"><a href="http://www.consilium.europa.eu/it/council-eu/configurations/ecofin/">Consiglio “Economia e Finanza” (ECOFIN)</a></b><span style="font-family: Georgia, serif;">; dall'altro lato, però, gli
Stati non sono posti su un piano di parità, ma si creano egemonie
etnico-nazionali, non sancite in nessun documento specifico ma
operanti sul piano della prassi.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Per
quale motivo infatti, in una “Unione” che – qualunque sia la
sua natura (interstatale, federale, confederale, quasi-federale,
ecc.) – dovrebbe essere innanzitutto democratica e non imperiale,
alcuni Stati sembrano decidere anche per gli altri, dal momento che i
loro rappresentanti finiscono per incarnare il “centro che conta”
dell'intera Unione e diventano anzi <i>sinonimo</i>, oltre che
simbolo privilegiato, di Europa?</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">L'Unione
Europea nei fatti si avvia ad essere una riedizione dell'Impero
Austro-Ungarico, multietnico sì, ma egemonizzato da alcune etnie e
nazionalità “più uguali” delle altre...</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Un
elemento decisivo e importante del federalismo statunitense è la
pari dignità degli Stati membri (i “favolosi cinquanta”
rappresentati nelle stelle della bandiera); questo principio si
traduce ad esempio nella norma che impone un eguale peso numerico
agli Stati membri all'interno del Senato, la Camera che rappresenta
appunto i singoli <i>States</i>
dell'Unione.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Nell'Unione
Europea il Parlamento è monocamerale; non è previsto alcun Senato
eletto in maniera simile a quello statunitense. Non credo sia un
caso. Il Parlamento europeo deve in teoria rappresentare i cittadini
europei a prescindere dalla loro nazionalità, deve cioè annullare
istituzionalmente le differenze nazionali e culturali. Se questo si
traducesse in una reale irrilevanza degli Stati, ci sarebbe almeno
una logica coerente (che si potrebbe comunque condividere o meno).
Invece, una volta annullata simbolicamente la rappresentanza degli
Stati, per fare spazio a quella dei “cittadini disincarnati”,
accade che gli Stati non scompaiono affatto dalla scena, ma il loro
peso risulta diseguale; gli Stati insomma, cacciati dalla porta,
“rientrano dalla finestra”, ma allineati secondo una gerarchia di
potenza.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Se
l'euro è uno strumento al servizio di questa logica “imperiale”,
che sancisce egemonie etnico-nazionali (benché “non scritte”...),
il suo ruolo (politico) è deleterio e tutt'altro che “democratico”.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Va
aggiunto però che – date le premesse – non è solo l'euro il
problema; è la stessa architettura politico-istituzionale della UE a
non funzionare. La prassi politica degli “assi” fra le presunte
“potenze europee” contraddice i “bei princìpi” dei Trattati.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Vogliamo
insomma una riedizione dell'Impero Austro-Ungarico travestita da
“non-federazione-larvatamente-democratica” oppure una Unione effettivamente
democratica e allergica a qualsiasi egemonia etnico-nazionalistica?</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Che
senso ha subire “parametri” che impongono ai popoli mediterranei
di “essere tedeschi”? E' così difficile capire che in una gara
del genere – la gara a “chi è più tedesco” – ci sarà
sempre un solo vincitore, il “tedesco originale”, ovvero la
Germania, che </span><span style="font-family: Georgia, serif;">– </span><span style="font-family: Georgia, serif;">col sostegno di altri Paesi vicini al Mare del Nord, affezionati al modello socio-economico di quelle latitudini, ritenuto a priori insuperabile </span><span style="font-family: Georgia, serif;">–</span><span style="font-family: Georgia, serif;"> ha imposto le regole del gioco agli altri, garantendosi
con ciò stesso la propria imperitura egemonia?</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: small;"><b>Prospettive?</b></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">E'
difficile concordare comunque con l'ottimismo di alcuni “sovranisti”,
poiché al momento non basta una moneta nazionale, e forse neppure l'eventuale “sganciamento” dalla UE, per ridare allo Stato
nazionale le “leve di comando” della sua politica economica.
Trovo arduo immaginare, infatti, che si possa metter mano seriamente
alle regole riguardanti i mercati finanziari, se non con “rivoluzioni
combinate” decise da un cospicuo numero di eventuali “Stati
dissidenti”. Ma di tutto questo si dovrebbe calcolare attentamente
la “convenienza”, perché è questo oggi il valore prioritario:
la ricerca della convenienza; libertà e autonomia (non parliamo poi
della giustizia e dell'equità sociale!) sono considerate soltanto in
subordine. </span>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Temo
che in quest'epoca, se qualcuno ci dimostrasse che “è più
conveniente” (economicamente, finanziariamente, ecc.) essere
schiavi che liberi, rinunceremmo volentieri a qualsiasi ideale di
libertà e di emancipazione. Il Risorgimento, le lotte di liberazione
nazionale, le rivoluzioni, le barricate in nome del pane e della
dignità (il 1848, la Comune di Parigi...) oggi sarebbero
impensabili, alle nostre latitudini: anche se per assurdo ci
trovassimo sotto il più oppressivo dei domini imperiali o sotto una
dittatura che ci facesse pressoché tutti schiavi, un economista o
anche un opinion leader qualsiasi ci direbbero che impegnarsi in
certe lotte o credere in certi ideali “non conviene”, giacché
“rovinano il PIL” e la “reputazione sui mercati”; e quasi
tutti noi accoglieremmo con gioia un verdetto che in cuor nostro già
accarezzavamo. Il vecchio detto (o meglio <i>principio di vita</i>)
“Franza o Spagna purché se magna” ha fatto scuola ed ha esteso
la sua influenza ben oltre i confini dell'Italia, mi par di capire...</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Se
vera sovrana d'oggi è la convenienza “dell'individuo”, le radici
stesse del discorso fatto fin qui sono dunque molto fragili. E' bene
saperlo, anche se questo non vuol dire rinunciare a esporre
determinate idee, analisi e convinzioni. E del resto, nel mondo non
si dà completa e disperante immobilità, e lavorando con passione e
tenacia, anche un terreno ingrato può produrre frutti.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><br /></span>
<span style="font-family: Georgia, serif;">_____</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><a href="http://almancoprov.blogspot.com/2015/04/euro-ed-europa-quando-una-speranza-si.html#gancio" name="nota"><b>[*]</b></a>
Dice il <i>Patto di Bilancio</i>, all'art. 3, paragrafo 2: “Le
regole enunciate al paragrafo 1 producono effetti nel diritto
nazionale delle parti contraenti al più tardi un anno dopo l'entrata
in vigore del presente trattato tramite disposizioni vincolanti e di
natura permanente – preferibilmente costituzionale – o il cui
rispetto fedele è in altro modo rigorosamente garantito lungo tutto
il processo nazionale di bilancio”.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><i>Preferibilmente
costituzionale</i>, dunque, dice alla lettera il testo: non è
formalmente un'imposizione, ma talune “nazioni zelanti” come
l'Italia amano risultare prime della classe nello svolgimento dei
loro “compiti a casa”.</span></div>
</div>
ivaneuscarhttp://www.blogger.com/profile/13381655735594702472noreply@blogger.com5tag:blogger.com,1999:blog-215434595625178180.post-18403761981227910452015-03-13T09:50:00.002+01:002015-03-13T09:50:43.461+01:00Ancora emigrazione per i giovani italiani: ora come allora è opera imperscrutabile del Fato?<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><b>Una
“diaspora” e possibili ritorni</b></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">A
quanto pare, in Irlanda hanno deciso di incentivare i loro emigrati a
tornare [vedere <b><a href="http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2015-03-04/stop-diaspora-l-irlanda-pieno-boom-fa-rientrare-immigrati-193323.shtml?uuid=ABhZ3E4C&google_editors_picks=true">qui</a></b>]; hanno ritenuto opportuno e necessario,
anzi prioritario, investire su questa politica.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Una
vera rivoluzione da noi si avrà quando sulla stampa potremo leggere
di un governo italiano che abbia preso misure simili. (Non discuto sui contenuti specifici di quella decisione dell'Irlanda, che andranno valutati: è la decisione in sé ad avere importanza, come fatto politico.)</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Certo
– si dirà – il caso irlandese è diverso, lì la percentuale di
emigrati sul totale della popolazione è particolarmente elevata, lì
hanno risolto alcuni problemi a monte, e ora possono permettersi di
spalancare le porte a chi è andato via. Sì, sì, certo, eppure
questo non basta a spiegare la differenza radicale del nostro
atteggiamento.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Fatto
sta che dall'Italia si continua ad emigrare, nell'indifferenza
pressoché generale delle istituzioni.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><br /></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"></span></span></div>
<a name='more'></a><br />
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<br />
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">[Ma
c'è il programma sul “rientro dei cervelli”, direte!... Beh, a
parte che questa espressione, nella sua bruttezza, già dice molto
sul modo con cui vengono pensate e progettate certe politiche, con un
occhio più alla propaganda giornalistico-mediatica che alla
sostanza, c'è da dire che, se parliamo del quadro complessivo e non
di singoli casi, i risultati ottenuti – tra complicazioni
burocratiche, limitazioni di budget e quant'altro – non mi sembrano
eclatanti. Non è, tutto sommato, a tutt'oggi una politica che il
governo considera davvero cruciale o prioritaria. Non quanto il “Jobs
Act”, in ogni caso...]</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><br /></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
“<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Emigri?
Problemi tuoi... Anzi, meglio così: un problema in meno da
risolvere, per me” sembrano ragionare i nostri <i>decision makers</i>.
Che in questo – nonostante tutta la loro patina di “modernità”
– appaiono fermi al 1800-primo Novecento e al “cinismo sociale”
delle classi dirigenti di quell'epoca (l'emigrazione era vissuta con
sollievo dai governanti dell'Italia di allora; nemmeno ci si poneva
il dubbio che si dovesse cercare piuttosto di costruire un'economia
votata all'inclusione).</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Per
parte mia, ho sempre pensato che un Paese che – nei suoi massimi
rappresentanti – ragiona in questo modo (anche se non in maniera
esplicita [il che è anche peggio: c'è l'aggravante dell'ipocrisia])
non ha uno Stato degno di tale qualifica: uno Stato infatti deve
preoccuparsi dei propri cittadini e non fare in modo (con azioni
oppure con colpevoli omissioni) che questi, per vivere
dignitosamente, siano costretti ad andar via.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Tuttavia
non si possono attribuire tutte le colpe allo Stato, o meglio alle
politiche dei suoi istituzionali rappresentanti: talvolta (il più
delle volte?) si emigra perché ci si sente estranei, o tagliati
fuori, rispetto alle logiche prevalenti nella società nella quale si
è nati o cresciuti.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">So
che alcuni obiettano che l'emigrazione “è una scelta”: in fondo
– essi sostengono – un posto, se uno è “volenteroso”, qui da
noi lo può sempre trovare; chi emigra vuole insomma “di più” di
quello che “già ha” o potrebbe avere, non si “accontenta”;
ma il volere <i>di più</i> – dicono questi “critici” – non è
un problema del quale dovrebbero farsi carico lo Stato o la società
nel suo complesso.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">In
realtà, questa obiezione risulta, a ben guardare, una banalizzazione
del problema.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Tanto
per cominciare, in Italia il tema dell'emigrazione si intreccia con
la questione del divario fra Nord e Sud (nella quale, come si
comprenderà, è inutile addentrarsi per l'ennesima volta. Per chi è
interessato ad approfondimenti, esiste una vastissima letteratura in
merito, che è pressoché costantemente aggiornata.)</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Va
notato poi che c'è qualcosa di strano – perlomeno! – nel fatto
che i giovani italiani (anche meridionali...) raggiungono un livello
di conoscenze e competenze non inferiore a quello di altri (bagaglio
culturale, <i>know how</i>, ecc.),
<i>eppure</i> non trovano
collocazione adeguata all'interno del “mercato del lavoro” del
loro Paese.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Per
l'Italia tutti quei giovani sono, come minimo, altrettante <i>occasioni
sprecate</i>. Possiamo permetterci
uno sperpero così grande di energie, competenze, risorse?</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Il
problema si accentua se consideriamo il caso dei giovani meridionali:
al Sud le occasioni sprecate sono quasi all'ordine del giorno, paesi
e talora anche grandi città si vanno svuotando, perché i giovani
emigrano in gran parte, non sperando di poter “guadagnarsi il pane”
decentemente nei loro luoghi natii.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Non
è una questione urgente da risolvere, questa?</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Se
si ascoltano le ragioni di quei giovani, anziché bollarli a priori
come “schizzinosi” che non si vogliono davvero “rimboccare le
maniche”, e dei quali non è quindi il caso di occuparsi, si
capisce la loro rabbia o la loro frustrazione nell'essere relegati
sempre nella <i>corsia dell'attesa</i>, nel non veder riconosciuti il
loro lavoro, le loro capacità, la loro <i>fatica</i>.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Se
li si ascolta davvero, ti raccontano della realtà che vedono e
vivono qui, e che è tutta a loro svantaggio; ti raccontano di un
Paese dove predominano furbi e furbetti, nel quale chi furbo o
furbetto non è, o non conosce potenti o clan che gli spianino la
strada, e ciononostante non intende fare lo schiavo sottopagato a
vita (per giunta in troppi casi alle dipendenze di un datore di
lavoro o di un “capo” palesemente non all'altezza della
situazione e tuttavia favorito o sponsorizzato da una “cerchia che
conta”), non ha altra scelta che emigrare, se vuole valorizzare i
propri talenti e <i>dunque</i> (le due cose sono strettamente
collegate) vedersi rispettato nella propria dignità.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Non
è questione di “pubblico” o “privato”, non prendiamoci in
giro. Le logiche clientelari (o amicali, di clan, ecc.) si infiltrano
dappertutto, quando una società ne è impregnata fino alla radice.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Se
li ascolti davvero, ti raccontano che quando vedi qualcuno intascare
stipendi indebitamente, oppure condurre una vita dispendiosa senza
aver mai lavorato in vita propria (il trucco sta nel nascere nel
“clan” giusto) – N.B.: nel primo caso si può trattare anche di
dipendente pubblico, nel secondo no – e rifletti contemporaneamente
su quanto hai studiato senza mai ottenere soddisfazione e
riconoscimenti qui, non puoi che provare rabbia. E come evitarlo, se
vuoi essere sincero con te stesso/a?</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Chi
emigra quindi non vuole “di più”, non è uno schizzinoso
incontentabile: chi emigra, in molti casi, vorrebbe una società che
non fosse costretta a curvare la schiena sotto il peso di
consorterie, clan & corporativismi.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Se
la gente che emigra è una specie di sollievo per un Paese (“un
problema in meno...”), è inutile interrogarsi sulle “cause della
crisi”. La crisi ce la portiamo addosso, e potremmo vederla – se
solo volessimo – ogni volta che voltiamo la testa da un'altra
parte, specialmente quando siamo in presenza di uno specchio; e
nessun tribuno (abituato d'altra parte ad accarezzare amorevolmente i
nostri vizi e tic sociali per diventare “popolare”) ce ne tirerà
fuori.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Puoi
uscire dall'euro, uscire dal tunnel, o uscire da Maastricht, e poi
entrare nella Santa Alleanza o nella Lega Delio-Attica o in quella
Anseatica se preferisci, ma nonostante tutto rischi di rimanere
quello che sei.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><b>Riflettendo
spassionatamente: “meritocrazia”, contraddizioni e “capitalismo
inefficiente”</b></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Dopo
l'onda di considerazioni “a caldo”, derivanti, per quanto mi
riguarda, da vari colloqui e conversazioni avuti con “giovani
emigranti” di oggi, conviene tuttavia soffermarsi a mente fredda su
alcuni aspetti della questione.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">La
riflessione sugli emigrati si intreccia con quella sul concetto di
<i>merito</i>, oggi molto usato,
anzi abusato.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Trovo
quindi necessario fare alcune precisazioni. L'idea di “meritocrazia”,
a parte la bruttezza del termine (ancora una volta significativa...),
funziona ahimè come il classico specchietto per le allodole. Chi si
batte sinceramente ovvero ingenuamente (dunque senza secondi fini)
per l'avvento di una società basata sul merito, è destinato a
scoprire presto o tardi che si tratta di un disegno dal significato
<i>volutamente ambiguo</i> in
un sistema che per sua stessa natura si muove secondo logiche del
tutto estranee a un'idea ottimale di promozione sociale dei più
preparati e competenti (indipendentemente dalla loro provenienza di
ceto, di classe, di clan, ecc.), che pur talora proclama
strumentalmente di volere; inoltre, il “merito” è cosa diversa
dalla <i>capacità</i>,
concetto che utilizzo di preferenza.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Il
“merito” è infatti un concetto che richiama l'idea di <i>selezione
dei migliori</i>, eco di un
“darwinismo sociale” piuttosto duro a morire, nella teoria come
nella pratica.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">L'idea
del “merito” non sfugge quindi alla suggestione visiva di una
società articolata nella forma di una piramide, anzi va a
giustificare il perpetuarsi di una subordinazione fondata su presunti
dati oggettivi o “naturali”.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
“<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Meritocrazia”
vuol dire infatti che chi “merita” deve stare <i>in cima</i> alla
piramide; e coloro che “non meritano” devono semplicemente
accettare decisioni e scelte prese dai “meritevoli” e soprattutto
essere da questi <i>giudicati</i> e <i>sanzionati</i>.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Il
concetto di <i>merito</i> implica insomma l'esistenza di un <i>demerito</i>,
che è il suo opposto speculare. La funzione della meritocrazia,
ancor prima di preoccuparsi dei meriti, è quella di selezionare i
“non meritevoli” da sanzionare e da punire; ma non
necessariamente li sanziona o li punisce attivamente – il più
delle volte non lo fa, in realtà – giacché l'apparato
“meritocratico” è lo strumento politico-sociale adatto per
giustificare la loro marginalizzazione o discriminazione, specie
quando queste sono già in atto.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Qualsiasi
gruppo o soggetto discriminato o marginalizzato può essere
presentato come “non meritevole”, e quindi può vedersi
“attribuire” la sua condizione di esclusione come un giusto
destino, una giusta conseguenza per il suo demerito: tutto sta a
scegliere oculatamente i criteri in base ai quali misurare i <i>meriti</i>.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Infatti,
<i>chi</i> merita? Ossia, in sostanza: chi <i>decide</i> sui criteri
coi quali il merito va misurato, se non coloro che già sono nella
posizione di decidere (ovvero in cima alla piramide immaginaria)?</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><br /></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Per
definizione, chi è ammesso a determinate funzioni-chiave <i>merita</i>
considerazione: il suo “posto” dunque gli/le <i>spetta</i>
indiscutibilmente. Ma di fatto, se sono salvate le forme (la
“correttezza della procedura”), indipendentemente dalla bontà o
dalla correttezza del giudizio dei “già-meritevoli-giudicanti”
(sempre opinabile), anche la sostanza è salva: chi ottiene la
patente di meritevole, lo è a tutti gli effetti per il solo fatto
che gli/le è stata data. E' in quella <i>patente</i>
infatti che consiste il merito, e non in altro – al contrario di
quanto pensano gli adepti più ingenui della “meritocrazia”.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Ecco
perché presto o tardi chi affronta le “prove” previste dal
sistema si accorge della vuotezza dell'idea di merito intesa
erroneamente come riscatto rispetto all'ingiustizia derivante dagli
“arbitri dei singoli”.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">La
società “piramidale” o gerarchica, in qualsiasi sua forma (di
ceto, classista, razzista, ecc.), per riprodurre se stessa, non può
sfuggire alla logica della cooptazione, per quanto riveduta e
corretta.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">La
<i>capacità</i> si lega
invece alle attitudini che ciascuno/a, in una società complessa, può
coltivare e sviluppare [non tutti sanno “fare tutto” con lo
stesso livello di competenza, questo è innegabile: c'è chi realizza
meglio di altri nella propria città oggetti di terracotta, chi
meglio di altri sa eseguire al piano una sonata di Beethoven, chi
fabbrica scarpe comode e resistenti, ecc.]; le capacità di ciascuno,
in una società strutturata secondo giustizia, dovrebbero essere
messe a frutto senza preclusioni o veti (i peggiori sono quelli
ufficialmente non dichiarati e tuttavia applicati nei fatti)
nell'interesse generale, e inoltre armonizzarsi, cooperare, anziché
sovrapporsi secondo un rigido ordine gerarchico.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Ma
tornando al tema, a parte i casi di coloro che desiderano trasferirsi
comunque altrove per una propria propensione a staccarsi dal luogo
natio (e a sperimentare la vita in altre aree del mondo), gli
emigrati odierni (e non solo loro...) vivono sulla loro pelle il
divario fra le promesse dei governi e delle istituzioni, da un lato,
e i “fatti”, dall'altro.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Se
lo studio e i buoni risultati conseguiti nel percorso formativo e
scolastico da parte dei giovani corrispondono ad un'apertura di
credito da parte delle istituzioni – “Ti offro la possibilità di
apprendere, in modo che tu, se ti applichi, possa poi svolgere il
lavoro o esercitare la professione che hai scelto e che <i>meriti</i>”
– nel momento in cui il percorso giunge al termine e il giovane si
affaccia nel mondo del lavoro, il credito improvvisamente viene
rinnegato e la promessa implicita in quel “Ti offro (ecc.)” non
viene mantenuta.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Gli
emigrati sono coloro che non si sono arresi, e hanno preteso di
riscuotere altrove – presso contraenti meno infidi – quanto era
stato loro promesso; il loro <i>valore sul mercato</i> altrove viene
compreso e apprezzato; e così semplicemente – i liberisti di
stretta osservanza possono specialmente comprenderlo – cercano di
piegare in qualche modo a loro vantaggio la “legge”<i>
del miglior offerente</i>.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">E
perché altrove ci sono migliori opportunità? Cosa manca a un Paese
come l'Italia? Forse uno dei “pezzi mancanti” più vistosi è la
capacità di perseguire l'<i>efficienza</i>, che è invece assillo
imprescindibile per i sistemi economici che vogliano essere
“competitivi” secondo le schiette “leggi” del capitalismo.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Il
“sistema Italia” vuole collocarsi nel capitalismo, ma senza
prendere realmente sul serio l'obiettivo dell'efficienza. Non ci si
preoccupa della contraddizione e, confidando nella “buona stella”
che del resto campeggia sullo stemma nazionale, ci si ingegna a fare
il minimo indispensabile affinché il meccanismo non collassi nel
breve periodo (sembra quasi che le energie migliori di esperti e
burocrati vengano impiegate per escogitare sistemi che consentano di
rinviare <i>sine die</i> il rendiconto). E questo soprattutto perché
qui la ricchezza, per quanto attiene al suo scopo prioritario, è
ancora intesa principalmente – se si considera la mentalità
diffusa che influenza poi orientamenti e comportamenti – come
<i>rendita</i>, piuttosto che come capitale da investire: in certi
ambienti sociali e in certe zone sembra che quest'ultimo sia solo un
ripiego, un surrogato rispetto all'obiettivo principale, che è
ereditato dalla società signorile, mai in effetti del tutto morta in
Italia.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Solo
un sistema che snobba (<i>noblesse oblige</i>) l'utilizzo ottimale
delle sue energie (competenze, ecc.) e risorse può concedersi il
lusso di “sprecare” le sue potenziali capacità (i giovani in
possesso di conoscenze teoriche e tecniche, ecc.).</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Tuttavia
non bisognerebbe dimenticare che le <i>promesse non mantenute </i>dei
governi, più che la pura e semplice “molla del bisogno”,
sono la causa principale di rivolte e anche di rivoluzioni.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">In
altre epoche, con questi dati – lo dico con una punta di
provocazione e “ironia paradossal-passionale” – si sarebbe
potuto sottolineare che gli emigrati, se volessero, ovvero se
avessero piena coscienza del loro ruolo e della loro condizione
sociale, potrebbero costituire l'asse portante di un movimento
rivoluzionario. Chi meglio di loro potrebbe inchiodare il sistema
alle sue contraddizioni e “responsabilità”?</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Ovviamente
ci vorrebbe una “internazionale degli emigrati”...</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><br /></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><br /></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><u>P.S.</u>:</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Giusto
a mo' di annotazione finale... Per quanto riguarda in particolare il
Sud, proposte come quella formulata da Saviano qualche tempo fa
[vedere <b><a href="http://www.partitodemocratico.it/doc/236708/emigrazione-saviano-incentivare-il-ritorno-nel-sud-ditalia.htm">qui</a></b>] andrebbero incrementate, discusse, ulteriormente
articolate, tradotte in azioni... ma, ripeto, non mi sembra che
immaginare e costruire percorsi e opportunità per il ritorno degli
emigrati sia seriamente considerato parte dell'agenda delle nostre
priorità.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Sarà
perché per accingersi a una tale impresa non basta annunciare
trionfi su Twitter, ma bisogna arrecare un “salutare disturbo”
(politicamente troppo rischioso per... chi vuole “vincere facile”
nell'immediato) ad abitudini, mentalità ed equilibri consolidati
della nostra società?</span></span></div>
ivaneuscarhttp://www.blogger.com/profile/13381655735594702472noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-215434595625178180.post-2753770081149009092015-02-26T09:28:00.000+01:002015-03-16T01:22:38.243+01:00Riflettere per capire o commentare per esistere? (I fatti del mondo, gli "umori del Web" e alcuni odierni dilemmi)<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><b>I
commenti del Web: una finestra sul cortile</b></span></span></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Ci
sono periodi – della vita dei singoli o della storia “grande”
dei Paesi – che richiedono riflessione. Ciò che è accaduto negli
ultimi anni, non solo in Italia, da un lato sembra aver confermato
una direzione di marcia già in atto o comunque prevedibile (in una
certa misura), ma dall'altro ha introdotto elementi inediti sui quali
conviene e converrà meditare.</span></span></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Da
tempo non aggiornavo questo blog non perché non avessi la tentazione
periodica di farlo, ma perché ritengo ci siano momenti nei quali,
più che spendere parole sull'onda delle impressioni del “fatto del
giorno”, è utile guardarsi attorno, ascoltare le “voci del
mondo”, gli umori vari e assortiti della moltitudine, e solo <i>dopo</i>
aver fatto da spettatore/registratore, raccogliere i pensieri e
metterli in bell'ordine, affinché acquistino voce a loro volta, <i>si
esprimano</i> e si intersechino con
le voci ascoltate.</span></span></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">E
principalmente di queste vorrei parlare, tanto per cominciare.</span></span></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Il
Web apparentemente offre molteplici occasioni e spazi (virtuali) per
esprimersi, per “dire la propria”, lasciando al fruitore la
possibilità di <i>essere se stesso senza filtri</i>
(e scaricare nel Web, trasformato talora in vero e proprio
“sfogatoio”, malumori, rancori, invettive) oppure di <i>indossare
una maschera</i> e di <i>interpretare
una parte</i> (ad es. quella del ben
informato, del competente, di “quello che la sa lunga”, di
“quello che è vissuto tanti anni all'estero” anche se invece
all'estero è andato solo sporadicamente in vacanza; o ancora la
parte dell'onesto-integerrimo cittadino indignato per i vizi [altrui]
quando invece nella “real life” egli [o ella] integerrimo non è
affatto, viola il codice della strada, truffa i propri clienti,
ecc.).</span></span></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><br /></span></span></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"></span></span></div>
<a name='more'></a><br />
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">E'
vero, il Web, come mai forse è accaduto in passato (perlomeno in
questa proporzione), ci offre la possibilità di <i>dare del
tu ai potenti</i>; chi attraverso un
social network come Twitter può “dirne quattro” al presidente
del Consiglio o a un ministro, sa o intuisce di avere tra le mani
un'opportunità che le generazioni passate non avevano; l'</span></span><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: medium;">“alone sacrale”</span><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: medium;"> del quale i “potenti” un tempo si circondavano è
scomparso o almeno si è ridimensionato – così sembra. </span><i style="font-family: Georgia, serif; font-size: large;">Loro</i><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: medium;">
sono persone come </span><i style="font-family: Georgia, serif; font-size: large;">noi</i><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: medium;">
e non possono più nascondersi nei “palazzi” o dietro le insegne
della loro carica per sottrarsi al contraddittorio con il “popolo”.</span></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Sorgono
però due domande, o meglio due dubbi, a questo punto: sappiamo
davvero (mediamente) usarla bene questa potenzialità del Web? E poi:
davvero i “potenti” sono “ridimensionati” in modo decisivo
grazie al contraddittorio “alla pari” al quale il Web ora li
costringe?</span></span></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Il
Web richiede sintesi; se questa è ben congegnata, può fare
scaturire riflessioni e approfondimenti; ma non sempre, purtroppo, è
così. Si ha molto spesso invece l'impressione che la sintesi sia un
<i>crivello che funziona al contrario</i>, un filtro
che fa passare soprattutto l'approssimazione, lo slogan “da stadio”
(dietro il quale non c'è nessuna riflessione accurata; anzi...),
l'invettiva fine a se stessa, il delirio di onnipotenza di
qualcuno/a, pillole di saccenteria, luoghi comuni spiccioli o veri e
propri insulti legati alle personali idiosincrasie e ai pregiudizi
incalliti di chi li lancia, ecc.</span></span></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Quando
la critica si sfrangia e si manifesta in queste forme, diventa un
puro <i>rumore di fondo</i>,
che rafforza anziché intaccare l'“aura di indispensabilità” del
“potente” al quale pretende di rivolgersi.</span></span></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
“<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>Se
questo è il livello e il tono delle critiche, allora io sono un
gigante”</i> ha buon gioco
nell'affermare il “criticato”.</span></span></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Purtroppo
la caratteristica esigenza di sintesi del Web – o meglio, di <i>certi
luoghi</i> del Web (i social
network, i commenti agli articoli dei giornali online, ecc.) –
rischia di ridurre il senso e il tenore degli interventi del
“pubblico” al modello classico (quindi tutt'altro che specifico
dell'era “Web 2.0”!) del commento “da bar” o “da sala di
attesa”. Niente di nuovo sotto il sole, dunque; e ciò vuol dire
che le potenzialità del Web in questo modo rischiano di andare
sprecate. Cambia l'ampiezza della platea, certo: il commento espresso
da un utente sul forum di un quotidiano online può essere letto da
centinaia o migliaia di persone; ma rischia di essere ugualmente
<i>pulviscolo</i>, componente
infinitesimale di un <i>rumore di fondo</i>
che non può trasformarsi, per le sue stesse caratteristiche, in
seria critica.</span></span></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">I
tipici commenti presenti sui forum e sui social network, anche se
pretendono di esprimere critiche all'operato del governo, oppure di
questo o quel partito, di questo o quel ministro, ecc., di fatto
raccontano soprattutto qualcosa degli utenti che li postano. Sono
finestre sui limiti della conoscenza umana, più che strumenti per
conoscere e/o discutere le “mancanze” o “magagne” della
politica, del “potere”, ecc..</span></span></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Ad
esempio, una certa “famiglia” piuttosto nutrita di commenti Web
propone ricette semplici e lineari per la risoluzione di problemi
giganteschi “che i politici o i potenti – quegli incapaci! –
non sanno risolvere” (la crisi economica, la fame nel mondo, persino alcune epidemie preoccupanti... e così via). Potremmo chiamare questa categoria di
commenti: <i>“Vi dico io come si fa!”</i> oppure <i>“Se solo ci
fossi io al governo...!”</i></span></span></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Sembra
una regressione all'adolescenza, età in cui di solito si è convinti
che basterebbe l'intervento di un “giustiziere puro e immacolato”
o di un “supereroe” a risolvere i grandi problemi del mondo.
Commenti di questo tipo ci parlano appunto di colui/colei che li
esprime: persone che ritengono la convivenza umana una faccenda
semplice, in cui ogni problema si può risolvere con la “buona
volontà” e la decisione (a prescindere dal tipo di eroe da loro
preferito, sia esso lo sceriffo tutto d'un pezzo o la Fata Turchina),
e che immaginano che “con poche mosse” si possa “vincere”
qualsiasi partita, senza curarsi degli “effetti collaterali” di
ciascuna mossa, effetti dei quali la politica deve invece tener
sempre conto (se non vuole poi scontrarsi con nuovi problemi generati
dalla pseudorisoluzione dei precedenti, e quindi con altre proteste
sacrosante...).</span></span></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Un
altro genere tipico di commenti è etichettabile come <i>“So io chi
è il colpevole!”</i></span></span></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">In
questo caso, si accusa sistematicamente di ogni nefandezza un
personaggio politico, un partito oppure una categoria di persone
(un'etnia, una nazione, una categoria sociale, ecc.). E' una sorta di
“pensiero fisso”, che ci dice molto non sulle vere cause dei
problemi, ma sulla mentalità di chi lo esprime. Secondo questa,
tutto ciò che è “male” non può che derivare dall'azione o
anche dalla semplice presenza di colui/coloro che di volta in volta
si è convinti di poter identificare come “il/i cattivo/i”.
Intendiamoci: può darsi che “il cattivo” di turno abbia
effettivamente compiuto alcune o anche molte azioni scorrette,
esecrabili o illecite; ma il “commentatore” in questione lo
accusa anche di nefandezze delle quali egli non può esser ritenuto,
a rigor di logica, responsabile. E' il cattivo, e tanto basta:
dunque, <i>qualsiasi</i> male
nel mondo è causato da lui... E – questo forse è l'aspetto più
caratteristico di questa categoria – il commentatore inventa
spiegazioni/descrizioni contorte, fantasiose e improbabili pur di
riuscire a dimostrare (beninteso, senza prove concrete...) che il
“colpevole” del misfatto è <i>comunque e in ogni
circostanza</i> il “cattivo” da
lui/lei additato e prescelto, sempre e invariabilmente lo stesso,
responsabile unico e perciò emblema del “male del mondo”.</span></span></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Il
<i>“ricostruttore della storia”</i> è invece colui/colei che
adatta un evento o un periodo storico alle proprie esigenze,
ritagliandolo sapientemente (con omissioni, citazioni non corrette o
manipolate, ecc.) in modo da darsi ragione. A volte il “ricostruttore
della storia” può intrecciarsi con la tipologia precedente,
giacché la sua ossessione principale può essere quella di
attribuire colpe al suo “cattivo preferito”.</span></span></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Il
<i>“ricostruttore della storia”</i> s'intreccia a volte anche con
un altro tipo molto diffuso di commentatore Web, il <i>“difensore
dell'eroe”</i>, che come suggerisce l'etichetta a lui attribuita
seleziona accuratamente gli elementi della realtà (la storia, i
problemi sociali, l'andamento dell'economia, le scelte dei governi,
ecc.) in modo che il suo “eroe” preferito (leader politico,
generalmente) abbia sempre ragione... soprattutto quando in realtà
ha torto. Dalla ricostruzione storica esclude sapientemente ciò che
può mettere in dubbio l'infallibilità del suo “eroe” e non
esita a manipolare date e dati pur di raggiungere lo scopo. Anche le
colpe macroscopiche o eclatanti dell'“eroe” che non può nascondere riesce funambolicamente
a giustificarle con la fatalità o con la “macchinazione” di
coloro che “remano contro” (i fallimenti e gli errori del capo,
talora anche i suoi misfatti, sono giustificati tipicamente
attribuendone la responsabilità a “traditori” infidi,
infiltrati, quinte colonne, che carpendo la candida fiducia
dell'eroe, si sono insinuati nell'immacolato corpo dei suoi seguaci).</span></span></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
“<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>La
colpa è di quelli come te/voi!”</i></span></span></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Questa
categoria è per molti aspetti una variante di <i>“So io chi è il
colpevole!”</i>, ma in questo caso il presunto “colpevole” si
identifica con l'interlocutore, che viene inchiodato all'appartenenza
a una determinata categoria particolarmente esecrata dal commentatore
(si tratti dei giornalai o dei giornalisti, dei docenti o degli
studenti, dei dipendenti o dei commercianti...), in modo da poterlo
“lapidare” simbolicamente.</span></span></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
“<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>E
tu allora che soluzione proponi?”</i></span></span></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">E'
la reazione di difesa rispetto a chi cerca di non banalizzare le
questioni. In realtà chi pone questa domanda non comprende che prima
di proporre soluzioni (sensate) è necessario portare alla luce la
vera natura di un problema e che allo scopo non bastano il “sentito
dire” o le proprie cognizioni sommarie.</span></span></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
“<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>Queste
sono chiacchiere; il vero problema è...”</i></span></span></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">E'
una tipologia di commenti che è stata già analizzata a sufficienza
da altri; va detto comunque che la politica “reale” non può
permettersi il lusso di risolvere i problemi uno alla volta
(cominciando magari dal “più importante in assoluto” [e qual è?]
per procedere via via a risolvere gli altri in ordine decrescente di
importanza [ammesso che un tale ordine si possa stabilire non
arbitrariamente]) ma deve affrontare tutti quelli che man mano
incontra sul cammino; lo farà quindi come potrà (al netto delle sue
storture e patologie, come la corruzione, ecc.), dovendo suddividere
energie e risorse in più rivoli.</span></span></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">La
politica deve affrontare i problemi nel loro complesso e deve anche
fare in modo che le soluzioni adottate non generino a loro volta
problemi più grandi o più gravi; inoltre spesso le soluzioni non
sono immediate; per avere effetti hanno bisogno di tempo. Non c'è il
“pulsante magico” che risolve all'istante problemi che a volte si
sono stratificati per decenni. E non c'è neppure la “formula
segreta” che dona per sua sola virtù la felicità e la serenità
alle genti.</span></span></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Leggendo
in sequenza i numerosi commenti che appaiono sul Web nei luoghi già
menzionati (forum di quotidiani, ecc.) si può essere portati a
ritenere che essi rappresentino “le opinioni prevalenti della
gente”, ma in realtà si può soltanto dire che si tratta delle
opinioni di coloro che decidono di intervenire sul Web, e non è una
differenza da poco; esprimono opinioni a caldo e con sicumera coloro
che ritengono di avere la risposta pronta (le categorie sopra
menzionate ce l'hanno sempre, per un motivo o per l'altro: devono
trovare il modo di dare sempre la colpa al loro “cattivo
preferito”, oppure mostrare – a parole – per l'ennesima volta
di poter sostituire in prima persona e con ottimi risultati “gli
incapaci che ci governano”, ecc.) e non certo coloro che sanno di
dover riflettere un po' più a fondo sulle cose (e magari cercare di
conoscere i fatti e i dati, in modo non epidermico) prima di
esprimersi.</span></span></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Con
ciò non si vuole dire che gli sfoghi non siano legittimi: non
condivido la proposta, avanzata da alcuni (a volte in maniera
strumentale), di censurare il Web sol perché esistono commenti
irriverenti su questo o quel forum, su questo o quel social network
(sempre che non si tratti di stalking vero e proprio, che è cosa più
seria). Il fatto è che bisogna essere coscienti che la politica, e
la critica della politica, non possono ridursi a un concerto di
sfoghi e invettive; magari dopo essersi sfogati bisogna fare un lungo
respiro e passare a un'attività molto più impegnativa – e anche
per questo più incisiva – che consiste nell'immergersi nella
conoscenza delle cose, dei problemi, dei meccanismi sociali ed
economici, mettendo tra parentesi schemi acquisiti, formulette
facili, alibi ideologici rassicuranti.</span></span></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Ad
esempio, chi tuona a ripetizione contro il “buonismo” (qualunque
cosa intenda con questo termine), quale responsabile unico dei “mali
del mondo”, dovrebbe cominciare a riflettere sul fatto che neppure
il suo “cattivismo”, che contrappone al “buonismo” altrui, va
molto lontano come soluzione politica dei problemi reali. Non c'è lo
sceriffo che possa rimettere tutto a posto con la sola forza della
sua stella e dei suoi “muscoli”, se non nei film (dove peraltro i
“cattivi”, in virtù di una sceneggiatura prestabilita, sono ben
delimitati nel loro numero, nelle loro capacità e nel loro raggio
d'azione e non ci sono variabili aggiuntive a complicare l'“azione
dell'eroe”); così come d'altra parte non basta predicare la bontà
(o anche offrirla) perché questa si diffonda nel mondo.</span></span></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Non
è allontanando la “gente comune” dalla cosa pubblica che si
contribuisce a diffondere più coscienza politica, conoscenza della
reale natura dei problemi in campo, ecc.; i forum, i social network e
simili luoghi virtuali possono essere un punto di partenza,
insomma, ma occorre fare un passo in più.</span></span></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Servono
più strumenti, più meccanismi di partecipazione (nella cosiddetta
“real life”, possibilmente), che aiutino a passare dallo sfogo
solitario (solipsistico, per meglio dire) al dialogo, e quindi a
comprendere che il “mondo personale” di ciascuno deve incontrarsi
con quello degli altri; la politica è sì in buona misura arte della
sintesi, ma se quest'ultima si intende non come banalizzazione dei
fatti e dei problemi (ridotti a slogan affinché funzionino da esche
per mobilitazioni epidermiche), bensì come risultato di un lavoro di
analisi (collettiva, se si è in democrazia, e dunque non riservata
ai soli “addetti ai lavori”) dei problemi e delle opzioni in
campo (le scelte da compiere, le soluzioni da adottare: non bisogna
credere generalmente a chi sostiene che per un problema in politica
esista una e una sola soluzione – la sua, ovviamente...).</span></span></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Un
errore che generalmente si fa, quando si ragiona in solitudine,
magari sull'onda dei fatti del giorno, è quello di limitarsi a
considerare il proprio punto di osservazione, trascurando la visione
d'insieme – che invece la politica “praticata” deve avere
presente. Se poi questo errore è causato – come a volte succede –
da proprie personali esperienze che si è portati ad enfatizzare
assumendole come paradigma universale del comportamento delle persone
e delle collettività, è in fondo umanamente comprensibile;
l'importante è non credere – quando si passa a ragionare in
termini politici – che la propria personale esperienza (buona o
cattiva che sia), con le sue illusioni o i suoi rancori (pur talora
motivati), sia l'unica realtà possibile. [Il che – beninteso –
non vuol dire che la propria personale esperienza non conti nulla,
giacché è anche da questa che nascono le legittime rivendicazioni
di ciascuno.]</span></span></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Per
fare un esempio: chi trovandosi a mangiare in un ristorante di un
Paese straniero, o di una città che non conosce, dopo un pasto
deludente si vede presentare un conto stratosferico, può essere
arbitrariamente portato a pensare che la categoria intera dei
ristoratori di quella nazione o di quella città, se non addirittura
l'intera cittadinanza, sia costituita da imbroglioni e di conseguenza
può addirittura costruire una vera e propria teoria personale della
società e della politica su questo assunto di partenza. Analogamente
può accadere a chi subisce un trattamento sanitario non corretto (e
individua nei medici in blocco, come categoria, il suo “nemico
sociale”), a chi da studente riceve una valutazione ingiusta da
parte di un docente, a chi viene truffato da un operatore finanziario, a chi
scopre che un giornalista ha alterato i fatti che aveva il compito di
riportare in un suo articolo di stampa, ecc. ecc.</span></span></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><b>Qualche
fatto del giorno e qualche illusione sempreverde</b></span></span></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Passando
al caso concreto di un “fatto del giorno” che attrae commenti di
utenti del Web contenenti soluzioni perentorie, presentate in molti
casi come “infallibili e sicure”, non ha molto senso immaginare
che di fronte al problema del disordine politico ora esistente in
Paesi come la Libia (e all'avanzare di movimenti terroristici che da
quello deriva), il dilemma per l'Europa sia tutto nell'alternativa:
bombardare sì o bombardare no – o detto altrimenti, come sostiene
qualcuno, nell'alternativa fra “buonismo” e “non-buonismo”
(ovvero “cattivismo”, come l'ho chiamato poc'anzi).</span></span></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">A
mio modesto avviso, prima di prendere qualsiasi decisione,
bisognerebbe piuttosto prendere atto dello scollamento progressivo
che in quell'area del mondo si sta verificando tra le società e gli
Stati; in altre parole, vi sono alcuni Stati che stanno implodendo,
si stanno liquefacendo, e nel vuoto che per questo si viene a
determinare, che vede il dissolversi di qualsiasi attitudine al
rispetto di autorità politiche che società forse per troppo tempo
compresse e mortificate da regimi crudeli non riconoscono più, si
inseriscono opportunisticamente forze senza scrupoli che mirano a
stabilire su quei territori la loro disumana, insensata e discutibilissima “legge”.</span></span></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Vi
è chi dice che alcuni Paesi europei e occidentali, fra cui l'Italia
stessa, intervenendo nel conflitto determinatosi in Libia nel 2011 a
séguito delle “primavere arabe”, abbiano spezzato l'equilibrio
politico che un regime come quello di Gheddafi aveva per decenni
garantito. Che l'intervento dei Paesi europei e occidentali sia stato
inopportuno (a dir poco) è fuori di dubbio; ma non perché – in
sua assenza – quell'equilibrio sarebbe potuto durare ancora
all'infinito. Chi coltiva questa illusione (postuma) temo si sbagli.
Lo scollamento fra le popolazioni e gli Stati in certe aree del mondo
va ben al di là di ciò che noi possiamo fare, dire, auspicare,
favorire o impedire [non intervenendo, insomma, avremmo forse
rinviato anche di anni l'appuntamento col “disordine” attuale, ma
non l'avremmo evitato in maniera definitiva].</span></span></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Gli
interventi esterni, in ogni caso (dovremmo averlo imparato ormai,
spero), non portano “ordine”; uno dei più grandi errori della
politica estera occidentale in questi ultimi decenni è stato quello
di fondarsi sul presupposto che cacciare un dittatore equivale a
instaurare una democrazia. La politica (quella realmente “praticata”,
per così dire) non conosce questi automatismi, purtroppo; ad una
dittatura feroce può seguirne un'altra, talora persino più feroce.
Ciò a cui stiamo assistendo in questi ultimi tempi, poi, è il
costituirsi di dittature senza Stato, senza un territorio ben
definito; Stati implosi vengono attraversati da conflitti che
dividono la popolazione, un tempo apparentemente unita sotto una sola
bandiera nazionale, in molteplici fronti (etnici, tribali, religiosi,
ecc.).</span></span></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">In
uno scenario di questo tipo, il dilemma “bombardare sì /
bombardare no” temo si riduca ad un gioco di società dai macabri
risvolti; si può invertire il tempo, in modo che i frantumi di un
bicchiere appena caduto in terra si sollevino e tornino, come dotati
di una segreta intelligenza, a ricostituire il bicchiere? Non nella
realtà, certo, ma solo in un film, e grazie all'artificio della
moviola o del “rewind”. E così, non c'è bomba che possa
ricostituire l'unità di una nazione andata in pezzi, non c'è bomba
che possa sostituirsi alla volontà di una popolazione.</span></span></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Qualcuno
può dunque chiedersi: ma allora che fare? Bene, se qualcuno avesse
realmente la ricetta infallibile e perfetta, non staremmo qui a
discutere... </span></span>
</div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">E'
una risposta che delude le ansie di certezza? Ma la politica non
offre certezze granitiche, bensì possibilità che vanno
faticosamente coltivate, giorno per giorno, affrontando tutti gli
imprevisti e le variabili anomale del caso.</span></span></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">La
soluzione migliore, per ogni problema, è sempre quella che lascia un
margine di manovra per tornare sui propri passi se ci si accorge di
aver imboccato la via sbagliata.</span></span></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Questo
è l'<i>avvio</i> di una risposta, ed è quanto di meglio si possa
offrire oggi...</span></span></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">C'è
chi fa affidamento sui “muscoli” delle “potenze” e delle
“superpotenze” per sentirsi rassicurato; ebbene, le vicende di
questi ultimi decenni dovrebbero averci insegnato che le
“superpotenze” non sono, né potranno mai essere, “onnipotenze”.
L'onnipotenza non appartiene ai singoli, come si sa, ma neppure agli
Stati.</span></span></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Il
forte può molte cose, ma, al pari di chiunque, fortunatamente non
può tutto.</span></span></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">In
questo momento (sul breve e medio periodo, insomma), rispetto al
problema politico poc'anzi menzionato, possiamo forse <i>ridurre</i>
l'entità dei rischi, persino metterci al riparo, ma non <i>risolvere</i>
alcunché.</span></span></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">E'
duro ammettere che l'imperativo <i>“dobbiamo fare qualcosa”</i>,
che ci fa sentire utili e attivi, nonché virtuosi o perfino
“patriottici”, quando viene messo alla prova dell'azione,
specialmente se si basa sul presupposto un po' disperato che <i>“anche
se non sappiamo bene cosa, qualcosa va comunque fatto”</i>, può
anche tradursi – in certe circostanze e su certi terreni
accidentati – più che in una clamorosa sconfitta (che almeno fa
parte delle regole del gioco “teatrale” di ogni azione), in una
imbarazzante strada senza sbocco. Imbarazzante perché ci rivela che,
con tutto il nostro agire, non siamo andati da nessuna parte, o siamo
finiti in un posto sconosciuto, incomprensibile alle nostre consuete
“mappe”, impiegando energie e tempo senza capire davvero ciò che
stavamo facendo. Un pantano silenzioso, dove non arrivano né
applausi né fischi (troppo perplessi e disorientati i distanti
spettatori e testimoni), che non è esaltante ma neppure realmente
disonorevole; è solo la beffarda-dolorosa risposta “delle cose”
alla nostra ansia del “fare per fare”.</span></span></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">E
se torniamo per un momento al ruolo che attribuiamo alle presunte
“onnipotenze terrene” (nei nostri commenti quotidiani, sul Web e
fuori), ci accorgiamo anche di un altro aspetto imbarazzante. In
questo caso il discorso si può estendere all'idea stessa di
“Occidente”. Quando diciamo “l'Occidente dovrebbe fare <i>X</i>”,
oppure “gli Usa dovrebbero fare <i>Y</i>”, il più delle volte –
e non necessariamente rendendocene conto – etichettiamo i popoli
del cosiddetto “terzo mondo” come eterni minorenni. In
particolare, quando sosteniamo e ripetiamo che <i>ogni</i> problema
politico che si determina in quelle aree del mondo è causato
(sistematicamente...) da un'azione, da una omissione, dalla “regìa”
o dallo “zampino” dell'Occidente, da un lato ricaschiamo nel
culto dell'onnipotenza terrena (delle nostre stesse istituzioni
politiche occidentali, o in alternativa americane: in sostanza,
diciamo o pensiamo che <i>tutto</i> ciò che accade nel mondo è
<i>senza eccezione alcuna</i> deciso, voluto, influenzato,
pianificato e diretto dai governi “nordatlantici”, novelli dèi
dell'Olimpo...) e dall'altro consideriamo i governi e i popoli del
resto del mondo, nella migliore delle ipotesi, come “buoni
selvaggi”, incapaci di intraprendere autonomamente strategie
politiche complesse perché “quasi bambini”, che quando agiscono
male lo fanno perché eterodiretti e succubi ingenui dei “subdoli
(ma intelligenti e maturi!) occidentali”.</span></span></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Dunque
talora quando diciamo “l'Occidente dovrebbe fare <i>X</i>”,
oppure “gli Usa dovrebbero fare <i>Y</i>”, lo facciamo non perché
riteniamo che il più ricco debba andare in soccorso del più povero
(in questo caso la motivazione sarebbe più lineare e comprensibile),
ma perché sotto sotto pensiamo che “in ultima analisi” se i
“buoni selvaggi” ci creano problemi è perché non li abbiamo
“diretti” bene. In pratica – così pensiamo quando scriviamo
certi commenti (non solo sul Web, ma talora anche su pubblicazioni più o meno autorevoli...) – loro hanno deciso quello che
noi abbiamo “fatto in modo” che decidessero, e dunque sta a noi,
da coscienziosi burattinai, correggere la loro rotta.</span></span></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Persino
quando da occidentali critichiamo le azioni dell'Occidente, insomma,
il più delle volte non possiamo fare a meno di lodare fra le righe
la potenza, la magnificenza e l'intelligenza “che pari non hanno”
delle nostre “superpotenze”, immaginarie divinità terrene. Tutto
il mondo, in sostanza, non farebbe che girare intorno a noi (oh
illusione...!).</span></span></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><b>In
conclusione</b></span></span></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Come
dicevo, molti commenti ai “fatti del giorno” non svelano granché
dei fatti stessi, ma in compenso rivelano qualcosa circa chi li
scrive o esprime.</span></span></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Se
si dà uno sguardo ad esempio a ciò che ultimamente si è detto o scritto sul
Web a proposito delle vicissitudini della Grecia, si possono
raccogliere parecchi spunti per riflettere sulle mentalità diffuse;
ma in particolare due tendenze mi paiono qui degne di nota: la
tendenza ad attribuire “colpe” a interi popoli (vecchia, ma a
quanto pare sempre rinnovata), i quali poi – come un “sol uomo”
(che di fatto non sono) – le dovrebbero “espiare” senza neppure
fiatare, e quella di schierarsi numerosi coi più forti, adducendo
motivazioni “tecniche” che spiegherebbero che – per carità –
non perché forti i forti devono prevalere, ma perché... hanno
ragione integralmente, hanno ragione su tutta la linea, e sempre e in
ogni circostanza l'avranno, qualsiasi cosa essi faranno (anch'essa
vecchissima). </span></span>
</div>
<br />
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Auspici
per il prossimo futuro? Che il Web, mezzo nuovissimo, sia capace di
rinnovare le attitudini e le abitudini mentali, anziché moltiplicare
senza gran costrutto l'eco di quelle vecchie e stagionate. Almeno per
cambiar musica...</span></span></div>
ivaneuscarhttp://www.blogger.com/profile/13381655735594702472noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-215434595625178180.post-32631997005141686932013-12-12T00:53:00.000+01:002013-12-12T01:03:23.028+01:00La "sedia vuota" della politica... e la "prova d'orchestra" degli scontenti<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">In
questo post partirò dalla descrizione di impressioni, con tutti i
limiti che una descrizione del genere può avere (la necessità di
approfondire i dati, ecc.); a mio avviso si tratta però di
impressioni significative.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Dirò
quindi che l'impressione più forte che si ricava in questo periodo
dalle notizie della cronaca politica è quella di una <i>sedia vuota</i>.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Sì,
direte voi, “loro” stanno lì, occupano “le poltrone”,
prendono stipendi, ecc.; eppure – ribadisco – la <i>sedia della
politica</i>, il suo posto simbolico nella nostra società, è <i>vuota</i>.
Non fermatevi alle apparenze.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"></span></div>
<a name='more'></a><br />
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Qual
è lo spettacolo al quale si assiste in certe interviste televisive
in presa diretta agli “esponenti politici medi”?</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Incalzati
dai giornalisti, quando ricevono domande scomode, fuggono dando la
schiena alle telecamere. La fuga sembra anzi essere diventata l'unico
loro rifugio, l'unico rimedio, l'unica risposta possibile; non si
tratta nemmeno più di <i>arroganza del potere</i>,
ma di puro <i>arrembaggio</i>
sorretto dall'<i>improvvisazione</i>.
Ma l'improvvisazione – chi si interessa di musica lo sa – è una
cosa seria; nonostante ciò che il nome evoca, l'improvvisazione è
terreno per professionisti: soltanto chi davvero conosce il
linguaggio sonoro e le potenzialità degli strumenti musicali può
permettersi di <i>improvvisare</i>
senza strafare e senza incappare ad ogni pie' sospinto in penosi
strafalcioni.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">La
politica in Italia oggi questo sembra non saperlo o averlo
colpevolmente dimenticato. Anche qui parlo di un'impressione, però
persistente, e dunque non certo generata dalla fantasia: sembra un
paesaggio popolato da “improvvisatori della domenica”, e si
sente, si nota; non sembrano più in grado di barare, il loro gioco è
scoperto, ma neppure se ne preoccupano: come ultima risorsa scappano
davanti alle domande e – cosa particolarmente interessante nella
sua stravaganza, dal punto di vista socio-psicologico – scappano
<i>con alterigia</i>.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Mai
come adesso il “Re” è nudo.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Quest'anno,
dal punto di vista politico e istituzionale, in Italia sono accadute
cose senza precedenti, dopo oltre sessant'anni di vita della
Costituzione repubblicana sono stati stravolti alcuni punti fermi e
si sono introdotti precedenti che fino a pochissimo tempo fa
sarebbero stati ritenuti “fantascientifici”, improbabili: per la
prima volta un Presidente è stato confermato in carica per un
secondo settennato, per la prima volta una legge elettorale è stata
dichiarata incostituzionale...</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Si
aggiunga, per completare il quadro, il caos inaudito e sconcertante
al quale si assiste ormai da più di un anno in tema di tasse e
fisco: fino all'ultimo istante, ovvero a pochi giorni dalla scadenza,
non si sa quali tasse si dovranno pagare, come andranno calcolate, e
persino quale nome avranno.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Sono
segnali di un cambiamento traumatico, che passa tutto attraverso
questa “politica della (sprovveduta) improvvisazione”. Musicisti
che suonano senza uno “spartito” predeterminato, ma che sono
disperatamente in cerca di un foglio pentagrammato al quale
aggrapparsi e non lo trovano... O, se si preferisce (il paragone è
equivalente), attori che recitano a soggetto senza avere la <i>verve</i>
e la prontezza di spirito necessarie per farlo; e quindi arrancano,
balbettano, s'inceppano, sbagliano i tempi e la misura degli
interventi... E quando i fischi arrivano, non li accettano; quando il
vociare in sala si fa intenso e spazientito, si ritirano e volgono le
spalle al pubblico indignati.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Si
possono certamente escludere da questa analisi gli ultimi arrivati
sulla scena, ovvero essenzialmente il “M5S”; avranno altri
difetti, ma non quello di aver occupato “recitando a soggetto” la
scena del potere in questi vent'anni.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Il
sistema politico italiano in questo momento è <i>debole</i>,
<i>debolissimo</i>: ma questo
non è un bene. </span>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Tuttavia
il problema, anche se da noi è particolarmente amplificato a causa
delle nostre storiche debolezze “strutturali”, non è solo italiano, è anzi abbastanza diffuso, perlomeno nella parte del mondo che chiamiamo </span><span style="font-family: Georgia, serif;">“Occidente”</span><span style="font-family: Georgia, serif;">.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">L'autorevolezza
e la chiarezza di idee in questo momento sono una vera chimera; a
tratti sembra che – delusi e stanchi – i decisori politici ne
vogliano persino fare a meno.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Per
quanto riguarda l'Italia, comunque, il momento della svolta
(drammatica), ovvero l'inizio del vortice nel quale siamo immersi, si
può far risalire all'agosto del 2011: in quel momento, con la BCE
che bussava alle porte con la sua famosa “lettera segreta”,
chiedendoci di “pagare i conti”, i gerenti <i>pro tempore</i> del
governo italiano sono entrati in fibrillazione e poi in crisi: non si
poteva più dilazionare, “mettere una toppa”, fare qualche
“mandrakata” [cit.]; no, il tempo delle scappatoie era finito, e
il <i>bluff</i> è venuto a
galla in tutta la sua estensione. Il governo allora – questo va
ricordato, a imperitura memoria – in poche settimane fece e disfece
freneticamente la bozza di manovra finanziaria, dando letteralmente
l'impressione di non sapere “che pesci prendere” [se ne parla tra
l'altro <b><a href="http://www.slideshare.net/Quattrogatti/speciale-manovra-2011-come-sono-andati-i-fatti">qui</a> </b>e
<b><a href="http://www.cadoinpiedi.it/2011/08/31/manovra_si_cambia_ancora_governo_nel_caos.html">qui</a></b>;
altre fonti: <b><a href="http://www.repubblica.it/politica/2011/08/16/news/dibattito_manovra-20495336/">1</a></b>,
<b><a href="http://www.corriere.it/politica/11_agosto_12/bossi-tremonti-pensioni_bafc12fa-c4d0-11e0-a78d-d70af0455edb.shtml">2</a></b>].
Il Re, in quel preciso momento, era totalmente messo a nudo.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">[I
nodi venivano però da lontano, e se le responsabilità del duo
Berlusconi-Tremonti erano in quel momento evidenti, non si può
dimenticare che una quota di responsabilità c'è anche
altrove, per ciò che <i>non</i>
si è fatto – o si è fatto in maniera discutibile o inefficace –
perlomeno in tutto questo ultimo ventennio. E infatti il “Re” che
è “nudo” non è solo questo o quel governo: non rappresenta
infatti – nonostante la personalizzazione delle battaglie
politiche, che è servita in questi anni, come un sapiente
accorgimento di regìa, a “movimentare la scena” del potere –
una persona singola, ma <i>un ruolo</i>
esercitato collettivamente.]</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">I
“musicisti” hanno cominciato a cedere, fino ad allora se l'erano
cavata col repertorio da balera imparato un po' a orecchio; note
fuori posto ne avevano messe già parecchie, spesso non riuscivano ad
andare a tempo, ma il pubblico era indulgente, sembrava non farci
caso. Quando però hanno esaurito i pezzi che conoscevano, e
avrebbero dovuto riempire il vuoto dello “spettacolo” con una <i>jam
session</i> (leggasi: non c'erano più fondi da distribuire per
“comprare” la pace sociale e dovevano finalmente vedersela con un
problema serio), hanno dimostrato disastrosamente i loro limiti
tecnici: letteralmente non sapevano <i>che fare</i>.
</span>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Altri
gerenti si sono avvicendati, di colori diversi, anche misto fantasia,
ma i balbettii del potere non sono cessati (anzi...). Ogni nuovo
musicista che si presentava sul palco, anche quando aveva l'aspetto
di uno navigato, una volta finito il suo repertorio abituale,
eseguito peraltro senza infamia né lode, e spintosi quindi in
territori nuovi, immancabilmente dimostrava spaventosi limiti nella
preparazione, nella fantasia, nella creatività.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">E'
tutto il sistema che sta cedendo, non questo o quel partito soltanto:
qui è il vero problema. E “salvatori della patria” non ce ne
sono (non ce ne sono <i>mai</i> stati, questo è solo il momento
della verità): solo pochi “fideisti politici” sono disposti
ancora a dar credito a questa leggenda. Anzi, i presunti “grandi
uomini” del recentissimo passato hanno contribuito in larga misura
a quella politica della “recita a soggetto” (e delle dilazioni,
dei pressapochismi, delle “mandrakate”) i cui risultati stiamo
vivendo ora in presa diretta.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">L'assenza
di spazio politico si avverte ora tanto “in alto” che “in
basso”: anche la protesta della “società civile” rischia di
rappresentare una socializzazione caotica di <i>idiosincrasie</i>
private – quanto di meno <i>politico</i>, nel senso profondo del
termine, possa esserci.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Basta
ascoltare le voci che si sovrappongono. Uno addossa la colpa di <i>tutto</i>
ai “politici che mangiano troppo, con i rimborsi e le auto blu”,
l'altro accusa gli immigrati della “rovina in cui siamo”; un
terzo sbraita contro “interessi stranieri” dei quali siamo
succubi, ma si trova in disaccordo con un quarto che specifica il
bersaglio, indicando il “nemico” negli “americani”. Un quinto
fa segno di no e spiega che la colpa è solo ed esclusivamente
“dell'Europa” (con la variante “dell'euro” o “della
Germania”). “Macché” spiega un sesto, “dovete prendervela
con i Cinesi! Da loro deriva tutto”. “Non avete capito niente”
interviene un settimo, “sono le banche che ci derubano e ci
rovinano”. “E i sindacati, allora? Tutta colpa loro!”
puntualizza un ottavo, sicuro di sé. “E' colpa della stampa
asservita se siamo in questa situazione. I giornalisti non fanno il
loro dovere” si fa sentire un altro. </span>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">E
poi, e poi:</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
“<span style="font-family: Georgia, serif;">Non
potremo mai risolvere nulla se non apriamo gli occhi ribellandoci ai
poteri occulti che tramano nell'ombra”. “In questi anni siamo
vissuti al di sopra delle nostre possibilità. Volevamo troppo, e
questo ora è il risultato”. “La verità è che nessuno ha più
voglia di lavorare”. “Che dici? Sono le tasse che ci strozzano.
Togli quelle e tutto si risolve”. “Certo, si risolve tutto, ma
solo se torniamo alla lira”. “Nossignore: solo se licenziamo gli
statali”...</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Si
vuole trovare un'unica causa dei problemi, ovvero un colpevole certo
e identificabile – esattamente grazie allo stesso meccanismo
mentale che porta a cercare un unico “salvatore della patria” –
ma dato l'errore dell'analisi (che così impostata, essendo ancorata
a suggestioni soggettive, non può che farsi influenzare appunto da
personali idiosincrasie), risulta impossibile pervenire a conclusioni
condivise.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Sembra
quasi che davanti ai disegni confusi dei detentori del potere,
rinserrati in slogan che si ripetono all'infinito, si risponda con
altrettanta confusione; per riprendere il parallelo musicale, la
“piazza” sembra comportarsi come i protagonisti di <i>Prova
d'orchestra</i> di Federico Fellini. Ognuno, scendendo in strada (o
scatenandosi coi commenti sui social network), porta il proprio
strumento e lo suona in “fortissimo” senza badare però a ciò
che stanno suonando gli altri. Non ci sono né ritmo né tonalità
percepibili, in questo impasto sonoro, che sembra perciò una
sommatoria scoordinata di note, un pastone sempre uguale a se stesso.
Tutti vogliono farsi ascoltare ma trascurano di ascoltare gli altri.
E quanto più aumenta l'impossibilità di ascoltarsi reciprocamente,
tanto più rischia di aumentare la rabbia della massa di <i>inascoltati</i>.
E' un meccanismo che si autoalimenta e che non si può correggere se
non fermandosi finalmente a riflettere.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">E
si torna al punto di partenza: il vuoto della politica non si può
riempire con l'improvvisazione, per giunta bizzosa e piena di sé.
Non si può nemmeno ragionare, se non c'è tra gli interlocutori un
“minimo comune denominatore”, che un tempo il <i>lavoro politico</i>
(inteso qui come lo <i>specifico compito</i> della politica,
esercitato a vari livelli, nelle sezioni di partito, nelle
istituzioni, nei giornali, ecc.) individuava.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Ora
se la politica ufficiale è una schiena che fugge, vuol dire che
nessun “direttore” ci indicherà qual è il tempo a cui dobbiamo
attenerci per non trasformare il ritmo comune in un trambusto
informe, né ci dirà in quale tonalità suonare per creare un
abbozzo di armonia in collaborazione con gli altri “musicisti”, a
quale sezione di “strumenti” dare momentaneamente risalto, e così
via. Anche in questo caso (come per il “Re” di cui sopra), si
parla di ruolo e non di persone specifiche: il <i>direttore</i>, fuor
di metafora, non è un “Capo” (lo si è detto poc'anzi: il
“Capo”, passato il tempo degli stregoni, non ha nessuna formula
segreta per salvare la propria tribù-popolazione), ma un criterio
comune, è il riconoscimento della necessità di condividere scelte e
valori, di <i>ascoltarsi</i> mentre “si suona insieme”,
altrimenti non c'è alcun “insieme”.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Abbiamo
pensato alla <i>libertà</i> come <i>assenza di necessità</i> (della
necessità dei vincoli sociali, anzitutto) e qui ci siamo fatalmente
arenati. L'individuo opportunista, che tira sempre la coperta dalla
propria parte, ovvero pensa di potere sfruttare a proprio vantaggio
le risorse e le rendite di posizione senza mai “pagar dazio” (“le
regole esistono solo per gli altri, e le uso contro di loro: io
invece valgo sempre come <i>eccezione</i>”), è una figura sterile,
destinata a passare presto dall'illusione di onnipotenza alla
scoperta dell'impotenza (come singola <i>monade</i> apparentemente
autosufficiente).</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">In
fondo, sia i programmi sempre più sfumati e timidi dei partiti che i
“colpevoli” individuati di volta in volta dal caos molecolare
della società civile (la “prova d'orchestra” descritta sopra)
sono i sintomi di un'<i>illusione</i>: ossia si pensa che si potrà
riaggiustare il “vaso rotto” di questo modello socio-economico
(che alcuni definiscono globalizzazione, altri liberismo, ecc.) con
un po' di colla o di mastice e che tutto poi tornerà come prima (la
crescita, l'industrializzazione, l'occupazione, ecc.).</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<br />
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Non
c'è nessuna politica competente e autorevole a suggerirci visioni
nuove (<i>utopie operative</i>, possiamo definirle in estrema
sintesi), con la consapevolezza che l'attuale “modello” ha
mostrato crepe insanabili, ovvero limiti drammatici: per il momento
siamo fermi a contemplare una sedia (sostanzialmente) vuota.</span></div>
ivaneuscarhttp://www.blogger.com/profile/13381655735594702472noreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-215434595625178180.post-82692459126147505052013-11-26T18:28:00.000+01:002013-11-26T18:28:17.932+01:00Una realtà (più o meno) invisibile che ha effetti tangibili: niente di sovrannaturale, è la corruzione<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Ci
raccontano le statistiche che l'Italia ha una pessima collocazione in
graduatorie “prestigiose” che valutano il grado di corruzione
presente nei vari Paesi, e di conseguenza non gode di un'ottima
reputazione.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Anche
nell'esperienza quotidiana ci sembra di percepire disfunzioni che
collochiamo “istintivamente” nella categoria della “corruzione”;
sappiamo dunque, da varie fonti (non esclusa la nostra diretta
percezione), che esiste un problema chiamato “corruzione”. Siamo
persino portati talvolta a indignarci per la presenza di un tale
problema e ci domandiamo cosa si possa fare per risolverlo – o ci
chiediamo spazientiti come mai i governi non si decidano ad
affrontarlo a viso aperto (a parte qualche provvedimento eclatante
che – temiamo – è destinato a rimanere perlopiù inattuato, una
volta spentisi i riflettori dell'opinione pubblica).</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Eppure
forse questo fenomeno non lo conosciamo davvero. Voglio dire:
nonostante la nostra indignazione, non è detto che sapremmo
rispondere in maniera chiara se un “marziano”, ignaro di “cose
terrestri”, ci chiedesse, dopo aver ascoltato le nostre invettive:
<i>ma insomma, che cosa è la corruzione?</i></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
</div>
<a name='more'></a><br />
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Accade
per la corruzione ciò che accade anche in altri casi, per altri
fenomeni anche molto conosciuti e discussi: quel che a prima vista
sembra “semplice” e intuitivo, di fatto non si può comprendere a
fondo se non attraverso un'attenta riflessione, che “smontando”
un fenomeno complesso e portandone alla luce le sue componenti (come
si può fare col meccanismo di un orologio<i> vecchio stile</i>,
fatto di ingranaggi, molle, ecc., la cui esistenza di solito
ignoriamo, giacché “lavorano” internamente al riparo dai nostri
sguardi), ci permette di scoprirne la “meccanica”, che una volta
svelata può modificare l'idea che inizialmente ci siamo fatti del
fenomeno stesso, delle sue cause, delle sue “dinamiche”, ecc.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Innanzitutto
la corruzione si può analizzare sotto diversi profili, e non è
indifferente il punto di vista dal quale la si considera, poiché
esso ci induce a privilegiare un <i>aspetto</i>
del <i>fenomeno complessivo</i>
che chiamiamo corruzione, facendoci quasi automaticamente selezionare
alcune “risposte” o strategie piuttosto che (e a discapito di)
altre: ad esempio, possiamo analizzare la corruzione dal punto di
vista <i>giuridico</i>, e
affrontarla come una devianza da combattere, disegnando specifiche
figure di reato; oppure la possiamo analizzare sotto il profilo
<i>economico</i>, e così
facendo la classifichiamo come una distorsione dei mercati e/o del
rapporto fra autorità politiche (amministrazioni pubbliche, <i>decision
makers</i>, ecc.) e soggetti privati
(imprenditori, consumatori, ecc.) che genera diseconomie,
inefficienza, costi eccessivi per la comunità (derivanti da
tangenti, ecc.), nonché distorsioni nei meccanismi della
concorrenza; o ancora, la possiamo analizzare dal punto di vista
<i>sociale </i>e <i>sociologico</i>,
cercando di comprendere quali siano le condizioni (la “cultura
civica”, il tipo di relazioni, ecc.) che favoriscono, in un dato
sistema sociale, l'insorgere ed eventualmente il proliferare di
fenomeni corruttivi; inoltre, la corruzione si può analizzare sotto
il profilo <i>etico</i>; e
così via.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">In
ogni caso, quale che sia il punto di vista dell'analisi, non possiamo
sottrarci alla domanda “del marziano”, se vogliamo fare qualche
decisivo passo avanti nella comprensione del fenomeno. Di <i>cosa</i>
stiamo parlando, insomma, quando parliamo di corruzione?</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">La
<i>corruzione</i> è un
concetto antico, che però inizialmente assumeva un significato
prevalentemente morale, laddove nel mondo contemporaneo è un
concetto prevalentemente socio-politico, o giuridico-economico. La
forte suggestione che derivava dalla sfera etico-morale della prima
accezione storica della <i>corruzione</i>
è rimasta tuttora, anche se il termine designa ormai qualcosa di più
“tecnico”, relativo a condotte e comportamenti (definiti e
codificati, o meglio “proceduralizzati”) della sfera
pratico-politica, e non si riferisce più (necessariamente) a
processi di “disfacimento” delle virtù “originarie ed
essenziali” di una collettività.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Platone,
Aristotele o Machiavelli, nel parlare di corruzione, facevano infatti
riferimento alla “dirittura morale” delle società nel loro
complesso, e non a comportamenti individuali o di gruppo <u>[Trujillo
2002, p. 8]</u>. Oggi, che le società non si possono più
considerare sistemi retti da valori morali coerenti e indiscussi, la
corruzione viene rappresentata perlopiù come un insieme di pratiche
messe in atto da specifici soggetti in vista di determinati scopi
<u>[Trujillo 2002, p. 9]</u>.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">In
realtà, su questa base, attualmente si elaborano molteplici
definizioni della corruzione: senza entrare qui nel merito di
ciascuna [poiché non si ha la pretesa qui, nel breve spazio di un
post, di parlare in modo esaustivo degli studi intorno alla
corruzione, per i quali si rimanda alla bibliografia riportata alla
fine], si cita, a titolo di esempio, una delle più diffuse, la quale
fa riferimento al rapporto che intercorre fra <i>mandante,
mandatario</i> e <i>cliente</i>,
per sostenere che, la funzione pubblica non essendo altro che
l'esecuzione da parte di un mandatario (il funzionario) di ordini
impartitigli da un mandante (il Parlamento o i politici), si ha
corruzione laddove il mandatario vien meno alla lealtà verso il
mandante per ricavarne beneficio (privato) per sé o per un terzo (il
“cliente”) <u>[Trujillo
2002, p. 10; cfr. Becker e Stigler 1974, Banfield 1975, Rose-Ackerman
1978]</u>.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Rispetto
alla concezione antica, c'è stato, in sostanza, un mutamento di
prospettiva, che tuttavia ha conservato quanto di “apocalittico”
implica o richiama il termine “corruzione”. Esso infatti evoca la
disgregazione di un sistema: si è parlato in passato di corruzione
<i>dei costumi</i> o <i>della
civiltà</i>, ad esempio. La
corruzione in senso “tecnico”, contemporaneo, è qualcosa di più
preciso e al tempo stesso più sfuggente; si lega all'abuso di potere
e alla sottrazione di fondi pubblici per fini privati, ma il termine
stesso l'accomuna al “flagello disgregativo” che può portare
alla fine di un'intera civiltà, e non a caso probabilmente. </span>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Infatti
tipico della corruzione, su piccola come su larga scala, è la
scissione tra i valori proclamati e quelli effettivamente perseguiti,
tra le regole pubblicamente riconosciute e sottoscritte (in apparenza
anche dal corrotto) e quelle che vengono in realtà applicate e fatte
valere. In effetti la corruzione ha bisogno di doppiezza: al corrotto
per primo è necessaria, come l'aria che respira, la divaricazione
fra apparenza (proclami pubblici, regole teoricamente vigenti) e
realtà. La corruzione “sistemica” si ha quando un sistema
sociale e politico si è trasformato in un guscio vuoto, nel quale le
leggi, le garanzie dei diritti, la Costituzione stessa sono diventati
paraventi o simulacri ai quali non crede più nessuno – ma che
tuttavia si è costretti a mantenere in vita (forse per darsi un
contegno? Ipocrisia ultimo rifugio contro la disperazione?).</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">C'è chi
distingue diversi tipi di corruzione e indica nella corruzione
“sistemica” la tipologia più preoccupante – e anche la più
difficile da sanzionare ed estirpare.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Di solito
si considera la corruzione un fenomeno deleterio, che ostacola lo
sviluppo economico, mina le basi della democrazia, svuota di senso le
istituzioni e le Costituzioni, diffonde la sfiducia fra i cittadini,
incrina la morale pubblica, spreca o dirotta illecitamente le risorse
pubbliche e danneggia il Welfare, ritorcendosi a danno dei più
bisognosi.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Ma se
qualcuno pensa che questa idea della corruzione sia stata sempre
universalmente condivisa, si sbaglia. Anche sotto questo profilo, la
reazione “istintiva” che nutriamo di fronte alla corruzione non
sempre è un buon punto di partenza per comprendere altri punti di
vista, specialmente se riferiti ai cosiddetti Paesi “in via di
sviluppo”.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Qualcuno ha
infatti indicato nella corruzione addirittura un'opportunità
strategica, in alcuni Paesi non sviluppati (e persino in Paesi come
gli Stati Uniti, all'epoca in cui la grande immigrazione europea
creava masse di persone escluse dai canali istituzionali riservati ai
cittadini, le quali non avevano altro sistema per ottenere servizi
che il “favore” clientelare <u>[su questo si veda Merton 1957]</u>).
Questa corrente di pensiero è stata attiva soprattutto negli anni
'60 del XX secolo. Secondo questi autori la corruzione, in condizioni
sociopolitiche non ideali (come quelle dei Paesi “in via di
sviluppo”), pone rimedio, sia pure in maniera non ortodossa e non
legale, a carenze del sistema sociale, come pesanti distorsioni della
libera concorrenza e inefficienza della burocrazia.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Polemizzando
con studiosi considerati “moralisti” <u>[Friedrich 1963; 1972]</u>,
alcuni di questi “revisionisti” <u>[Leys 1965]</u> hanno
all'epoca sottolineato che la corruzione ha potuto, in Paesi come
l'URSS, alleviare le condizioni della popolazione, costretta dal
sistema politico-economico e dalle ferree leggi del regime a consumi
al limite della sussistenza. Altri <u>[come Bayley 1966]</u> hanno
sottolineato che a certe latitudini la corruzione contribuisce alla
stabilità e alla “governabilità” del sistema e consente di
“umanizzare” le relazioni economiche in sistemi incentrati sulle
relazioni personali e quindi non avvezzi alla macchina istituzionale
“impersonale” e razionale.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Il più
importante dei “revisionisti” è stato però forse Nye <u>[si
veda Nye 1967]</u>, per il quale, considerati “costi e benefici”
della corruzione (e pur mettendo in dubbio che i secondi superino
effettivamente i primi), in Stati inefficienti e incapaci di
raccogliere risorse e riscuotere tributi, Stati afflitti per di più
dalla scarsezza di capitali privati, la corruzione consente di
drenare risorse e creare capitali, che in quelle particolari
disperate condizioni “sistemiche” diventano preziosi per lo
sviluppo economico (in certi casi e circostanze, insomma, la corruzione sarebbe una fonte vitale di “accumulazione
originaria”). Naturalmente si tratta di una “possibilità” che
non sempre si realizza, riconosce lo stesso Nye (talora i capitali
finiscono semplicemente in comodi forzieri esteri). Inoltre, a suo
parere, la corruzione in quei Paesi favorisce l'integrazione
nazionale e riduce i conflitti interni all'élite di potere, che
altrimenti potrebbero dar luogo a guerre civili.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">C'è
chi mette in evidenza come da queste considerazioni si possano trarre
almeno due elementi condivisibili <u>[Huber 2005, p. 12]</u>: la
definizione di cosa si debba intendere per corruzione cambia nel
corso della storia, e dunque ciò che ieri sembrava pratica normale
nelle relazioni sociali, può oggi essere considerata pratica
corruttiva <u>[si veda anche Mastropaolo 2011, p. 301]</u>; inoltre,
la corruzione è un fenomeno negativo solo <i>se e finché</i> la
legislazione o l'ordinamento coi quali entra in contrasto sono
eticamente e socialmente preferibili [insomma, la corruzione che
aiuta ad alleviare l'indigenza e la fame indotte da sistemi politici
inefficienti, disumani e non democratici non è moralmente
condannabile (“corruzione di sopravvivenza” o “di resistenza”):
caso sollevato da Bayley].</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">In
ogni caso, uno dei problemi notevoli che la corruzione implica (o
accentua sino a livelli insostenibili) è la tendenza a far prevalere
le relazioni interpersonali sul merito e sulle capacità dei singoli.
Ogni volta che questa stortura si verifica, vuol dire che da qualche
parte (in qualche concorso, in qualche gara d'appalto, ecc.) qualcuno
ha fatto una partita a carte con un mazzo truccato: la posta in gioco
sono sì in primo luogo le risorse pubbliche (dilapidate dai “bari”),
ma anche il rapporto di fiducia tra cittadini e istituzioni (che ad
ogni “partita truccata” giocata s'incrina un po' di più), e di
conseguenza la credibilità di queste ultime; e infine – <i>last
but not least</i>, è il caso di dire – ciò che viene danneggiato
molto spesso da simili “partite” è l'efficienza della pubblica
amministrazione. Non sempre lo si sottolinea a dovere. </span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Per dirla in
parole povere, quando a un buon “giovane talento” viene
preferito, per qualche incarico pubblico, un “segnalato speciale”
da qualcuna delle infinite cordate del clientelismo, a rimetterci
saranno gli utenti del servizio, che dovranno vedersela con
funzionari incompetenti ma “ben protetti”. I “talenti
umiliati”, a lungo andare, emigreranno (quando non accetteranno di
svolgere lavori al di sotto delle loro capacità reali) e la
collettività s'impoverirà progressivamente in termini di saperi,
efficienza, ma anche di intraprendenza (non è irragionevole pensare
che l'eccesso di corruzione e clientelismo, o di “corruzione
clientelare”, generi prima o poi rassegnazione e “depressione
sociale”).</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Una
delle sottospecie più diffuse di queste “partite truccate”,
ovvero il <i>clientelismo</i>, fanno notare alcuni studiosi, non
coincide esattamente con la <i>corruzione</i> propriamente detta,
però è certo che i due fenomeni spesso interagiscono fra loro, si
sovrappongono e si alimentano a vicenda (l'humus socio-culturale
grazie al quale si sviluppano e prosperano è il medesimo).</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">L'incapacità
di ridurre l'influenza di questi fenomeni costituisce, in alcuni
Paesi, una “promessa non mantenuta” della democrazia, in quanto
quest'ultima non dovrebbe, stando al proprio “DNA”
politico-valoriale, tollerare il riprodursi di ingiustificate
sperequazioni fra i gruppi e i ceti sociali. Il clientelismo è in
gran parte un residuo del potere dei cosiddetti <i>notabili</i>, e
dunque si serve del potere acquisito attraverso i canali democratici
(elezioni, ecc.) per attuare una politica (se così possiamo
definirla...) non-democratica.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[Mastropaolo
2011, pp. 293-295]</u></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">La
corruzione, tuttavia, non riesce di per sé a incrinare il rapporto
di fiducia fra elettori ed eletti. Sembra esserci anzi una
discrepanza significativa fra le aspettative di moralità <i>dichiarate</i>
dai cittadini e il loro comportamento elettorale. <u>[Mastropaolo
2011, pp. 300-301]</u></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">In
sostanza i cittadini, anche in Paesi come l'Italia, sembrano
rassegnati alla corruzione dei detentori di cariche pubbliche, in
base al principio <i>“per qualcuno bisogna pur votare”</i>: la
corruzione risulta un “peccato veniale” <i>se</i> ad essa si
accompagna la “capacità di fare” (ovvero la capacità di
risolvere problemi economici e sociali e di impostare politiche: si
chiede insomma ai politici di essere davvero <i>policy makers,
</i>qualità che compenserebbe, a detta di parte dell'opinione
pubblica, qualche “vizio” o “vizietto”).</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">In
presenza di un orientamento del genere, si può avere l'impressione
che troppe persone non abbiano compreso di potersi sottrarre alla
condizione di <i>sudditi</i> per abbracciare finalmente quella di
<i>cittadini </i>(mutamento che porterebbe a capire come il potere
non sia un <i>destino</i> riservato a qualche notabile, ma una
<i>funzione</i> che in democrazia richiede un'interazione costante,
sempre attiva, vitale e vivace fra “governanti” e “governati”).</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Tuttavia
dobbiamo anche capire che si tratta di un passaggio tormentato e non
facile, condizionato dalla “paura di impegnarsi” in prima
persona, elemento da non sottovalutare, giacché sta alla base stessa
della concezione più diffusa della <i>delega</i> (che non è però
l'unica possibile), intesa dai più come quella cosa che consente di
cedere ad altri la responsabilità di assumere decisioni (che come
ogni responsabilità comporta anche rischi), in cambio della
<i>tranquillità</i> della vita privata. Forse si potrebbero
immaginare ricerche su questa “propensione alla delega”, con veri
e propri “criteri di misurazione” dell'intensità della
propensione stessa. Quanto maggiore è l'intensità di tale
propensione in soggetti o gruppi, tanto minore è probabilmente la
volontà di “monitorare” effettivamente, con una partecipazione
“attiva”, l'operato dei detentori di cariche pubbliche – e di
conseguenza, tanto minore è la reattività nei confronti dei
fenomeni di corruzione (o tanto più alta è la “benevola
tolleranza” nei suoi confronti).</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">La
cultura civica <u>[per un classico studio sulla </u><i><u>tradizione
civica</u></i><u> in Italia, si veda Putnam 1993]</u>, che forse
necessita di ulteriori analisi e approfondimenti, gioca probabilmente
un ruolo cruciale nell'atteggiamento che si ha nei confronti della
“delega” e della corruzione.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">E'
anche la sua costitutiva invisibilità a garantire alla corruzione un
margine di incertezza nella pubblica opinione, una <i>terra di
nessuno</i>, nella quale non è sempre ben chiaro quale comportamento
sia grave e quale no, quale atto corruttivo sia scusabile e quale
inaccettabile. <u>[Mastropaolo 2011, p. 301]</u></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Laddove
la luce non arriva a illuminare i contorni delle cose,
l'immaginazione è sovrana e i resoconti sono interamente affidati
all'arbitrio dei testimoni.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">L'esistenza
di una terra di nessuno, dove l'occhio della pubblica consapevolezza
non deve spingersi, sembra far comodo a tutti gli attori politici:
<span style="font-family: Georgia, serif;">«La difficoltà a definire la corruzione
conviene peraltro ai corruttori e ai corrotti, agli attori economici
e a quelli politici, ai funzionari amministrativi, spessissimo
coinvolti anch'essi, e persino a chi svolge alla luce di criteri
politici azione di denuncia – forze politiche, media, ecc. – i
quali tutti concorrono a elaborare complesse strategie di
classificazione, banalizzazione, depistaggio, riscrittura di norme e
procedure e quant'altro. Come stupirsi allora se, interrogati
specificamente sul punto, gli elettori, pur disapprovando la
corruzione, dissocino moralità e capacità di governo?</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Ovvero:
non solo gli elettori sono in disaccordo con se stessi, ma
l'intensità della critica verso le pratiche definite giuridicamente
corrotte varia sensibilmente dall'una all'altra.» <u>[Mastropaolo
2011, pp. 301-302]</u></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">La
corruzione diventa spesso un'arma della lotta politica che ciascuno
adopera esclusivamente contro la parte avversa, e viene in sostanza
<i>strumentalizzata </i>(sicché l'indignazione “moralista” è
piegata alle esigenze della propaganda di parte), in base al
principio: “vedo il corrotto nel campo avversario e non lo
giustifico a nessun costo, anzi lo segnalo affinché sia
squalificato; i corrotti presenti nel mio campo politico non li vedo,
e se anche talvolta fossero talmente evidenti da non poterli
ignorare, giustificherei le loro azioni in qualche modo, giovandomi
dei confini incerti fra illecito, indegno e indecoroso (e mirando
perciò a trovare pezze d'appoggio retoriche per tutto quel che non è
illecito oltre ogni ragionevole dubbio)”. </span>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">E'
un atteggiamento riconducibile allo “spirito di fazione” o allo
“spirito di corpo” (o anche di “corporazione”), in qualche
misura fisiologico nella vita associata. Infatti non vale solo per la
competizione politica, ma anche per il mondo delle professioni, per
le “questioni di campanile” o di condominio, eccetera. </span>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">A
volte diventa però l'unico parametro col quale si è disposti a
valutare la realtà, e qui comincia il problema.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Quando
in noi scatta il meccanismo del “ragionamento corporativo” o
“fazioso”, dovremmo cercare di bloccare i motori e fermarci a
riflettere, ripetendoci una frase come: <i>“Ecco, ci sto cascando
anch'io. Ma devo proprio farlo?”</i>.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Se
riuscissimo a fare questa sosta dei pensieri (e delle
recriminazioni), ci accorgeremmo perlomeno che il “meccanismo”
avvolge e coinvolge anche noi e ha plasmato almeno in parte le nostre
abitudini.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Non
è però soltanto la nostra <i>visione selettiva</i> dei
comportamenti scorretti altrui, e <i>in primis</i> della corruzione e
del clientelismo, a favorire in qualche modo il perpetuarsi dei
comportamenti stessi. Riprendiamo le considerazioni su accennate
sulla corruzione (e sul clientelismo) “di sopravvivenza”: quando
combattiamo o deprechiamo la corruzione, dobbiamo stare attenti a
concentrare realmente <i>su quella</i> le sanzioni e gli strali,
affinché questi non finiscano per colpire di fatto il bisogno di
sopravvivere (quando questo è effettivamente coinvolto nella
faccenda).</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><i>Se</i>
e <i>quando</i> la corruzione o il clientelismo sono un rimedio
necessario a un'ingiustizia sociale, è l'ingiustizia che dobbiamo
combattere, affinché il rimedio cessi di essere necessario. Sembra
semplice da comprendere, perfino scontato, eppure nella realtà dei
fatti il nodo viene perlopiù eluso, ignorato o mistificato. Infatti
a volte si preferisce tollerare benevolmente tali forme di corruzione
con un apparentemente comprensivo e umanitario <i>“Poverini, devono
pur campare”</i>, che – pur prendendo atto del problema e della
necessità di porvi rimedio – di fatto lascia che il rimedio
continui a essere la “via traversa”, e dunque non risolve
assolutamente nulla. Oppure, al contrario, si solleva il
sopracciglio, indignati, ignorando il <i>bisogno</i> a cui quella
pratica corruttiva risponde, e – ancor prima di conoscere fatti,
circostanze, traversie – si pronuncia una condanna morale
onnicomprensiva, che censura tanto l'atto corruttivo quanto lo stato
di bisogno che l'ha generato, considerati entrambi rami di una stessa
“cattiva pianta” (come se la <i>virtù</i> potesse sempre e in
ogni caso vantare diritti di precedenza sul <i>bisogno</i>). In
entrambi i casi, si rimane al di qua della vera questione e si
esprimono giudizi “all'ingrosso”, sia pure per moventi e motivi
differenti.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Da
parte degli studiosi si mira di solito a trovare rimedi “da
laboratorio” a un problema complesso, che può trovare soluzione
solo “sul campo”, tenendo cioè conto delle peculiarità dei
singoli Paesi e aree geografiche e culturali: come si è accennato,
forse bisogna tener presente soprattutto la cultura civica radicata
nelle singole realtà nazionali o locali per comprendere le ragioni
della diffusione e le peculiarità della corruzione in quelle aree.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Qualcuno,
partendo da un punto di vista classicamente liberale, accusa lo Stato
sociale generato dalla democrazia contemporanea e i suoi poteri
“ipertrofici” di essere la causa prima della corruzione <u>[Cubeddu
1994]</u>: secondo questa tesi, insomma, non c'è Stato
“ipertrofico-burocratico” che non sia corrotto; l'unico rimedio
consisterebbe nel ritorno a uno “Stato minimo” che rinunci a
regolare in modo invasivo la vita della collettività e dei singoli e
a gestire ingenti risorse pubbliche. Altri, invece, partendo da un
punto di vista marxista-leninista, vedono la causa della corruzione
nello “Stato borghese”, e anzi ritengono che la corruzione sia un
falso problema (enfatizzato da un'impostazione moralistica e
“perbenista”, tipica della falsa coscienza borghese), poiché il
vero, gigantesco problema è il classismo dello Stato, che genera
mostri. Sono due concezioni per qualche aspetto opposte, anche se per
entrambe il problema è <i>altrove</i>: per la prima lo Stato sociale
è la “deviazione” che genera corruzione e lo “Stato minimo”
liberale è il bene da perseguire (o almeno è il “male minimo”,
che in quanto tale riduce sensibilmente i rischi connessi
all'esercizio del potere); per la seconda lo Stato liberale è in sé
un male (anche nella sua versione più accattivante e ingannevole, lo
Stato sociale) e la corruzione tutt'al più non ne è che uno dei
sintomi. </span>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Sta
di fatto che anche nei regimi “liberali puri” e nei regimi del
cosiddetto “socialismo reale” si sono registrati (e/o si
registrano ancora) fenomeni più o meno vasti di corruzione. Non
sembra esserci dunque, a dispetto delle derive agiografiche di certe
tesi, un regime costitutivamente immune dalla corruzione “per sua
intrinseca virtù”. In poche parole, possiamo dire che la
corruzione è “trasversale” agli ordinamenti politici e si
ritrova ovunque vi sia una struttura verticale di potere.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">[Bisogna
precisare comunque che non tutti i liberali e non tutti i marxisti
sostengono certe tesi; almeno, non coloro che fanno dell'analisi dei
fatti e delle evidenze un compito prioritario rispetto a quella che
definirei l'“utopia polemica”.]</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">La
corruzione può essere interpretata secondo una prospettiva
moralistico-apocalittica, di “decadimento dei costumi” o della
“civiltà” o dei “valori universali” (ecc.), oppure secondo
una prospettiva pratico-politica, che si interroga sulle effettive
manifestazioni della corruzione (o meglio: di ciò che <i>in un dato
momento percepiamo come</i> corruzione), per risalire alle cause e
individuare rimedi, e in definitiva per circoscrivere il significato
stesso del termine <i>corruzione</i> evitando che “esondi” e si
trasformi di fatto, oltre che in una (illusoria e “non
falsificabile” [nell'accezione popperiana]) chiave di lettura delle
catastrofi epocali, in un concetto evanescente e “disincarnato” –
che può contenere tutto e niente (e a tutto e niente riferirsi e
rinviare).</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Nonostante
le apparenze, l'accezione pratico-politica del termine “corruzione”
è quella che ci consente di analizzare il fenomeno per come
effettivamente si manifesta, e farne una “fotografia” più o meno
nitida; quella moralistico-apocalittica ci consente forse di lanciare
invettive retoricamente più suggestive, facendo dell'oggetto
dell'indignazione il Male per antonomasia, ma cessati i furori
oratori e le filippiche d'occasione, non riuscendo a mettere a fuoco
il bersaglio dei suoi nobili strali, consegna prima o poi tutta la
faccenda alla fatalità della “natura umana” (o a fatalismi di
seconda mano, come “tutto il mondo è paese”, “l'occasione fa
l'uomo ladro”, “sii sincero, tu al suo posto cosa faresti”,
ecc.).</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">E
forse, prima di immaginare come estirpare per via amministrativa o
giudiziaria la corruzione (attraverso un'accurata “radiografia
giuridica” delle fattispecie di reato ad essa connesse), bisogna
comprenderne – come qualche studioso recentemente suggerisce – le
radici antropologiche <u>[Huber 2005]</u>, delle quali ben pochi si
occupano e preoccupano. In un fenomeno del genere non sono coinvolti
soltanto gli individui e le istituzioni, ma soprattutto le reti
sociali. E si può per caso sanzionare efficacemente, attraverso gli
ordinari mezzi “tecnici” del diritto o dell'economia
(disincentivi, ecc.), il reticolo di legami sociali che costituisce
un labirinto impenetrabile per chi non conosca il senso che ogni
specifica cultura, in maniere originali e non replicabili, gli
attribuisce?</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Piuttosto,
come si diceva un tempo, il lavoro da compiere – quello decisivo e
incisivo – è politico e culturale e non può essere tanto
impaziente da fermarsi a una sola generazione.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><b>E
a proposito di <i>“culture”</i> (a mo' di riflessione conclusiva)</b></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">L'obiezione
che a volte viene posta a chi critica i fenomeni di corruzione –
obiezione che si può riassumere nella formula: <i>“Perché, tu
cosa faresti?”</i> (ribadita in questa forma o in qualcuna delle sue infinite varianti, ad es., in certi commenti su vari forum del Web o su <i>social network</i>) – dimostra in fondo l'esistenza di una <i>cultura</i>
diffusa. Chi pone quella domanda retorico-provocatoria ribadisce,
nell'atto stesso di enunciarla, l'<i>adesione acritica</i> a una
particolare visione del mondo; dà per scontato, in sostanza, che si
dia <i>solo una</i> possibilità: l'accettazione dell'esistente stato
di cose. La domanda sottintende: <i>“Tu non potresti far altro che
agire nello stesso modo”</i>. E così facendo (o meglio, sostenendo
surrettiziamente), dà per dimostrato proprio ciò che in realtà
avrebbe l'onere di dimostrare. </span>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">[Succede
qualcosa di analogo a ciò che avviene nell'utilizzo retorico
dell'accusa di <b><a href="http://almancoprov.blogspot.com/2011/06/linvidia-ovvero-largomento-di-chi-non.html">invidia</a></b>: si attribuisce all'interlocutore
un'intenzione tutta da dimostrare, e che anzi l'interlocutore è
nell'impossibilità di smentire efficacemente, e si svia così
l'attenzione dell'uditorio dal tema dell'iniquità a quello, più
materiale (in senso grossolano), anche perché “epidermico” e
“mediaticamente gestibile” (attraverso i codici del <i>gossip </i>o
della denigrazione sommaria), dell'invidia.]</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Ma
dire <i>“Tu non potresti far altro che agire nello stesso modo”</i>
equivale a sostenere che esiste una sola cultura, un solo codice di
comportamento possibile, e quindi equivale ad escludere ogni
possibilità di modificare l'ordine delle cose esistente. E' il
tipico codice retorico <i>pseudo-realista</i>, che, ostentando
polemicamente l'adesione al <i>“reale stato delle cose”</i>, di
fatto sostiene che la realtà (ammesso che si possa ricondurre a
un'unica entità coerente) è unica, eterna e immutabile, e così
facendo mira, nell'atto stesso in cui mitizza “il Reale” (come
unico Bene, contrapposto al Male degli “idealismi”), a
monopolizzare il suo uso simbolico-retorico (<i>“solo io conosco </i>la
realtà<i> e posso definirla, parlarne e delimitarne i confini, in
quanto </i>realista<i>”</i>) e a riprodurre quindi all'infinito
<i>questa</i> e <i>questa sola</i> immagine della realtà.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Ma
chi può dimostrare che non c'è in assoluto altra scelta? Chi può
dire che l'interlocutore della domanda di cui sopra non agirebbe in
modo diverso, posto davanti al bivio?</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Probabilmente
la domanda in questione sottintende un altro, ancor più sottile
significato: chi la pone o la ripropone pescandola dal bagaglio delle
“frasi fatte”, vuol riservarsi la possibilità di ripetere a
proprio vantaggio il comportamento stigmatizzato dall'interlocutore:
il “fatalismo” apparente del <i>“così fan tutti”</i> serve a
crearsi un alibi.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Proprio
facendo implicitamente riferimento a un (vero o presunto) sentire
diffuso, e quindi a una cultura (o sub-cultura), quella domanda –
<i>“Perché, tu cosa faresti?”</i> ovvero <i>“Ma andiamo, in
quella situazione tu non avresti fatto la stessa cosa?”</i> –
consente a chi la pone di lasciarsi uno spiraglio per poter poi dire,
in modo implicito o esplicito (a seconda delle situazioni o dei
contesti): <i>“Io per esempio farei lo stesso”</i>. In tal modo
non si nega completamente che il comportamento criticato – la
corruzione, il clientelismo, ecc. – sia in sé un male, se ne può
perfino ammettere la gravità; <i>e tuttavia</i>, nelle circostanze
<i>reali</i> (cioè di <i>questa Realtà Unica e Immodificabile</i>,
ecc. ecc.), <i>non si può fare a meno di ripeterlo e riprodurlo</i>,
perché <i>così fan tutti</i> o <i>così si è sempre fatto</i> o
<i>tanto le cose non cambieranno mai</i>, ecc. ecc. (a piacere...).</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Questo
sdoppiamento continuo fra il <i>si dovrebbe fare X </i> e il <i>però
si fa Y</i>, con le sottili e quotidiane strategie retoriche
(peraltro collaudate da lunga abitudine) che lo sorreggono e lo
rendono in effetti possibile, dimostra – già alla superficie dei
comportamenti diffusi, prima ancora di scavare “sotto la crosta”
con raffinate ricerche – l'influenza decisiva delle (apparentemente
impalpabili e sfuggenti) <i>culture</i> e <i>mentalità </i>(spesso
tramandate attraverso le generazioni e le reti sociali) nel
riproporsi e riprodursi di certi fenomeni deleteri, che
<i>coscientemente</i> sacrificano l'etica pubblica e il senso civico,
ma anche il benessere della collettività, ecc.. Ovvero, chi pone la
domanda di cui sopra <i>sa</i> che l'etica pubblica e il senso civico
richiederebbero un altro comportamento: dunque non è una domanda che
denota ingenuità o ignoranza (di ciò che è bene): tutt'altro. Il
riferimento implicito, equivalente a una strizzata d'occhio, a un
terreno di conoscenze comune che sta dietro la domanda esplicita –
<i>“Suvvia, sappiamo bene come vanno certe cose, in realtà”</i>
– mira a ribadire la liceità (di solito, non in senso giuridico,
ma sotto forma di accettabilità sociale “informale”) e
l'inevitabilità della <i>doppiezza </i>(<i>“sì, certo, in
astratto si dovrebbe fare X, ma nella Realtà è inevitabile fare
Y”</i>), che è l'alimento primario, benché posto al riparo da
occhi “indiscreti” (o disattenti, per accidente o per
“strategia”), della corruzione nelle sue varie forme.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">E
se <i>“sappiamo come vanno certe cose”</i>, e ci scambiamo tutti
strizzatine d'occhi senza neppure accennare a una reazione diversa,
ribadiamo all'infinito che siamo tutti “amichevolmente complici”:
dunque, <i>nessun colpevole</i>. Le cose possono restare come sono, e
lo pseudo-realismo riesce ad avverare le proprie profezie. O no? Non
è così che “funziona” (si fa per dire...)?</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><u>Testi
citati</u>:</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><u>-
[Banfield 1975]: E. Banfield, <i>Corruption As Feature of
Government Organization</i>, in
<span style="font-family: Georgia, serif;">«Journal
of Law and Economics», 18, pp. 587-605.</span></u></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><u><span style="font-family: Georgia, serif;">-
[Bayley 1966]: D.H. Bayley, </span><i>The Effects of
Corruption in a Developing Nation </i>(1966),
in A.J. Heidenheimer – M. Johnston – V.T. Levine (a cura di),
<i>Political Corruption. A Handbook</i>,
Transaction Publishers, London – New Brunswick 1997.</u></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><u>-
[Becker e Stigler 1974]: G. Becker – G.J. Stigler, <i>Law
Enforcement, Malfeance and the Compensation of Enforces</i>,
in <span style="font-family: Georgia, serif;">«Journal
of Legal Studies», 3, pp. 1-19.</span></u></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><u><span style="font-family: Georgia, serif;">-
[Cubeddu 1994]: R. Cubeddu, </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>Democrazia,
liberalismo, corruzione</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">,
in «Ragion Pratica», II, n. 3, pp. 12-25.</span></u></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><u><span style="font-family: Georgia, serif;">-
[Friedrich 1963]: C.J. Friedrich, </span><i>Man and His
Government: An Empirical Theory of Politics</i>,
McGraw-Hill, New York.</u></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><u>-
[Friedrich 1972]: <span style="font-family: Georgia, serif;">C.J.
Friedrich, </span><i>The Pathology of Politics: Violence,
Betrayal, Corruption, Secrecy, and Propaganda</i>,
Harper & Row, New York.</u></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><u>-
[Huber 2005]: L. Huber, <i>Una interpretación antropológica
de la corrupción</i>, ricerca
svolta per il “Consorcio de Investigación Económica y Social”
del Perù,
http://cies.org.pe/investigaciones/otros-sectores/interpretacion-antropologica-corrupccion/en-el-peru</u></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><u><span style="font-family: Georgia, serif;">-
[Leys 1965]: C. Leys, </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>What
is the Problem About Corruption?</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">,
in «The Journal of Modern African Studies», 3, n. 2, pp. 215-230.</span></u></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><u><span style="font-family: Georgia, serif;">-
[Mastropaolo 2011]: A. Mastropaolo, </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>La
democrazia è una causa persa? Paradossi di un'invenzione imperfetta</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">,
Bollati Boringhieri, Torino.</span></u></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><u><span style="font-family: Georgia, serif;">-
[Merton 1957]: R.K. Merton, </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>Social
Theory and Social Structure</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">,
Free Press, Glencoe (Ill.) // ediz. it.: </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>Teoria
e struttura sociale</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">,
Il Mulino, Bologna 1959.</span></u></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><u><span style="font-family: Georgia, serif;">[Nye
1967]: J.S. Nye, </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>Corruption
and Political Development: A Cost-Benefit Analysis</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">,
in «American Political Science Review», 5, n. 1, pp. 417-427.</span></u></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><u><span style="font-family: Georgia, serif;">-
[Putnam 1993]: R.D. Putnam, </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>Making
Democracy Work: Civic Traditions in Modern Italy</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">,
Princeton University Press, Princeton (N.J.) // ediz. it.: </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>La
tradizione civica nelle regioni italiane</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">,
Mondadori, Milano 1993.</span></u></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><u><span style="font-family: Georgia, serif;">-
[Rose-Ackermann 1978]: S. Rose-Ackermann, </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>Corruption:
A Study On Political Economy</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">,
Academic Press, New York.</span></u></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><u><span style="font-family: Georgia, serif;">-
[Trujillo 2002]: A.M. Arjona Trujillo, </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>La
corrupción política: una revisión de la literatura</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">,
Documentos de Trabajo, 02-14, Universidad Carlos III de Madrid –
Departamento de Economía,
http://e-archivo.uc3m.es/bitstream/handle/10016/38/de021404.pdf?sequence=1
.</span></u></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><u><span style="font-family: Georgia, serif;">Nota
bibliografica finale</span></u></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Abbastanza
recente è l'interesse degli studiosi italiani in merito al tema
della corruzione. Relativamente pochi specialisti vi si sono
dedicati, ma esistono alcune pubblicazioni importanti sull'argomento,
che ormai costituiscono un punto di riferimento anche all'estero.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Senza
pretese di esaustività e di completezza, si segnalano qui di séguito
alcuni saggi pubblicati in Italia, frutto di progetti di ricerca
nostrani (si tratta prevalentemente di ricerche in àmbito
politologico; sono esclusi i saggi di carattere strettamente
giuridico, poiché – trattando di specifiche norme – non sono
direttamente connessi alle questioni discusse nel post):</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;">- Luciano
Barca e Sandro Trento (a cura di), </span><span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;"><i>L'economia
della corruzione</i></span><span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;">,
Laterza, Roma-Bari 1994.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;">- Marco
D'Alberti e Renato Finocchi (a cura di), </span><span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;"><i>Corruzione
e sistema istituzionale</i></span><span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;">,
Il Mulino, Bologna 1994.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;">- Donatella
Della Porta – Alberto Vannucci, </span><span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;"><i>Corruzione
politica e amministrazione pubblica. Risorse, meccanismi, attori</i></span><span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;">,
Il Mulino, Bologna 1994.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;">- D.
Della Porta e Yves Mény (a cura di), </span><span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;"><i>Corruzione
e democrazia. Sette Paesi a confronto</i></span><span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;">,
Liguori, Napoli 1995.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;">- Mauro
Magatti, </span><span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;"><i>Corruzione
politica e società italiana</i></span><span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;">,
Il Mulino, Bologna 1996.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;">- A.
Vannucci, </span><span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;"><i>Il mercato
della corruzione. I meccanismi dello scambio occulto in Italia</i></span><span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;">,
Società Aperta, Milano 1997 (pref. di A. Pizzorno).</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;">- Raffaella
Coppier, </span><span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;"><i>Corruzione e
crescita economica. Teorie ed evidenze di una relazione complessa</i></span><span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;">,
Carocci, Roma 2005.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;">- D.
Della Porta – A. Vannucci, </span><span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;"><i>Mani
impunite. Vecchia e nuova corruzione in Italia</i></span><span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;">,
Editori Laterza, Roma-Bari 2007.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;">- Maurizio
Bortoletti, </span><span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;"><i>Corruzione.
Le verità nascoste tra rischio oggettivo e percezione soggettiva</i></span><span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;">,
Rubbettino, Soveria Mannelli 2010.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;">- A.
Vannucci, </span><span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;"><i>Atlante della
corruzione</i></span><span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;">,
Gruppo Abele, Torino 2012.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;">- Nadia
Fiorino – Emma Galli, </span><span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;"><i>La
corruzione in Italia. Un'analisi economica</i></span><span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;">,
Il Mulino, Bologna 2013.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<br />
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;">- Luciano
Hinna – Mauro Marcantoni, </span><span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;"><i>Corruzione.
La tassa più iniqua</i></span><span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;">,
Donzelli, Roma 2013.</span></span></div>
ivaneuscarhttp://www.blogger.com/profile/13381655735594702472noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-215434595625178180.post-38738033310415628492013-10-08T18:20:00.000+02:002013-10-08T18:27:34.823+02:00Riverberi real-virtuali dell'universo-Web<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="RIGHT" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><i>A
M. e a S.</i></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Strano
universo, quello della Rete o Web.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Sono quasi
15 anni che lo frequento, ormai; si è tecnicamente rinnovato (del
resto, un universo che nella tecnica ha la propria linfa vitale non
può che mutare seguendo le innovazioni della tecnica medesima,
votata a superare continuamente se stessa, a un ritmo che accelera
costantemente); si è tecnicamente rinnovato, dunque, eppure il suo
“fondo” rimane sostanzialmente lo stesso.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Lo chiamo
<i>fondo</i> con cognizione di causa, anche perché mi viene in aiuto
la metafora del mare, che sembra di uso comune in merito al Web (si
“naviga”, no?). Infatti, poiché questo <i>mare-Web</i> è
alquanto profondo, il suo “fondo” non possiamo vederlo
ininterrottamente, anzi perlopiù rimane nascosto al nostro sguardo.
Eppure gli “esseri”, o meglio gli umori e le energie, che se ne
stanno laggiù come acquattati, all'improvviso salgono a galla e ci
colgono di sorpresa.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"></span></div>
<a name='more'></a><br />
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">E' pieno di
persone, l'universo-Rete, e come mare è molto strano, giacché
ospita una miriade di centri abitati, nei quali saltano agli occhi
soprattutto le finestre, innumerevoli, che sono costantemente aperte.
Gli interni che quelle aperture lasciano osservare sono illuminati a
giorno, però non bisogna lasciarsi ingannare da cotanto sfavillio di
luci e specchi: solo alcune stanze di solito ci è dato vedere, e
probabilmente gli abitanti delle case curano con particolare
attenzione la parte visibile della loro dimora, relegando la parte
peggiore delle loro vite nelle stanze a noi invisibili e
inaccessibili, che sono collocate proprio sul <i>fondo</i>, o nelle
cantine se si preferisce altra metafora.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Si dice che
un tempo, nel “Web primitivo”, quello abitato da selve di
<i>nickname</i>, fosse più facile tenere nascosta la parte
“impresentabile” della propria casa, ma ho l'impressione che
questa sia solo un'illusione: anche ora che gli abitanti fanno di
tutto per mostrare i loro volti, vi sono infiniti modi per tenere in
ombra ciò che non si vuol mostrare. Anzi, la “trasparenza”
apparente delle nuove case dell'universo-Rete può risultare un
ottimo specchietto per le allodole.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Comunque –
e questa è forse la cosa più caratteristica – non si vive mai
totalmente là, nell'universo-Rete, ma si è sempre sdoppiati: siamo
qui e contemporaneamente là; e nelle relazioni interpersonali che si
intrecciano sul Web, noi siamo in <i>questo</i> universo e l'altro/a,
che ci parla o al(la) quale ci rivolgiamo, invece è collocato in
<i>quello</i>, ossia nel Web (per l'altro/a è vero il contrario...).
Le <i>parole</i> che ci scambiamo nel Web tuttavia rimbalzano nel
nostro <i>consueto</i> universo quotidiano, che potremmo definire
<i>nativo</i> (giacché è in questo che indubbiamente veniamo al
mondo come esseri fisici e pensanti...), e benché formulate da
persone sconosciute (che per noi probabilmente resteranno per sempre
tali) e rivolte non a noi, ma alla nostra parte temporaneamente
consegnata all'universo-Rete, possono talvolta turbarci o addirittura
ferirci <i>qui ed ora</i>, nel nostro universo “nativo”, fino a
scatenare reazioni, fatte solitamente di altre parole “acuminate”
che lanciamo a colui/colei che per noi è realmente solo un X
abitante dell'universo-Rete (ma la nostra ferita illusoriamente ce lo
mostra come avversario fisicamente presente, nel nostro “universo
principale”).</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Nonostante
tutte le interazioni oggi consentite dall'universo-Rete (video,
audio, foto, ecc.), sono ancora le <i>parole</i> a prevalere, e
quindi le discussioni si accendono intorno a parole e frasi, spesso
rapide, laconiche, e dunque soggette a fraintendimenti. A volte,
senza rendersene conto, si supera il punto “critico”, al di là
del quale diventa difficile spegnere l'incendio “virtuale”.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Poi ci sono
anche i provocatori di professione, i “cercatori di lite”, che
sembra setaccino scientificamente l'universo-Rete a caccia di
soggetti adatti alla bisogna; lanciano l'esca e qualche sventurato
abbocca, senza comprendere che si tratta soltanto di uno spreco di
tempo e di energie, che potrebbero utilmente essere dedicati ad
altro: il provocatore (o la provocatrice) “professionista” non
vuole discutere realmente, ma solo imporsi in una sorta di
“battaglia” il cui senso a stento egli stesso(/ella stessa) è in
grado di comprendere, dunque è del tutto inutile impegnarsi in un
dialogo con lui (o lei). Non vale neppure la pena di controbattere:
le contumelie gratuite di un illustre sconosciuto sono come sputi
lanciati in aria...</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Per fortuna
tuttavia nell'universo-Rete c'è anche altro. Ci sono altre persone,
con le quali conversiamo volentieri: condividono con noi gusti,
passioni, visioni del mondo e il dialogo con loro ci gratifica e
talora ci apre persino la mente.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Qualche
volta, quando nell'universo “nativo” ci sembra di essere finiti
in una zona d'ombra, nell'universo-Rete possiamo scoprire che ci sono
compagni d'esilio.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">In realtà
poi le commistioni tra i due “universi” sono continue, sembra che
l'uno non possa fare a meno dell'altro: ad esempio, c'è una speciale
<i>casa attrezzata</i> nell'universo-Rete che consente, con un
telescopio tutto suo, di percorrere quasi metro per metro le strade
delle città più importanti dell'universo “nativo”. Ma siamo
noi, di qua, a sbirciare in quella specie di telescopio.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Fino a poco
tempo fa, in questo universo “arcaico” una strada non la potevi
percorrere se non recandotici fisicamente e calpestandone il suolo;
adesso la puoi conoscere, e rendertela familiare, anche senza
schiodarti dalla tua sedia, oppure, se già ti è nota, la puoi
rivedere senza doverti spostare.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">E' grazie a
cose come queste che si creano nuovi rifugi e nuove mete per le
nostalgie. Erano anni che non capitavi più lì, d'altra parte si
tratta di una città lontana dalla tua... La strada, col potente
telescopio virtuale dell'universo-Rete, la trovi facilmente, e puoi
rivedere molti dettagli, fino a stupirtene: puoi persino alzare la
testa, come un vero viandante, e osservare i tetti, la forma delle
finestre... poche cose ti sembrano cambiate, anzi quasi nulla.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Bastano
quelle immagini precise – che non sono semplici immagini, dato che
ti permettono di scorrazzarci dentro – e certe sensazioni sembrano
ritornare e ti investono, quasi ti travolgono; hai persino il tempo
di osservare tutto con calma, come non avevi mai fatto, ma non puoi
ritrovare quel che cerchi. Il <i>vissuto</i> infatti è fuggito via
inesorabilmente, anche se il luogo non è mutato; è la beffarda
persistenza delle cose, che ciascuno conosce e tuttavia preferisce
testardamente ignorare (beffarda in rapporto alla mobilità
convulsa e non predeterminabile delle vite). La precisione della
tecnica rende insensati i ricordi, dopo averli recuperati dal torpore
che li custodiva e li tacitava.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Tu ora sei
lì, nella strada che osservi, eppure non ci sei; e se ci fossi
fisicamente, non cambierebbe nulla: potresti toccare le cose che ora
vedi, muri, porte, case, percepire l'aria che quelle cose sfiora, ma
il pensiero che ti rimarrebbe sarebbe lo stesso (nessun luogo, per
quanto suggestivo e significativo, nella sua persistenza che ha come
corollario una “neutrale indifferenza”, conserva memoria delle
nostre esperienze private: anche i segni che possiamo lasciarvi –
come una scritta su un muro – perdono colore, intensità e senso
con l'andar del tempo). L'universo-Rete ti ha risparmiato un'inutile
fatica, ha anticipato servizievolmente le conclusioni che avresti
dovuto in ogni caso trarre.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Ecco, poi,
a parte gli sguardi che rimanda sul nostro universo, anche
nell'universo-Rete ci sono case abbandonate e disabitate, o relitti
inabissati: blog iniziati e sul più bello interrotti e non più
aggiornati, testimonianze di intenzioni naufragate per motivi ignoti
a chi osserva; qualche volta sono case con tante stanze, ancora
arredate, ma invase da un velo inesorabile di polvere che tutto
copre; in altri casi si tratta di costruzioni appena abbozzate, senza
infissi, che promettevano o speravano qualcosa che non è più
arrivato.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">O forse
tutto questo mondo in apparenza solido, ma affidato a cavi,
connessioni, satelliti, bit, server, elettricità..., ci costringe a
fare e disfare infiniti castelli di sabbia, o fragili capanne che una
tempesta chiamata <i>rinnovamento</i>
o anche <i>obsolescenza</i>
può portare via in un soffio.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Che
ne sarà delle maestose città della Rete, piene di scritti, dati e
informazioni, e di indaffarate conversazioni? Potranno davvero
sfidare la Biblioteca di Babele o seguiranno la sorte della carta che
hanno contribuito a cestinare? E se capiterà il peggio, verranno
altre Città a prendere il loro posto e a far compagnia a questo
universo nativo e arcaico, bisognoso di un doppio?</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Ma
dietro quelle “città” – ecco che apparentemente torniamo alla
partenza – ci sono le nostre “ombre elettroniche”, i nostri
“avatar”, o meglio i pezzi delle nostre vite che concediamo alla
Rete, e che grazie a questa s'incontrano, s'incastrano e s'incrociano
in maniera autonoma e imprevedibile. Qualcuna di quelle “ombre in
bit” può diventare importante non solo per la nostra “ombra”
ma perfino per <i>noi</i> come <i>persone</i>; riconosciamo la
persona che c'è dietro l'“ombra” che ci parla tramite la Rete,
ne capiamo talora i valori, il carattere, le passioni...</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">E
quando qualcuna di quelle persone, che la marea della Rete ha
condotto per via di imperscrutabili correnti sino a noi, un bel
giorno scompare, <i>quell'</i>universo si rivela definitivamente
aggrappato a questo, che ci era sembrato <i>il</i> <i>reale</i> per
antonomasia. Sono vicini di pianerottolo, invece, e ogni giorno
possono incontrarsi sullo stesso balcone, senza rendersene conto.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Ecco,
come i siti e i blog, anche le persone che, in questo molteplice
palcoscenico elettronico, ne erano gli autori e i registi, talvolta
si assentano senza preavviso, per darci appuntamento a mai, in un
luogo che nessuno potrebbe precisare. E una volta di più, noi che
troviamo i riflettori inopinatamente spenti, diamo ragione
all'intuito di <b><a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Pedro_Calder%C3%B3n_de_La_Barca">Calder<span style="font-family: Georgia, serif;">ó</span>n</a></b>, <i>la
vita è sogno</i>.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">La
vostra voce, amici, non si è spenta in noi che rimaniamo qui, ancora
increduli, a fissare il sipario chiuso; le parole che avete
pronunciato dal vostro caldo palco rimbalzano con echi inaspettati
nei nostri ricordi. E le custodiamo nitide, anche se siete stati
soltanto comprimari di un sogno, del resto tali siamo e saremo anche
noialtri; sappiate che quello nel quale ci siamo incontrati è uno di
quei sogni che non si piegano all'inesorabile oblio della veglia.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Sì,
spesso penso a voi, alle vostre parole, ai nostri dialoghi e a quelli
che non ci sono più concessi; penso a questi <i>sogni</i> che
s'incrociano di continuo per poi cedere alla loro natura e dunque
svanire.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">E' vita
anche quella che si rivela nelle sembianze del cosiddetto “mondo
virtuale”, perché quando nel suo dissolversi interrompe il flusso
di un intenso fraterno dialogo, ci impone un rimpianto che ci è tremendamente
familiare.</span></div>
ivaneuscarhttp://www.blogger.com/profile/13381655735594702472noreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-215434595625178180.post-573546148179333592013-09-07T19:11:00.001+02:002013-09-08T23:00:25.306+02:00Léo Ferré e Frank Zappa a vent'anni dalla loro scomparsa (1993-2013) ovvero: Paralleli impensati<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Per qualche
decennio la storia della musica del Novecento, o “musica
contemporanea”, è stata presentata, nei testi autorevoli dedicati
al tema, come storia di avanguardie “illuminate” che hanno
infranto le convenzioni e gli schemi del passato, e quindi è stata
riassunta in alcuni nomi noti soltanto ai cultori della materia, a
parte Stravinskij o Ravel (forse più noti al pubblico profano, ma
meno conformi al modello dell'“avanguardia dura e pura”):
Sch<span style="font-family: Georgia, serif;">ö</span>nberg, Webern, Ives,
Hindemith, Messiaen, Dallapiccola, eccetera eccetera, fino ai più
“recenti” Nono, Berio, Cage... e così via (inutile allungare
l'elenco, bastano questi esempi per far comprendere cosa intendo).</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">In tal
modo, la musica ascoltata, conosciuta e amata da gran parte del
pubblico dei “non addetti ai lavori” non aveva cittadinanza nei
testi “ufficiali” di storia della musica, quelli che sono
destinati a conservare memoria delle “gesta musicali” del nostro
tempo a beneficio delle generazioni future. </span>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"></span></div>
<a name='more'></a><br />
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Nel
frattempo – proprio mentre quei testi circolavano – qualcosa in
giro accadeva; e una cosa principalmente: sempre più musicisti di
non scarso talento si stavano dando da fare generosamente per colmare
il divario fra la musica “eletta”, votata alla ricerca e alla
“avanguardia”, e la musica “leggera” o “di consumo” (o
anche “di massa”, in quanto rivolta a un pubblico vasto e
indistinto).</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">A lungo il
fenomeno è stato ignorato dai repertori e dai luoghi autorevoli
(riviste, ecc.) che registrano gli avvenimenti memorabili della
Storia (con la “S” maiuscola) nel settore della musica; ma il
pubblico ha manifestato interesse crescente verso questo
atteggiamento nuovo di alcuni artisti, e la “goccia” un po' alla
volta è riuscita a scavare la “roccia”, convincendo finalmente i
“guardiani del Sapere” che <i>anche lì</i>,
in quella apertura “democratica” che voleva portare i frutti
della ricerca e della “rivolta” (verso i vecchi codici e
linguaggi, ecc.) al grande pubblico, bisognava cercare per trovare le
tracce del Cambiamento (con la “C” maiuscola) e dunque
dell'evolversi della Storia.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">A
ben guardare, in effetti (o a ben ascoltare...), tutto il Novecento è
attraversato da artisti che hanno cercato di avvicinare “l'uomo
della strada” (o “le masse”) al piacere della musica, senza
svilirla a meccanica ripetizione del già detto: si tratta infatti di
musicisti provvisti di una loro originalità, che però non hanno
disdegnato il contatto con il vasto pubblico, anzi l'hanno
coscientemente cercato e perciò si sono anche serviti di forme
espressive universalmente note e di successo (il tango, la “canzonetta”, ma
anche le colonne sonore cinematografiche) per elaborare un proprio
personale e valido “discorso” artistico e una propria “poetica”.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Con
tutto il rispetto per i “ricercatori arcani” e la loro maestria
(e per i loro capolavori: <i>chapeau</i>!
Ci mancherebbe altro...), e con tutto il rispetto per<b><a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Theodor_Adorno"> Th. W. Adorno</a></b> e
gli “adorniani”, a mio parere sono <i>questi</i>
autori il fenomeno più importante della musica del Novecento, forse
anzi il più caratteristico e interessante.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Faccio
qualche nome, senza pretese di completezza, soltanto per rendere più
chiaro quel che dico: Kurt Weill, che ha spaziato da Brecht a
Broadway, sempre però interessandosi alla “forma canzone”
considerata veicolo comunicativo “serio” e non più “prodotto
usa e getta”, per lo “svago degli incolti”, com'era inteso sino
al primo Novecento; George Gershwin, vero e proprio “ponte” fra
gli stilemi della musica di matrice afroamericana e le forme tipiche
della tradizione “colta” di matrice europea; autori di colonne
sonore come Morricone, Bernard Herrmann o Michel Legrand (per fare
solo tre esempi, tra loro diversi, ma ugualmente significativi);
Claude Bolling, con le sue miscele di barocco e jazz; Astor
Piazzolla, coi suoi “tanghi metafisici” (nei quali può capitare
di udire passaggi contrappuntistici e vere e proprie fughe); e così
via.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">I
due musicisti di cui voglio parlare qui, <u>Léo Ferré</u> e <u>Frank Zappa</u>,
appartengono a questa schiera, anche se sono fra loro molto diversi
per vari aspetti. Ho scelto loro due, piuttosto che altri, per un
caso singolare che li accomuna, ovvero una ricorrenza non felice:
sono morti entrambi vent'anni fa, nel 1993.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Appartenevano
però non solo a due continenti ma anche a due generazioni diverse:
il monegasco e francofono Ferré aveva 77 anni, nel '93, e una lunga
vita artistica alle spalle (basti pensare che la sua prima incisione
discografica era un vinile a 78 giri/min. e l'ultima un Cd, in
quanto il vinile era ormai in estinzione); l'italoamericano Zappa
aveva invece all'epoca soltanto 53 anni ed era nel pieno della sua
maturità artistica.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Entrambi
vengono classificati di solito come autori di canzoni, o meglio come
autori di musica leggera (ma si dice ancora così, nel 2013?) o
“extracolta” (come la definiscono i “colti”), ed erano
ambedue anche cantanti (Zappa in verità in maniera più distaccata e
“riluttante”, Ferré in modo più convinto e “professionale”)
oltre che compositori. Ma tanto L. Ferré quanto F. Zappa non
sopportavano le etichette e le barriere (fra i generi, fra i tipi e
soprattutto fra i “livelli” di musica – “alto”, o presunto
tale, e “basso” o popolare –) e hanno fatto di tutto per
metterle in crisi e dimostrarle obsolete. Nonostante l'etichetta che
la stampa e i “classificatori di artisti” hanno tentato di
imporre loro, d'altronde, né Ferré né Zappa sono stati “soltanto”
autori di <i>chansons</i> e di <i>songs –</i> che peraltro hanno
scritto egregiamente – ma musicisti completi.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Eppure
sia lo statunitense che il monegasco hanno compiuto studi musicali
irregolari e/o discontinui, sicché hanno supplito col talento e con
la forza di volontà alle lacune nella formazione specifica.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Entrambi
hanno avuto un qualche legame con l'Italia: Zappa in virtù delle
origini (siciliane) della sua famiglia per parte di padre, e Ferré
in quanto (a parte le origini italiane della madre) ha vissuto e
studiato da ragazzino per ben otto anni in un collegio cattolico di
Bordighera, e ha deciso poi di vivere i suoi ultimi vent'anni a
Castellina in Chianti, in provincia di Siena, lasciandosi alle spalle
la Francia, nella quale aveva raccolto i primi applausi e successi.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Un
altro elemento che accomuna L. Ferré e F. Zappa è l'assenza, nella
loro opera, di riferimenti mistici, religiosi o di richiami in
qualsiasi forma al “trascendente”. Anzi, entrambi hanno
polemizzato aspramente con le religioni e i loro rappresentanti.
Erano in effetti atei, anche se forse in Ferré si può trovare
traccia di una certa “spiritualità umanistica”, legata al culto
della poesia e dell'arte, mentre F. Zappa è decisamente
antiromantico e incrollabilmente dissacrante. Pur non essendo
militanti politici </span><span style="font-family: Georgia, serif;">“a tempo pieno”</span><span style="font-family: Georgia, serif;"> (giacché la musica occupava gran parte delle loro giornate), non hanno disdegnato
di interessarsi a cause sociali ritenute da loro importanti: per la
verità, L. Ferré si è “sbilanciato” un po' di più in questo
senso, dichiarandosi apertamente <i>anarchiste </i>(e
impegnandosi ad es. contro il franchismo), mentre F. Zappa,
libertario nei fatti (e tuttavia ancorato a un forte senso pratico
“all'americana”), ha sempre evitato qualsiasi “etichetta”
politica, compresa quella di anarchico.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Decisamente
differente è il ruolo che ciascuno dei due ha attribuito ai testi
utilizzati nelle canzoni. L. Ferré, lettore appassionato di poeti
come Baudelaire, Verlaine e Rimbaud (i cui testi ha anche messo in
musica, con felici risultati), riconosceva alla parola, e in
particolare alla parola poetica, la capacità di risvegliare in
chiunque il senso del bello oltre che la coscienza profonda spesso
assopita dalla banalità del quotidiano. Il connubio fra parole
(poetiche) e musica, che si realizzava nelle sue canzoni, era il
mezzo attraverso il quale, per l'autore, i traguardi più importanti
dell'arte, come i versi dei <i>Fiori del male</i>,
potevano raggiungere e conquistare anche coloro che non si erano mai
interessati alla poesia o alla musica “d'arte”.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Per
F. Zappa, invece, i testi non erano altro che “pre-testi” per il
discorso musicale, e infatti in essi abbondavano le provocazioni
goliardiche, i nonsense, gli sberleffi; tanto più che la melodia e
il ritmo zappiani tendevano a mimare con effetti caratteristici il
parlato quotidiano, unico orizzonte di riferimento testuale per
l'autore statunitense (difficile, veramente difficile immaginare
Frank Zappa intento a mettere in musica una poesia “seria”, anzi
una poesia punto e basta). Persino i titoli delle composizioni
zappiane erano assolutamente antiromantici e agli altisonanti
richiami a nobili sentimenti e struggimenti preferivano la goliardia
da tredicenne – si trattava però di una scelta deliberata, che
equivaleva a dire, tenendo a distanza i “seriosi” e gli
schizzinosi: “Meglio questo che la brodaglia retorica e melensa da
predicatori o da venditori di cioccolatini”.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Come
si è detto, entrambi i musicisti si sono impegnati, con la loro
opera, a superare le barriere che tradizionalmente separano la musica
“colta” da quella “leggera” e hanno per questo spiazzato gli
esperti e i critici musicali di professione, specialmente quelli
schierati a difesa del “sacro e inviolabile recinto” della musica
“seria”, i quali hanno considerato Ferré e Zappa (e altri come
loro) insopportabili “intrusi” in quanto “semplici” artisti
di varietà che si erano messi in testa, da “profani”, di entrare
in un tempio a loro precluso o, come Icaro, di spingersi a volare ad
altezze per loro impossibili.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Ma
a dispetto di qualsiasi critica preconcetta (basata cioè soltanto
sul principio: “Ognuno nel proprio recinto”), tanto L. Ferré
quanto F. Zappa hanno sviluppato uno stile compositivo tutt'altro che
anonimo o dozzinale: ciascuno di loro ha anzi saputo elaborare uno
stile personale, con caratteristiche proprie e per molti versi
inconfondibile, distinguendosi perciò senza alcun dubbio dai meri
“confezionatori” (più o meno talentuosi) di “musica di
consumo”.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">I
loro punti di riferimento ideali e i loro orizzonti stilistici,
tuttavia, sono stati diversi, se non addirittura opposti: Frank Zappa
come si sa è stato influenzato dall'ascolto della musica di <b><a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Edgard_Var%C3%A8se">Edgard Varèse</a></b>, che per lui è stata la “rivelazione” della vita, e si è
collocato poi nella schiera degli autori che considerano la musica
come <i>gioco</i> (<i>play</i>, dunque, prendendo alla lettera
l'espressione che usano gli anglofoni in riferimento al “far
musica”) che non esprime né ha bisogno di “significati” e
sensi collocati al di fuori di sé.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Léo
Ferré invece ha scoperto prima Ravel (la sua “rivelazione della
vita”) e poi si è accostato a una certa tradizione di matrice
ottocentesca, con Beethoven in testa. L'espressione degli stati
d'animo e l'accentuazione dei momenti di <i>pathos</i> restano
imprescindibili, per Ferré come compositore; molto meno importanti
sono per lui gli esperimenti sul linguaggio musicale e sulla
“sintassi” tonale.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Frank
Zappa si serve spesso e volentieri della tonalità, ma se ne prende
gioco – ad esempio utilizzando melodie costruite su ritmi inusuali
e funambolici o allontanando l'armonia dai suoi percorsi collaudati –
e ogni volta che può si lancia verso i territori selvaggiamente
atonali indicati dal “maestro” Varèse. Per Léo Ferré invece la
tonalità è l'unica “grammatica” possibile; egli può ammettere le
raffinatezze armoniche di Ravel, e infatti le richiama spesso, ma
oltre questo confine non intende spingersi.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Questa
diversità dei loro stili e dei loro “maestri” ideali ha fatto sì
che si determinasse una singolare e involontaria opposizione fra loro
rispetto all'opinione che avevano intorno a un celebre musicista
dell'avanguardia francese, Pierre Boulez: quest'ultimo aveva una
grande stima di Frank Zappa, e il musicista americano gli era amico
(i due hanno anche collaborato professionalmente in qualche
occasione). Léo Ferré invece vedeva in Boulez un tipico esponente
dell'accademia supponente, che si arroga il diritto esclusivo di
stabilire chi è “dentro” e chi è “fuori” del recinto
incantato della “musica autentica”. (Per avere un'idea di quel
che L. Ferré pensasse tanto di Boulez quanto, più in generale,
degli “esperti” musicali che pretendono di poter concedere o
negare a chicchessia, a loro insindacabile giudizio, il passaporto
per l'Olimpo dei Veri Musicisti, basta ascoltare la sua sarcastica e
caustica canzone <i><b>Les spécialistes</b></i>,
contenuta nell'album <i><b>“Les loubards”</b></i>,
del 1984 – per inciso, lo stesso anno nel quale Zappa e Boulez
realizzavano insieme <i><b>“The Perfect Stranger”</b></i>,<i><b>
</b></i>scandalizzando peraltro i
guardiani più severi della separatezza dei recinti “leggero” e
“serio”...).</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">In ogni caso, L. Ferré e F. Zappa
avevano in comune anche la prolificità creativa: il musicista
italoamericano ha realizzato, nel corso della sua vita, una
sessantina di album e più di 500 brani; il monegasco non gli è
stato da meno, componendo anch'egli all'incirca 500 brani e
pubblicando una cinquantina di album. E questo senza considerare la
mole di inediti che hanno lasciato...</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Si tratta poi di una produzione
variegata, che come s'è detto non comprende solo canzoni: nel
catalogo delle opere di Ferré, ad esempio, troviamo anche un paio di
opere liriche, un oratorio per soli, coro e orchestra, qualche
sinfonia, concerti, colonne sonore originali per il cinema, un
radiodramma musicale “sui generis”, pezzi per orchestra, un
balletto, ecc.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Oltre alla prolificità, i due musicisti
condividevano l'abitudine di curare scrupolosamente la realizzazione
delle loro opere in ogni aspetto, nonché l'attitudine e l'attrazione
per la direzione d'orchestra – ed era forse anche questa loro
“passione” a scandalizzare i “guardiani del serio”: come
osavano – si chiedevano questi ultimi – uno chansonnier o un
“rockettaro” impugnare la “sacra” bacchetta da direttore di
un'orchestra sinfonica?</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">La direzione dell'orchestra era in
realtà, come si è accennato, l'approdo di un percorso di attenta
cura, tipico di entrambi, nei confronti delle loro opere musicali,
che non comprendeva solo la “semplice” composizione dei brani, ma
si estendeva anche al loro arrangiamento o alla loro orchestrazione:
si comprende come i loro produttori discografici – abituati a
suddividere quello che essi considerano nient'altro che un “processo
produttivo” in diverse fasi affidate a singoli specialisti:
l'arrangiatore, il direttore d'orchestra, ecc., oltre che a
suddividere nettamente i “prodotti” per destinarli a <i>target</i>
differenziati (da un lato il pubblico della “classica”,
dall'altro il pubblico del “pop”, ecc.) – si sentissero
spiazzati da questa tendenza dei due musicisti a rivendicare il ruolo
di <i>autori totali</i> delle loro opere. </span>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Entrambi hanno infatti avuto diverse
difficoltà (e il termine è un eufemismo...) con le case
discografiche, sfociate talora in vere e proprie battaglie legali.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Se F. Zappa è però riuscito, nonostante
questi contrasti, a pubblicare fin da sùbito accanto alle
composizioni più “rock” (e perciò più “spendibili” sul
mercato e gradite ai produttori – in linea di massima, perché in
realtà anche il “rock” di Zappa è poco commerciale...) brani e
album più arditi dal punto di vista del linguaggio musicale, L.
Ferré dopo qualche iniziale spiraglio (risalente agli anni
Cinquanta) lasciatogli dai produttori per realizzare, accanto ai
dischi apparentemente più “leggeri”, incisioni che comportavano
incursioni inattese nel recinto del “serio”, ha dovuto per un
lungo periodo (sostanzialmente per un quindicennio, all'incirca dal
1957 al 1971) limitarsi a incidere canzoni, per di più rinunciando a
curarne l'arrangiamento (per non parlare della direzione
d'orchestra...). Il musicista monegasco, costretto allora dai vincoli
di un contratto con un'etichetta discografica “potente”, l'ha
considerato un periodo di “esilio creativo” (nel quale ha
comunque prodotto canzoni di ottimo livello), al cui termine ha
preteso, senza più arretrare di un millimetro, di essere autore e
artefice “totale” delle proprie composizioni, dall'ideazione alla
realizzazione.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Procedendo per strade differenti, che
probabilmente non si sono mai incrociate, questi due musicisti hanno
insomma avuto a cuore traguardi insospettabilmente affini: la
liberazione dai “codici” e dai “generi”, e dunque dalla
tirannia dell'Autorità che assegna a ciascuno una e una sola casella
da occupare e presidiare e non permette divagazioni e sconfinamenti.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Hanno forse contribuito – insieme ad
altri – a suscitare nel pubblico (quello vasto e generico, non
quello selezionato degli “addetti ai lavori”) più interrogativi,
persino maggiori esigenze; e hanno messo in crisi (in modo salutare)
le sue iniziali “certezze” sui tipi di musica “possibili”.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Per concludere e per completare questa
panoramica sulle “vite parallele” di due artisti diversissimi
eppure simili, ritengo opportuno fornire alcuni suggerimenti per
l'ascolto.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Dividendo la produzione di Zappa e Ferré,
sia pure in maniera approssimativa e inevitabilmente imprecisa, in
tre grandi filoni – canzoni (<i>chansons </i>o <i>rock songs &
ballads</i>), composizioni più complesse ed elaborate, composizioni
“di confine” (che mescolano “alto” e “basso” o creano
“generi” ibridi) –, non prendo in considerazione qui il primo
gruppo di opere (di solito le più conosciute o comunque “captate”
qua e là, in radio, al cinema, ecc.) e mi soffermo sugli ultimi due.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Per quanto riguarda <u>Frank Zappa</u>, ci si
può fare un'idea dello stile tipico delle sue composizioni più
complesse ascoltando, oltre il già citato album <i><b>“The Perfect
Stranger”</b></i> (1984), realizzato in collaborazione col
compositore francese Pierre Boulez (appartenente all'avanguardia
“colta”), anche <i><b>“Jazz From Hell”</b></i> (1986), <i><b>“The
Yellow Shark”</b></i> (1993), realizzato con l'Ensemble Modern, e
<i><b>“London Symphony Orchestra”</b></i> (ed. completa su CD,
1995).</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Un'opera “di confine”, che mescola
diversi stili e registri, al punto da non potersi incasellare in
alcun “genere” precostituito, è senz'altro l'album <i><b>“Lumpy
Gravy”</b></i> (1968), che ha avuto un séguito col postumo
<i><b>“Civilization Phase III” </b></i>(1994); ma si possono
classificare come interessanti e originali “ibridi” anche <i><b>“Burnt
Weeny Sandwich”</b></i> (1970), nonché i mastodontici e
sorprendenti <i><b>“Uncle Meat”</b></i> (1969) e <i><b>“L</b></i><span style="font-family: Georgia, serif;"><i><b>ä</b></i></span><i><b>ther”</b></i>
(completato nel 1977 ma pubblicato solo nel 1996). Una menzione in
questa categoria meritano anche alcuni esperimenti di fusione fra
rock e jazz (dagli esiti tuttavia discontinui), ovvero gli album <i><b>“Hot
Rats”</b></i> (1969), uno dei più noti di Zappa, <i><b>“Waka/Jawaka”</b></i>
(1972) e <i><b>“The Grand Wazoo”</b></i> (1972).</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Circa <u>Léo Ferré</u>, di particolare
interesse fra le sue composizioni più complesse è <i><b>“L'opéra
du pauvre”</b></i> (1983), opera lirica frutto di una lunga
elaborazione, dedicata all'esaltazione della Notte come modalità
dell'essere; notevole anche l'oratorio <i><b>“La chanson du
Mal-aimé”</b></i>, su testo di Apollinaire (composto nel 1954 e
pubblicato in ben tre edizioni diverse: 1957 [etichetta Odeon], 1972
[Barclay] e 2006 [La Mémoire et la Mer] – quest'ultima incisione
riporta la registrazione dal vivo della “prima” del '54).</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Fra le composizioni “di confine” di
Ferré si possono annoverare le canzoni da lui composte e orchestrate
per organico sinfonico, a partire dal momento della sua liberazione
dalle “catene” dell'industria discografica <i>mainstream</i>: da
allora in poi, infatti, l'autore prescinde da qualsiasi riferimento
alle mode “pop” del momento e realizza canzoni che sono veri e
propri poemi in musica, e che si collocano deliberatamente al di
fuori del “mercato” della “musica leggera”. Tra gli album che
si possono citare: <i><b>“La solitude”</b></i> (1971), <i><b>“Il
n'y a plus rien”</b></i> (1973), <i><b>“Je te donne”</b></i>
(1976), <i><b>“La violence et l'ennui”</b></i> (1980),
<i><b>“Ludwig/L'imaginaire/Le bateau ivre”</b></i> (album triplo,
1981), <i><b>“Les loubards”</b></i> (1984), <i><b>“On n'est pas
sérieux quand on a dix-sept ans”</b></i> (1986).</span></div>
ivaneuscarhttp://www.blogger.com/profile/13381655735594702472noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-215434595625178180.post-19499340148043114092013-08-28T18:17:00.001+02:002013-08-28T18:17:36.275+02:00Di alberi e di stelle. Se il nostro sguardo non sa vedere (ovvero: Per le strade / 3)<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Vediamo i
luoghi che ci sono familiari e crediamo di conoscerli, forse soltanto
perché sappiamo nominare le strade e le cose intorno a noi. Eppure
nemmeno questo è vero, il nostro sguardo non è abituato a
distinguere davvero ciò che vede e quindi sbagliamo già nel
nominare le cose.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">In quel
poco verde che compare qua e là nella città non sappiamo vedere che
<i>alberi</i>, <i>piante</i>
e <i>fiori</i>.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Pochi
di noi – di noi “cittadini” – sanno realmente andare oltre la
generalizzazione.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Per
noi – per tanti di noi – è <i>albero</i>
tanto un leccio quanto un platano, sono ugualmente e soltanto <i>alberi</i>
un'acacia e un ailanto; non sappiamo nulla della loro vita, del loro
crescere e morire, del loro bisogno d'acqua e dei frutti che dovranno
creare altre generazioni di quelle specie.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"></span></div>
<a name='more'></a><br />
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">E
anche se conosciamo qualche particolare tipo d'albero, non sempre ci
rendiamo conto delle differenze; per noi di solito conta molto più
la <i>funzione</i> che
l'<i>essenza</i>: “quello
lì è un albero, in quanto svolge la sua <i>funzione</i>,
che è quella di fare ombra, di contribuire al verde nel giardino,
alla fotosintesi, ecc.”. </span>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Vedo
quei rari alberi dei nostri giardini urbani – quasi tutti
recintati, riservati a pochi fortunati possidenti (nei nostri tempi
si pensa ancora che le vite possano essere oggetti da possedere al
pari delle “cose” inanimate, perché nel mercato non si fanno
differenze sotto questo aspetto, conta solo la brama di chi ha e di
chi può) – e quasi mai conosco il loro nome, le loro
caratteristiche distintive, ovvero la loro <i>cifra segreta</i>.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Alberi
dalle foglie sottili, alberi dalle foglie finemente disegnate, alberi
dalle foglie rosse, alberi dai tronchi bianchi ed esili, alberi dai
tronchi poderosi e scuri... Non conoscendoli davvero, do loro un
unico generico nome eppure vedo che sono esseri differenti l'uno
dall'altro.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Per
noi umani il nome è un segno decisivo: non dare un nome specifico a
una cosa e a maggior ragione a un essere vivente significa non
ritenerlo/a abbastanza importante. Magari passiamo tutti i giorni per
una strada fiancheggiata da alberi, a volte ci riposiamo alla loro
ombra, eppure non ci prendiamo la briga di <i>conoscerli</i>
davvero: non ci poniamo neppure la curiosità di sapere qualcosa di
più di loro, li releghiamo al ruolo di <i>alberi generici</i>,
messi (chissà da chi? dal comune?) lungo la strada per darci ristoro
e ossigeno; altro non dobbiamo sapere e non ci riguarda – così
riteniamo... Forse perché anche noi, nonostante tutta la nostra
baldanza di “individui-a-cui-tutto-è-dovuto”, siamo ridotti a
una funzione e da quella non sappiamo schiodarci. Andare al lavoro
(se c'è), passare dal bar, al supermercato, poi a casa, poi a
divertirsi, secondo orari precisi. </span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Tutto il resto è contorno, è
come il fondale di un palcoscenico durante una recita: è là per
fare scena, ma non va preso sul serio. E se è così, immagino che
molti preferirebbero giardini di alberi finti – e se qualche Comune
facesse sul serio una proposta simile, si sentirebbe qualche voce
entusiasta commentare: “Almeno quelli non sporcano...”.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">§</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Di
solito poi per noi il cielo non è molto diverso dalla terra: se
alziamo gli occhi, a malapena notiamo quei puntini luminosi chiamati
“stelle”, giacché le luci della città riescono ormai a farli
scomparire – e possiamo pensare perciò che le “nostre” luci
siano infinitamente più potenti: mai illusione è stata più
ridicola...</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">E
cosa sono per noi le stelle, se non ornamenti perfettamente uguali
l'uno all'altro, che appaiono a capriccio su quella cupola
nero-bluastra per renderla meno monotona?</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">E
chi ha <i>il tempo</i> di
guardarle, anzi di cercarle, le stelle, con tante cose <i>essenziali</i>
che abbiamo da fare, quaggiù? Alzare gli occhi – in questo nostro
tempo da <i>indaffarati</i>
(veri o immaginari) che ci cattura – può servire al massimo per
osservare le nuvole e domandarci se pioverà.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Le
stelle però... C'erano prima di tutti noi, e probabilmente ci
saranno anche dopo, molto dopo, quando forse non saremo nemmeno un
ricordo (chi dovrebbe ricordarci, <i>dopo</i>?
a chi faremmo mai nostalgia, a quali specie inimmaginabili?) ma non
ci badiamo quasi per nulla – come se questo richiamo dell'immensità
nella quale siamo spersi non ci riguardasse minimamente. Già, siamo
<i>indaffarati</i>...</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">O
forse abbiamo timore di fermarci a considerare... che astri, corpi di
quella grandezza non devono nulla a noi, sprigionano energia e
continueranno a farlo anche in nostra assenza – come del resto
hanno fatto molte ere fa, persino prima che esistesse la nostra
terra.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">E
fin là d'altra parte non può arrivare la nostra brama di dominio:
alberi, fiori <i>e animali</i>
li governiamo a nostro capriccio e piacimento, persino nelle nostre
leggi li rendiamo pari a <i>cose</i>,
a <i>oggetti</i> di cui
disporre – pari a un divano, a un tavolo, a un televisore...</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Le
stelle però no, quelle ci sfuggono... simbolicamente ci deridono,
lassù. Quale denaro potrà mai accaparrarsi una stella? Chi potrà
mai dire, tronfio del suo potere: “Vedi lassù Vega? E' mia, l'ho
comprata io, mi appartiene, e guai a chi me la tocca! Anzi, ci metto
il filo spinato attorno e se qualche straccione si azzarda a entrarci
senza il mio permesso, peggio per lui!”.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Uno
che dicesse così lo compatireste per la sua follia e forse lo
affidereste alle cure di un buon medico... Eppure non farebbe che
recitare la stessa commedia che ogni giorno si mette in scena
quaggiù, negli infiniti angoli del mondo.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">E
perché allora rideremmo di lui? Forse perché mostrerebbe di
ignorare che il denaro non sarebbe nulla lassù, dove il fuoco lo
dissolverebbe insieme al suo possessore.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Non
valgono le nostre leggi, non valgono le nostre strategie, dalle parti
delle stelle... anzi se guardiamo lassù abbiamo la sensazione che le
nostre regole e certezze sociali ci ritornino addosso trasformate in
un boomerang di assurdità.</span></div>
<br />
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">E
così, alziamo gli occhi il meno possibile. Siamo troppo occupati...
a rinsaldare l'<i>assoluto</i>
delle nostre convinzioni di terrestri, provinciali sperduti nelle
galassie.</span></div>
ivaneuscarhttp://www.blogger.com/profile/13381655735594702472noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-215434595625178180.post-2869230767032063532013-08-14T00:33:00.000+02:002013-08-16T19:21:59.697+02:00Per il quarantennale di un disco senza rughe: "Sulle corde di Aries" (LP di Battiato)<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Quando si
parla di musica, di letteratura o di arte – si sa – i “valori
oggettivi” si intrecciano in maniera talora inestricabile con i
gusti personali; dunque quando ci si avventura ad affermare: “Il
musicista <i>X </i>è un <i>genio
assoluto, incommensurabile</i>”,
si rischia di sentirsi rispondere: “Sarà un genio per te, io non
lo sopporto nemmeno in fotografia e la sua musica mi dà l'allergia”.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"></span></div>
<a name='more'></a><br />
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Certo,
forse bisognerebbe evitare le affermazioni iperboliche – ed evitare
quindi di distribuire la patente di “genio” con leggerezza, sulla
spinta (talora fallace) dei propri personali entusiasmi – per
accontentarsi di dichiarazioni più sobrie, misurate, argomentate.
Ogni campo tuttavia ha il proprio specifico bagaglio di saperi,
competenze, ecc., e la musica non fa eccezione: dunque se non si è
“esperti del settore”, ma semplici “amatori” (e/o ascoltatori
un po' competenti), come me, il <i>valore oggettivo</i>
di un'opera o di un autore va “maneggiato con cura” e toccato
nell'argomentare con molta circospezione e delicatezza. E'
preferibile, in questi casi, partire con franchezza dalle proprie
predilezioni personali, per poi tentare di capire se tali
predilezioni si coniugano in maniera accettabile con un'analisi
obiettiva e se il valore soggettivamente attribuito può coincidere
almeno parzialmente con la “grandezza oggettiva” dell'opera o
dell'autore analizzati.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">E
dopo simile premessa, sono qui a parlare di un disco che ho
reiteratamente ascoltato nel corso degli anni con immutato diletto.
Il fascino che su me ha sempre esercitato mi ha spinto a chiedermi –
come spesso càpita, al cospetto di ciò che ci piace particolarmente
– quale “segreto” nasconda, ovvero quale sia la “formula”
che ha potuto produrre un così felice risultato.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Tutti
i lettori sapranno di certo che a una domanda così non può mai
seguire una risposta soddisfacente; ma sapranno altrettanto bene che
è una delle molle che ci istiga a “saperne di più” delle cose
che catturano la nostra fantasia.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Il
disco del quale parlo è <i><b>“Sulle corde di Aries”</b></i>,
di <u>Franco
Battiato</u>,
e risale al 1973, dunque esattamente a quarant'anni fa – è stata
anche questa circostanza (la “cifra tonda” del suo
“anniversario”) a suggerirmi di parlarne.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Quattro
decenni fa il panorama dell'Italia era un altro, non solo dal punto
di vista sociale e politico, ma anche – ciò che qui più ci
interessa – dal punto di vista musicale. Quelli erano anni,
infatti, nei quali stavamo uscendo gradualmente da un certo
provincialismo: se altrove le barriere tra “musica colta” e
musica “del volgo” (pop, rock, canzonette...) erano cadute già
con un certo fragore e scalpore (negli Usa già con Gershwin, in
qualche modo, e poi in maniera più dirompente con Zappa; nel Regno
Unito con il <i>progressive
rock</i>;
ecc.: e solo per citare al volo qualche esempio), in Italia chi come
Battiato tentava analogamente di farle saltare, per consegnare
davvero (per dirla con L. Ferré) la <i>musica
alle strade</i>,
rimaneva ai margini del “mercato”, considerato, più che una <i>rara
avis</i>
(qual era in effetti), un enigma umano ai limiti della
mistificazione.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Si parla di “musica sperimentale”,
quando ci si riferisce al genere di musica che Battiato negli anni
tra il 1972 e il 1979 portava nei concerti e incideva su disco; ma di
per sé è un'etichetta vaga e imprecisa: indica infatti non già un
genere musicale, bensì un'attitudine, un atteggiamento verso la
“materia sonora”. In questo senso, possono essere considerate
ugualmente “sperimentali” due composizioni diversissime tra loro,
come il <i><b><a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Pierrot_Lunaire">Pierrot Lunaire</a></b></i> di Sch<span style="font-family: Georgia, serif;">ö</span>nberg,
ad es. in virtù dell'ardita innovazione che a suo tempo apportò
nell'uso della voce, e <i><b><a href="http://it.wikipedia.org/wiki/In_C">In C</a></b></i> di Terry Riley, che a metà
degli anni Sessanta del Novecento fece della ripetizione ipnotica di
<i>pattern</i> sonori un nuovo linguaggio. Al di là della loro
“aura” sperimentale, non hanno però niente in comune tra loro, e
probabilmente qualche studioso potrebbe inorridire nel vederle
accostate.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">(E d'altronde, non era “sperimentale”,
ai suoi tempi, anche l'accostamento tra linguaggio <i>jazz</i> e
poema sinfonico, tentato con trepidazione da Gershwin in <i><b><a href="http://en.wikipedia.org/wiki/Rhapsody_in_Blue">Rhapsody in Blue</a></b></i>? E che dire di un album come <i><b><a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Switched-On_Bach">“Switched-on Bach”</a> </b></i>di W. Carlos?).</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Ciò che è vero comunque – per tornare
al tema – è che Battiato in quel periodo ha attraversato, con
grande curiosità e dedizione (e rinuncia alla fama facile), generi e
stili diversi, cogliendone di volta in volta il limite e sforzandosi
quindi di superarlo. Aveva verso la musica l'atteggiamento dello
sperimentatore, ma le forme musicali e il materiale sonoro che
maneggiava non si possono considerare “inclassificabili” in senso
assoluto – almeno, se si tiene conto di ciò che musicalmente
succedeva in quegli anni in Europa, o a Baltimora, o in California
(tanto per dire).</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Senza
voler ricostruire minuziosamente il percorso artistico di Battiato
(altri l'hanno già fatto con buoni risultati), si può notare
comunque ad esempio che i suoi primi due album “sperimentali”,
<i><b>“Fetus”</b></i>
e <i><b>“Pollution”</b></i>,
sono riconducibili alla musica elettronica e al rock d'avanguardia:
per l'Italia si trattava di novità assolute, e anche nel panorama
europeo quei dischi risultavano originali e innovatori, anche se
carichi a volte (lo riconosce il loro stesso autore) di una certa
ingenuità espressiva, figlia forse della volontà di svecchiarsi
rapidamente, che accomunava una buona parte della società italiana.
La provocazione per “stupire a tutti i costi” e suscitare
scandalo era una tentazione alla quale a quell'epoca Battiato non
riusciva a sottrarsi: lo testimoniano lo spettacolo <i>“Battiato
Pollution”</i>,
la copertina di <i><b>“Fetus”</b></i>,
la “pubblicità del divano” [se ne fa cenno ad es. in <u>A.
La Posta 2010, pp. 16-17</u>],
certe interviste che il musicista rilasciava, ecc.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Nei
concerti che Battiato iniziò a tenere nel 1973, la sperimentazione
consisteva poi essenzialmente nella pratica dell'improvvisazione:
grazie a questa, e al suo carattere di “rito liberatorio”, il
musicista a poco a poco si emancipò dagli stilemi del rock. Ma quel
genere di improvvisazione, che per semplicità (e con una certa dose
di approssimazione) possiamo definire “non jazzistica”, era forse
quasi sconosciuto a quell'epoca in Italia ma non altrove. La fusione
fra <i>happening</i>
e concerto, che La Monte Young, ad es., aveva sperimentato qualche
anno prima negli Stati Uniti, precede di certo gli <i>happening</i>
italiani di Battiato del '73-'76. Ma che ne sapeva il giovane “medio”
italiano, allora, di Fluxus, o anche di Charlemagne Palestine, e
persino di Terry Riley? Ben poco, in effetti...</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Singolare
è poi – se ci si riflette – l'accostamento che all'epoca è
stato fatto tra Battiato e Stockhausen. L'avanguardia europea che il
compositore di Colonia rappresentava autorevolmente aveva il culto
della partitura – retaggio dell'idea ottocentesca del
compositore/autore totale dell'opera sonora – e considerava con un
certo scetticismo l'improvvisazione. <i>Eppure</i>
– forse in nome della comune vocazione per il “nuovo”, e di
un'idea mistica del suono, al di là delle differenze di scuola – i
due si sono incontrati e reciprocamente stimati, tanto che Battiato,
in dischi come <i><b>“Clic”</b></i>
e come lo stesso <i><b>“Sulle
corde di Aries”</b></i>,
ha reso in una certa misura omaggio all'illustre tedesco:
l'intenzione quasi “prometeica” di Battiato d'altronde (e, sia
pure su “altre lunghezze d'onda” e attraverso altri percorsi, di
altri validi musicisti come ad es. Frank Zappa) era quella di rendere
popolare la ricerca musicale, abbattendo – almeno nello “spazio
liberato” del concerto – gli steccati che dividevano di norma i
“sapienti” e gli “incolti”. L'avanguardia non doveva più
essere appannaggio di poche “anime elette”, ma strumento e
occasione per elevarsi collettivamente, musicista e pubblico nello
stesso istante e idealmente (talvolta perfino concretamente) sullo
stesso palco. L'improvvisazione era la via più adatta per
raggiungere questo traguardo, anche perché permetteva di sviluppare
idee musicali in sintonia con gli umori e le impalpabili suggestioni
provenienti dall'uditorio.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">E
non è un caso se forse uno dei dischi più belli (non solo a mio
parere) di Battiato – e comunque fra i miei preferiti – ovvero
appunto <i><b>“Sulle
corde di Aries”</b></i>,
è nato attraverso questo procedimento: la maggior parte dei temi che
lo compongono è stata infatti precedentemente “testata” per mesi
da Battiato in concerti, nei quali le idee iniziali sono state via
via levigate, cesellate, perfezionate quasi “in tempo reale”, o
comunque in presenza degli ascoltatori e in parte grazie anche ai
loro <i>feedback</i>.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
“<span style="font-family: Georgia, serif;"><i><b>Sulle
corde di Aries”</b></i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">
è quindi in una certa misura il momento di sintesi di un'esperienza
più ampia, e forse è questo uno dei motivi del suo fascino. E' ciò
che è rimasto di una “scultura sonora” iniziale, una volta che,
pezzo dopo pezzo, concerto dopo concerto, sono state eliminate le parti rivelatesi superflue o sovrabbondanti.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Ma non è solo il procedimento creativo a
risultare decisivo: contano anche il linguaggio e le scelte
estetiche.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">In
quasi tutti i brani che compongono l'album, sembra di assistere
all'amalgama in teoria “improbabile” eppure nei fatti convincente
fra elettronica e memorie remotissime (vagamente “mediterranee”).
Il dialogo fra l'ultra-antico e l'iper-moderno, fra un passato tanto
remoto da apparirci imprecisabile e la modernità “futuribile”
per antonomasia costituita dai sintetizzatori elettronici (per
l'epoca all'avanguardia, oggi già obsoleti, per la verità...) è
costante, nel disco, e non dà mai la sensazione della forzatura o
del <i>kitsch</i>;
non c'è la volontà di “stupire a tutti i costi”, che poteva
esserci nei precedenti due album. Qui il suono non è usato come
strumento di straniamento e di provocazione, perché l'autore sembra
il primo a provare stupore e lo trasmette quasi magneticamente
all'ascoltatore – stupore di fronte alla sorprendente <i>verginità</i>
di un tessuto sonoro dal sapore <i>ancestrale</i>
e quindi al cospetto di un tesoro dimenticato da tempo nelle viscere
della terra eppure ancora scintillante.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">In
proposito è illuminante questa dichiarazione di Battiato: <span style="font-family: Georgia, serif;">«Il
sintetizzatore è stato, nella mia esperienza, uno strumento
terapeutico. Sono andato al di là dello strumento. Ho fatto dei
viaggi misteriosi e fantastici a cavallo del suono. […] Non
sperimentavo sulla musica in sé, quanto su me stesso. La ricerca
sonora fine a se stessa non mi ha mai interessato. […] mi sono
trovato ad armonizzare col sintetizzatore alla maniera greca, a
percorrere con suoni artificiali le civiltà passate. Questo è stato
veramente interessante! Per me lo strumento elettronico era una
specie di macchina del tempo, tramite la quale sondavo la mia psiche
percettiva» [</span><span style="font-family: Georgia, serif;"><u>Battiato-Pulcini
1992, p. 19</u></span><span style="font-family: Georgia, serif;">].</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">E' interessante forse scendere più in
profondità per cogliere le scelte – in termini di linguaggio
musicale – che Battiato ha compiuto nei brani più importanti
dell'album.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Il brano principale e più elaborato,
quanto a durata e struttura, ovvero <i><b>Sequenze e frequenze</b></i>,
che occupa interamente la prima facciata del <i>long playing</i>
originale, è un vero e proprio <i>set</i> di matrice improvvisativa,
sottoposto poi a montaggio in studio. In realtà, alcune parti sono
precisamente strutturate e altre affidate alla libera creazione del
momento, sempre però all'interno di parametri prefissati. </span>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">L'unica parte propriamente <i>free</i> è
quella introduttiva, nella quale suoni elettronici, strumenti a fiato
e voci di soprano, in assenza di un ritmo ben definito, compongono e
scompongono incessantemente, quasi come creature in un acquario,
armonie atonali: forse è questo <i>incipit</i> a rinviare più
direttamente alle composizioni di Stockhausen. </span>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Ma come se, stanco di fluttuare
nell'etere rarefatto e atemporale di queste dissonanti
improvvisazioni iniziali, cercasse un equilibrio più solido, il
pezzo dopo poco tempo cambia completamente aspetto e il
sintetizzatore elettronico, assumendo il ruolo di strumento-guida,
comincia a enunciare un tema che fa presto dimenticare le atmosfere
<i>free</i> atonali, in quanto si colloca con voluta indecisione </span><span style="font-family: Georgia, serif;">–</span><span style="font-family: Georgia, serif;"> almeno inizialmente </span><span style="font-family: Georgia, serif;">–</span><span style="font-family: Georgia, serif;"> fra
il RE dorico (o modo dorico sul RE) e il RE eolico – dunque in ogni
caso nell'àmbito dell'improvvisazione modale (in un secondo tempo, l'indecisione cade e il modo dorico si svela). </span>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">[<u>Nota.</u> Non è facile spiegare in
due parole, o in due righe, specialmente a chi non ha dimestichezza
con la teoria musicale, cosa sia in effetti la <i>musica modale</i> –
che rinvia al concetto di <i>modo</i> (musicale) – e in cosa si
distingua dalla <i>musica tonale</i>, che si basa sulla <i>tonalità</i>,
“grammatica sonora” per eccellenza dell'Occidente moderno; in
ogni caso, per provare a capire di cosa si tratta, si può dare
un'occhiata <b><a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Modo_musicale">qui</a></b>. Per approfondire la questione, può essere
utile invece consultare l'eccellente introduzione di L. Rognoni
all'ediz. italiana del <i>Manuale di armonia</i> di A. Sch<span style="font-family: Georgia, serif;">ö</span>nberg:
<u>Rognoni 1984, pp. XXI-XXIV</u>.]</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">E' questa scelta “modale”, per così
dire, uno degli ingredienti del sapore arcaico di alcuni brani
dell'album, come questo. Ma è anche la maniera con la quale viene
presentato e “abbigliato” questo tema che ne esalta la funzione e
l'incanto: sembra il residuo di un'antica danza o di un antico canto
rituale, spuntato come dal nulla e impadronitosi inspiegabilmente di
una fonte iper-moderna di suoni, quale il sintetizzatore, per
suggerire la persistenza del passato e delle radici apparentemente
perdute, anche sotto la “crosta” spessa del presente sazio di sé
e delle proprie confortanti certezze. E' dunque la “teatralità”
della comparsa e dell'azione di questo primo tema, oltre che il “DNA
musicale” della sua struttura, a scolpirsi come un richiamo di
altri mondi nella mente di chi ascolta.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Quando subentra la voce, il testo
accentua le suggestioni della musica, contribuendo a garantire
l'immersione nei ricordi del passato, e precisamente in un'infanzia
raccontata per brevi immagini che assomigliano a icone, quasi come se
si trattasse di un racconto collettivo, stilizzato, e non di
un'esperienza personale, individuale del “cantore”.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">In coincidenza con la linea melodica del
canto, il pezzo si fa armonicamente più mosso, spostando
continuamente il “baricentro” dall'accordo minore sul RE
all'accordo maggiore sulla stessa nota, e poi ancora dall'accordo
minore sul RE all'accordo maggiore sul DO.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Sono spostamenti minimi, tuttavia,
rispetto a quelli tipici della musica “moderna” (anche “di
consumo”): bastano comunque, nella loro strategica frugalità, a
ribadire l'estraneità del brano alla logica tonale; il DO maggiore,
appena suggerito, viene infatti sùbito “scacciato” per riportare
l'atmosfera sonora sotto il dominio del RE dorico o eolico (viene
perlopiù eluso il riferimento alla sesta, che potrebbe sciogliere il
dubbio fra le due possibilità).</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Nel corso della parte cantata, con
l'insinuarsi del <i>fa diesis</i> e dunque dell'accordo maggiore sul
RE, il baricentro del pezzo si sposta ulteriormente, e al termine del
canto si assesta definitivamente sul RE misolidio. Ed è nel quadro
di questo “modo”, anch'esso derivante dalla musica premoderna,
che si svolge di qui in poi la parte preponderante (in termini di
durata) del brano. Sono gli strumenti elettronici a farsi sentire
qui, con il supporto di qualche discreta percussione e soprattutto
della kalimba, che monopolizza l'attenzione verso la fine.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Se interpretata in termini “tonali”,
come il nostro orecchio moderno tende inavvertitamente a fare, questa
parte di <i><b>Sequenze e frequenze</b></i> sembra il frutto di
un'anomala dilatazione della <i>dominante</i> di SOL maggiore [qualche spiegazione sulla nozione musicale di <i>dominante</i> è <b><a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Dominante">qui</a></b>]</span><span style="font-family: Georgia, serif;">, che
rifiuta ostinatamente di “obbedire” all'attrazione della </span><i style="font-family: Georgia, serif;">tonica</i><span style="font-family: Georgia, serif;">
e di cederle dunque il passo.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">L'effetto che il RE misolidio produce, in
combinazione con la ritmica incalzante (affidata prevalentemente a un
<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Bordone_(musica)"><b>bordone</b></a> di sintetizzatore), è – tale l'accostamento che mi viene
sempre in mente – dionisiaco, o bacchico se si preferisce: il
dominio è ora quello dell'euforia incontenibile, che vuole abbattere
ogni limite e sopravvivere a ogni soprassalto di stanchezza, per
ridarsi continuamente nuova energia, attingendola inspiegabilmente da
se stessa. Il lungo segmento improvvisativo che conduce alla
conclusione del brano è punteggiato da fraseggi ora impazienti e
densi, ora più distesi e dilatati, del sintetizzatore: qui il
riferimento alle epoche si fa confuso, come se ci si addentrasse in
un'atmosfera onirica; non si è più sicuri di viaggiare tra scorci
del passato, ma non si è ancorati neppure nel presente, che grazie a
quell'indecifrabile “ribellione della <i>dominante</i>” (errore
interpretativo del nostro “orecchio mentale”, come si diceva)
sembra essersi dissolto – sta a noi decidere se tale assenza ci
sconcerta o ci solleva (anche solo per lo spazio di un disco...).</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Unico neo di un brano peraltro
affascinante: proprio la lunga parte conclusiva sembra talora –
forse per la sua eccessiva dimensione rispetto al resto – patire
momenti di “fiacchezza” creativa (rischio che d'altra parte
sempre si corre quando si fa musica “senza spartito” o con un
semplice canovaccio): qualche taglio in più in fase di “montaggio”
avrebbe risolto certi scompensi.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Bisogna notare anche che Battiato si era
già misurato con una struttura musicale molto simile almeno in un
altro brano, un po' più breve di <i><b>Sequenze e frequenze</b></i>:
mi riferisco a <i><b>Beta</b></i> contenuto nel precedente album,
<i><b>“Pollution”</b></i>.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Anche <i><b>Beta</b></i> comincia infatti
con un magma sonoro privo di ritmo e di un preciso riferimento tonale
o modale, realizzato unicamente attraverso suoni emessi dal
sintetizzatore “VCS3”, che con la sua intonazione imprecisa e
oscillante e il suo timbro corposo sembra apportare un tono di
irriverenza “barbarica”. Ad esso si accompagna, da un certo punto
in poi, la voce di Battiato, che esegue una sorta di recitativo.
Finito questo segmento, il clima cambia completamente: fattosi da
parte il sintetizzatore, entrano in scena un coro di voci distorte,
un pianoforte (in qualche punto rimpiazzato da una chitarra
elettrica) e la sezione ritmica, per dar vita a improvvisazioni
eseguite nel modo di LA dorico, all'interno delle quali perlopiù il
piano ha il compito di “tenere il filo” e di riportare a galla,
di quando in quando, come una reminiscenza onirica, un tema già
sentito in brani precedenti dell'album, mentre il coro “distorto”
spazia liberamente fra le diverse note del modo dorico sul LA,
avventurandosi spesso in intrecci dissonanti, tuttavia sempre
cangianti e tendenti al vago. Anche in questo caso, il riferimento
alla musica modale tende a creare nell'ascoltatore una sorta di
ideale “falla temporale”, dalla quale si affacciano a sorpresa
ere perdute, forse conservate sui “fondali” di una qualche
“memoria ancestrale”, in attesa di essere riscoperte. Non è però
solo l'impianto modale del pezzo a suscitare simili effetti e
sensazioni: un ruolo importante in ciò è svolto dal particolare
arrangiamento, nel quale il pianoforte, coi suoi interventi misurati
e perfettamente “squadrati”, rappresenta in un certo senso la
parte “razionale”, o la coscienza, e le voci, irreali e sinuose,
il territorio del sogno, dai confini fluttuanti, nel quale la
coscienza rischia ad ogni passo di smarrirsi. Un brano come <i><b>Beta</b></i>
(alla pari di gran parte dell'album che stiamo esaminando) potrebbe
in effetti rappresentare un bell'esempio di “musica onirica” –
a mio parere la più difficile da realizzare, giacché, proprio come
i sogni, non si può evocare a comando e sembra comparire qua e là,
inattesa.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Tornando a <i><b>“Sulle corde di
Aries”</b></i>, il pezzo che apre la seconda facciata del vinile,
intitolato <i><b>Aries</b></i>, ha l'aspetto di un intermezzo, perché
risulta, nella sua brevità, diverso dagli altri che compongono
l'album – ed è l'unico nel quale le improvvisazioni si spingono
verso i territori del <i>jazz</i> vero e proprio (non particolarmente
amato da Battiato, che però in rari casi, specie in questo periodo,
è disposto a fare delle eccezioni).</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><i><b>Aria
di rivoluzione</b></i>
è un brano che si presenta formato da due metà quasi speculari: la
prima, cantata e quasi interamente predeterminata dall'autore, e la
seconda affidata ai soli strumenti e consistente in improvvisazioni.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">In apparenza, a giudicare dal testo, è
una delle composizioni più “politiche” di Battiato – tenendo
anche conto che vi sono parti nelle quali una voce femminile (che è
quella di Jutta Nienhaus, vocalist degli Analogy, gruppo “prog-rock”
transnazionale di quegli anni) recita in lingua originale versi
senz'altro “impegnati” di Wolf Biermann, un poeta tedesco
(dell'ex DDR, la Germania comunista).</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Ancor
più che di rivoluzione, come il titolo promette, i testi (sia quello
cantato che quello recitato) parlano in realtà di guerra: una guerra
che inizialmente non sembra viva e presente, in quanto vissuta
attraverso i ricordi di altre generazioni; in particolare, il
musicista siciliano fa – cosa per lui inconsueta – un riferimento
autobiografico ed evoca l'immagine di suo padre, camionista in
Abissinia durante la seconda guerra mondiale. E per celebrare
ottusamente la propria autodistruzione in quella guerra, l'Europa –
fa notare l'autore – ha sostituito le proprie <i><span style="font-family: Georgia, serif;">«</span>canzoni<span style="font-family: Georgia, serif;">»</span></i>
(nelle quali è evidentemente racchiusa la voglia di esistere e di
evolversi) con angoscianti <i><span style="font-family: Georgia, serif;">«sirene
d'allarme»</span></i><span style="font-family: Georgia, serif;">.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Il
presente subentra nella seconda strofa e risulta ugualmente assorbito
dall'impulso alla guerra (</span><i><span style="font-family: Georgia, serif;">«Passa
il tempo, / sembra che non cambi niente»</span></i><span style="font-family: Georgia, serif;">
canta polemicamente Battiato), che però assume nuove forme e si
manifesta sempre più come guerra civile “sottotraccia”, anche
laddove sembrano esserci pace e benessere; la richiesta di </span><i><span style="font-family: Georgia, serif;">«nuovi
valori»</span></i><span style="font-family: Georgia, serif;">
proveniente dai giovani ha come controcanto sonoro non più le sirene
d'allarme, ma le grida di </span><i><span style="font-family: Georgia, serif;">«chi
andrà alla fucilazione»</span></i><span style="font-family: Georgia, serif;">.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Si tratta forse di un incubo, ma certo è
una delle immagini più dure utilizzate da Battiato nei testi delle
sue canzoni: risente senz'altro del clima di grande contestazione
(generazionale, ma non solo) di quegli anni e delle paure che li
attraversavano (se si guardava al di là dei confini italiani, del
resto, le “grida” dei “fucilati” e dei torturati erano una
realtà quotidiana nei cosiddetti “regimi dell'ordine”; e
qualcuno, a quell'epoca, avrebbe voluto fare in Italia “come in
Cile” o “come in Grecia” - quella del regime dei colonnelli,
beninteso, e non quella di Socrate o Platone...).</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Musicalmente anche questo brano di <i><b>“Sulle
corde di Aries”</b></i> unisce l'uso degli strumenti elettronici
con le suggestioni del passato; infatti, oltre all'impianto modale,
che troviamo anche qui, si può rilevare che la parte del canto,
riprendendo antiche tradizioni “mediterranee” (a partire dal
canto gregoriano, che però non sembra essere il modello di
riferimento principale) è perlopiù <i>melismatica</i> [si veda <b><a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Melisma">qui</a></b>
per avere qualche nozione sul cosiddetto melisma], dunque si discosta
dall'uso moderno (soprattutto in ambito <i>pop</i> e generalmente
“leggero”) che predilige il canto “sillabico”, forse perché
più concentrato sul senso del testo.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-family: Georgia, serif;">La
parte delle improvvisazioni strumentali, che funge da lunga “coda”
del pezzo, è piuttosto statica, e acquista poco risalto, anche
rispetto alle analoghe parti degli altri brani dell'album, ed è
forse per questo che nella prima ristampa antologica dei primi
quattro dischi di Battiato (ovvero nel doppio LP </span><i><b><span style="font-family: Georgia, serif;">“Feedback”</span></b></i><span style="font-family: Georgia, serif;">,
del 1976) verrà tagliata e la parte cantata di </span><b><i><span style="font-family: Georgia, serif;">Aria
di rivoluzione</span></i></b><span style="font-family: Georgia, serif;">
farà da preludio alle improvvisazioni strumentali di </span><i><b><span style="font-family: Georgia, serif;">Sequenze
e frequenze</span></b></i><span style="font-family: Georgia, serif;">.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Il brano che chiude l'album, <i><b>Da
Oriente a Occidente</b></i>, comincia con un tema accennato dal
sintetizzatore, che ci riporta agli echi ancestrali del brano
iniziale, sospeso com'è tra RE dorico e RE eolico (anche qui, per
l'omissione della sesta). La voce compare presto in scena e stavolta
il testo decisamente evoca suggestioni dell'antichità al limite del
mito: parla di un viaggio da compiere, <span style="font-family: Georgia, serif;"><i>«lontano
da queste tenebre»</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">, dove
</span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>«matura l'avvenire»</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">.
Si tratta quindi di un viaggio simbolico, che permetta una rinascita
interiore: </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>«al fuoco delle
tenebre / scelgo una nuova vita»</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">
sono infatti le parole con le quali si conclude il canto. Sùbito
dopo, torna a farsi sentire il primo tema di </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i><b>Sequenze
e frequenze</b></i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">, in modo
dorico ma stavolta sul SOL; cambiano anche gli strumenti ai quali è
affidato: non più sintetizzatori elettronici ma oboi e percussioni
“etniche”, ai quali si affiancano successivamente la mandola e un
coro che esprime vocalizzi.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">L'incontro “ad occhi aperti” col
passato è qui una suggestione ancora più forte che all'inizio
dell'album, forse anche grazie alla strumentazione apparentemente
“arcaica” (ed espressamente “mediterranea”); il tema fa da
spunto a nuove improvvisazioni, che sono particolarmente riuscite e
convincenti, senza forzature o tempi morti, e sembrano evocare danze
d'altri tempi – non agevolmente identificabili, ma genericamente
lontanissimi – o anche rituali collettivi ancestrali [si veda anche
<u>A. La Posta 2010, p. 43</u>, che in proposito parla di riti
«legati alle ricorrenze dei cicli stagionali nell'agricoltura
antica»]. La chiusura della lunga improvvisazione – e dell'album –
è affidata all'iniziativa della mandola, che fa convergere su sé
l'attenzione dell'ascoltatore e degli altri strumentisti e con pochi
fraseggi netti porta la tensione accumulata dalla musica a spegnersi
su se stessa, senza transizioni (e dunque senza le tradizionali
cadenze tonali): l'eco della danza antica (o del rito) s'interrompe
bruscamente, come un sogno, e per qualche istante, a causa di questo
“risveglio” improvviso, si ha l'impressione del vuoto, la
vertigine del silenzio, che col sottinteso della nostalgia moltiplica
il potere della musica, dandoci la certezza che torneremo a cercarla,
ad ascoltarla.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">All'epoca in cui <i><b>“Sulle corde di
Aries”</b></i> venne pubblicato, alcuni esperti della stampa
specializzata cercarono di capire di quali influenze musicali fosse
“debitore”, e fecero ad esempio i nomi di Terry Riley o dei Popol
Vuh. E' indubitabile che un album come <i><b><a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Hosianna_Mantra">“Hosianna Mantra”</a>
</b></i>(1972), dei Popol Vuh appunto, riveli all'ascolto –
nonostante l'assenza di suoni di matrice elettronica – molte
affinità con l'album di Battiato (un discorso analogo si può fare
per certe composizioni di Riley; e altri nomi si possono senz'altro
citare): come sempre, una composizione o in genere un'opera artistica
mostra inevitabilmente il suo essere figlia di un ambiente storico e
culturale preciso, la sua vicinanza a certe aspirazioni espressive,
culturali, sociali, ecc., di un determinato periodo; ma, se ha “filo
da tessere”, mostra anche qualcos'altro, che le appartiene in via
esclusiva – qualcosa che possiamo definire approssimativamente come
<i>lascito originale</i>. </span>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Deriva probabilmente dal particolare
valore di questo “lascito” la difficoltà che si incontra se si
tenta classificare o incasellare <i><b>“Sulle corde di Aries”</b></i>
in qualche genere: è musica elettronica? Sì, ma anche altro. E'
“musica etnica”? Sembra, ma non lo è propriamente. Sono “canzoni
d'autore”? Non nel senso che di solito si dà all'espressione. E'
musica d'avanguardia? Non nel senso ortodosso del termine (non c'è
il rifiuto dell'armonia o della melodia, ad es., e non ci sono
parentele strette con Cage, Stockhausen, ecc., anche se una certa
attiguità c'è)... E così via.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Forse
anche per questa sua inclassificabilità <i><b>“Sulle
corde di Aries”</b></i>
non ha quasi “eredi”, se si eccettua l'album immediatamente
successivo di Battiato (<b><i>“Clic”</i></b>,
del 1974): è un'esperienza che rimane pressoché isolata nel
panorama musicale nostrano. E anche altrove si tentano in massima
parte (salvo illuminate eccezioni) fusioni fra i generi che risultano
cerebrali, “di maniera”, in cui si sente prevalere la filologia o
la bravura dell'interprete – soprattutto nell'accumulare citazioni,
che tali restano se viste sullo sfondo dell'insieme. La “suggestione
del suono”, o il suono come veicolo di suggestione è cosa diversa
rispetto alle “fusioni” o <i>fusion</i>
dominate dalla tecnica (esecutiva, principalmente, ma adesso anche
“campionatoria”) o dalla moda. E del resto, quando la “fusione”
fra i “generi” diventa <i>essa
stessa</i>
un genere, una <i>maniera</i>,
probabilmente perde la sua carica genuina, la sua <i>forza
primigenia</i>.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Se
restiamo negli anni Settanta, qualche paragone si può fare, per un
verso, con <i><b><a href="http://classikrock.blogspot.com/2010/12/roberto-cacciapaglia-sonanze-1975.html">“Sonanze”</a></b></i>
(1975) di Roberto Cacciapaglia (che a tutt'oggi è purtroppo un <i>unicum</i>
nella produzione di questo autore) o, per un altro, con qualche
lavoro degli Aktuala e soprattutto di Lino Capra Vaccina (<i><b>“Antico
adagio”</b></i>,<b><i>
</i></b>1978),
tutte opere rimaste però all'epoca pressoché sconosciute ai più.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Lo stesso Battiato si è poi concentrato
su altri percorsi creativi, abbandonando ad esempio progressivamente
il ricorso all'improvvisazione per rivalutare il procedimento
compositivo “classico” (la scrittura “esatta” delle note sul
pentagramma, dunque la predeterminazione precisa di melodia, armonia,
ritmo, timbri, dinamiche, ecc.), e si è infine riconciliato – dopo
aver portato per un po' la sua “sperimentazione” in un alveo
accademicamente meno </span><span style="font-family: Georgia, serif;">“alieno”</span><span style="font-family: Georgia, serif;"> – con i “generi musicali” di
successo popolare. </span><span style="font-family: Georgia, serif;">Non ha perso inventiva e talento, certo,
e scrive ancora brani degni di nota; eppure in qualche modo le
intuizioni felici di </span><i style="font-family: Georgia, serif;"><b>“Sulle corde di Aries”</b></i><span style="font-family: Georgia, serif;">, che
sapevano far riecheggiare con profonda suggestione mondi perduti e
chissà come ricomparsi, si fanno rimpiangere.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><u><b>Testi
citati:</b></u></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">-
<u>[Rognoni 1984]: L. Rognoni, <i>Introduzione</i> all'ediz.
it. di A. Sch<span style="font-family: Georgia, serif;">ö</span>nberg, <i>Manuale
di armonia</i>, Il Saggiatore, Milano.</u></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">-
<u>[Battiato-Pulcini 1992]: F. Battiato, <i>Tecnica mista su
tappeto.</i> <i>Conversazioni autobiografiche con F. Pulcini</i>,
EDT, Torino.</u></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<br />
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">- <u>[A.
La Posta 2010]: A. La Posta, <i>Franco Battiato. Soprattutto il
silenzio</i>, Giunti, Firenze-Milano.</u></span></div>
ivaneuscarhttp://www.blogger.com/profile/13381655735594702472noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-215434595625178180.post-10853458947821935022013-03-31T23:44:00.001+02:002013-04-08T12:20:12.092+02:00Idee che rimbalzano per il mondo: il progetto di riforma costituzionale islandese. Un commento con suggestioni e proposte<br />
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">La
notizia della riforma costituzionale islandese ha attraversato come
una meteora il cielo della nostra informazione ed è poi scomparsa
rapidamente dietro l'orizzonte; eppure si tratta di una questione
importante.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">[Per
approfondire, leggere i documenti di séguito linkati: <b><a href="http://www.lastampa.it/Page/Id/1.0.1429044839">link I</a> </b>(su
<i>“La Stampa.it”</i>), <b><a href="http://www.treccani.it/enciclopedia/percorsi/scienze_naturali_e_matematiche/costituzione_islanda.html/">link II</a> </b>(su
<i>“Treccani.it”</i>), <b><a href="http://www.ilcambiamento.it/lontano_riflettori/islandesi_approvano_costituzione_partecipata.html">link III</a> </b>(su
<i>“Il cambiamento.it”</i>), <b><a href="http://www.imille.org/2012/12/il-crowdsourcing-della-politica-una-lezione-dallislanda/">link IV</a></b>
(su <i>“iMille.org”</i>)]</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">L'esperimento
di riforma che si è tentato nell'isola nordica non ha precedenti,
come molti commentatori hanno sottolineato, e per vari motivi.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Innanzitutto,
forse per la prima volta la rabbia popolare – una rabbia non
ciecamente devastante ma capace di esercitare raziocinio – ha
imposto lì alle istituzioni l'accettazione di un principio fino a
quel momento eluso o negato: le decisioni dei governi e dei
governanti, che producono risultati disastrosi in termini sociali ed
economici, non possono rimanere senza conseguenze sul piano delle
responsabilità personali. Chi esercita la sovranità “in nome, per
conto e per il bene del popolo” insomma non è immune da colpe per
gli atti che compie, proprio perché agisce in nome della
collettività e se la danneggia deve render conto (anche in sede
giurisdizionale, se necessario) del danno causatole.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"></span></span></div>
<a name='more'></a><br />
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Inoltre,
per la prima volta, grazie a una procedura articolata – forse
ancora imperfetta, come qualcuno ha notato, ma certamente
perfettibile – che prevede in più modi, momenti e livelli
l'intervento diretto dei cittadini, questi ultimi hanno potuto
esprimere in prima persona le loro istanze e farle pesare
nell'elaborazione del progetto di riforma costituzionale.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Il
progetto ha superato brillantemente anche l'“esame” referendario
(uno dei passaggi previsti dalla procedura cui si accennava),
nell'ottobre scorso, e attende ora soltanto di essere discusso in
Parlamento.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Non so quanti l'abbiano letto attentamente in Italia – non credo in
molti, a giudicare dagli scarsi o scarni approfondimenti (salvo
lodevoli eccezioni) che si sono potuti leggere sui giornali e sul
Web.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Personalmente
ritengo che il progetto costituzionale islandese vada letto e
conosciuto anche da noi, specialmente in un momento nel quale si
spera nel “cambiamento” e nella trasformazione in senso
(maggiormente) partecipativo della nostra democrazia
(prevalentemente) rappresentativa – ed anche nel rafforzamento dei
diritti fondamentali delle persone, nonché del controllo sugli atti
dei pubblici poteri.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Mi
accingo quindi, per dare un piccolo contributo alla conoscenza di
questo documento, a evidenziarne alcuni articoli, che appaiono
innovativi non soltanto alla luce della storia istituzionale e
costituzionale dell'Islanda e dei Paesi scandinavi in genere, ma
soprattutto rispetto al dibattito politico delle nostre latitudini.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">[Il
testo completo del progetto di Costituzione dell'Islanda, in lingua
inglese, è reperibile <b><a href="http://stjornlagarad.is/english/">qui</a></b>; una traduzione in italiano –
della quale mi sono avvalso, con qualche modifica, per le citazioni
del testo – è reperibile invece <b><a href="http://www.domir.it/files/traduzione_Costituzione_islandese.pdf">qui</a></b>]</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Tralascerò,
per ovvi motivi, gli articoli del progetto costituzionale islandese
che contengono princìpi ormai universalmente accettati e recepiti,
con varianti di scarsa rilevanza, nelle Costituzioni di tutti i Paesi
democratici, a cominciare dall'Italia, e concentrerò invece la mia
attenzione sugli articoli che introducono novità significative o che
propongono emendamenti degni di nota ai princìpi costituzionali
classici delle democrazie.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: center;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><b>1.
Una sintetica analisi dei princìpi rilevanti del progetto di
Costituzione islandese</b></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Orbene,
per cominciare, nell'art. 6 del progetto di riforma costituzionale in
esame, che reca come titolo </span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>“Uguaglianza”</i></span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">,
si stabilisce non solo che tutti sono uguali davanti alla legge
(principio classico del liberalismo), ma anche che tutti </span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>«</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>godono
dei diritti umani senza alcuna discriminazione riguardante il sesso,
l’età, il genotipo, l’origine geografica o economica, la
disabilità, l’orientamento sessuale, la razza, il colore, le
opinioni politiche, le frequentazioni, la religione, la lingua o
condizioni di censo, nascita o altro</i></span></span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>»</i></span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">L'elenco
è ampio e particolareggiato, forse per non dare adito a inopinate
esclusioni: il principio di uguaglianza – dichiara in sostanza
questa norma – mira a decretare l'illegittimità sul piano
costituzionale di </span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>qualsiasi</i></span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">
tipo di discriminazione fra esseri umani, </span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>nessuno escluso</i></span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">,
a prescindere da qualsiasi giustificazione storica, tradizionale,
religiosa, settaria, ideologica, ecc., che possa essere addotta per
sostenere la giustezza dell'esclusione di questo o quel gruppo
sociale, etnico, religioso, ecc., dal godimento dei diritti sanciti
dalla Costituzione stessa. E a corollario di un'affermazione così
limpida e chiara, l'articolo specifica anche che </span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>«Uomini
e donne godono degli stessi diritti sotto ogni aspetto»</i></span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">,
negando quindi categoricamente e in radice la legittimità di
qualsiasi differenziazione fra i sessi in fatto di godimento di
diritti.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">L'art.
8, apparentemente lapidario, è in realtà importante, perché
sancisce che a tutti (intesi secondo le specificazioni dell'art. 6,
ovvero nel senso di “tutti senza escludere nessuno per la sua
etnia, le sue opinioni, il suo orientamento affettivo, ecc.”)
dev'essere garantita </span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>non</i></span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">
una vita purchessia, bensì una </span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>vita
dignitosa</i></span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">.
Inoltre l'articolo dice che </span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>«</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>La
diversità della vita umana è rispettata</i></span></span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>»</i></span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">.
Numerose importanti implicazioni può avere questa affermazione; ad
esempio, significa tra l'altro che lo Stato riconosce che la vita
umana non è riconducibile né riducibile a un unico modello astratto
presuntivamente “buono”; la diversità delle opinioni, degli
stili di vita, delle scelte individuali, dei gusti, degli
orientamenti, ecc. – una diversità </span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>costitutiva</i></span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">
delle comunità umane, che non si può ridurre a unità se non con un
atto di arbitrio antidemocratico – è un dato che il legislatore e
la società devono accettare e limitarsi a registrare, senza
pretendere di alterarlo o, men che meno, sopprimerlo, magari in nome
della discutibile imposizione di un unico </span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>panel</i></span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">
di valori ritenuto (arbitrariamente sino a prova contraria) l'unico
accettabile moralmente o socialmente.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">L'art.
9 stabilisce che è dovere delle autorità proteggere </span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>sempre</i></span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">
(quindi </span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>senza
alcuna eccezione</i></span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">)
i cittadini dalla violazione dei loro diritti fondamentali, anche
qualora tale violazione sia compiuta da pubblici poteri.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">L'art.
10 (che reca come titolo </span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>“Rispetto
della dignità personale”</i></span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">)
recita: </span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>«</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>A
tutti sono garantite le libertà fondamentali e la protezione contro
ogni forma di violenza e di abuso all'interno come all’esterno
delle mura domestiche</i></span></span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>»</i></span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">.
La lotta contro la violenza – anche e soprattutto quella che si
scatena talora nei rapporti interindividuali, familiari e di coppia –
assume quindi il rango di principio costituzionale, dal quale il
legislatore e gli operatori della sicurezza pubblica non possono
prescindere.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Quasi
a integrare quanto disposto dagli ultimi due articoli citati, l'art.
12 (</span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>“Diritti
dei minori”</i></span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">),
dando rilievo ai minori come soggetti bisognosi di particolare
tutela, dichiara poi che </span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>«</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>A
tutti i bambini vengono garantiti la protezione e il soddisfacimento
dei bisogni di cura</i></span></span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>»
</i></span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">e
inoltre che il loro interesse, nei provvedimenti che li riguardano, è
prioritario.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">L'art.
14, nel tutelare la libertà di opinione e di espressione, sancisce
tra l'altro che <span style="font-family: Georgia, serif;"><i>«</i></span><span style="color: black;"><i>I
Governi devono garantire le condizioni per lo svolgimento di un
dialogo aperto e informato</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>»</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">,
il che vuol dire che il diritto a esprimere e a scambiarsi opinioni e
pareri non è una semplice </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>facoltà</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">
dei singoli che il governo deve limitarsi a “non impedire” e a
non ostacolare, bensì è il prerequisito per un dialogo </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>libero
da vincoli</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">
e </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>informato</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">,
dialogo che diventa quindi bene costituzionalmente tutelato, che le
pubbliche autorità sono tenute a </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>garantire
attivamente</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">
(eliminando tutti gli ostacoli che dovessero renderlo di fatto
impraticabile o difficilmente attuabile) se non addirittura a
promuovere.</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Nello
stesso articolo si stabilisce altresì che l'</span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>accesso
a Internet</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">
– altro prerequisito essenziale, ormai, per un dialogo «aperto e
informato» – non può essere impedito a nessuno, se non con
sentenza emessa per casi specifici dagli organi giurisdizionali
competenti.</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">L'art.
15, che sancisce e regola il </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>“Diritto
all'informazione”</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">,
afferma che </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>«Chiunque è
libero di raccogliere e diffondere informazioni»</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">.
La libera raccolta e circolazione delle informazioni è considerata,
alla pari del «dialogo aperto e informato», un ingrediente
essenziale per la formazione di convincimenti, opinioni, idee e in
definitiva per il corretto svolgersi del dibattito presso i canali
nei quali si manifesta la pubblica opinione. </span></span></span>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">L'amministrazione
pubblica, afferma inoltre questa norma, </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>«è
trasparente»</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">
e deve conservare traccia dei suoi atti e provvedimenti. Con le sole
eccezioni dovute alla sicurezza nazionale e alla riservatezza
personale, </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>«</i></span><span style="color: black;"><i>La
raccolta, diffusione e trasmissione dei documenti, la loro
conservazione e pubblicazione non può essere limitata</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>»</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">;
e in ogni caso, anche riguardo ai documenti tutelati dal segreto, si
devono per legge stabilire tempi entro i quali renderli accessibili a
tutti. La loro accessibilità pubblica non è dunque vietata in
perpetuo, ma solo rinviata.</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Nel
sancire poi la libertà di religione, l'art. 18 stabilisce che </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>«</i></span><span style="color: black;"><i>A
tutti è garantito il diritto di avere proprie convinzioni religiose
e filosofiche, compreso il diritto di cambiare religione o
convinzioni personali e il diritto di rimanere al di fuori delle
organizzazioni religiose</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>»</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">.</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Nessuno
può quindi essere perseguitato, sia in maniera palese che
sotterranea, per presunta “apostasia”: il </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>diritto
di cambiare opinione</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">,
in qualsiasi àmbito che riguardi la coscienza personale, è tutelato
costituzionalmente. Inoltre si ha pieno diritto a non professare
alcuna fede religiosa.</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">(Bisogna
però anche tener presente che, in ossequio alla tradizione di molti
Paesi di religione protestante luterana, viene conservata la
“religione di Stato” in Islanda, come si evince da alcune
disposizioni del progetto di Costituzione.)</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Nell'art.
21, dedicato alla </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>“Libertà
di riunione”</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">,
viene garantito a tutti il diritto di riunirsi in assemblea, non solo
per riunioni propriamente dette, ma anche per effettuare e
organizzare azioni di protesta.</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">L'art.
22 menziona i </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>“Diritti
sociali”</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">
garantendo a tutti coloro che versino in stato di bisogno il </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>«diritto
alla sicurezza e all'assistenza sociale»</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">.
Anche in questo caso, nessuna eccezione o discriminazione può essere
tollerata.</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Le
disposizioni di questo articolo vengono integrate da quelle dell'art.
23, che garantisce a tutti, in nome del diritto alla salute fisica e
psicologica, la fruizione di prestazioni sanitarie </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>«accessibili,
appropriate e adeguate»</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">.</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">A
sua volta, l'art. 24, dedicato all'</span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>“Istruzione”</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">,
oltre alle consuete disposizioni sull'istruzione di base
obbligatoria, contiene la seguente affermazione: </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>«</i></span><span style="color: black;"><i>L'istruzione
deve mirare ad uno sviluppo completo per ogni individuo, al pensiero
critico e alla consapevolezza dei diritti umani, democratici e dei
doveri</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>»</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">.</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">L'istruzione,
considerata uno strumento per educare alla cittadinanza, nell'ottica
di questo progetto costituzionale, deve formare essenzialmente
cittadini consapevoli, che conoscano i loro diritti e i loro doveri, il senso e il
valore della democrazia e – questione non secondaria – deve
promuovere e coltivare il vero “cuore” della libertà
democratica, ovvero il </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>pensiero
critico</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">,
che si traduce nella capacità di ciascuno di formarsi opinioni
autonome, di autodeterminarsi e di interpretare la realtà senza dar
credito passivamente alle “verità ufficiali” e al bagaglio di
dogmi (anche sociali), preconcetti e luoghi comuni che, tendendo alla
preservazione di un monolitico e immutabile “pensiero unico”, non
di rado favorito da settori privilegiati della società, impediscono
spesso alla società e a ciascun individuo di prendere coscienza
della vera sostanza dei problemi socio-politici (e conseguentemente
impediscono di discutere collettivamente, senza pregiudiziali
“fideistiche” – e senza immotivati e arroganti anatemi,
estrinsecazione autoritaria dei preconcetti e luoghi comuni di cui
sopra, contro questo o quel filone di pensiero – dei mezzi per
porvi rimedio).</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">L'art.
29 sancisce il </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>“Divieto
di trattamenti inumani”</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">,
nei quali comprende espressamente la pena di morte, la tortura e i
lavori forzati.</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Nell'art.
31 si specifica poi che nell'ordinamento giuridico islandese non si
può introdurre </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>mai</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">,
in nessun tempo e per nessuna ragione, il servizio militare
obbligatorio.</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">(Diversa
la situazione nel nostro ordinamento: l'art. 52 della Costituzione
italiana fa tuttora menzione dell'obbligo di prestare il servizio
militare, anche se questo è per il momento sospeso dalla
legislazione ora in vigore.)</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">L'importanza
che nell'ordinamento dell'isola nordica viene data all'ambiente è
testimoniata dall'art. 33, nel quale si stabilisce che </span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>«</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>La
natura dell’Islanda è il fondamento della vita del Paese. Ognuno
ha l'obbligo di rispettarla e proteggerla</i></span></span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>»</i></span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">.
Una disposizione chiara e senz'altro all'avanguardia: la natura non è
un mero accessorio che ciascuno, a suo capriccio, può danneggiare o
deturpare, ma è «il fondamento» stesso «della vita del Paese».
E' una constatazione che corrisponde semplicemente alla realtà delle
cose, e in un mondo che non fosse sopraffatto e fuorviato da
tradizioni e abitudini spesso deliranti (anche qualora
plurisecolari), o dall'ottusa prevalenza del profitto e del
tornaconto momentaneo su ogni altra considerazione, non ci sarebbe
neppure bisogno di menzionarla nelle Costituzioni.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Ma
non è tutto: sempre l'art. 33 sancisce che </span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>«</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>La
legge garantisce a tutti il diritto ad avere un ambiente salubre,
acqua fresca, aria pulita e natura incontaminata</i></span></span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>»</i></span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">:
è dunque preciso dovere costituzionale delle istituzioni (oltre che
di ciascun cittadino) vigilare costantemente affinché l'inquinamento
non danneggi l'ambiente.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">E
ancora, decreta questo articolo del progetto costituzionale, </span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>«</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>Le
risorse naturali sono gestite in modo da ridurre al minimo il loro
esaurimento a lungo termine, rispettando i diritti della natura e
delle generazioni future</i></span></span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>»</i></span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Fra
i diritti costituzionalmente garantiti, vengono dunque menzionati i
</span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>diritti
della natura</i></span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">
(in specie il diritto a venir protetta dal pericolo di soverchio e
scriteriato sfruttamento delle sue risorse) e quelli </span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>delle
generazioni future</i></span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">:
diritti che le carte costituzionali del passato purtroppo
sottovalutavano o ignoravano del tutto e che oggi invece appaiono
rilevanti e non più sacrificabili.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">A
integrazione delle disposizioni previste nell'articolo appena
esaminato, l'art. 34 stabilisce che </span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>«</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>In
Islanda le risorse naturali non sono di proprietà privata ma sono
proprietà comune e perpetua della nazione. Nessuno può acquisire le
risorse naturali e i relativi diritti come proprietà o uso
permanente e queste non possono mai essere vendute o ipotecate</i></span></span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>»</i></span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Le
risorse naturali sono costitutivamente patrimonio di tutti e quindi
non possono essere assoggettate alle leggi del profitto di pochi: il
profitto – pur tutelato, con la proprietà privata e la libertà di
impresa, dalla stessa Costituzione, nei settori nei quali non produce
svantaggi per la collettività – è incompatibile con la fruizione
aperta e non monetizzabile di beni comuni come le risorse naturali.
Tra le risorse tutelate espressamente da questo articolo, vi sono </span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>«</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>le
scorte ittiche, le altre risorse del mare e dei fondali sotto la
giurisdizione islandese, le fonti d'acqua e diritti di produzione
elettrica, l’energia geotermica e i giacimenti minerari</i></span></span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>»</i></span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">La
norma fissa anche precisi vincoli in capo alle autorità pubbliche
sulle modalità di utilizzo delle risorse naturali sopra definite,
infatti dice: </span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>«</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>L'utilizzo
delle risorse è orientato ad uno sviluppo sostenibile e
nell'interesse pubblico</i></span></span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>»</i></span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Non
è l'unico riferimento al ruolo dei pubblici poteri, in questa
materia, infatti l'articolo stabilisce anche che </span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>«</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>Le
autorità di governo insieme a coloro che utilizzano le risorse sono
responsabili per la loro protezione</i></span></span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>»</i></span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Compare
quindi, in un luogo cruciale, la </span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>responsabilità</i></span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">
dei pubblici poteri, che informa tutto il progetto costituzionale e
ne rappresenta una delle novità più importanti.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Di
ambiente si parla anche nell'art. 35, nel quale si stabiliscono altri
doveri a carico dei pubblici poteri: «</span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>Le
autorità pubbliche sono tenute ad informare il pubblico sullo stato
dell'ambiente e della natura e l'impatto delle relative attività. Le
autorità governative e le altre parti devono fornire informazioni su
qualsiasi calamità naturale imminente e sull’inquinamento
ambientale»</i></span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Le
autorità non possono quindi “minimizzare” i pericoli legati
all'ambiente e alla sua conservazione, in nome di un polveroso e
paternalistico “dovere di non allarmare”, in altre parti del
mondo (ove, rivelandosi in questo un'attitudine insultante e
offensiva da parte delle pubbliche autorità, i cittadini non vengono
considerati evidentemente davvero “maggiorenni”) purtroppo ancora
considerato imprescindibile...</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Il
diritto all'informazione si intreccia qui col diritto alla
partecipazione dei cittadini alla formulazione di decisioni che li coinvolgono: </span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>«</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>La
legge garantisce il coinvolgimento della popolazione ai preparativi
per le decisioni che hanno un impatto sull'ambiente e sulla natura e
la possibilità di cercare l'intervento di un arbitrato imparziale</i></span></span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>»</i></span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">L'art.
36, concludendo le disposizioni riguardanti la tutela delle specie
viventi, menziona in particolare gli animali e, dando incarico al
Parlamento di emanare apposite leggi, sancisce il divieto assoluto di
maltrattamenti a loro danno; specifica inoltre che la legge deve
proteggere le specie a rischio di estinzione, fissando quindi misure
e strategie all'uopo opportune.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Passando
ora a esaminare brevemente le norme che regolano l'ordinamento dei
pubblici poteri, possiamo constatare che l'art. 48, recante il titolo
</span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>“Indipendenza
dei membri del Parlamento”</i></span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">,
stabilisce che </span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>«I
membri del Parlamento sono guidati unicamente dalle loro convinzioni
e non da istruzioni da parte di terzi»</i></span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">:
si conferma qui il principio conosciuto come “divieto del mandato
imperativo”, patrimonio comune di tutte le democrazie parlamentari
moderne [si veda ad es. l'art. 67 della Costituzione italiana],
principio in base al quale ogni parlamentare rappresenta la nazione o
la cittadinanza nel suo insieme e quindi non è tenuto a obbedire a
istruzioni provenienti da singoli elettori (o da gruppi di elettori)
– e in teoria neppure a istruzioni provenienti dai dirigenti del
proprio partito di riferimento.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Pur
se ineccepibile sotto il profilo delle garanzie costituzionali,
giacché consente al parlamentare di sottrarsi ai condizionamenti
esterni e di giudicare serenamente e con coscienza i provvedimenti
sui quali è chiamato a esprimersi, il “divieto del mandato
imperativo” suscita ultimamente non poche perplessità, poiché si
presta ad abusi da parte dei parlamentari, o meglio può essere
utilizzato come “foglia di fico” per giustificare “cambi di
casacca” che hanno talora motivazioni poco nobili, slegate dal vero
interesse della nazione (che il parlamentare è sempre tenuto ad
anteporre a ogni altro interesse). Inoltre, il “divieto del mandato
imperativo” nei fatti non è davvero un divieto pieno, poiché
quasi mai il parlamentare è in grado di sottrarsi agli ordini che
riceve dal proprio partito, se non rischiando di essere espulso dal
medesimo, subendo per giunta il biasimo dell'opinione pubblica, anche
qualora l'ordine del partito sia palesemente ingiusto; e d'altra
parte, la dialettica propria delle democrazie non auspica una
indipendenza piena e letterale del parlamentare rispetto al proprio
partito, perché questa si configurerebbe come sganciamento completo
dell'eletto dal mandato ricevuto dagli elettori (che non votano solo
la persona, ma anche, in modo inscindibile, l'idea politica che
quella esprime e che si compendia nel simbolo del partito nelle cui
liste il candidato si presenta alle elezioni).</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Il
discorso è complesso e il dibattito sul tema è molto articolato,
trattandosi di uno dei nodi più delicati della democrazia
rappresentativa; ma quel che è certo è che – come d'altronde
questa norma inserita nel progetto costituzionale islandese conferma
– il principio in questione, che dev'essere senz'altro ridiscusso
ed emendato (prevedendo forse nuove forme di controllo sull'operato
dei parlamentari), per l'importanza che riveste non può tuttavia
essere cancellato dall'ordinamento con un semplice tratto di penna.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">L'art.
50 regola poi i conflitti di interessi dei parlamentari, decretando
che </span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>«A
un membro del Parlamento è fatto divieto di partecipare a
deliberazioni parlamentari che riguardino suoi interessi particolari
e significativi o quelli di persone con cui ha stretti legami»</i></span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">.
E' un principio che altri ordinamenti non prevedono e che invece
potrebbe contribuire a migliorare la trasparenza delle decisioni
pubbliche e del rapporto fra eletti ed elettori.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Per
quanto riguarda la fase della promulgazione delle leggi, l'art. 60
prevede che, qualora il Presidente dell'Islanda si rifiuti di
controfirmare un provvedimento legislativo approvato dal Parlamento,
con decisione motivata, </span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>«Il
disegno di legge diviene comunque legge, ma solo dopo essere stato
sottoposto entro tre mesi ad un referendum per l’approvazione o il
rifiuto. Una maggioranza semplice dei voti decide se la legge rimane
in vigore. Tuttavia, il referendum non ha luogo se il Parlamento
abroga l'atto entro cinque giorni dal diniego da parte del
Presidente»</i></span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Insomma,
nei casi in cui sorge un conflitto fra il Parlamento e il Capo dello
Stato in merito a un determinato provvedimento di legge, sono gli
elettori, supremi arbitri in quanto destinatari finali del
provvedimento in questione, a dirimere la “controversia”,
decidendo con referendum a quale dei due poteri dar ragione. E il
Parlamento ha un solo modo per evitare il referendum: ritirare il
disegno di legge contestato.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Ritengo
sia una buona maniera per ridurre la distanza fra eletti ed elettori,
prima che questa nei casi critici si trasformi in assoluta
estraneità, ossia per integrare gli istituti della rappresentanza –
specialmente nei casi in cui per qualche motivo le loro decisioni
appaiono discutibili – con efficaci e tempestivamente attivabili
strumenti di partecipazione che possano fungere da indispensabile
“correttivo”.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Nell'art.
63 si fa menzione di un organo collegiale inedito in altri
ordinamenti, la Commissione Costituzionale di Vigilanza del
Parlamento, la quale </span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>«</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>indaga
su tutti i provvedimenti e le decisioni dei Ministri e del Governo
come ritiene opportuno. La Commissione ha l'obbligo di avviare tali
indagini su richiesta di un terzo dei membri del Parlamento</i></span></span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>»</i></span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">L'art.
65 dà facoltà a un decimo degli elettori di </span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>«fare
richiesta per un referendum su di una legge approvata dal Parlamento.
La petizione è presentata entro tre mesi dal momento in cui la legge
è stata approvata. La legge è abrogata se respinta dal corpo
elettorale, altrimenti resta in vigore. Tuttavia, il Parlamento può
decidere di abrogare la legge prima che il referendum abbia luogo»</i></span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">.
In sostanza, si tratta di un referendum equivalente a quello
abrogativo previsto dall'art. 75 della Costituzione italiana; in
questo caso, si tratta però di un referendum “confermativo” e
quindi il significato del “Sì” è opposto rispetto a quello del
referendum abrogativo italiano. Infatti, al cittadino italiano, in
occasione di tali referendum, si domanda se intende </span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>abrogare</i></span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">
la norma in discussione, laddove al cittadino islandese – in base a
questo progetto costituzionale – si chiede se intende </span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>mantenere
in vigore</i></span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">
la norma sottoposta al voto popolare.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">L'art.
66 disciplina un istituto equivalente a quello che nell'ordinamento
italiano è definito e noto come “proposta di legge di iniziativa
popolare” [il cui fondamento normativo è l'art. 71, comma 2, della Costituzione italiana]. Però, mentre da noi i cittadini, dopo aver raccolto le
firme per depositare la proposta di legge presso le Camere, non
possono fare altro che attendere le decisioni del Parlamento, che
peraltro è autorizzato anche a far cadere nel vuoto la proposta di
legge presentata dagli elettori, nel progetto costituzionale
islandese le cose funzionano altrimenti. Secondo il disposto
dell'art. 66, infatti, </span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>«</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>Il
dieci per cento degli elettori può presentare un progetto di legge
in Parlamento. Il Parlamento può presentare una controproposta nella
forma di un altro disegno di legge. Se il disegno di legge degli
elettori non viene ritirato è sottoposto a referendum, così come il
disegno di legge del Parlamento se introdotto. Il Parlamento può
decidere se rendere il referendum vincolante</i></span></span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>»</i></span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Ora,
se è vero che quest'ultima disposizione concede comunque l'ultima
parola al Parlamento, è anche vero che il disegno di legge
presentato dagli elettori costringe in ogni caso il legislativo, se
non gradisce quel testo, a formulare una propria controproposta: il
semplice “insabbiamento” della proposta di legge proveniente
dagli elettori non è un'opzione praticabile.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">L'art.
67, nello stabilire i princìpi fondamentali che devono regolare i
vari tipi di referendum previsti dall'ordinamento, analogamente a
quanto statuisce la Costituzione italiana, afferma che alcune
materie, come le tasse, il bilancio dello Stato e gli accordi
internazionali (ma anche i diritti di cittadinanza), non possono
essere sottoposte a referendum. Inoltre </span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>«</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>Si
deve garantire che un disegno di legge proposto dagli elettori sia in
conformità con la Costituzione. In caso di non conformità alla
Costituzione i tribunali saranno chiamati a risolvere tali
controversie</i></span></span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>»</i></span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">L'art.
75 prevede l'istituto del Mediatore parlamentare, un'autorità
indipendente che </span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>«deve
difendere i diritti dei cittadini e controllare l'amministrazione
dello Stato e degli enti locali»</i></span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">
e deve adoperarsi </span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>«per
assicurare il rispetto della non discriminazione nella pubblica
amministrazione nell'osservanza della legge e delle buone prassi
amministrative»</i></span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">L'art.
84, che regola le procedure per la rimozione del Presidente
dell'Islanda dal suo incarico, stabilisce fra l'altro che </span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>«Il
Presidente può essere rimosso dal suo incarico prima della fine del
mandato purché ciò sia accettato dalla maggioranza dei voti in un
referendum su iniziativa del Parlamento e sarà necessario che tre
quarti dei membri del Parlamento votino per questo. Il referendum
deve avvenire entro due mesi dal momento del voto in Parlamento e il
Presidente non deve svolgere il suo ufficio dal momento in cui il
Parlamento adotta la sua risoluzione fino a quando i risultati del
referendum sono noti»</i></span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Insomma,
anche in questo caso si fa ricorso al referendum e sono gli elettori
ad avere l'ultima parola: loro hanno scelto il Presidente (che
infatti viene eletto a suffragio universale) e sono sempre loro a
decidere se “licenziarlo”. Il Parlamento fa da “filtro
iniziale” alla procedura, ossia accerta (ad ampia maggioranza) che
sussistano le condizioni per chiedere la rimozione del Presidente
dall'incarico, ma non può prendere una decisione in merito.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Quanto
alla formazione del Governo, l'art. 90 stabilisce che </span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>«Il
Parlamento elegge il Primo Ministro»</i></span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">,
su proposta del Presidente, sentiti i partiti e i parlamentari.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>«Il
Primo Ministro viene regolarmente eletto se la proposta viene
approvata dalla maggioranza del Parlamento. In caso contrario, il
Presidente dell'Islanda presenta una nuova proposta nello stesso
modo. In mancanza di tale proposta è accettata un’elezione che ha
luogo tra i candidati proposti dai membri del Parlamento, i partiti
parlamentari o il Presidente dell'Islanda. Il candidato con più voti
sarà il Primo Ministro.</i></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><i>Se
non viene eletto un primo Ministro entro dieci settimane, il
Parlamento è sciolto e sono indette nuove elezioni»</i></span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">In
tal modo, il Presidente e il Parlamento sono responsabili in egual
misura per la scelta del Primo Ministro (difficile dunque che possa
ipotizzarsi un “governo del Presidente”).</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">L'art.
93, riprendendo i princìpi sanciti dall'art. 15 sul diritto
all'informazione, li applica ai rapporti fra Parlamento e Governo: e
così <i>«</i><span style="color: black;"><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>Un
Ministro ha l'obbligo di riferire al Parlamento o in una Commissione
parlamentare tutte le informazioni, documenti e relazioni su
questioni che sono sotto la sua autorità se non sono classificate
come segrete dalla legge</i></span></span><i>»</i>
e non può adoperare alcuna reticenza né “edulcorare” fatti,
documenti e questioni nella sua risposta al Parlamento, giacché <i>«Le
informazioni fornite da un Ministro al Parlamento, alle sue
Commissioni e ai suoi membri, devono essere corrette, pertinenti e
adeguate»</i>: anche, se non
soprattutto, in questo si sostanzia il rapporto di fiducia fra
legislativo ed esecutivo, in base a questo testo di riforma
costituzionale.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">L'art.
108 sancisce l'<i>“Obbligo di consultazione”</i>
per le questioni che toccano le comunità locali: nella fase di
preparazione delle norme, enti locali e associazioni territoriali
devono essere obbligatoriamente consultate.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Per
quanto riguarda gli accordi internazionali che comportano per lo
Stato la cessione di parte dei suoi poteri sovrani, l'art. 111
stabilisce tra l'altro che <i>«Il trasferimento di poteri
dello Stato è sempre revocabile»</i>:
in quest'àmbito nessuna decisione è irreversibile (lo Stato non
perde mai i suoi poteri, insomma, ma può al massimo temporaneamente
accantonarli). Inoltre <i>«Se il Parlamento approva la
ratifica di un accordo che comporta un trasferimento di poteri dello
Stato, la decisione è sottoposta ad un referendum per l'approvazione
o il rifiuto. I risultati di tale referendum sono vincolanti»</i>:
in una materia così delicata i cittadini devono dire la loro e le
pubbliche autorità non possono “paternalisticamente” ignorare o
scavalcare le loro decisioni. Se lo Stato trasferisce i suoi poteri a
organismi sovranazionali, è solo quando e perché i cittadini lo
vogliono. Su questo tema, nessun'altra autorità, neppure il
Parlamento, può decidere alcunché, ma solo proporre.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Infine,
l'art. 112 impone a ogni autorità pubblica di <i>«rispettare
le norme in materia di diritti umani ritenute vincolanti per lo Stato
dal diritto internazionale e garantire la loro attuazione ed
efficacia, coerentemente con il proprio ruolo, in base alle legge e
nei limiti delle proprie competenze»</i>.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Tirando
le somme, sicuramente per molti aspetti il progetto costituzionale
islandese appare molto coraggioso e avanzato, poiché recepisce le
richieste provenienti da vari movimenti e rafforza il ruolo dei
cittadini-elettori nel processo decisionale, al tempo stesso
sottoponendo l'azione dei pubblici poteri a maggiori vincoli e
controlli rispetto al passato, dato che coloro che esercitano
funzioni pubbliche, specie nei ruoli politici apicali, sono qui
considerati <i>pienamente responsabili</i>
delle decisioni che prendono nell'esercizio dei loro poteri.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Qualcuno
ha osservato che però alcune ambiziose enunciazioni di principio di
questo testo di riforma costituzionale rischiano di rimanere lettera
morta, non essendo facilmente attuabili, almeno nel breve periodo.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">[Si
veda ad es. <b><a href="http://ilblogditalia.blogspot.it/2012/09/recensione-della-nuova-costituzione.html">qui una “recensione critica”</a></b> del progetto
costituzionale islandese comparsa sul Web.]</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">(Si
vedano poi d'altronde le caute riflessioni che esprimo nelle
conclusioni di questo post, più in basso.)</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Questo
può essere almeno in parte vero; ma il tentativo è comunque
promettente e, se la riforma va effettivamente in porto, può aprire
la strada a una nuova “stagione costituente” almeno in Europa e
forse anche altrove.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: center;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><b>2.
Qualche proposta di riforma costituzionale per altre latitudini</b></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">E
prendendo spunto da un progetto di riforma costituzionale così
all'avanguardia, si possono senz'altro ipotizzare alcuni correttivi
che si potrebbero apportare al nostro ordinamento.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Senza
alcuna pretesa di completezza, passo a enumerare quelli che
personalmente ho immaginato e che porrei in discussione volentieri in
un'ipotetica assemblea costituente.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Si
tratta magari soltanto di un “sogno ad occhi aperti”, ma talvolta
conviene – anche per respirare per un momento un'aria più
tollerabile di quella che abitualmente ci circonda – affidarsi a
questo genere di sogni.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Innanzitutto,
se il mio “sogno” fosse determinante, i caratteri fondamentali
del nuovo sistema politico sarebbero: la centralità (vera, concreta)
del Parlamento e un ruolo non marginale e non meramente simbolico
degli istituti di democrazia diretta.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">E
così, per tutelare davvero la centralità del Parlamento, il governo
(che dovrebbe tornare ad essere realmente un “esecutivo” e
smetterla di essere un “deus ex machina” del nulla) non potrebbe
più porre “ad libitum” la questione di fiducia: come avviene in
altri Paesi, il governo avrebbe a disposizione solo due o al massimo
tre occasioni ogni anno per “giocarsi” il jolly della questione
di fiducia, e dovrebbe imparare seriamente a giocarselo bene.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">[A
mio parere, in questi anni si è insistito anche troppo sul mito
della <i>governabilità</i>, e l'enfasi eccessiva che è stata data a
questo termine è servita quasi esclusivamente a svilire il ruolo del
Parlamento, in qualche caso arrivando ai limiti del vilipendio:
demitizzare il ruolo del governo, togliendolo dal cielo e
riconducendolo sulla terra, dov'è il suo reale posto, servirebbe
forse a persuaderci – consegnandoci finalmente a una salutare
lucidità, dopo secoli di ibride e vischiose “teologie politiche”
– che nel campo della politica non ci sono <i>dei ex machina </i>e
che è inutile delegare a un Gatto o a una Volpe la moltiplicazione
dei nostri “zecchini” (da intendere non solo e non
necessariamente in senso letterale, come “soldi”), sapendo
peraltro benissimo, “in cuor nostro”, che quel potere non lo
hanno e non lo avranno mai. Si può obiettare che si tratta di un
percorso di risveglio arduo e accidentato, ma, affrontandolo un passo
alla volta, sono convinto che ormai si possa intraprenderlo, con
tutte le cautele del caso... D'altra parte non si deve neppure far
l'errore di credere che della funzione di governo – sia pure
“ristrutturata” e depurata da aloni mitico-sacrali ormai
sorpassati (decisamente non è più tempo di Re taumaturghi <b><a href="http://it.wikipedia.org/wiki/I_re_taumaturghi">[cit.]</a></b>)
– si possa tranquillamente fare a meno.]</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Inoltre,
dovrebbe essere tassativamente vietato l'abuso della decretazione
d'urgenza: il governo potrebbe sì presentare decreti legge basati
sui requisiti di necessità e urgenza, ma questi requisiti dovrebbero
essere severamente vagliati dal Parlamento, o da una sua commissione
specifica, che deciderebbe a scrutinio segreto e inappellabilmente in
merito a tale questione preliminare.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Ove
il Parlamento, o una sua commissione, rilevasse che tali requisiti di
“necessità e urgenza” non sussistono, il decreto legge
perderebbe efficacia e non potrebbe essere presentato poi dal governo
neppure un nuovo decreto legge sulla stessa materia, se non nella
legislatura successiva (ovviamente, se non vuole aspettare tanto, il
governo può decidere di “declassare” il decreto legge a
“semplice” disegno di legge, il quale seguirebbe l'ordinario iter
di approvazione alle Camere).</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-size: medium;">Sempre al fine <span style="font-size: medium;">di</span></span> tutelare la centralità del Parlamento, si dovrebbe tornare al
sistema elettorale proporzionale – l'unico che rispecchi i reali
orientamenti del Paese – e si dovrebbe vietare l'apposizione dei
nomi sui simboli di lista e di partito, seguiti dall'indicazione:
“presidente” o simili, in quanto i cittadini non sarebbero
chiamati a votare per un qualche leader ma per i loro rappresentanti,
vincolati al rispetto di un determinato programma politico.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Insomma,
il Parlamento sarebbe il vero centro del sistema (fatti salvi gli
istituti di democrazia diretta, di cui si parla dopo) e il governo
sarebbe un puro comitato esecutivo, eletto dal Parlamento in seduta
comune, presieduto a rotazione da ciascuno dei ministri e soggetto
alle direttive del Parlamento medesimo, a sua volta posto sotto la
stretta supervisione del corpo elettorale.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Il
governo potrebbe essere sfiduciato su iniziativa del Parlamento in
qualsiasi momento, a patto però che fosse pronta una soluzione
alternativa (una nuova maggioranza parlamentare, ad esempio, ma non
solo).</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Nel
rispetto del divieto del mandato imperativo [si veda il ragionamento
già fatto poc'anzi], il parlamentare non sarebbe costretto a subire
diktat dalle segreterie di partito, ma d'altra parte – siccome ogni
libertà deve essere legata a una corrispettiva responsabilità –
sarebbe tenuto a rispettare gli impegni assunti con gli elettori; nel
caso in cui, nel corso del suo mandato, cambiasse parere,
orientamento, schieramento, ecc., dovrebbe sottoporsi a un nuovo
voto, questa volta “ad personam”: gli elettori – o meglio,
soltanto quelli del collegio nel quale è stato originariamente
candidato – sarebbero cioè chiamati a pronunciarsi circa
l'opportunità della sua permanenza in Parlamento. La “libertà di
coscienza” è un principio nobile e non deve perciò trasformarsi
in un pretesto per svincolarsi dagli impegni assunti in campagna
elettorale, come troppe volte è avvenuto.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Circa
il secondo punto – gli istituti di democrazia diretta – nel nuovo
sistema politico le proposte di legge di iniziativa popolare non
sarebbero le “cenerentole” della legislazione, come oggi
purtroppo avviene: infatti, il Parlamento avrebbe non solo il dovere
di metterle nell'ordine del giorno dei suoi lavori, ma anche quello
di discuterle – con la facoltà di emendarle – e successivamente
di metterle ai voti.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Nel
caso in cui respingesse la proposta di legge di iniziativa popolare,
il Parlamento avrebbe l'obbligo di accompagnare il suo parere
negativo con una motivazione scritta, articolata, chiara ed esaustiva
(fatti salvi i rilievi di incostituzionalità, che dovrebbero essere
deferiti alla Corte Costituzionale). La fondatezza di tale
motivazione dovrebbe poi passare obbligatoriamente al vaglio degli
elettori mediante un referendum; qualora gli elettori “bocciassero”
a loro volta il parere negativo del Parlamento, la legge di
iniziativa popolare entrerebbe in vigore nel testo originariamente
voluto dai firmatari della proposta.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: center;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;"><b>3.
In conclusione, qualche riflessione che raffreddi entusiasmi
eccessivi</b></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Dopo
avere illustrato questi “sogni” di riforma mi sembra importante
sottolineare tuttavia che nessuna proposta di legge, e a maggior
ragione nessuna proposta di riforma costituzionale, può nascere
perfetta nel chiuso di un “laboratorio”, o nella mente di una
singola persona (a prescindere dalla sua preparazione, dalla sua
cultura, dalla sua serietà, ecc.): le norme – e a maggior ragione
le Costituzioni – in una democrazia si formano e si perfezionano
all'interno di un pubblico dibattito, e grazie ad esso, perché non
possono che essere un traguardo raggiunto collettivamente,
condividendo i saperi e raggiungendo accordi intorno a decisioni
che non marginalizzino pregiudizialmente nessuno, e anche perché –
banalmente – una testa, da sola, non può cogliere con precisione
tutti gli aspetti di un problema o tutte le soluzioni che ad esso si
possono dare né è probabile che sia in grado di stabilire in
maniera ottimale la scala di priorità dell'agenda politica.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Inoltre,
nessun principio generale di “ingegneria costituzionale” – per
quanto ragionevole – può in sé riassumere, racchiudere ed
esaurire le istanze sociali e politiche più giuste, le soluzioni più
adeguate ai problemi della società, ecc.: e così, ad es., per
quanto la “centralità del Parlamento” possa in astratto essere
preferibile all'invadenza sistematica dell'esecutivo, vi possono
essere situazioni, circostanze, materie nelle quali una decisione
presa tempestivamente da un organo di vertice, che si assuma la
responsabilità politica delle proprie scelte, sia preferibile a un
dibattito prolungato ed estenuante, nel quale nessuno si assume la
responsabilità di riconoscere l'urgenza di dare soluzione a un
problema, per quanto pressante esso sia.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">D'altra
parte, le norme di legge e le Costituzioni si misurano
necessariamente con la prassi; e se le “dure repliche”
provenienti da quest'ultima mettono ripetutamente in difficoltà
l'architettura ideale di un ordinamento politico – ad es. perché
alcune norme cruciali si rivelano inapplicabili o troppo ambigue per
dar adito a un'interpretazione condivisa, ecc. – a lungo andare la
“prassi” rischia di prendere interamente il posto della “lettera”
della norma e la Costituzione si trasforma in un guscio vuoto.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">Di
tutti questi aspetti bisogna tenere conto quando si progettano
riforme costituzionali; e non bisogna poi dimenticare che non sempre
le soluzioni ai problemi sociali o economici si possono rintracciare
nella “ristrutturazione” dei pilastri costituzionali di un
ordinamento. Le Costituzioni, insomma, sono importanti, anzi
importantissime (io stesso, come si può ben capire leggendo questo
post, mi interrogo con una certa passione sul modo per migliorarle),
ma sono solo uno degli “ingredienti” della politica. Mai cadere
nell'illusione che, risolto il problema dell'architettura
costituzionale di un Paese (ammesso che lo si risolva in modo
ottimale...), siano d'un colpo risolti <i>tutti</i>
i problemi cruciali e spinosi che la politica e la società pongono.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-size: medium;">E'
importante a mio avviso esserne coscienti, perché è un errore di
prospettiva che può rendere miopi anche i migliori “decisori
politici” e i cittadini più “appassionati” della cosa
pubblica, non consentendo loro di vedere le crepe che pian piano si
insinuano anche nel più solido edificio istituzionale e lo rendono
inesorabilmente inviso a tutti coloro che da quelle crepe (da
intendersi anche come discrepanze e iati fra le “parole” e le
“cose”) sono direttamente minacciati.</span></span></div>
ivaneuscarhttp://www.blogger.com/profile/13381655735594702472noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-215434595625178180.post-11734410751056182622013-03-14T20:01:00.000+01:002013-03-17T12:26:26.391+01:00No, il 100 per cento è fuori discussione per chiunque. Pensieri ad alta voce sulle speranze del (e nei confronti del) M5S<br />
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Pare che in
un'intervista a <i>Time</i> <u>Beppe
Grillo</u> abbia affermato,
tra l'altro, che il suo Movimento punta al «100 per cento del
Parlamento» [<span style="background-color: #666666;"><span style="color: #cfe2f3;"><span style="font-family: Georgia, serif;">«</span>We
want 100% of Parliament, not 20% or 25% or 30%<span style="font-family: Georgia, serif;">»</span></span></span>]
e che nel momento in cui il Movimento 5 Stelle «otterrà il 100% e i
cittadini saranno diventati lo Stato, il Movimento non avrà più
bisogno di esistere» [<span style="background-color: #666666; color: #cfe2f3; font-family: Georgia, serif;">«When
the movement gets to 100% when the citizens become the state, the
movement will no longer need to exist»</span>].</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">[<b><a href="https://www.blogger.com/"><span id="goog_938176455"></span>Qui<span id="goog_938176456"></span></a></b>
il testo originale e completo dell'intervista]</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Tutto
chiaro? Secondo me, non del tutto; o meglio, affermazioni come quelle
riportate devono essere attentamente analizzate ed è necessario
capire bene quali implicazioni potrebbero avere.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"></span></div>
<a name='more'></a><br />
<br />
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Il
Movimento 5 Stelle, si sa, muove fin dalla sua nascita una <i>critica
radicale</i> e senza sfumature al
“sistema dei partiti”. Il suo slogan di maggiore impatto, in
questa campagna elettorale, è stato: “Mandiamoli a casa”
(sottinteso: i partiti, <i>tutti</i>
i partiti).</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Per
potere con tutta libertà pretendere di “mandare a casa” il
“vecchio sistema dei partiti” <i>per intero</i>
il Movimento 5 Stelle deve evidentemente presentarsi come un
“non-partito”; e infatti non vuole collocarsi, per sua precisa
scelta, “né a destra né a sinistra”. Si presenta dunque come un
<i>soggetto (o un contenitore di idee politiche) completamente
nuovo</i>, inedito, come una novità
che con la sua sola presenza “spiazza” le vecchie categorie e i
vecchi ragionamenti politici.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">In
séguito ai risultati delle ultime elezioni, hanno fatto il loro
ingresso in Parlamento molti giovani, e comunque molti “cittadini
comuni”, che fino all'altro ieri erano appunto soltanto semplici
cittadini estranei alla classica carriera politica col suo tipico
<i>cursus honorum</i>. La
democrazia deve essere anche questo: ricambio <i>reale</i>
delle classi dirigenti e inclusione del “cittadino comune” nei
processi decisionali. L'ingresso di tante “facce nuove” e “non
vip” in Parlamento (nonostante le “controindicazioni” che può
comportare sotto il profilo “tecnico”: inesperienza dei nuovi
parlamentari, ecc.) è già un passo decisivo in questa direzione e
lo si deve specialmente – come negarlo? – al Movimento 5 Stelle e
ai consensi che ha saputo aggregare.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Mi
auguro che si proceda ancora su questa strada e che anzi si migliori
l'opera, attivando processi di partecipazione (a qualsiasi livello
decisionale) sempre più efficaci, al tempo stesso affinando
strumenti atti a ridurre gli inconvenienti che si determinano in
questo tipo di procedure (ad es. il prolungarsi delle discussioni, la
difficoltà di giungere a sintesi condivise quando la platea dei
partecipanti è ampia e variegata, la necessità di operare talora
selezioni “in entrata” [ragionevoli e non arbitrarie] per evitare
il sovraccarico di domanda, la necessità di contemperare
rappresentanza e partecipazione senza sminuire l'essenza e l'apporto
dell'una o dell'altra, ecc.).</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Si
tratta però di un compito tutt'altro che facile e non si può
pensare di risolverlo con formulette da salotto – ma su questo mi
soffermo in séguito.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Accanto
ai possibili meriti del Movimento 5 Stelle, per comprendere l'attuale
situazione, bisogna anche considerare attentamente la crisi che negli
ultimi anni hanno attraversato – a vario titolo e con diverse
sfumature – i partiti “tradizionali”.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Ora,
il sistema dei partiti era giunto – ben prima di queste elezioni –
ad una crisi di non facile soluzione, sicché la necessità che i
partiti finora conosciuti procedessero ad una (auto)riforma severa
del loro modo di porsi nelle istituzioni e in relazione ai
cittadini-elettori, si sarebbe potuta porre all'ordine del giorno già
da tempo.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">L'occasione
non è stata colta, lo scollamento fra gruppi dirigenti ed elettori
si è nel frattempo approfondito e la “transizione tecnocratica”
montiana ha probabilmente aumentato (con la furba abdicazione
momentanea dei due maggiori partiti e il loro “machiavellico”
tentativo di evitare le responsabilità davanti al Paese) il
malessere dei cittadini.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Si
è avuta anche, in questi anni, la sensazione (forse esagerata per
alcuni aspetti ma comunque non campata in aria) che i partiti finora
conosciuti abbiano puntato, in una situazione economica
oggettivamente difficile, innanzitutto a difendere il proprio
recinto, incamerando “legalmente” a proprio beneficio risorse
pubbliche – e non disdegnando, in alcuni casi (grazie alla
sciagurata coincidenza [o quasi-coincidenza] delle figure
istituzionali del controllore e del controllato), di “approfittare
generosamente” di rimborsi spese che in ogni altra organizzazione,
pubblica o privata, sarebbero stati ritenuti scandalosi (per non
parlare poi degli eclatanti casi di corruzione in senso proprio).</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Quasi
nessuno ha compreso, nonostante i numerosi e documentati dossier
giornalistici, che la spesa eccessiva, incontrollata e
incontrollabile (tradottasi talvolta in generosissimi emolumenti,
trattamenti previdenziali privilegiati, ecc.), tale da configurare un
vero e proprio “delirio di onnipotenza” da <i>ancien
régime</i>, da parte di taluni
influenti gruppi dirigenti politici, avrebbe portato a una vera e
propria “epidemia di sfiducia” dei cittadini nei confronti dei
loro rappresentanti politici e persino delle istituzioni.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">In
sintesi, le “ricette di Monti” e il trimalcionismo sfacciato e
cinico di una frangia (che certo non rappresenta il “totale”, ma
che essendo trasversale agli schieramenti li scredita in maniera
“bipartisan”) dei ceti politici italiani hanno, nella loro fatale
combinazione di questi ultimi mesi, contribuito ad accrescere
l'<i>appeal</i> dello slogan
grillino “Mandiamoli a casa!”. Ma di certo le cause profonde sono
meno contingenti e vengono da lontano.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Già
solo considerando le questioni qui riassunte, si comprende che
l'esistente non è difendibile per ciò che è, ma solo per ciò che
<i>dovrebbe essere</i>:
ovvero, l'attuale sistema dei partiti deve <i>riconquistare</i>
la propria legittimazione riformandosi nel profondo e tornando a
incarnare lo strumento principe del pluralismo politico, e non
lasciarsi più andare, invece, alla tentazione di essere il versante
politico-istituzionale del peggiore "corporativismo" (neofeudale) italiano.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">C'è
chi punta a sottolineare le differenze fra i partiti, anche rispetto
a tali questioni; ma non si può negare che, accanto alle differenze
che pure vi sono, esistono comunque difetti che sono comuni
all'intero sistema dei partiti: <b><a href="http://almancoprov.blogspot.com/2012/04/i-partiti-in-crisi-la-partecipazione-e.html">intorno a tale tema</a></b> si è
avuto già modo di riflettere, su questo blog.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Detto
ciò, torniamo alle dichiarazioni di Grillo.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Mi
son detto – e qualcuno è d'accordo con me – che probabilmente
non sono da prendere alla lettera: con quelle parole forse il
fondatore del Movimento 5 Stelle intende auspicare che tutto il
panorama politico si rimodelli sull'esempio del M5S<span style="color: black;">,
che quindi assumerebbe il ruolo di “paradigma del cambiamento”,
col compito di mutare in maniera permanente la forma della politica
in Italia.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="color: black;">Il
Movimento 5 Stelle dovrebbe diventare insomma, se l'interpretazione è
corretta, il catalizzatore e il punto di riferimento di un
</span><span style="color: black;"><i>cambiamento
epocale</i></span><span style="color: black;">,
o il “modello di politica” per antonomasia (trasparente,
partecipata, non verticistica, ecc.), ma </span><span style="color: black;"><i>non
certamente</i></span><span style="color: black;">
una sorta di “partito unico”.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Può
darsi che le vere intenzioni di Grillo siano quelle appena esposte, e
in tal caso contengono promesse interessanti, anche se non facili da
realizzare. Ma resta il fatto che certe affermazioni suscitano una
serie di interrogativi, anche perché il senso letterale delle frasi
citate all'inizio è tutt'altro. E non si può tranquillamente
ignorare, giacché un politico – in virtù della propria
responsabilità pubblica – non può evitare di farsi carico del
significato letterale delle proprie affermazioni o delle implicazioni
che queste hanno.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Torniamo
quindi a quelle affermazioni.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Perché
mai un partito, o un non-partito o Movimento, dovrebbe puntare al
100% dei consensi elettorali (e di conseguenza al 100% dei seggi in
Parlamento)? Non bastano forse il 51% o il 60% per governare? Perché
pretendere il 100%?</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Probabilmente
nei sogni di molti partiti c'è il traguardo del <i>consenso
universale</i>; nessuno però lo
dichiara, poiché tutti sanno che in democrazia è altamente
improbabile.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><i>Consenso
universale </i>è sinonimo di
mancanza assoluta di <i>dissenso</i>,
e dunque di opposizione. Può una moltitudine di milioni di elettori
convergere <i>spontaneamente</i>
e in <i>assenza di coercizioni o di pesanti pressioni</i>,
come “un sol uomo”, su un <i>unico partito</i>
(o “non-partito”...) e raggiungere quindi un <i>accordo
universale</i> che elimini le
differenze di opinione, di orientamenti e di idee?</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">E
in virtù di cosa?</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Forse
secondo Grillo – se è buona questa lettura delle sue parole –
questo traguardo è possibile se tutti gli elettori arrivano a
rendersi conto che il M5S è l'unico “alieno” nel sistema dei
partiti italiani e quindi l'unico che può spazzare via gli errori e
le contraddizioni di questi ultimi; d'altra parte, se tutti i partiti
sono “cattivi e perfidi”, solo un <i>non-partito</i>
può legittimamente prenderne il posto, nelle istituzioni.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Seguendo
questo ragionamento, però, si può arrivare a ritenere che gli
elettori che <i>si ostinano</i>
a non votare per il M5S siano “complici del sistema” e pertanto
esecrabili. </span>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Votare
per un determinato partito è tuttavia in realtà un atto carico di
molteplici significati, che non si può ridurre ad un'unica
dimensione.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Anche
ammesso che il Movimento 5 Stelle sia il miglior movimento politico
che sia mai comparso sulla faccia della Terra, non per questo chi
vota per un partito diverso dal M5S può essere <i>ipso facto</i>
(cioè senza neppure indagare nel concreto casi specifici,
motivazioni specifiche di singoli concreti elettori) ritenuto
“indegno”, sconsiderato, miope, disonesto, corrotto, ecc.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Soltanto
se il Movimento 5 Stelle riuscisse a dimostrare – come mai nessuna
dottrina, religiosa o politica, è riuscita a fare in maniera
convincente e incontrovertibile – di <i>rappresentare, in
maniera esclusiva e monopolistica, nei suoi princìpi ispiratori, nel
suo programma d'azione e nella sua pratica</i>,
la Verità assoluta e la Giustizia pura, potrebbe pretendere di
giudicare con disprezzo e commiserazione e perfino di “scomunicare”
chiunque non pieghi le ginocchia davanti al Movimento, accettandone
incondizionatamente la supremazia.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Certo,
chi è convinto di detenere l'<i>unica verità possibile</i>,
arriva per forza di cose a negare la legittimità di posizioni e
opinioni differenti e dunque del dissenso, e tenderà a screditare
tutti coloro che non si riconoscono in quella presunta “verità
assoluta”, come persone in malafede, corrotte, conniventi, ecc.
Bisognerebbe sempre evitare di imboccare questa strada, che porta
molto lontano dalla ragionevolezza e anche dalla razionalità dei
giudizi.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">E
– riprendendo l'ipotesi di prima – anche ammesso che il Movimento
5 Stelle sia il miglior movimento politico che sia mai comparso sulla
faccia della Terra, le sue ragioni non possono essere le “uniche
vere” o le “uniche giuste”. Questo vale per qualsiasi
aggregazione umana, che si chiami “partito”, “movimento”,
“associazione”, “gruppo”, ecc.: non è questione di
denominazioni, qui...</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Non
nego affatto che il M5S abbia buone argomentazioni e/o che molte
delle sue critiche al sistema dei partiti siano fondate. Ma questo
non vuol dire – in senso assoluto, aprioristico e definitivo –
che <i>nessun altro all'infuori del M5S abbia buone ragioni da
difendere</i>.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Alcune
domande a questo punto si impongono.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Volere
il 100% dei consensi significa forse disprezzare il pluralismo? Ha
una qualche validità un concetto di democrazia che ritenga
fisiologico l'unanimismo e invece consideri sospetti a priori (e anzi
da estirpare come patologici) il pluralismo e il dissenso
<i>organizzati</i>? E se sì,
in cosa questo genere di democrazia differisce dal totalitarismo e
dall'autoritarismo?</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Immagino
un paio di possibili risposte a quest'ultima domanda, in particolare:
quello che ha ipotizzato e/o auspicato Grillo è un consenso unanime
spontaneamente manifestato dagli elettori nelle urne, senza alcuna
forma di coercizione; inoltre, il Movimento 5 Stelle non è un
partito e non ha ideologie da imporre, ma soltanto alcune misure che
nessuna “persona onesta e di buona volontà” può sensatamente
rifiutare.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Si
può controreplicare a queste risposte, facendo notare ad es. che
l'unanimismo “monolitico” (comunque impossibile da riscontrare
“in natura” [per così dire], nelle aggregazioni di vaste
dimensioni, come la grandi città o, a maggior ragione, gli Stati),
in qualsiasi direzione si orienti, secondo tutte le accezioni
riconosciute di democrazia e di pluralismo, segnala una grave
patologia del sistema sociale e/o politico (che può essere l'eccesso
di conformismo, l'assenza di offerte politiche alternative, la
“posizione eccessivamente dominante” di un partito o di un leader
nella società, ecc.) e non ne è quindi, in alcun modo, la “cura”.
Inoltre, dire che il M5S “non è un partito” non muta la sostanza
della questione (forse che un “movimento” o una potente
associazione non hanno scopi ideali e persino politici da perseguire?
e non possono anch'essi assumere atteggiamenti prevaricatori e
intolleranti?), e affermare “l'autoevidenza” del valore delle
proposte politiche del Movimento sposta il discorso addirittura sul
piano del <i>fideismo</i>
collocando quelle proposte <i>al di là</i>
di ogni possibile critica.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">A
scanso di equivoci, è bene precisare che le osservazioni che qui
vado facendo non hanno necessariamente attinenza coi partiti <i>oggi
esistenti</i>. Voglio dire: non ho
alcuna intenzione né alcun interesse a perorare la causa del PD, del
PDL o di chicchessia. Il ragionamento deve andare al di là delle
situazione contingente, per poter essere compreso nel suo vero senso.
E allora, per capirci meglio, facciamo l'ipotesi che compaiano sulla
scena politica nuovi partiti o raggruppamenti politici, che
condividano con il M5S alcuni “valori” di fondo – come la non
candidabilità dei condannati, il divieto per i parlamentari di
ricandidarsi alle elezioni dopo uno o due mandati o la riduzione di
taluni privilegi – ma <i>non</i>
il resto del programma politico. </span>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">O
– altra ipotesi – poniamo che sorgano uno o più partiti che
propongano un modo di “miscelare” democrazia diretta e
rappresentativa che, pur somigliante per ispirazione a quello del
M5S, sia però differente (anche in maniera profonda) sotto il
profilo delle modalità operative.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">In
questi due casi, il Movimento 5 Stelle tratterebbe questi nuovi
partiti come sospetti o “appestati”, esattamente come i “vecchi”,
sol perché non perfettamente in linea con il programma del M5S
medesimo? Li tratterebbe come “concorrenti sleali” o come
“illegittimi usurpatori” della scena politica <i>nuova</i>?</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">E
se una parte del movimento per i beni comuni e per l'acqua pubblica –
per fare l'esempio eclatante di un movimento realmente “partecipato”
– non riconoscendosi legittimamente nella rappresentanza che il
movimento di Grillo dà a quelle istanze decidesse di darsi una
rappresentanza politica distinta rispetto a quella offerta dal M5S,
tale decisione sarebbe da contrastare alla stregua delle “vecchie
trovate” del sistema dei partiti da “mandare a casa”? Non hanno
altre parti del movimento <i>lo stesso diritto
all'autodeterminazione politica</i>
del quale si è avvalso il M5S per organizzarsi e chiedere il
consenso degli elettori? Chi e in virtù di cosa può negare tale
diritto?</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Credo
che le aspirazioni del Movimento 5 Stelle siano ben sintetizzate da
<u>Nadia Urbinati</u>
nella formula: <i>democrazia rappresentativa diretta</i>.
Questo nel dettaglio il ragionamento della studiosa [e il link al suo articolo è <b><a href="http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2013/03/05/dalla-piazza-al-parlamento.html?ref=search">qui</a></b>]:</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<blockquote style="background-color: #666666; color: #cfe2f3;">
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">«Il
M5S non esalta la democrazia diretta. Ha intenzione di inaugurare
quel che solo un ossimoro può rendere: una democrazia
rappresentativa diretta, cioè senza l'intermediazione del partito
politico, e con la promessa di mantenere un filo diretto via Internet
tra i cittadini e i rappresentanti. Una democrazia rappresentativa
sempre in rete. Questa è la novità più dirompentee complicata da
gestire. Il M5S ha l' ambizione di dimostrare che un dispositivo
tecnico come il web riuscirà a scalzare l' intermediazione
partitica, ce lo dicono Grillo e Dario Fo, lo si legge sul sito del
movimento. Con Internet, i grillini vorrebbero tenere in mano il
Parlamento, se così si può dire, ecco perché si ostinano a
chiamare gli eletti "cittadini" mettendo in secondo piano
il fatto, centrale, che sono invece dei "rappresentanti".
Come tradurre questo proposito in realtà?»</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><u><span style="font-family: Georgia, serif;">[N.
Urbinati, </span><i><span style="font-family: Georgia, serif;">Dalla piazza
al Parlamento</span></i><span style="font-family: Georgia, serif;">]</span></u></span></div>
</blockquote>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
“<span style="font-family: Georgia, serif;">Democrazia
rappresentativa diretta”: suona bene, certo, ma chi conosce almeno
un po' la storia della democrazia, la filosofia politica, il diritto
costituzionale e la scienza politica (per tacere di altre discipline)
non può ignorare a cuor leggero che quella formula equivale – come
la stessa studiosa comprende e fa intendere – alla <i>quadratura
del cerchio</i>.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Sembra
talvolta che i grillini si propongano al Paese come coloro che – a
quanto pare ignorando o perlomeno fortemente sottovalutando le enormi
difficoltà che nel corso degli ultimi secoli hanno incontrato
pensatori politici e giuristi nel cercare di conciliare la
rappresentanza con la democrazia diretta – sono in grado di
“quadrare il cerchio”, senza nemmeno troppa fatica. La “spada
nella roccia” era lì da secoli, nessuno, per quanti sforzi
facesse, riusciva a estrarla, poi un bel giorno è arrivato Grillo e
in quattro e quattr'otto l'ha tirata fuori dalla sua “prigione di
pietra”, mostrandola trionfante alle genti.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Le
favole sono belle ed entusiasmanti, me ne rendo conto... e io non
voglio turbarle più di tanto.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Come
faranno, comunque, i rappresentanti parlamentari del Movimento 5
Stelle a conciliare rappresentanza e democrazia diretta? Se
interpreto bene il pensiero di Grillo e del suo movimento, quando
sorgeranno contraddizioni o difficoltà, i parlamentari “grillini”
(e il movimento in genere) le supereranno grazie alla <i>buona
volontà</i>, alla <i>trasparenza</i>,
all'<i>onestà di intenti</i>
e magari anche grazie al <i>buon senso</i>.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Forse
per questo sembrano ritenere che la rinuncia al principio conosciuto
come “divieto del mandato imperativo” per i parlamentari, sancito
dall'art. 67 della Costituzione (e del resto da tutte le Costituzioni
“liberaldemocratiche”), sia priva di controindicazioni. Basta
essere benintenzionati, insomma, e ogni cosa va a posto da sé.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Un
altro passaggio dell'intervista citata all'inizio aiuta a capire un
altro caposaldo della visione del mondo “grillina”. Dice Grillo:
«L’arte del compromesso, che è stata l’arte della politica,
non è più valida. Il compromesso deve essere tra cittadini» e non
tra partiti [<span style="background-color: #666666; color: #cfe2f3; font-family: Georgia, serif;">«The
art of the compromise, which was the art of politics, is no longer
valid. Compromise needs to be between citizens, not between
Republicans and Democrats»</span>].</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Dunque,
come ripete con varie sfumature, i partiti si devono fare da parte
per lasciare spazio <i>interamente</i>
ai <i>cittadini</i>.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">La
dialettica politica non deve avere più per protagonisti i partiti,
bensì i <i>singoli cittadini</i>.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Il
Movimento 5 Stelle combatte quindi la <i>mediazione politica</i>
come se fosse il “male assoluto”.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Questa
concezione interpreta i partiti politici esclusivamente come “gabbie”
che hanno imposto il loro potere ai cittadini, offrendo a questi
ultimi catene in cambio del loro servizio di “mediazione” fra
opposti interessi e visioni del mondo.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Ma
l'organizzazione degli interessi comuni, che prende forma anche
attraverso i partiti politici (e, in altri àmbiti, attraverso i
sindacati, non a caso altro bersaglio della polemica grillina), non è
un inutile orpello o un arnese ingombrante del quale sbarazzarsi:
risponde invece a un'esigenza reale della società. Certo, come
anch'io ho detto qui e altrove, non è necessariamente <i>questo</i>
sistema dei partiti a rappresentare lo “stato fisiologico”; ma da
qui a sottovalutare o a demonizzare acriticamente la <i>funzione</i>
della mediazione politica <i>in quanto tale ed in ogni sua
forma</i> ce ne corre.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Perché
mai ai cittadini deve essere impedito, con libero atto della loro
volontà, di organizzarsi in partiti? Non è forse vero che una
persona da sola ha meno <i>chances</i>
di incidere sulla realtà e di farsi ascoltare, rispetto a un insieme
di persone che si sostengono a vicenda e sostengono solidali gli
stessi princìpi e le stesse battaglie ideali? E non è forse vero
che l'individuo, lasciato a se stesso, nel suo solipsismo, senza la
possibilità di confrontarsi con chi condivide almeno in parte le sue
idee, è meno capace di (auto)critica e ha meno possibilità di
allargare il proprio orizzonte mentale, ostinandosi magari in errori
dovuti semplicemente all'isolamento?</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Devono
aumentare i controlli di quei cittadini sui partiti, rispetto a
quanto avveniva in passato, e deve essere più “vera” la
trasparenza dei partiti stessi, questo è chiaro; ma ciò non vuol
dire che i partiti non hanno una funzione da svolgere ancora oggi.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Si
possono a questo punto citare alcune riflessioni di <u>Dino
Cofrancesco</u> che, pur partendo da un punto di vista ideale
profondamente diverso dal mio, a mio avviso mette a fuoco in maniera
incisiva il ruolo dei partiti e della mediazione da essi svolta nelle
democrazie.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Scrive
tra l'altro il prof. Cofrancesco [<b><a href="http://www.ilgiornale.it/news/cultura/senza-partiti-non-c-democrazia-894177.html">qui</a></b> o <b><a href="http://www.legnostorto.com/index.php?option=com_content&task=view&id=36368&Itemid=26">qui</a></b> il link all'articolo]:</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<blockquote style="background-color: #666666; color: #cfe2f3;">
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">«I
cittadini vogliono le cose più diverse (e talora incompatibili) e il
compito dei partiti è quello di fissare la road map: alcuni
obiettivi vengono raggiunti subito, altri rimandati, altri lasciati
cadere. Se il nostro partito ci ‘accontenta’ su un piano ma non
ci convince su un altro, ci si rassegna pensando che, in un momento
successivo, potrebbe cambiare linea. Al fondo, resta la fiducia in
una formazione politica che condivide la nostra ‘political culture’
e che è in grado di organizzare e far valere le esigenze di quanti
sentono e la pensano come noi.»</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><u>[D.
Cofrancesco, <i>Senza partiti non c'è democrazia</i>]</u></span></div>
</blockquote>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">La
<i>mediazione politica</i>, finora svolta (probabilmente male negli
ultimi anni, e perciò ci troviamo ora a questo punto) dai partiti,
ha anche una funzione <i>pedagogica</i>, che si può suddividere in
vari aspetti: uno di essi si compendia nel compito di ricordarci che
le esigenze della collettività non possono ridursi a quelle che noi,
come singole persone, dal nostro osservatorio privatissimo (e
inevitabilmente condizionato dalle nostre personali priorità e
preferenze), individuiamo. </span>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Non
possiamo insomma ragionevolmente aspettarci che le priorità
politiche di un'intera nazione (o anche di una città) possano o
debbano <i>sempre e comunque</i> essere condizionate e determinate
<i>prevalentemente</i> o addirittura <i>esclusivamente</i> dalle
nostre personali aspettative e dalla nostra personale “agenda”.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Ma
chi deve tener conto degli interessi pubblici? Non può farlo il
singolo individuo come tale, neppur con tutta la buona volontà.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Il
partito in un certo senso, sulla base di un mandato fiduciario,
ristruttura le <i>aspettative</i> e le “agende” dei singoli – e
deve quindi ascoltarli, tenerli in considerazione, ecc. – per
giungere a una piattaforma di valori e priorità <i>ragionevole e
condivisibile</i> (perlomeno da parte dei suoi simpatizzanti ed
elettori), che però fatalmente non può accontentare al cento per
cento ciascun singolo. Si tratta di un compromesso, in questo caso
non fra partiti (il genere di compromesso demonizzato da Grillo), ma
fra partiti e cittadini: siamo sicuri che anche di questo tipo di
compromesso possiamo/dobbiamo fare a meno in modo assoluto?</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Certo,
perché questo meccanismo si attivi e funzioni, è necessario che
esista mediamente fiducia nella capacità dei partiti – quella che
adesso è venuta meno e che forse non sarà facile ripristinare. Con
cosa la sostituiamo? Con l'assenza assoluta di mediazioni?</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Siccome
non credo che di questa funzione di mediazione si possa in realtà
fare a meno, non vorrei che, una volta tolti di mezzo i partiti, il
loro posto venisse preso da altri soggetti che, come “avvoltoi”
travestiti da premurose colombe, magari presentandosi come
“rappresentanti di istanze della società civile” o “fautori
del buon governo” o come “équipe di esperti”, cominciassero a
imporre, per carità “solo per il bene del Paese” e “dalla
parte della società civile”, le loro soluzioni ai problemi, le
loro ricette, i loro “valori”. Mi riferisco a soggetti che
dispongono di denaro, di mezzi, di mass media, del potere di
influenza, eccetera, tali da orientare le opinioni di molte persone
senza aver l'aria di farlo: pensate che non esistano “soggetti”
simili tra noi, quaggiù, nella “società civile”?</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">I
partiti insomma occupano un posto strategico nella nicchia
“ecologica” della politica: se li si costringe a uscire di scena,
quella nicchia non rimarrà vuota, statene certi; sarà invece
occupata da chi possiede i mezzi (economici e di potere) e la
capacità per farlo. E – potrei scommetterci – si tratterebbe di
soggetti privati, che in quanto tali non avrebbero il dovere di
rispondere delle loro decisioni e delle loro azioni (nonché della
provenienza e dell'utilizzo delle loro risorse) davanti ai
cittadini-elettori. La funzione di mediazione politica sarebbe in
definitiva assunta in maniera sotterranea da soggetti “opachi”,
da un lato capaci di orchestrare campagne di opinione (ricorrendo
magari anche a mezzi “sporchi”, come il dossieraggio e la
calunnia), di decretare l'ostracismo contro questo o quel
personaggio, contro questa o quella proposta di legge, e anche di
offrire finanziamenti per questa o quella iniziativa politica, e
dall'altro non responsabili (in quanto “non-politici”) dei loro
atti davanti all'opinione pubblica e ai cittadini.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Dite
che soggetti simili non fanno politica quanto e talvolta più dei
partiti? E che non hanno lo stesso potere dei partiti, se non
talvolta anche maggiore?</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">In
mancanza di altre forme di orientamento collettivo, a chi – se non
a quei soggetti “opachi” e irresponsabili – si rivolgerebbero
gli “individui” per cercare di “capirci qualcosa” nei
problemi della società? E per distribuire torti e ragioni e
individuare soluzioni?</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">E
questo è in realtà solo un pallido esempio di ciò che potrebbe
succedere.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Trattandosi
però di un'ipotesi o, se vogliamo, di una “proiezione futura”
(basata tuttavia su dati reali e storici), metto in conto anche di
potermi sbagliare su questo punto.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Qualche
volenteroso ottimista può pensare che invece, scomparsi dalla scena
i partiti, la mediazione fra le singole persone e la collettività
possa essere fatta in prima persona dai cittadini, ad esempio in
assemblee apposite. Forse è questo che hanno in mente Grillo e i
militanti del M5S.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Certamente
tentativi del genere si possono fare – e del resto non mi sognerei
di scoraggiarli, anche perché li auspico da tempo. Temo però che da
sola questa soluzione dell'“autogestione permanente” non possa
reggersi.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">E
qui torno a citare Cofrancesco:</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<blockquote style="background-color: #666666; color: #cfe2f3;">
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-family: Georgia, serif;">«</span>Una
democrazia senza partiti, che, in nome della partecipazione
‘totalitaria’, elimini de facto la rappresentanza, significa tout
court, il caos e l’anomia eretti a sistema: saremo continuamente
chiamati a scegliere su problemi specifici (piccoli o grandi che
siano) e su ciascuno di essi ci divideremo trasversalmente, rispetto
agli schieramenti attuali, in una sorta di guerra di tutti contro
tutti intesa a destabilizzare le istituzioni e ad alimentare climi
diffusi di risentimento.<span style="font-family: Georgia, serif;">»</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><u><span style="font-family: Georgia, serif;">[D.
Cofrancesco, </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>Senza partiti non
c'è democrazia</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">]</span></u></span></div>
</blockquote>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Non
è uno scenario da fantascienza. Chi ha avuto modo di assistere ai
dibattiti che si accendono nei movimenti “assembleari” sa bene
che questo rischio esiste. Dibattito dopo dibattito, le divisioni si
approfondiscono, i personalismi si accentuano e nessuno vuol sentirsi
da meno degli altri, sicché anche chi non ha nulla di fondamentale
da dire trova una virgola alla quale appigliarsi e in nome della
quale accapigliarsi con altri ostinati come lui/lei.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">(La
cosa si risolve soltanto con l'intervento di <i>mediatori autorevoli</i>,
che peraltro si sentono di solito dai più intransigenti rivolgere
l'accusa di voler “pilotare” lo spontaneismo dell'assemblea per
interessi di bottega – e talora l'accusa è fondata... Ma la realtà
è che senza interventi “semplificatori” del “caos atomistico
assembleare”, le assemblee stesse si votano da sole allo
scioglimento per incapacità di decidere alcunché.)</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Al
limite, se nessuno/a vuol cedere di un passo, perché in ogni
“cedimento” al compromesso “con gli altri” vede una
diminuzione del proprio potere di decidere sovranamente <i>per sé</i>,
nella ideale assemblea (più o meno permanente, più o meno virtuale)
che dovrebbe fungere da camera di mediazione fra i cittadini
“autogestita” le mozioni si moltiplicano, giacché <i>nessuno/a </i>
si abbassa a votare per mozioni che non lo/a soddisfino <i>al cento
per cento</i>, in un clima di sospetto generale e di conflitto
“atomizzato” ed endemico.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Ma
anche ammesso che non si arrivi a questo estremo (purtroppo
tutt'altro che improbabile, specialmente in momenti di
insoddisfazione generale), sorgono comunque altri problemi, ad
esempio la regola da adottare per prendere le decisioni. La regola di
maggioranza nella pratica della democrazia partecipativa non di rado
viene criticata in quanto “prevaricatrice” e le si preferisce
perciò la <i>regola del consenso</i>. </span>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Sarebbe
una regola splendida, perfetta, se non fosse per un dettaglio: <i>come</i>
si raggiunge e si misura in maniera <i>chiara e incontrovertibile</i>
il consenso? Lo si ottiene facendo una sintesi di tutte le mozioni
tale da accontentare potenzialmente (almeno un po') tutti/e senza
scontentare (troppo) nessuno/a? In teoria sì; ma tra il dire e il
fare... E' facile in pratica che qualcuno/a rimanga scontento/a della
“sintesi” così ottenuta e accusi coloro che gestiscono
l'assemblea di “manipolazioni”.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Il
rapporto di fiducia anche in questo caso (come nel sistema che vede
la mediazione affidata ai partiti) svolge un ruolo insostituibile.
Qui si instaura fra i partecipanti all'assemblea e coloro che vengono
dall'assemblea stessa incaricati – anche solo in via temporanea –
di gestire il dibattito e costruire sulla base di questo la fatidica
“sintesi condivisa”, nella e sulla quale si dovrebbe esprimere il
<i>consenso</i> dell'assemblea e quindi la sua deliberazione finale.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">I
“mediatori temporanei” (o facilitatori o moderatori, ecc.) devono
ovviamente essere innanzitutto in buona fede (e non essere
interessati quindi a “pilotare” secondo i propri fini i dibattiti
dell'assemblea) e inoltre devono avere la capacità (non comune) di
individuare i punti di sintesi nella marea sterminata di proposte e
di punti di vista che in un'assemblea veramente “libera” si
presentano sulla scena – il tutto senza urtare le suscettibilità
dei singoli partecipanti all'assemblea (e quindi i buoni “mediatori”
sono anche buoni diplomatici o comunque persone dotate di tatto e
sensibilità...).</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Qualcuno
può proporre: “Beh, se il problema sono i 'mediatori', facciamone
a meno e lasciamo l'assemblea libera di discutere e deliberare
all'infinito senza nessun 'moderatore'”. </span>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Che
dire? Che qualcuno ci provi, se ci crede davvero... a quel punto
dubito però che l'assemblea riesca ad arrivare a una qualche
deliberazione, se non per sfinimento fisico (ma quando e con quali
risultati?)...</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Un
altro problema, nelle discussioni assembleari “aperte e
partecipate” – del quale nessuno di solito se la sente di parlare
se non in via “ufficiosa” – è costituito dal livello
“qualitativo” degli interventi.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Non
si tratta di esprimere giudizi sul livello di preparazione e di
competenza dei partecipanti né – quindi – di stabilire forme di
censura; ciò a cui mi riferisco qui sono i casi di manifesta
<i>incapacità</i> del partecipante o di <i>reiterata e irrimediabile
incongruenza</i> dei suoi interventi rispetto ai temi in discussione.
Potremmo definire questo problema con espressione graziosa come il
problema dell'<i>“eccentrico in assemblea”</i> (laddove per
<i>eccentrico</i> si può intendere una vasta gamma di tipologie, che
spaziano – a mero titolo di esempio – dal “semplice”
eccentrico dotato di strambo eloquio [e di ancor più stramba idea
della logica] al vero e proprio mitomane, passando per il “paranoico
lucido”).</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Il
pubblico dibattito è infatti anche una grande occasione di sfoggio
narcisistico e determinati soggetti non riescono a resistere a tale
richiamo; se il loro numero e il loro peso in assemblea (anche per
via delle regole di discussione e di partecipazione che eventualmente
l'assemblea stessa si è data) non è indifferente, la discussione
può anche risentirne in una certa misura e la stessa “autorevolezza”
dell'assemblea rischia conseguentemente di affievolirsi.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">(Che
succede infatti se, in nome del “rispetto di tutte le opinioni”,
il veto o l'ostruzionismo a oltranza di un <i>eccentrico </i>–
nella suddetta accezione – impediscono all'assemblea di
deliberare?).</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">La
soluzione di questo problema – laddove si opti per una democrazia
diretta “senza barriere e senza mediazioni” – non è tanto
semplice: chi si assume l'onere e la responsabilità di escludere un
presunto <i>eccentrico</i> dall'assemblea, col rischio di sentirsi
accusare di adottare “pratiche discriminatorie”?</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Come
si vede, anche limitandosi a considerare poche questioni essenziali,
l'espansione dello spazio partecipativo (e dunque della democrazia
diretta) non si può affidare solo alla “buona volontà” e
all'“onestà di intenti”, perché è un percorso da costruire con
competenza e sapienza, e soprattutto è difficile immaginare di poter
risolvere il problema della mediazione semplicemente sopprimendola.
Rischia di essere un'illusione equivalente alla fede nell'esistenza
del Paese dei Balocchi.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">La
mediazione risiede oggi essenzialmente nel luogo istituzionale della
rappresentanza, il che vuol dire che lo spazio della partecipazione e
della democrazia diretta si può ampliare, e anche parecchio, ma –
se la mediazione, come si è detto, non è un “accidente
passeggero” del quale ci si può sbarazzare senza inconvenienti –
a patto di non farne <i>l'unico polo possibile della dialettica
politica</i>, che in sé tutto riassume e assorbe.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Il
rinnovo della rappresentanza che oggi il M5S ha realizzato è un
traguardo importante e promettente anche dal punto di vista
simbolico. Nonostante le perplessità (serie) sopra espresse, quindi, anche perché non sono un nemico del rinnovamento (men che mai un conservatore), specie se questo è volto a rendere migliore e più "inclusiva" la democrazia, concludo dicendo che si può ragionevolmente esprimere anche qualche speranza, la cui
fondatezza potrà essere giudicata soltanto nel corso dei prossimi
mesi (anni?).</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><u><b>Articoli
citati nel testo:</b></u></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><i>- <u>Italy’s Beppe Grillo: Meet the Rogue
Comedian Turned Kingmaker</u></i><u>, intervista di S. Faris a Beppe Grillo,
su <i>“Time”</i> del 7/3/2013,
http://world.time.com/2013/03/07/italys-beppe-grillo-meet-the-rogue-comedian-turned-kingmaker/</u></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">- <u>D. Cofrancesco, <i>Senza partiti non c'è
democrazia</i>, su <i>“Il Giornale”</i> del 10/3/2013 e sul sito
<i>“Il Legno Storto”</i>,
http://www.ilgiornale.it/news/cultura/senza-partiti-non-c-democrazia-894177.html</u></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><u>http://www.legnostorto.com/index.php?option=com_content&task=view&id=36368&Itemid=26</u></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">- <u>N.
Urbinati, <i>Dalla piazza al Parlamento</i>, su <i>“La Repubblica”</i>
del 5/3/2013,
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2013/03/05/dalla-piazza-al-parlamento.html?ref=search</u></span></div>
ivaneuscarhttp://www.blogger.com/profile/13381655735594702472noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-215434595625178180.post-23015771229309093932013-03-06T11:51:00.002+01:002013-03-06T11:51:21.153+01:00Proviamo un nuovo gioco: "Anche tu economista!" (Attenzione: si tratta di ironia)<span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;"><span class="userContent">Ormai i tempi sono maturi. Forse grazie alle
“meraviglie” dell'informatica e a qualche algoritmo sapientemente
elaborato, un giorno sarà possibile lanciare un grande gioco di
simulazione su vasta scala: <i>“Anche tu economista!”</i></span></span><br />
<span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;"><span class="userContent"><i> </i><br /> Il lancio
pubblicitario del gioco dirà più o meno così: </span></span><br />
<span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;"><span class="userContent"></span></span><br />
<a name='more'></a> <span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;"><span class="userContent">
</span></span><br />
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;">«Hai sempre saputo come
risolvere i grandi problemi dell'economia nazionale e planetaria ma
nessuno ti ha mai dato ascolto,
all'infuori di qualche internauta o di qualche amico al bar? </span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;">I poteri
forti coi loro <b><a href="http://almancoprov.blogspot.com/2012/02/complottismo-che-triste-destino.html">complotti</a></b> ti hanno sempre impedito di rivelare al mondo
le tue sensazionali ricette per superare la crisi finanziaria? </span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;">Niente
paura: da oggi, con <i>Anche tu economista!</i>, potrai metterti alla prova e
sperimentare la bontà delle tue ricette: grazie a un innovativo software
affidabile al cento per cento, sarai in grado di verificare in tempo
reale gli effetti delle tue politiche economiche. </span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;">Potrai provare
l'impareggiabile brivido di far crollare le borse e di ridurre sul
lastrico i risparmiatori! </span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;">Potrai indurre moltitudini estasiate a votare
plebiscitariamente le tue proposte, giusto per vedere poi schizzare alle
stelle la disoccupazione o l'inflazione! </span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;">Proverai le emozioni di un
vero economista! Pensa: tu, venuto su dal nulla! Tu, a cui nessuno fino a
ieri dava retta! Tu, fino a ieri scansato da tutti, a scuola o in
ufficio, come permaloso patologico, affetto da manie di persecuzione, o
come svitato mitomane! </span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;">Stupirai gli amici con la tua abilità e scoprirai
in te un talento nascosto che ti darà finalmente il coraggio per
candidarti alle prossime elezioni. Non ci credi? Ma perché no? Nulla è
impossibile a un uomo o a una donna che si mettono alla prova con <i>Anche
tu economista!</i>»</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;"><span class="userContent"></span></span><span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;"><span class="userContent"><span class="text_exposed_show"><br /> … Insomma, boh... dopo averne sentite di tutti i colori, preferisco farmi una risata... in attesa che il gioco delle parti in alto loco si compia e che </span></span></span><span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;"><span class="userContent"><span class="text_exposed_show"><span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;"><span class="userContent">“capaci, competenti e volenterosi</span></span></span></span></span><span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;"><span class="userContent"><span class="text_exposed_show"><span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;"><span class="userContent"><span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;"><span class="userContent">” in folta schiera</span></span></span></span> ci annuncino finalmente le </span></span></span><i><span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;"><span class="userContent">“magnifiche sorti e progressive</span></span></i><span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;"><span class="userContent"><i>”</i><b> <a href="http://www.leopardi.it/canti34.php">[cit.]</a></b> di questo Paese.</span></span>ivaneuscarhttp://www.blogger.com/profile/13381655735594702472noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-215434595625178180.post-21656107218435675302013-03-05T19:38:00.002+01:002013-03-05T19:38:42.986+01:00Un nuovo (possibile) alibi alla moda: "Ignobili, mi hanno decontestualizzato!"<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><span style="color: #333333; line-height: 18px;">Un nuovo alibi sta prendendo piede: <i>“Hai/hanno decontestualizzato le mie affermazioni”</i>.</span></span><br />
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><br style="color: #333333; line-height: 18px;" /><span style="color: #333333; line-height: 18px;">Ora, è vero che in vari casi estrapolare una frase da un discorso o da un ragionamento più ampio può stravolgere il senso di quella frase, e che spesso questa operazione di “estrapolazione” è effettuata in perfetta malafede da persone malevole o affette da una qualche forma di fanatismo.</span></span><br />
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><span style="color: #333333; line-height: 18px;"></span></span><br />
<a name='more'></a><br />
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><span style="color: #333333; line-height: 18px;"><br /></span></span>
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><span style="color: #333333; line-height: 18px;"> – Per fare un esempio e</span><span class="text_exposed_show" style="color: #333333; display: inline; line-height: 18px;">clatante: se da un romanzo (da un'opera di fantasia, dunque) estrapolo la frase di un personaggio “cattivo” (un assassino spietato, un cinico corruttore, ecc.) e senza alcuna motivazione accettabile la presento come “pensiero autentico dell'autore”, compio una mistificazione: per quale motivo il “pensiero autentico dell'autore” risiederebbe nelle parole del “personaggio cattivo” anziché in quelle dell'“eroe buono” (vittima innocente, ecc.)? </span></span><br />
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><span class="text_exposed_show" style="color: #333333; display: inline; line-height: 18px;">[O, in senso più radicale: perché mai il “pensiero autentico dell'autore” dovrebbe essere rappresentato dalle parole di un qualsiasi personaggio del suo romanzo? Magari non coincide né coi pensieri dell'“eroe buono” né coi pensieri del “cattivo”, ma è invece totalmente altrove]. –</span></span><br />
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><span class="text_exposed_show" style="color: #333333; display: inline; line-height: 18px;"><br />Posto tutto ciò, però, non sempre la “decontestualizzazione” muta il senso delle affermazioni.</span></span><br />
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><span class="text_exposed_show" style="color: #333333; display: inline; line-height: 18px;"><br />Ci sono affermazioni che sono discutibili, inaccettabili o sbagliate in <i>qualsiasi</i> contesto.</span></span><br />
<br />
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><span class="text_exposed_show" style="color: #333333; display: inline; line-height: 18px;">Eppure, anche quando ci si trova <i>con tutta evidenza</i> al cospetto di un caso del genere, chi ha fatto l'affermazione sottoposta a critica si difende con la frase riportata sopra: <i>“Hai/hanno decontestualizzato le mie affermazioni”</i>, che sembra diventata quindi un alibi <i>“prêt-à-porter”</i>, buono in tutte le occasioni mondane e in tutte le stagioni. </span></span><br />
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><span class="text_exposed_show" style="color: #333333; display: inline; line-height: 18px;"><br /></span></span>
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><span class="text_exposed_show" style="color: #333333; display: inline; line-height: 18px;">In questi particolari casi verrebbe da replicare semplicemente: <i><b>“E con ciò? Le castronerie restano tali, sia sole che accompagnate... da un contesto”</b></i>.</span></span>ivaneuscarhttp://www.blogger.com/profile/13381655735594702472noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-215434595625178180.post-67834047545561156352013-02-28T13:20:00.000+01:002013-02-28T15:27:08.616+01:00Lettera immaginaria di un "elettore incompreso" (forse reale). Con un post scriptum<div class="mbl notesBlogText clearfix">
<span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;"></span><br />
<div>
<span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;">«Non
sono io che devo andare a convincere gli elettori, sono gli elettori che
devono spontaneamente convincersi della mia superiorità; e se non
riescono a convincersene, sono solo degli stupidi e io ho tutto il
diritto di insultarli in quanto stupidi, rozzi, ecc.»</span><br />
<span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;"><br /></span>
<span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;"><br /></span>
<span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;">Questo
ragionamento non lo sentirete mai enunciato così apertamente, eppure –
dai comportamenti di certi soloni e “big” della politica, che continuano
imperterriti a voler dare lezioni a tutto il mondo, senza però
umilmente ascoltarlo, quel mondo – si evince che è proprio quello il
principio che è alla base dei loro comportamenti e atteggiamenti.</span><br />
<span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;"><br /></span>
<span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;"><br /></span>
<a name='more'></a><span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;"><br /></span>
<span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;">Finché qualcuno continuerà a ragionare così, quel “qualcuno” provocherà solo reazioni di rigetto negli elettori.</span><br />
<span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;">Perché?
Forse lo potrebbe spiegare un “elettore incompreso” con una lettera
idealmente rivolta a un certo tipo di candidato politico. La lettera che
immagino potrebbe suonare più o meno così:</span><br />
<span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;"><br /></span>
<span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;">«Ti conosco da tanto tempo; invece a te non interessa sapere chi sono, cosa penso, cosa mi aspetto. Tu
pensi che non sia tuo compito e tuo onere di candidato venire da me,
dove io vivo, nel mio quartiere, nella mia periferia sperduta, a cercare
di convincermi, ascoltando anche le mie ragioni (per discutere e magari
farmi anche notare dove sbaglio): vuol dire che a priori mi consideri
stupido, rozzo, indegno di considerazione. Eppure, nonostante questo
preconcetto, pretendi il mio voto, e se non te lo do, il tuo “perché” al
mio rigetto è già bell'e pronto; è pronto da sempre, nella tua mente di
“aristocratico”. Commenti infatti ad alta voce, sui tuoi giornali e
libri e pagine Web: “Tu non mi voti perché sei indegno, stupido, ecc.,
ed essendo tale, non ti accorgi che <em>io e solo io</em> merito il tuo voto”.</span><br />
<span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;"><br /></span>
<span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;">Caro
amico, il tuo è un dogma, che nessuna realtà può confutare. Che io ti
voti o no, per te io son solo un nulla da disprezzare, perché vivo nella
mia periferia, ben lontano dalle tue stanze; sulla mia testa e su
quella di tutti i miei simili tu tracci da sempre una croce con la
scritta <em>“Hic sunt leones”</em>, come facevano i Romani antichi con
quelle che loro consideravano terre selvagge e inospitali (e dunque
“cause perse” per la loro politica espansionistica).</span><br />
<span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;"><br /></span>
<span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;">Sei un dannato aristocratico fin nel midollo, anche quando ti dichiari democratico.</span><br />
<span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;"><br /></span>
<span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;">Scendi
dal tuo podio, vienimi a spiegare perché io dovrei scegliere te; ma
spiegamelo guardandomi in faccia, parlando la mia lingua, da pari a
pari; perché in una democrazia, ti piaccia o no, io e te siamo
ugualmente cittadini, io sono un tuo simile e se vuoi il mio voto mi
devi trattare con rispetto e considerazione, innanzitutto. Se vuoi che
io ti scelga, devi sapermi ascoltare, non devi pretendere di saper già
tutto di me e di quelli come me prima ancora di aver sentito la mia
voce; se tu, come fai di solito, ti limiti a offrirmi dall'alto del tuo
piedistallo le soluzioni che hai prefabbricato graziosamente per me
(senza conoscere neppure la mia voce!), vuol dire che mi disprezzi, vuol
dire che per te io non sono niente, solo una “bestia da voto”
(esattamente come i lavoratori erano una volta “bestie da soma”, che
dovevano solo faticare senza recriminare e senza mai alzare la testa).</span><br />
<span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;"><br /></span>
<span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;">Ti
ripeto: se mentre dialoghi con me, ti rendi conto che io dico cose che
per te sono sbagliate, ingenue, insensate, inattuabili, ecc., fammelo
notare; però, per favore, spiegami dove sbaglio, e spiegamelo senza
supponenza e senza alzare il sopracciglio. Parlami delle soluzioni che
tu proponi per me e per il Paese, ma ascolta anche me. Io esisto e sono
io che devo votarti; devo soppesarti, devo capire ciò che proponi e devo
capire se parla anche a me e di me.</span><br />
<span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;"><br /></span>
<span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;">Ricordalo, per favore; altrimenti non lamentarti se poi ti volto le spalle.»</span><br />
<span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;"><br /></span>
<span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;"><br /></span>
<span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;"><b>Post scriptum</b>:
comunque, non sono solo i partiti “istituzionali” a fare certi errori.
Anche in certi partiti e gruppi che sono apparentemente “antagonisti”,
si possono notare simili atteggiamenti “autoreferenziali” (“Noi siamo i
migliori, ma lo sappiamo solo noi; il mondo non ci capisce e non ci
capirà mai, perché è stupido, rozzo, arretrato; e quindi non siamo noi
che dobbiamo sforzarci di convincerlo parlando anche la sua lingua; è
dovere 'del mondo' darci ragione a priori, arrendendosi spontaneamente e
incondizionatamente alle nostre ragioni”).</span><br />
<span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;"><br /></span>
<span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;">Il consenso (che non
necessariamente vuol dire “voto”: anche un gruppo non-parlamentare deve
cercare consenso nella società se vuole avere un senso politico) non ti
viene a cercare, sei tu che te lo devi conquistare; e devi dialogare con
tutti e con chiunque. Anche se sei “rivoluzionario”, hai l'onere
(ineludibile) di spiegare le tue ragioni, in modo chiaro, comprensibile e
possibilmente convincente; una “rivoluzione” che se ne impipa dei
problemi quotidiani delle persone concrete (magari persino
disprezzandoli, dall'alto della sua “dottrina”) è una rivoluzione che
non si metterà mai in moto concretamente (al di là dei conciliaboli fra
pochi sognatori...).</span></div>
<span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;">
</span></div>
ivaneuscarhttp://www.blogger.com/profile/13381655735594702472noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-215434595625178180.post-63167342298425826112013-02-15T11:34:00.000+01:002013-02-15T11:37:41.617+01:00Perché qualcuno ancora non vuole una "giustizia uguale per tutti"? (Ovvero: L'immortale fascino del "doppio standard")<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">E' piuttosto diffusa
fra i “ceti abbienti-influenti” italiani e certi loro referenti
politici una tendenza: essere <i>“per l'ordine”</i> quando hanno
paura che qualcuno tocchi “la roba loro” e diventare invece (in
un Paese in cui la faccia di bronzo è considerata virtù)
<i>disinvoltamente anarchici</i> quando le stesse istituzioni “della
legge e dell'ordine” (che in altre occasioni loro appoggiano con
passione) vanno a spulciare tra le malefatte del loro ambiente e
degli “amiconi” loro.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><br />E'
veramente lunga la strada per arrivare a una <i>giustizia “uguale
per tutti”</i> (perlomeno come principio socialmente acquisito, patrimonio della collettività da non mettere mai più in discussione). </span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"></span></div>
<a name='more'></a><span style="font-family: Georgia, serif;"> </span>
<br />
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Sulla carta
il codice penale (come qualsiasi altro testo di legge) sembra <i>neutro,
imparziale</i>, rivolto indistintamente a tutti; ma quando poi le norme
che contiene devono essere applicate <i>nei confronti di persone
concrete</i>, cominciano i “distinguo” e i classismi vari vengono a
galla: e allora, se tu sei <i>“brutto sporco e cattivo” </i><b><a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Brutti,_sporchi_e_cattivi"><span style="font-style: normal;">[cit.]</span></a></b>,
la legge – secondo “benpensanti”, determinati notabili immarcescibili e
certi settori dei ceti abbienti & socialmente influenti – ti
deve colpire con tutta la durezza possibile, senza sconti (anche se
hai “soltanto” sputato per terra o ti sei appropriato di un euro
non tuo, caduto dalla tasca di un altro); se invece fai parte di certi segmenti della
classe benpensante/abbiente/influente (la <i>gente che conta davvero</i>, insomma), il tuo clan amical-social-familiare, con buona probabilità, ti difende con
tutti i mezzi a sua disposizione e – se proprio l'hai combinata
grossa e non ti può subito sottrarre alle “ire” della giustizia
(ad es., hai ridotto sul lastrico risparmiatori che si son fidati di
te, hai intascato mazzette e ti han colto sul fatto, hai investito
qualcuno con la tua Maserati e poi sei scappato via senza
soccorrerlo) – perlomeno fa di tutto, coi megafoni della stampa &
Tv, per invocare a tuo beneficio <i>clemenza, comprensione &
perdono</i> – <b>quelle stesse cose che non ha mai invocato per il
</b><i><b>“brutto sporco e cattivo”</b></i> che magari aveva solo
imbrattato un muro in un momento di rabbia.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><br />Eppure
io vorrei una <i>legge “uguale per tutti” </i><span style="font-style: normal;">(in
mancanza della quale la democrazia rimane monca)</span>; e se ci
devono essere comprensione e clemenza (alle quali sono peraltro
favorevole: ci mancherebbe!), che si cominci dal basso, dai poveri
cristi, e non da chi detiene il potere (politico, economico,
finanziario, culturale, mass-mediale). </span>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">[Oltretutto,
<i>chi ha il potere, in democrazia, ha il dovere di usarlo in maniera
trasparente, rendendo conto pubblicamente punto per punto di ciò che
fa</i> <b>(altro che privacy! e altro che </b><i><b>arcana imperii</b></i><b>!
- bella scusa per non rispondere delle proprie “magagne”)</b>, e
non ci possono essere sconti su questo. A mio avviso, chi accetta di
ricoprire un incarico parlamentare, di governo, ecc., deve accettare
anche la regola dell'assoluta trasparenza, e se invece la trasparenza non gli va a genio è meglio che
faccia altro, nella vita: come si suol dire, “non gliel'ha mica
ordinato il dottore” di fare il parlamentare, il ministro, ecc.]</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><br />Altrimenti
restiamo sempre all'<i>ancien régime</i>, nel quale i nobili
venivano giudicati da tribunali diversi da quelli che giudicavano i
“comuni mortali”, ricevendo “in automatico” trattamenti di
favore. Quanti passi avanti abbiamo fatto da allora? In questo campo
pochi, temo, almeno in certi settori dell'opinione pubblica, della </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-family: Georgia, serif;">“società civile</span></span><span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-family: Georgia, serif;">”</span> e della politica (non poco influenti). </span>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">E' ora di
cambiare. Smettiamola di giudicare sempre con occhio benevolo i
<b><a href="http://www.treccani.it/enciclopedia/notabili_%28Enciclopedia-delle-Scienze-Sociali%29/"><i>notabili</i></a></b> e i <b><a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Cacicco"><i>cacicchi</i></a></b> “del nostro cuore” (più o
meno carismatici... ma oggi il <i>“carisma”</i>, ridotto all'ombra di se
stesso, passa persino per il cabaret televisivo!), come se fossero
semidei autorizzati a ignorare le leggi umane.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><br />E chi parla di
“tolleranza zero”, a mio modesto avviso, deve essere disposto ad applicarla anche agli
amici suoi, ai sodali suoi ed al suo ambiente (sociale,
professionale, politico, ecc.), altrimenti non è sincero e non sta
parlando di severità della legge, bensì sta proclamando per
l'ennesima volta con sfacciataggine l'inaccettabile diritto ai <i>“due
pesi e due misure”</i>, a difesa del proprio <b><a href="http://almancoprov.blogspot.com/2011/07/torniamo-sempre-fare-i-conti-coi.html">privilegio</a></b> (e non
della legge). </span>
</div>
ivaneuscarhttp://www.blogger.com/profile/13381655735594702472noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-215434595625178180.post-65284632016752628602013-01-02T12:12:00.000+01:002013-01-02T12:12:18.495+01:00Il Re è sempre il Re, anche se... (Ovvero: I vestiti nuovi dell'imperatore, possibile parte seconda)<br />
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><i>Un
semplice raccontino sui problemi causati da un certo tipo di
mentalità.</i></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><i>Che
succede in una monarchia assoluta (e – si badi bene – possono
assomigliare a monarchie assolute anche alcune “sette”, o alcune
organizzazioni [o gruppi ristretti di persone] che pendono dalle
labbra di un qualche Capo che tutto-sa-tutto-decide-tutto-dispone,
ecc.); cosa succede, dicevo, in una monarchia assoluta, quando il Re
– per così dire – perde la lucidità?</i></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><i>In una
monarchia assoluta è difficile dichiarare – </i>sic
et simpliciter – <i>che il sovrano, fino a ieri infallibile,
oggi di colpo non lo è più. Già: come si fa? L'</i>infallibilità<i>
(e quindi il diritto di comandare e disporre senza venir mai
contraddetti) per definizione non si può perdere, perché non è mai
nei fatti, ma nella testa di chi la proclama.</i></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><i>Abbiamo
un bell'aggrapparci alla convinzione che il sovrano sia onnisciente,
essere sovrumano, o cose del genere, se i fatti ci sfidano; se
intanto il Re, magari anche perché ubriacato dal suo potere, ha
perso il lume della ragione (o addirittura non l'ha mai avuto), come
se ne esce?</i></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="CENTER" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">§</span></div>
<div align="CENTER" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"></span></div>
<a name='more'></a><br />
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Da qualche
tempo il Re non era più lo stesso.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Nel corso
dei lunghi anni del suo regno, si era fatto conoscere per la
brillantezza dei suoi motti e per l'atteggiamento sprezzante che
riservava a tutti coloro che non suscitavano la sua simpatia o il suo
interesse. Col potere che aveva, poteva permettersi una certa
arroganza, e non ne faceva un uso parco e moderato.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">I suoi
discorsi, le sue intenzioni, i suoi disegni, avevano però sempre
avuto il pregio di esser chiari. Nessuno un tempo avrebbe potuto
accusare il Re di nascondere i propri pensieri o di usare giri di
parole incomprensibili per occultare le proprie strategie.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Ma adesso
non sembrava più la stessa persona. Ogni volta che compariva in
pubblico, sembrava a disagio come chi si sia appena risvegliato e
faccia fatica per qualche attimo a capire dove si trovi e perché; e
per superare il suo stato di evidente confusione, andava sì
all'attacco come un tempo contro nemici veri e soprattutto
immaginari, ma pareva sferrare colpi a casaccio, entrando sovente
perfino in contraddizione con se stesso.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">La
sfrontatezza di tutta una vita, ormai divenuta per lui una seconda
pelle, gli consentiva di non farsi condizionare da alcun senso di
impaccio nel parlare, sicché l'espressione attonita del viso era
singolarmente in contrasto con la sicumera delle parole che gli
uscivano di bocca.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">I suoi
ministri fidati, i collaboratori più stretti nonché i cortigiani
addetti alla cura della sua agenda e della sua persona, le prime
volte che il Re si era comportato in questo modo insolito, non
avevano dato troppo peso alla cosa, pensando che si trattasse di un
suo ghiribizzo del momento o tutt'al più di un malessere passeggero.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Tuttavia,
man mano che i giorni e le settimane passavano, e che il
comportamento del Re denotava un cambiamento pressoché stabile della
sua personalità e quasi senz'altro un peggioramento del suo stato di
salute, ministri, cortigiani e collaboratori cominciarono a
domandarsi perplessi che cosa convenisse fare: bisognava far finta di
nulla e lasciare che il Re continuasse a contraddirsi continuamente
in pubblico, finendo per gettare il Paese nella costernazione e la
corte nel ridicolo, oppure bisognava prendere gravi provvedimenti per
impedire al Re di nuocere ancora a se stesso e alla nazione?</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">A dire il
vero le ultime apparizioni pubbliche del sovrano erano state
decisamente imbarazzanti, se non addirittura scandalose: al
ricevimento solenne con gli ambasciatori dei Paesi di mezzo mondo si
era presentato non solo indossando la camicia di Arlecchino – e non
si era neppure in periodo di carnevale! – ma anche recando in
tasca, in bella vista, una raganella, che aveva poi agitato a
sorpresa in aria prima di prendere la parola.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Già nel
vederlo agitare come un forsennato quello strumento di legno adatto a
far rumore nelle feste, cortigiani e collaboratori si erano guardati
in faccia smarriti e sbiancati; quando poi il Re aveva cominciato a
parlare, dopo un attimo di sollievo (giacché il sovrano aveva
esordito con un gentile e rituale saluto a tutti i presenti), avevano
dovuto a stento trattenersi dal mettersi le mani tra i capelli per la
vergogna e la disperazione.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Infatti il
Re si era lanciato in affermazioni del tutto gratuite ed offensive su
questo o quel Capo di Stato, non concordate con i vertici della
diplomazia, affermazioni che non erano affatto legate a comportamenti
politici dei personaggi insultati, ma alla loro presunta “antipatia”,
al loro modo di vestire e persino al loro segno zodiacale («I segni
di fuoco sono infidi e traditori!» aveva esclamato tra l'altro il
Re, «e con gente di quei segni non firmerei neppure una petizione...
figuriamoci un trattato!»).</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Subito
dopo, il Re aveva insistito per declamare in modo orrendo un brano
dell'<i>Amleto</i> di Shakespeare e
aveva detto che il teatro inglese è sopravvalutato.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">«Un
giorno scriverò un'opera sul teatro mondiale... anzi lo sto già
facendo. Da noi si fa troppo poco per il teatro, sapete?» si era
lanciato a dire il sovrano. «Fossi stato quello Shakespeare, alcuni
monologhi li avrei scritti diversamente, e so già come... ma qui nel
mio Paese forze oscure me lo impediscono. Qualcosa di loro ho già
scoperto, la polizia politica lavora bene, per merito dei miei
consigli... A volte ricevo bigliettini con strane cifre gialle,
quelli sono tutti segnali che vanno decifrati, dietro certi numeri ci
sono le tracce di un complotto per detronizzarmi; per questo la sera,
prima di addormentarmi, mi ripeto a mente tutti quei numeri, perché
se li ricordo alla perfezione non possono fregarmi».</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Andò
avanti così per circa mezz'ora, e i suoi collaboratori e i
cortigiani non sapevano più dove nascondere la faccia; non era loro
consentito interrompere il loro sovrano nell'esercizio delle sue
funzioni, e dovettero quindi farlo parlare a ruota libera.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">La
stampa mondiale si divertì moltissimo a stilare resoconti sarcastici
e pungenti di quel discorso; invece la stampa nazionale si scervellò
rispettosamente per capire il senso recondito delle affermazioni del
Re.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Il
più importante dei Ministri del Re si assunse la responsabilità di
emanare una “dichiarazione ufficiale” con lo scopo di «fornire
la vera interpretazione del discorso dell'Amatissimo Sovrano».</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">«Le
parole del Re» dichiarò dunque l'Autorevole Ministro «vanno
interpretate in senso metaforico. E' chiaro e lampante – e solo chi
è in malafede lo nega – che le sue affermazioni non vanno prese
alla lettera... sono immagini, metafore che il Re ha graziosamente
voluto offrirci per illuminarci sulla realtà della situazione
mondiale attuale. Non sta a noi giudicare la bontà di quelle
metafore: se il Re le ha scelte, evidentemente sono giuste, lui è
fin troppo intelligente, fin troppo al di sopra dei suoi critici, e
non fa mai niente a caso».</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Bene,
ma se erano “metafore”, cosa stavano a significare? -
continuavano a chiedersi i comuni mortali. Ma le risposte ufficiali
di questo o quel ministro erano vaghe e confuse.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Tuttavia
in realtà, prima ancora che si avesse la possibilità di
scandagliare i presunti “significati nascosti” del discorso
regale, il sovrano ne aveva – per così dire – già “combinata
un'altra” (anche se mai un'espressione simile sarebbe stata
pronunciata in pubblico, in riferimento al monarca).</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Nonostante
le preoccupazioni di collaboratori e cortigiani, il Re, soltanto tre
giorni dopo il “memorabile” ricevimento, aveva voluto a tutti i
costi tenere un discorso solenne in occasione di una festività
nazionale. Avevano provato a dissuaderlo, ma il sovrano era
particolarmente cocciuto (sempre più col passare degli anni...) e
d'altronde la sua volontà era Legge, e così...</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Comodamente
e regalmente seduto sull'enorme poltrona rossa del proprio studio, il
Re diede un'occhiata ai propri appunti, poi, come colpito da
un'ispirazione improvvisa, li mise da parte e guardò dritto nella
telecamera con espressione seria, anzi apparentemente irosa, come se
ce l'avesse con qualcuno. E in effetti, puntando il dito verso gli
spettatori, esclamò con aria feroce:</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">«Il
nostro problema sono i maniscalchi! Fanno di tutto per rovinare la
mia politica, non riescono a vedere ciò che c'è di buono nel
mondo... no, loro sono pieni di livore, fanno fallire ogni cosa che
faccio! E' perché io li ho scoperti che se la prendono così! Ma
adesso ho preso una grave decisione e spero che tutti voi, miei amati
sudditi, sarete dalla mia parte: abolirò la corporazione dei
maniscalchi. Eh sì, non vedo altra soluzione... Bisogna spazzare via
questi corporativismi infami che non ci permettono di migliorare le
condizioni della nazione. E' tutta colpa loro. Sempre. Anche quando
sembra che non c'entrino niente... anzi, è proprio in quei casi che
le loro macchinazioni si fanno più subdole».</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Nell'udire
queste affermazioni, alcuni cortigiani lì presenti si scambiarono
occhiate interrogative; uno di loro borbottò impercettibilmente:
«Maniscalchi? Ma di che fischio sta parlando?».</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">«Abbi
pazienza, è una delle sue più recenti fissazioni» gli replicò un
altro.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Nel
frattempo il Re continuava:</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">«Per
non parlare dei postiglioni! Gente pericolosissima, che non vuol
mollare i suoi privilegi e che v'imbottisce il cervello di frottole,
vi esalta, vi illude... Ho letto uno dei loro libretti di
propaganda... e ho capito che sono loro a mandarmi i bigliettini con
le scritte gialle. Nemmeno la polizia politica se n'è accorta, ma io
sì! Per questo sono il migliore di tutti!».</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">I
volti dei cortigiani erano diventati rossi e blu e i loro sguardi
vagavano impacciati da un angolo all'altro della stanza.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">E
il sovrano non si fermava più, anzi sembrava che il suo accanimento
oratorio gli raddoppiasse le energie, come se si fosse innescato un
“moto perpetuo”:</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">«Volevo
annunciarvi» proseguì con occhi da invasato «che darò sovvenzioni
a coloro che abitano nei portoni ad angolo, che da un sondaggio
risultano tantissimi, perché il loro problema sociale mi sta
talmente a cuore che la notte li penso e mi vien da piangere...».</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Il
labbro superiore a questo punto gli tremò, come se davvero egli
fosse sul punto di lasciarsi andare al pianto; ma la sua attenzione
fu catturata da un cortigiano che dietro le quinte si sbracciava
disperatamente per comunicargli qualcosa.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">«Ma
cosa c'è?» fece allora stizzito il sovrano, senza curarsi della
diretta televisiva.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Il
cortigiano, premuroso ma impacciato, gli sussurrò:</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">«Maestà,
ma proprio ieri avete dichiarato alla stampa che la gente che abita
nei portoni ad angolo si lamenta ad arte per spillare quattrini allo
Stato... avete detto che sono soltanto lazzaroni e infidi... e oggi
invece...».</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Il
Re, in risposta, fece un gesto nervoso e sbrigativo che comunicava
sovrana noncuranza, ma in quella un altro cortigiano si fece coraggio
e sussurrò a sua volta:</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">«Senza
contare poi che avantieri all'inaugurazione dell'ultima fiera,
davanti a decine di inviati, avete dichiarato di non aver mai parlato
di maniscalchi, Maestà, e avete detto anche che per voi neppure
esistono... smentendo peraltro una vostra precedente conferenza
stampa».</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Il
volto del Re si fece insofferente e paonazzo; per qualche secondo
egli diede l'impressione di essere una pentola a cui stesse per
saltare il coperchio, poi diede una rumorosa manata sulla propria
scrivania e quasi ringhiando di furore disse, senza neppure guardare
la telecamera:</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">«Ho
avuto adesso l'ennesima prova che in questo Paese va cambiato tutto,
proprio tutto! E soltanto io posso farlo, soltanto io! Voi, voi
tutti» fece indicando i collaboratori lì presenti «siete i primi a
sabotare i miei progetti, lo so da un pezzo... e adesso è bene che
lo sappia tutta la nazione! Io vi ho tirati su dal nulla e proprio
quando ho più bisogno del vostro appoggio, vi rivelate per quello
che siete: un branco di iene e di smidollati!».</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">«Maestà,
ma cosa dite?...» provò a discolparsi uno di loro, ma il Re gli
ingiunse di tacere.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">«Sono
circondato di ingrati!» esclamò gettando in aria i fogli del
proprio discorso. «Mentre i postiglioni si stanno impadronendo del
sapone e della candeggina, per portare a termine il loro complotto, e
li fanno sparire dai supermercati, voi state qui a sottilizzare sulle
mie virgole, come se fossimo ancora a scuola! Vergognatevi! Sono io
che vi rimando a scuola, tutti! Sapete?».</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Il
cameraman, sentendosi un pesce fuor d'acqua, si guardò attorno per
cercare di capire cosa dovesse fare; ma nessuno badava a lui, sicché
a gesti comunicò al sovrano la propria intenzione di interrompere le
riprese.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">«No,
no, tu continua il tuo lavoro!» disse il Re. «La nazione deve
sapere certe cose... E sappiate tutti che ho il potere di rimandarvi
a scuola, sto parlando sul serio... Se mi gira, faccio un decreto col
quale vi dichiaro analfabeti e vi costringo a tornare alle
elementari. Così dovrete andarvene all'istante di qui, perché non
è un lavoro per analfabeti, questo».</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Dopo
queste frasi ci fu un lungo silenzio; il Re sembrava improvvisamente
spossato e guardava le proprie ginocchia, senza muovere un muscolo.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Il
cameraman interrogò con lo sguardo i cortigiani e sembrava dir loro:
“Che faccio? Interrompo qui il collegamento?”; ma nessuno voleva
prendersi la responsabilità di decidere.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Di
colpo il Re si rianimò e con un sorriso sornione, come se nulla
fosse, guardò nella telecamera e civettando coi suoi
sudditi-spettatori fece suadente:</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">«Non
preoccupatevi, conosco il grave problema delle pompe da
giardinaggio... sto mettendo sotto pressione tutti i miei
collaboratori per risolverlo... Alla fine ne verremo a capo, lo
giuro. Fidatevi, fidatevi di me come sempre, non ve ne pentirete! Il
vostro Re è una garanzia, è il migliore che ci sia al mondo... C'è
solo una penuria momentanea di quelle benedette pompe, ma ho
approntato un piano di importazioni straordinarie, tutto elaborato da
me ovviamente... il problema si risolverà in trentadue giorni
considerando i bisestili e i quartili. D'altra parte il giardinaggio
è la principale attività economica del nostro Paese e mi impegno a
trovare i fondi per rilanciarlo. Ho già deciso che detasserò i
viaggi al di sopra del Circolo Polare Artico, così l'indotto delle
pompe da giardino ne avrà beneficio e salverò moltissimi posti di
lavoro. Le scuole resteranno chiuse a tempo indeterminato per
rilanciare il settore della derattizzazione, che attualmente è in
sofferenza... del resto, come tutti sappiamo, nel nostro Paese grazie
ai miei sforzi l'analfabetismo non è più una minaccia per la
salute».</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Questo
discorso del Re si candidò a entrare nella storia, anche se non per
i motivi che il sovrano immaginava; ripensando alle parole che aveva
pronunciato davanti a milioni di telespettatori, egli si sentiva
soddisfatto, convinto di aver dato il meglio di sé, e anzi di
essersi superato.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Non
poteva sapere che moltissimi sudditi, nell'ascoltarlo, si erano
sbellicati dalle risate – e non c'è niente di più funesto, per un
monarca assoluto, che suscitare ilarità senza volerlo; altri
sudditi, i più affezionati alla causa della monarchia, avevano
assistito rabbrividendo alla <i>performance</i> del Re e avevano
provato un senso di smarrimento, come se improvvisamente nelle loro
vite si fosse spalancata una spaventosa voragine, che volevano
istintivamente ricacciare indietro, senza però sapere come.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Nella
notte i Ministri si riunirono a consulto ed esaminarono con
franchezza i termini del problema.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">«Parliamoci
chiaramente» disse il Più Autorevole fra loro, «a questa cosa non
c'è rimedio... I migliori medici del Regno me l'hanno spiegato:
quella del nostro Amato Sovrano è una condizione irreversibile...
andrà sempre peggio, col passare del tempo».</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">«Ma
come? Non c'è nessuna cura? nessuna medicina?» domandò un altro
Ministro.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">«Purtroppo
no, cari colleghi» rispose il Più Autorevole.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">«Ma
questa è una vera tragedia per la nostra monarchia!» esclamò il
Ministro della Corona, il più anziano dei presenti, con in viso
un'espressione autenticamente affranta. «Come si fa? Come si fa?»
ripeté più volte.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">«Già»
riprese la parola il Più Autorevole, il cui piglio pragmatico
contrastava con il tono melodrammatico dell'anziano collega: «come
facciamo a dire che il nostro Amato Re, che da sempre è proclamato
negli atti ufficiali e nelle cerimonie solenni Stella Polare della
Nazione, Luce del Nostro Cammino, Guida Sicura della Legislazione...
come facciamo a dire ai sudditi che un uomo del genere adesso è solo
un povero demente come tanti?».</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">«Assolutamente
non si può! Sarebbe inaudito! Inverecondo! Inammissibile!» protestò
il Ministro della Corona, tutto scandalizzato.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">«La
monarchia non potrebbe sopportare un simile <i>vulnus</i>! Ne
morirebbe!» proclamò il Ministro della Giustizia, che era anche un
acclamato e fine giurista.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">«La
monarchia è sacra... e sacra deve rimanere: è un imperativo!»
sentenziò con occhi di fuoco il Generale Supremo Comandante della
Guardia Reale, e qualcuno, a quelle parole, immaginò perfino di
veder roteare nell'aria la sua sciabola. «La monarchia <i>è</i> il
Re e nient'altro che il Re, signori... E voi tutti sapete bene che
chi si azzardasse a mancar di rispetto al Re, dovrebbe poi vedersela
con me e coi miei uomini» aggiunse, come per mettere in chiaro il
suo pensiero, fissando gli altri Ministri con aria truce.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">«Ma
questo vuol dire, colleghi», fece il Più Autorevole con un sorriso
appena accennato, «che siete d'accordo con me: ci tocca sostenere il
Re fino in fondo, è questo il nostro compito adesso... un compito
difficile ma necessario».</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">«Sì...
ma cosa raccontiamo alla gente?» ragionò ad alta voce il Ministro
del Tesoro, che sino a quel momento aveva taciuto pensieroso.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-family: Georgia, serif;">«Da
questo momento in poi le parole del sovrano devono essere
costantemente </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>interpretate</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">...
interpretate in maniera da fornire loro un significato, quando questo
sia oscuro. Signori, dobbiamo intervenire ogni volta che sia
necessario, sulla stampa, in televisione, dovunque, per dare un
senso, un senso qualsiasi alle parole del Re, anche a quelle che
sembrano più strampalate» affermò il Più Autorevole.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-family: Georgia, serif;">«Le
parole del Re per definizione </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>non
possono mai essere</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">
strampalate: chi dice il contrario bestemmia, signori miei!» esclamò
prossimo all'indignazione il Generale Supremo Comandante della
Guardia Reale.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">«Allora,
caro collega, lasciami bestemmiare!» replicò il Ministro del
Tesoro, visibilmente spazientito. «Io capisco tutto, ma arrivare a
negare la realtà fino a questo punto no! Se non te ne sei accorto,
te lo dico io: il Re ormai non ci sta più con la testa. E' inutile
che sbuffi e fai segno di “no”: almeno fra noi non prendiamoci in
giro, per cortesia! Se continuiamo a far finta di niente, questo
Paese va a rotoli: lo capite, tutti quanti? Credete di cavarvela con
qualche sotterfugio da baraccone? Le frottole ormai lasciano il tempo
che trovano, la gente non ci crede più, non si lascia più
incantare... Ma dico, pensate davvero che i nostri concittadini usino
ancora portare la sveglia appesa al collo?».</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-family: Georgia, serif;">«Ma
allora tu che cosa proponi?» s'inalberò a sua volta il Ministro
della Giustizia. «Dobbiamo rinnegare tutto? tutti i princìpi della
monarchia? l'infallibilità mistica del sovrano, il suo potere
indiscutibile e perfetto, la sua assoluta insostituibilità? Ti rendi
conto che se cominciamo a rinnegare il Re, a sminuire le sue parole o
– peggio! – se ci mettiamo in testa di mandarlo in pensione,
tutto il nostro edificio sociale e politico crolla un istante dopo?
Se l'</span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>infallibile per
definizione</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;"> si rivela un
comune mortale come tanti, capace come tutti di dire scempiaggini,
nessun altro Re potrà essere al sicuro dopo di lui! Ogni suddito, da
questo momento in poi, si sentirà autorizzato a criticare i voleri
del sovrano o addirittura a sbeffeggiarlo nella pubblica piazza!».</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">«Questo
mai! Nella pubblica piazza giammai!» tuonò con scandalizzato
disgusto il Generale Supremo Comandante (eccetera). «Sua Maestà
degradato al rango di guitto! Questo non accadrà mai, perché io non
lo permetterò, ve lo giuro sul mio onore!».</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">«E
io vi dico invece che se continuiamo così, andiamo alla rovina! e
anche in fretta!» insisté il Ministro del Tesoro. «Una delle cose
peggiori di questa situazione è che Sua Maestà ormai rinnega ogni
giorno quello che ha detto il giorno precedente... si sta creando un
vero caos amministrativo e contabile, non c'è più nessuna certezza
delle norme e delle decisioni, i miei sottoposti stanno letteralmente
impazzendo per star dietro a queste continue giravolte... In pratica
non esiste più un vero bilancio dello Stato, perché un giorno il Re
decide di finanziare il giardinaggio, una settimana dopo si rimangia
tutto e allora bisogna disfare quello che si è già fatto per
seguire il nuovo capriccio del sovrano e dirottare in fretta e furia
i soldi assegnati in un primo momento al giardinaggio verso i nuovi
destinatari, i produttori di vino analcolico, ma non si fa in tempo a
farli arrivare a costoro perché il Re improvvisamente cambia ancora
idea... E poi ci sono le spese straordinarie e folli, che di colpo
prosciugano interi settori del bilancio. Per non parlare poi delle
entrate, le tasse che vanno e vengono a mesi alterni, i privilegi
concessi e poi improvvisamente rinnegati... Ma vi sembra che si possa
andare avanti ancora per molto in queste condizioni?».</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-family: Georgia, serif;">«Io
so soltanto una cosa, signori, e la so per certo», si accanì il
Generale Supremo Comandante (eccetera), gonfiando il petto con
atteggiamento solenne, «l'infallibilità del nostro Sovrano non può
essere messa in discussione. Dimenticate forse che egli è la </span>Stella
Polare della Nazione, la Luce del Nostro Cammino, la Guida Sicura
della Legislazione? Dimenticate che egli è la Giustizia e solo da
lui può venire l'ispirazione per le sentenze giuste emesse dai
nostri tribunali? Devo forse ricordarvelo io?<span style="font-family: Georgia, serif;">».</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Ancora
una volta i ministri ebbero l'impressione di veder roteare minacciosa
nell'aria la sciabola del Generale Supremo Comandante...; tutti forse
con l'eccezione del Ministro del Tesoro, il quale infatti sghignazzò,
per poi esclamare:</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">«Benissimo,
benissimo, continuiamo pure così, se ci fa piacere!».</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Rivolgendosi
quindi al Generale Supremo Comandante (eccetera), proseguì:</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">«Visto
che la sai lunga, vieni tu a sbrogliare i pasticci che
“l'infallibile” sta causando nei conti pubblici! E' comodo
snocciolare dogmi standosene seduti in poltrona, senza confrontarsi
poi coi fatti, vero?».</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">«E
tu» intervenne a quel punto il Ministro degli Esteri, «a chi devi
la tua brillante carriera politica, se non al Re?».</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">«Per
caso stai parlando con me?» fece il Ministro del Tesoro.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">«Certamente»
replicò l'altro. «Io ero già nobile e ricco di famiglia, avevo
tutto quel che volevo, senza bisogno dei favori del Re... Mi pare
invece che una certa persona fosse solo un miserabile avvocaticchio
di provincia, prima che il Re lo trasformasse in un uomo di Stato.
Allora però a quella certa persona le scelte del Re andavano bene,
specialmente se erano a suo vantaggio; o sbaglio?».</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">«Mi
duole constatare che il nostro Ministro degli Esteri è
particolarmente disinformato: grave, gravissima pecca, per un celebre
diplomatico... Si dà il caso che, ben prima che il Re si accorgesse
di lui, quell'avvocaticchio di provincia avesse pubblicato studi
molto importanti, citati sulla stampa specializzata. Io non ero
raccomandato e se il Re mi ha nominato Ministro, lo ha fatto perché
ha riconosciuto i miei meriti. Non si può dire la stessa cosa
dell'esimio Ministro degli Esteri, che d'altronde ha appena ammesso
con candore di appartenere a una famiglia potente e influente, oltre
che ricca...».</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">A
questo punto gli sguardi infiammati dei due contendenti si
incontrarono e si sarebbe forse arrivati perfino allo scontro fisico,
se non fosse intervenuto il Più Autorevole dei Ministri a calmare
gli animi.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">«Signori,
signori, per cortesia!» esortò. «Non mi sembra il momento di dare
sfogo a ripicche personali! Dobbiamo prendere gravi decisioni,
stasera... Certamente, e in questo do ragione al collega Ministro del
Tesoro, non possiamo far finta che non stia succedendo niente.
Cerchiamo di conservare la lucidità per fare la scelta giusta».</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">«Ecco,
appunto, e per questo non possiamo mandare in malora i sacri princìpi
del Regno!» proclamò con solennità, ancora una volta gonfiando il
marziale petto, il Generale Supremo Comandante (eccetera eccetera).</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">«Colleghi,
ve lo dico con sincerità... io non potrei mai rinnegare il mio Re,
dopo tutti questi anni... Piuttosto mi dimetto» disse con sofferta
dignità l'anziano Ministro della Corona.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">«Si
tratta soltanto di prendere atto della realtà» ribatté il Ministro
del Tesoro. «Non possiamo pensare solo a noi, alle nostre abitudini,
ai nostri privilegi e ai nostri tarli mentali... il regno, il
prestigio, i sacri princìpi... macché, quando la casa sta bruciando
bisogna semplicemente fare di tutto per spegnere l'incendio, per
salvare le persone e le cose. Tutto il resto conta relativamente... E
poi, diamine! cosa c'è di più salutare della <i>verità</i>? Cosa
c'è di male nel dire che un signore di una certa età, foss'anche il
Re, ora non sta più bene e ha bisogno di cure, e per questo va
sostituito? Non capite che i sudditi ci apprezzerebbero anche di più,
se dicessimo come stanno realmente le cose?».</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">«Traditore»
mormorò con disprezzo il Generale Supremo Comandante (eccetera) e la
sua sciabola parve tintinnare.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">«Opportunista»
sussurrò disgustato il Ministro degli Esteri con un digrignar di
denti.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Il
Ministro del Tesoro si lasciò sfuggire una risata.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">«Ma
sì, divertitevi pure a mettere le vostre solite etichette, voi! E'
l'unico sport che vi riesce bene da una vita» disse, e poi
rivolgendosi al Generale Supremo Comandante aggiunse: «Oh quante
volte hai dato del “traditore” a chi osava contraddire i tuoi
dogmi! Ne ho perso il conto... Hai mandato in rovina tanta brava
gente, con quella semplice infamante parolina; anche gente che ha
cercato di servire il Paese ma che non si piegava a dar sempre
ragione a te e agli amici del Re. Ne hai sulla coscienza, tu, con la
tua sciabola, sempre al servizio della tua “ortodossa fedeltà”...
diciamo pure ottusa, e anche molto comoda. Ma sappi che quella tua
parolina ormai non ti servirà più a niente, la sua carica magica si
è esaurita».</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Non
si arrivò alle vie di fatto solo perché ancora una volta il Più
Autorevole fu pronto a intervenire.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">«Signori,
vi prego...» disse. «Voi dimenticate che una soluzione d'emergenza
in questi casi c'è sempre. La via ce l'ha indicata nell'ultimo
discorso, magari senza volerlo, proprio il nostro amato sovrano:
trovare dei nemici sui quali scaricare tutti i disagi, i problemi, le
colpe...».</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">«Roba
vecchia: non funziona più» scosse la testa il Ministro del Tesoro.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">«Stavolta
sono d'accordo col collega» soggiunse il Ministro della Giustizia.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">«Ma
come?» insisté il Più Autorevole. «Quando si è alle strette, si
svela l'esistenza di un bel complotto, con tutti i crismi, e si dà
così all'indignazione del popolo un bersaglio perfetto sul quale
sfogarsi. <i>“I nemici tramano contro di noi”</i>... Chi resiste
al fascino arcano di questa sensazione? E' come il richiamo della
foresta, signori miei! Vi assicuro che anche il più compassato degli
intellettuali si fa catturare da questa suggestione e comincia a
scrivere su questo tema, moltiplicando a sua volta la suggestione...
Da un giorno all'altro tutti i giornali cantano all'unisono,
esercitandosi a scavare nelle trame imbastite dal “Nemico”, e
fior di scrittori e saggisti si mettono a pubblicare libri e libelli
per proclamare al mondo: “Anch'io, anch'io so tutto del Maledetto
Nemico col suo Complotto! Anch'io me ne sono accorto e ve lo
racconto!”».</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">«Vedo
che non ci capiamo proprio» sospirò con aria preoccupata il
Ministro del Tesoro. «I nostri conti sono in rosso! Una pagliacciata
del genere non risolve un bel niente, anzi rischia di darci il colpo
di grazia!».</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">«Disfattista»
commentò, quasi sputando, il Generale Supremo Comandante (eccetera).</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">«Caro
collega medagliato» replicò sottovoce il Ministro del Tesoro, «a
quanto vedo, il tuo vocabolario e il tuo sguardo sono sempre fermi al
1600 e dintorni... ma che noia!».</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">«In
casi estremi, caro collega, ti ricordo che c'è sempre la guerra»
mormorò il Più Autorevole, improvvisamente fattosi scostante,
rivolto al Ministro del Tesoro. «Quella ci darebbe almeno un po' di
respiro e, come sai benissimo, risolleverebbe anche il bilancio. Che
dite? Parliamo al Re di questa ipotesi? Sono convinto che
approverebbe entusiasta».</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">«Oh,
in questo modo il popolo dimenticherebbe finalmente contrasti e
divisioni e si compatterebbe come un sol uomo! Perché il popolo <i>è</i>
un sol uomo, ma i nostri nemici l'hanno traviato! Orsù, riportiamolo
sulla retta via!» esclamò con sguardo mistico il Generale Supremo
Comandante (eccetera).</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">«Ma
che guerre volete fare, scusate?» saltò su il Ministro della
Giustizia, in un soprassalto di realismo. «Lasciamo stare i paroloni
e guardiamoci negli occhi! Noi non siamo di certo una superpotenza;
se soltanto ci affacciamo fuori dei nostri confini armati di tutto
punto, gli Stati che veramente contano si coalizzano contro di noi e
ci impiegano appena due giorni a metterci in ginocchio. E vi sembra
seriamente un rimedio ai nostri mali, questo?».</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">«Disfattista
anche tu» sillabò sentenzioso il solito Generale Supremo
(eccetera).</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">«Ma
non c'è mica bisogno di una guerra di quelle classiche, esercito
contro esercito!» scosse la testa il Più Autorevole dei Ministri.
«Quel che veramente conta è che i nostri amati sudditi abbiano modo
e occasione di sfogarsi menando le mani, agguantando numerosi
esemplari del mitico “Nemico-che-trama-nell-ombra” in maniera da
poterli conciare poi per le feste. La guerra la si può fare in casa
nostra, strada per strada, ovviamente tenendola opportunamente sotto
controllo».</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">«E
come si mette in piedi questa specie di... carnevale?» domandò un
giovane Ministro senza Portafoglio.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">«L'importante,
amico mio, è scegliere bene il tipo di
“Nemico-che-trama-nell-ombra”: ma in questo il nostro Re è
impareggiabile ancora adesso, possiamo tranquillamente lasciar fare a
lui; una volta scelto il Nemico, vedrai quanti nostri sudditi
sfogheranno su quel Nemico i loro livori personali, le loro paure più
profonde, le loro frustrazioni, scateneranno la loro fame di
giustizia inappagata... se la faranno con le loro mani, e noi li
lasceremo fare, perché per la nazione un carnevale del genere –
hai proprio usato il termine giusto! – è tutta salute. Il
prestigio del Re e della monarchia in questo modo tornano a
splendere: <i>semel in anno licet insanire</i>, dicevano gli antichi,
e il sovrano che consente al suo popolo questo genere di “insania”
liberatoria si garantisce imperitura gratitudine, stanne sicuro».</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Come
ubriachi, i Ministri si levarono in piedi esclamando: «Dal Re! Dal
Re! Si vada sùbito dal Re!».</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">«<i>À
la guerre comme à la guerre! Et vive le Roi!</i>» gridò una voce,
e a quelle parole una risata collettiva oscena e sguaiata proruppe
nell'ampia stanza.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">«E
tutto questo per non dover dire semplicemente: <i>Signore e signori,
il Re che avevamo sta dando i numeri, è ora di mandarlo in pensione</i>»
mormorò basito il Ministro del Tesoro, allontanandosi dalla sala e
rinunciando ormai ad ogni ragionamento. Le voci dei colleghi in
tripudio lo accompagnarono fino all'uscita del Palazzo; giunto in
fondo alle scale gli parve anzi di sentire perfino un tintinnio di
bicchieri. Si brindava, dunque, come se ogni problema fosse ormai
risolto e il Paese si avviasse verso un'era di sconfinata
prosperità...</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="CENTER" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">§</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">[<i>Trattandosi
di un'opera di fantasia, ogni eventuale riferimento ad avvenimenti,
vicende, persone e personaggi della realtà è da considerarsi
</i>puramente<i> casuale.</i>]</span></div>
ivaneuscarhttp://www.blogger.com/profile/13381655735594702472noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-215434595625178180.post-63811077024363399812012-11-21T01:00:00.001+01:002012-11-21T16:56:05.869+01:00Dittatura, o perfida illusion<br />
<div align="CENTER" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><b>1.
Premessa: un problema di classificazione...</b></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Può
sembrare facile parlare di un tema come la <i>dittatura</i>.
Ciascuno di noi forse intuitivamente “sa” di cosa parliamo quando
parliamo di <i>dittatura</i>
(come concetto) o di <i>dittature</i>
(come fenomeno storico e politico). Ma, come spesso càpita, quando
si tenta di passare dalla conoscenza “intuitiva” alle
definizioni, sorge qualche problema. Le definizioni infatti non
riescono mai a “catturare” in maniera perfetta i fenomeni della
realtà, giacché dovendoli classificare secondo <i>categorie</i>,
e dovendosi quindi in questo processo confrontare con i problemi
connessi all'uso del <i>linguaggio</i>,
i dilemmi che esse producono e sollevano sono forse molti di più di
quelli che riescono a sciogliere in maniera convincente.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"></span></div>
<a name='more'></a><br />
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Da
un lato è vero che con le definizioni ci si deve confrontare, perché
servono a farci riflettere sul senso che diamo ai concetti, e talora
riescono anche a correggere determinati errori e luoghi comuni
relativi al nostro rapporto con la realtà e alla nostra maniera di
leggerla; ma, dall'altro, a volte dare troppa rilevanza alle
definizioni e alle categorie, che necessariamente sono costruzioni
intellettuali, può farci perdere il contatto con i fenomeni che
quelle categorie e definizioni originariamente avevano intenzione di
spiegare. Mettere in questione le “categorie” consolidate nel
discorso pubblico e anche nelle discipline scientifiche e accademiche
può essere un atto “virtuoso”, perché consente un nuovo
“sguardo sulle cose”, che prelude a un nuovo modo di leggerle e
interpretarle, magari più convincente di quello comunemente
“accreditato”, o almeno alternativo (e non per questo
necessariamente arbitrario). Quindi, proprio per amore della
conoscenza, può risultare necessario e/o vitale porre in dubbio (in
maniera parziale o radicale) le “categorie consolidate”.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Qui
– per tornare al tema – non è mia intenzione soffermarmi sulle
“definizioni” relative alla dittatura, ma non posso neppure
eluderle del tutto, anche perché il discorso che voglio fare
affronta in parte la percezione che si ha del “fenomeno”
dittatura; e in quella percezione la “battaglia sulle definizioni”
ha un ruolo particolare, forse non determinante ma tuttavia
importante.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Innanzitutto,
<i>dittatura</i> non è un
termine sufficientemente preciso, quando ci si riferisce a
ordinamenti politici moderni e contemporanei: è però un termine di
uso comune, e quindi lo si adopera anche in riflessioni “serie”
per far comprendere a tutti/e con chiarezza di cosa si sta parlando.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Se
con “dittatura” intendiamo indicare genericamente tutti i regimi
politici che non sono democratici, il termine più corretto da usare
è <i>autocrazia</i>. Ma
anche precisando questo, non abbiamo ancora detto granché: difatti,
come gli studiosi ci insegnano, esistono diversi tipi (o anche
“gradazioni”) di autocrazia. E qui comincia a presentarsi qualche
problema, in termini di <i>categorie e definizioni</i>,
poiché non tutti gli studi e gli studiosi (di scienza politica, ma
anche di filosofia politica, di storia del pensiero politico, ecc.)
concordano sulla classificazione delle <i>autocrazie</i>.
Non è il caso di addentrarsi in questo “labirinto delle
classificazioni” (non è in sé l'oggetto principale di queste
riflessioni), ma citiamo solo quelle che per consenso pressoché
generale sono considerate le due principali tipologie di autocrazia,
ovvero i <i>regimi autoritari </i>e
i <i>regimi totalitari</i>
[altra categoria di un certo interesse, che rientra nella </span><span style="font-family: Georgia, serif;">“famiglia” delle autocrazie non essendo tuttavia tecnicamente una </span><span style="font-family: Georgia, serif;">“dittatura” in senso proprio, e che</span><span style="font-family: Georgia, serif;"> si può trovare
denominata in modi differenti a seconda delle trattazioni e degli
autori che se ne sono occupati, è quella dei </span><i style="font-family: Georgia, serif;">regimi
dinastici</i><span style="font-family: Georgia, serif;"> o </span><i style="font-family: Georgia, serif;">tradizionali</i><span style="font-family: Georgia, serif;">,
che perlopiù fa riferimento alla specie più “antica” (e
tuttavia ancora esistente in alcune parti del mondo) di autocrazia,
quella delle cosiddette monarchie assolute. Questa categoria, però,
in quanto “residuo” di epoche passate e talora anche remote, si
colloca su un piano differente rispetto alle altre due prima citate,
tipiche invece della “modernità”].</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Forse
proprio da questa “bipartizione” derivano i maggiori problemi,
non soltanto nella classificazione delle dittature, ma soprattutto
nell'<i>interpretazione</i> e
nella <i>definizione</i>
della dittatura come “tipologia di regime” (insomma, nella
risposta da dare alla domanda: “Ma cos'è la <i>dittatura</i>
e in cosa consiste <i>la sua specifica natura</i>?”).</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">In
realtà, la “specie” di dittatura o autocrazia più difficile da
definire – benché sia quella sulla quale si sono concentrati gli
studi più voluminosi e accurati – è il <i>totalitarismo</i>.
C'è chi addirittura nega che esista o sia mai esistito un regime
politico reale riconducibile a questa categoria: per comodità di
discorso, possiamo definire questi critici come <i>contestatori
della “categoria totalitarismo”</i>.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="CENTER" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><b>2.
Una categoria specifica: totalitarismo</b></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Da
dove deriva la difficoltà della definizione, e di conseguenza la
“contestazione radicale” della categoria-totalitarismo?
Innanzitutto – come sottolineano i “critici” suddetti – il
concetto di <i>totalitarismo</i>
è stato elaborato “a tavolino” da alcuni studiosi per cercare di
evidenziare la specificità e la novità “deleteria” costituita
da alcuni regimi autocratici del Novecento, in particolare il regime
nazista e la fase stalinista del regime comunista sovietico, che
rappresenterebbero dunque non solo i due grandi “modelli storici”
di totalitarismo, ma anche, al tempo stesso, i paradigmi del
totalitarismo medesimo: ovvero, normalmente gli studiosi traggono
dalle <i>pratiche</i> poste
in atto dal nazismo e dallo stalinismo gli elementi utili a <i>definire</i>
in senso teorico <i>che cosa</i>
il <i>totalitarismo</i> sia.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Certamente
un punto di riferimento imprescindibile per lo studio del
totalitarismo è il voluminoso testo di <u>Hannah
Arendt</u>, <i><b>Le
origini del totalitarismo</b></i>,
pubblicato nel 1951; e il cuore della analisi di H. Arendt era lo
studio di determinati caratteri del regime nazista (e in misura
minore, a causa della scarsità di informazioni disponibili
all'epoca, del regime stalinista), a partire dai quali l'autrice
s'interroga sulle <i>cause</i>
che possono determinare culturalmente (prima ancora che
politicamente) il sorgere del “flagello totalitario”.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Altri
autori sono stati parimenti determinanti nella definizione del
<i>totalitarismo</i>, in
particolare <u>Carl J.
Friedrich</u> e <u>Franz
Neumann</u>. I loro studi, e
anche quelli più recenti sul tema, non sono stati sempre in accordo
con l'analisi di H. Arendt, ma hanno comunque confermato
(rafforzandone se possibile la “forza teorica”) l'esistenza di
una specifica categoria di autocrazie definibile come totalitarismo.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">La
rilevanza specifica di questa categoria – e le polemiche che essa
ha suscitato e suscita – si comprende se si pensa che il concetto
di totalitarismo cerca di isolare alcuni specifici tipi di autocrazia
che rappresentano un <i>potenziale pericolo</i>
non solo per i diritti fondamentali dei cittadini dei paesi retti da
quei regimi (diritti che a ben guardare sono minacciati in qualunque
autocrazia) ma anche per la pace nel mondo. Infatti, una delle
caratteristiche unanimemente attribuite ai totalitarismi è la loro
volontà di creare una “umanità nuova” attraverso l'imposizione
di una specifica <i>ideologia</i>
(non importa se “di destra” o “di sinistra”) che faccia
<i>tabula rasa</i> di tutta
la cultura precedente, di tutto il pensiero accumulato e prodotto
sino al momento dell'avvento del regime (ove il “pensiero”
include anche i princìpi del diritto, le categorie politiche
correnti, di solito anche le tradizioni religiose, ecc.); e la
creazione di questa “umanità nuova” non può conoscere
frontiere, ma deve potenzialmente avere come obiettivo anche le altre
nazioni e gli altri popoli, sia per garantire sicurezza al regime che
per ragioni “ideali” (la necessità di “convertire” il mondo
<i>con ogni mezzo</i> ai
princìpi nuovi e irresistibili imposti dall'ideologia di regime).</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Con
tutte le cautele possibili (perché, come si diceva all'inizio, le
definizioni hanno in sé sempre una dose di approssimazione),
possiamo quindi ritenere i regimi totalitari come una sorta di forma
moderna, e completamente “mondana”, di <i>teocrazia</i>,
che comporta anche una non trascurabile dimensione “messianica”
(il “rinnovamento” e la “conversione universale”
dell'umanità). Oserei aggiungere che tali forme di governo si
spingono anche oltre le teocrazie, giacché non collocano alcun ente
al di sopra del </span><span style="font-family: Georgia, serif;">“supremo</span><span style="font-family: Georgia, serif;"> </span><i style="font-family: Georgia, serif;">leader</i><span style="font-family: Georgia, serif;">” </span><span style="font-family: Georgia, serif;">del regime, il quale rappresenta quindi una sorta di “divinità in
terra”, dotata di infallibilità, onniveggenza, forza sovrumana,
ecc. [Interessante, in proposito, anche per distinguere i caratteri
della “teocrazia” propriamente detta da quelli dei regimi
totalitari, lo studio che </span><u style="font-family: Georgia, serif;">Emilio
Gentile</u><span style="font-family: Georgia, serif;"> fa delle
ideologie totalitarie come “religioni politiche” (v.
bibliografia, in fondo al post), che, come lo studioso precisa, non
debbono comunque essere confuse con la nozione di “religione
civile”].</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Torniamo
però alle critiche dei contestatori della “categoria-totalitarismo”.
Un aspetto perlomeno problematico della teoria del totalitarismo, che
alcuni di loro mettono in luce, è l'individuazione degli specifici
regimi politici che si possono o si devono ricondurre a tale
categoria. Anche ammesso che ci sia accordo sui paradigmi di partenza
(nazismo e stalinismo), in quanto “sicuramente” totalitari, non è
detto che sia poi semplice stabilire se altri specifici regimi
autocratici del presente o del recente passato siano totalitari
oppure “semplicemente” autoritari. E difatti gli studiosi sulla
classificazione di altri regimi autocratici (che non siano i due
“paradigmi storici” del totalitarismo) non sono sempre concordi.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Un'altra
critica che viene sollevata da alcuni contestatori della
“categoria-totalitarismo” (i quali non fanno mistero di voler </span><span style="font-family: Georgia, serif;">“riabilitare”, in tutto o in parte, lo stalinismo)</span><span style="font-family: Georgia, serif;"> è che quest'ultima tenderebbe ad
“appiattire” in un'unica indistinta “specie” due regimi che
sarebbero in realtà profondamente diversi tra loro, come il nazismo
e lo stalinismo. Tali critici quindi denunciano il carattere a sua
volta “ideologico” del concetto stesso di totalitarismo, che a
loro giudizio ha una funzione soprattutto </span><i style="font-family: Georgia, serif;">anticomunista</i><span style="font-family: Georgia, serif;">,
poiché mira a criminalizzare l'azione di Stalin, stravolgendola sino a
individuare in essa forzate analogie con l'ideologia e la pratica politica naziste, contro le quali il regime
stalinista pure ha combattuto, contribuendo alla loro sconfitta
storica. Secondo questi critici, insomma, il totalitarismo è uno
strumento concettuale con l'ausilio del quale (in concomitanza con
altri strumenti) gli Stati Uniti mirano a costruire un'</span><i style="font-family: Georgia, serif;">agiografia</i><span style="font-family: Georgia, serif;">
della propria missione politica nel mondo, agiografia nella quale
rientra la strategia di criminalizzazione sistematica di tutto ciò
che risulta “antiamericano”, dipinto come “male assoluto”,
espressione della quale “totalitarismo” è solo uno dei sinonimi
più sofisticati e insidiosi.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Potrò
forse a questo punto scandalizzare qualcuno, ma a me non interessa
disquisire di totalitarismo, e neppure m'interessa stabilire se e
fino a che punto uno specifico regime sia autoritario oppure
totalitario. Molti ad es. si accapigliano sulla qualificazione da
attribuire a regimi come il fascismo o il franchismo: sono totalitari
oppure autoritari? Io non sono particolarmente interessato a queste
diatribe; non è la “categorizzazione” che m'interessa in quanto
tale; trovo che le autocrazie o dittature – nonostante le loro
specificità e differenze (nessuna dittatura è perfettamente uguale
a un'altra, nemmeno all'interno di “grandi famiglie
ideologiche/tipologiche” di riferimento, come ad es. le “dittature
comuniste” o le “dittature militari”) – abbiano determinati
caratteri “somatici” che le contraddistinguono. Non possiamo
forse sempre elencarli con precisione, ma possiamo comunque
percepirli. Soprattutto (ciò che più conta) possono percepirli
coloro che sulla loro pelle e nella loro carne li hanno vissuti e
subiti.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Posso
perciò anche dare parzialmente ragione ai contestatori
“filostaliniani” della “categoria-totalitarismo” (cioè,
affinché non si fraintenda, posso convenire sul fatto che fra una
dittatura e l'altra ci siano differenze anche importanti, che dal
punto di vista dell'analisi storica è doveroso rilevare), ma ciò
non toglie che io mi ponga in termini critici contro la dittatura
come <i>sistema</i> di
governo, a prescindere dal contenuto ideologico della sua <i>dottrina
</i>(che può essere solo abbozzata,
o “minimale”, come nei regimi definiti <i>autoritari</i>,
oppure corposa e articolata, come nei regimi <i>totalitari
</i>propriamente detti). Nessun fine, per quanto in astratto possa essere o apparire buono, giustifica simili mezzi. La sproporzione è eccessiva.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Critico
cioè il <i>sistema</i>
istituzionale, il modo di intendere il rapporto fra governanti e
governati (la struttura ferocemente verticistica e “settaria”
delle dittature moderne, basate comunque sul principio di autorità),
prima ancora che la dottrina ideologica che regge questo o quel
regime. E' l'offesa all'intelligenza e all'autonomia del cittadino
(trattato sempre dalle oligarchie di regime come “corrigendo”,
come “potenziale reprobo” ed “eterno minorenne”) che io
innanzitutto contesto, prima ancora di considerare nel merito
l'ideologia che il regime propugna. </span>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">E
nel far questo – si badi – io non addito un particolare modello
istituzionale (ad es., la democrazia americana) come il “traguardo
perfetto” da raggiungere, e come il “bene assoluto”, il
“paradiso in terra”; criticando le patologie gravi di un sistema
istituzionale (quello relativo alle dittature) e della sua “logica
specifica”, non annullo né dimentico i problemi che si possono
riscontrare in altri sistemi; tuttavia non posso nemmeno concordare
col (difettosissimo) ragionamento di certi contestatori della
“categoria-totalitarismo” o di certi “nostalgici” delle
dittature novecentesche, che recita più o meno così: “Siccome non
si può negare che la democrazia sia piena di difetti e di storture,
non possiamo criticare più di tanto i difetti presunti delle
dittature”. A un tendenzioso ragionamento del genere posso solo
rispondere: <i>A ciascuno il suo</i>.
</span>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">[Ovvero,
per chi proprio non capisca: anche alla democrazia, quando occorre,
vanno mosse delle critiche; ma nonostante ogni possibile critica, non
può esserci dubbio sull'opzione di fondo, giacché in democrazia una
discussione intorno ai fondamenti del sistema politico si può
perlomeno abbozzare, nella dittatura invece la critica è in sé
un'eresia, e si può soltanto piegare il capo davanti alle “direttive
supreme” e far finta che “tutto vada bene, madama la marchesa”,
se il Capo, illuminato per definizione in maniera sovrannaturale,
vuole così...].</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="CENTER" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><b>3.
Dittature: segni particolari</b></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Non
mi pongo qui il problema di classificare le dittature, ma voglio far
emergere, sia pure in termini schematici, le ragioni della loro
<i>inaccettabilità</i>.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Essendo
le dittature (per chi le subisce, almeno) un problema serio, non mi
rifugerò dietro giri di parole. A mio parere, e<span style="font-family: Georgia, serif;">siste
qualcosa che possiamo definire </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>crimine
politico </i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">e
le dittature rappresentano proprio un crimine di tale specie.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Non
è necessario fare molti passi indietro, nella storia, per riflettere
sul tema. Infatti, c'è chi ancora oggi ci viene a dire (da posizioni </span></span><span style="font-family: Georgia, serif;">“terzomondiste”, ad es.)</span><span style="font-family: Georgia, serif;"> che le dittature (quelle tuttora esistenti ed operanti, in Africa, Medio Oriente, ecc.; ma lo stesso discorso vien fatto da altri per quelle </span><span style="font-family: Georgia, serif;">“trapassate”</span><span style="font-family: Georgia, serif;">) sono </span><span style="font-family: Georgia, serif;"><i>legittime</i></span><span style="font-family: Georgia, serif;">,
in quanto avrebbero il “consenso” dei cittadini.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Ma
un consenso che non si può misurare precisamente e concretamente,
che consenso è? Come si fa a parlare di </span><i><span style="font-family: Georgia, serif;">consenso</span></i><span style="font-family: Georgia, serif;">
laddove è impedita la manifestazione esplicita e libera del
</span><i><span style="font-family: Georgia, serif;">dissenso</span></i><span style="font-family: Georgia, serif;">?</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Immaginiamo,
per fare un paragone, gli spettatori di una rappresentazione teatrale
– ad es. nell'auditorium di una severa scuola “all'antica” o di
un collegio – ai quali sia </span><i><span style="font-family: Georgia, serif;">consentito</span></i><span style="font-family: Georgia, serif;">
soltanto di applaudire ma </span><i><span style="font-family: Georgia, serif;">non</span></i><span style="font-family: Georgia, serif;">
di fischiare lo spettacolo cui assistono: gli scolari-spettatori
possono anche rimanere in silenzio, senza applaudire, certo, ma in
quel caso il loro atteggiamento viene considerato a priori sospetto,
in quanto possibile “dissenso mascherato” o, appunto, dissenso
silenzioso – e solerti guardiani possono prenderne nota in appositi
registri, che influiranno sulla valutazione finale degli scolari. </span></span>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-family: Georgia, serif;">E
allora, molti/e che non vorrebbero applaudire, pur di non passare
guai, applaudono, ma questo non vuol dire che siano </span><i><span style="font-family: Georgia, serif;">convinti</span></i><span style="font-family: Georgia, serif;">
della bontà dello spettacolo; se poi qualcuno registra quegli
applausi, li può utilizzare surrettiziamente come “prova” di un
presunto “consenso generale” o di un “grandioso successo”
della scuola, dei suoi spettacoli e dei suoi programmi: si tratta
però di una mossa evidentemente in malafede.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Soltanto laddove c'è piena facoltà
tanto di applaudire quanto di fischiare lo “spettacolo”, si
possono misurare – sempre con una certa approssimazione – il
“consenso” e il “gradimento” nei confronti dello “spettacolo”
medesimo e di coloro che l'hanno allestito.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">L'applauso obbligato non si può
considerare un vero applauso: è una falsificazione bell'e buona, una
mistificazione alla quale – non a caso – sono affezionati proprio
i regimi autoritari, che si reggono e reggono la società
nell'equilibrio fra terrore e (continua, incessante) simulazione.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Considero
l'unanimità e l'unanimismo sempre sospetti: anche solo per ragioni
statistiche (se non per motivi più profondi), non è possibile che
in una collettività di migliaia o milioni (ma anche solo di
centinaia...) di persone, tutti/e la pensino </span><i><span style="font-family: Georgia, serif;">allo
stesso modo</span></i><span style="font-family: Georgia, serif;">,
in maniera compatta, disciplinata, granitica e perfin monotona.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><b>L'umanità
non è una truppa di reclute, e il mondo non è né può essere una
caserma.</b></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-family: Georgia, serif;">In
fondo è anche qui la stortura dell'autoritarismo e dei regimi
autocratici: immaginano di poter (e anzi, di </span><i><span style="font-family: Georgia, serif;">dover</span></i><span style="font-family: Georgia, serif;">)
</span><i><span style="font-family: Georgia, serif;">irreggimentare</span></i><span style="font-family: Georgia, serif;">
intere nazioni, facendo dei cittadini una folla di </span><i><span style="font-family: Georgia, serif;">coscritti</span></i><span style="font-family: Georgia, serif;">,
soggetti a un colossale “servizio di leva” che non ha mai fine.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">E, come il consenso si può misurare solo
in presenza di una libera manifestazione del dissenso, così un
servizio di leva può avere un senso ed essere compreso e tollerato
solo se limitato nel tempo e solo se prevede poi un congedo
illimitato che riconsegni il “militare temporaneo” alla sua “vita
civile”, altrimenti cessa di essere un mero “servizio” e
diventa oppressione.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-family: Georgia, serif;">C'è
poi un altro problema, in quei regimi: la mancanza di </span><i><span style="font-family: Georgia, serif;">ricambio</span></i><span style="font-family: Georgia, serif;">
dei governanti.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Ci
sono dittatori e/o regimi che restano al potere per quaranta,
cinquanta anni: è ben strano che in un tempo così lungo, nessun
cittadino senta il desiderio di un ricambio, di un rinnovamento. I
fautori della dittatura come “regime consensuale” ignorano questo
dato, sostenendo bellamente che il tale o tal altro autocrate o
dittatore governino o abbiano governato ininterrottamente per
decenni, con l'</span><i><span style="font-family: Georgia, serif;">ininterrotto
consenso</span></i><span style="font-family: Georgia, serif;">
dei cittadini.</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Ma se c'è desiderio legittimo di
ricambio della classe dirigente fra i cittadini dei Paesi
democratici, perché non deve o non può esserci un analogo desiderio
nei Paesi soggetti a regimi autocratici? Sono, questi ultimi, davvero
così “paradisiaci” che nessun cittadino desidera cambiare
neppure una virgola di quei “paradisiaci” governi? E' mai
possibile credere in queste favole?</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Inoltre, in molti (o nella quasi
totalità...) dei regimi autocratici (anche in molti regimi
comunisti, in teoria razionalisti e dunque lontani dal culto del
“carisma”) vige il “culto del capo”, che è una vera e
propria forma di “idolatria laica”.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Ora, se è problematico postulare
l'esistenza di Entità Divine onnipotenti e onniscienti, e
soprattutto <i>infallibili </i>(si discute da millenni circa la loro
esistenza/inesistenza, e migliaia di pagine sono state scritte in
proposito – sostenendo una tesi o l'altra – da autorevoli
pensatori...), ancor più problematico – sino ai limiti del
grottesco – è sostenere la tesi dell'infallibilità di <i>comuni
mortali</i>, quali sono, fino a prova contraria, gli autocrati e i
dittatori vari & assortiti.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">[Un discorso analogo si può fare in
merito ai re dell'<i>ancien régime</i>, ovvero delle “monarchie
assolute” (ne esistono ancora, del resto, qua e là nel mondo),
poiché anch'essi si pretendevano (o si pretendono tuttora)
“indiscutibili”, “infallibili”, perfetti, ecc.]</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Dunque, per quanto i sostenitori di
questa o quella dittatura possano venirci a sciorinare le
“benemerenze” del loro “regime del cuore”, non possono
tuttavia cancellare il macroscopico <i>falso</i> sul quale si reggono
tutti indistintamente tali regimi: il postulato dell'infallibilità
e/o onnipotenza e/o indispensabilità pressoché “divina” del
“capo”/dittatore di turno.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Per quanto “bravi”, “sapienti”,
“illuminati”, “competenti”, ecc., possano essere – a
giudizio dei loro seguaci e fanatici “adoratori”, beninteso –
questi “gloriosi” personaggi nell'esercizio delle loro funzioni,
non sono certamente infallibili e onniscienti, né insostituibili;
dunque non si comprende a quale titolo pretendano un culto
incondizionato nei confronti della loro persona, e soprattutto a
quale titolo pretendano obbedienza “cieca”, quasi fossero davvero
divinità in terra.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">In sostanza, per quanti
(discutibilissimi) “meriti” un regime autocratico possa vantarsi
di avere (i treni che arrivano in orario? la costruzione di una
presunta “società felice” e senza conflitti?...), si regge su
una serie inaccettabile di <i>falsificazioni</i> e di <i>mistificazioni</i>;
e un regime politico che si regge <i>costitutivamente</i> (non
occasionalmente o accidentalmente) sul <i>falso</i>, dal momento che
costringe un'intera società a simulare e dissimulare, di fatto <i>le
usa violenza in ogni istante</i> e perciò la soffoca e l'opprime, la
costringe a <i>essere ciò che non è</i>, a stare in un vestito non
suo, anche se il regime di turno dice di “farlo a fin di bene”
(di qualunque genere e tipo sia questo presunto “bene”...).</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Il crimine politico cui accennavo prima è
a mio parere la “piena licenza” che il potere concede a se stesso
nelle dittature (licenza di torturare, uccidere, degradare moralmente
e fisicamente i cittadini, ecc.), e si traduce nel fatto che
qualsiasi crimine può essere commesso dai pubblici funzionari,
all'ombra di una struttura dittatoriale di potere, giacché non c'è
modo per l'opinione pubblica non solo di contestare il crimine
medesimo, ma anche di venirne a conoscenza, dal momento che
l'informazione è gestita in maniera monopolistica dai detentori del
potere politico e che gli organi dello Stato non sono tenuti a
seguire procedure “legali” nell'esercizio delle loro funzioni (si
pensi, per capirci, al problema dei <i>desaparecidos</i> in certi
regimi...).</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Qualcuno (nostalgici & c.) può
obiettare: “ma anche nelle democrazie succede che...” (che
l'informazione non è completa; che non sempre i rappresentanti delle
istituzioni fanno il loro dovere; ecc.). Certo. Però ciò che nelle
dittature è per definizione pubblicamente <i>indicibile</i>, nelle
democrazie può invece diventare tema di dibattito, di discussione,
di critica, di contestazione, ecc.; qualche nostalgico
particolarmente “determinato” ribatte ancora: “E questo cosa
importa, cosa cambia?”. Porre questa domanda significa non rendersi
conto che, laddove la sfera della critica politica ha assunto
rilevanza e autorevolezza, la discussione pubblica non è quasi mai
fine a se stessa; specialmente quando una questione è profondamente
sentita nell'opinione pubblica (o da una parte importante di essa),
la “controparte” istituzionale non può ignorare a lungo le
critiche che le vengono rivolte dai cittadini, e qualsiasi risposta
che le istituzioni dànno in questi casi (anche in senso contrario
alle aspettative dell'opinione pubblica) assume una rilevanza, e le
cose non sono comunque più “come prima”. Il fatto che le
istituzioni in democrazia siano obbligate a dialogare con i
“rappresentati” (e quindi a riconoscere l'interlocutore, anzi gli
interlocutori, come legittimamente titolati a <i>porre questioni</i>)
non è senza importanza né senza conseguenze. Il “re” scende dal
piedistallo e si desacralizza, acquisendo fattezze pienamente umane.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Parlando di dittatura e di dittature, bisogna poi forse riflettere sul fatto
che in ogni società, anche in quelle che, dopo una passata
esperienza dittatoriale, sembrano essersi assuefatte da decenni alla
democrazia, emerge qua e là la tentazione di sperimentare di nuovo
un qualche sistema di governo autocratico. A parte le tradizionali
“appartenenze ideologiche”, che in certi Paesi si tramandano di
padre in figlio (compresi certi rancori ancestrali, simili a faide
temporaneamente ibernate ma pronte a riesplodere all'occasione), ci
sono altri elementi da considerare, forse, per capire il fenomeno: in
vari casi, il desiderio o la “nostalgia” di dittatura nasce da un
personale desiderio di rivalsa e/o vendetta nei confronti della
società o del “sistema”, ma il “desiderante” solitamente
pensa di far pagare agli altri gli inconvenienti della dittatura
(repressione, carcere, torture, ecc.) e di ritagliare per sé solo i
vantaggi (promozione sociale, brillante carriera per “fedeltà al
regime”, ecc.). Si tratta di una posizione evidentemente cinica e
opportunistica, il più delle volte velleitaria, ma certo la storia
delle dittature è piena di personaggi che sono arrivati ai vertici
di comando in base a simili “sentimenti” e li hanno poi
atrocemente manifestati nell'esercizio del potere. Un altro “elemento
scatenante” per certi desideri (di... ritorno al “mondo vecchio”)
è il richiamo del “branco”: linciaggi, pogrom e “spedizioni
punitive” contro minoranze etniche e “nemici politici” o “del
popolo” sono i <i>naturali compagni di viaggio</i> delle
autocrazie, che se ne servono infatti sapientemente per attuare le
proprie politiche o per consentire ai “governati” di dare sfogo
alle loro rabbie represse (affinché queste non si rivolgano contro
le strutture stesse del regime, che deve rimanere sempre “al di
sopra di ogni sospetto”).</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Inoltre, in certe posizioni di sostegno
alle autocrazie e agli autoritarismi colgo un atteggiamento
infantile-adolescenziale per ciò che riguarda le aspettative nei
confronti del potere politico: proprio come talora un ragazzino
(poniamo) di dieci anni, posto di fronte a un problema sociale, del
quale magari si parla in televisione, sogna l'intervento di un
“supereroe” che con la sua sola forza spazzi via il “male”
(ingiustizie, difficoltà, prepotenze, ecc.), allo stesso modo
qualcuno, pur adulto, “sogna” che un “supereroe”, nelle sembianze di
un qualche “capo mirabolante”, con la sola forza delle sue
irresistibili capacità, faccia fronte ai problemi del mondo o della
nazione, risolvendoli d'incanto.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Ma è il </span><span style="font-family: Georgia, serif;">“vissuto” delle dittature che concretamente esistono o sono esistite nel mondo a smentire le fantasticherie intorno alle dittature sognate o solo immaginate, o anche </span><span style="font-family: Georgia, serif;">“imbellettate” grazie al maquillage di una <b><a href="http://almancoprov.blogspot.com/2011/06/labusato-mito-del-passato-felice.html">memoria non veritiera e/o volutamente parziale</a></b> e </span><span style="font-family: Georgia, serif;">“mercenaria”</span><span style="font-family: Georgia, serif;">. </span><span style="font-family: Georgia, serif;">Ed è questo </span><span style="font-family: Georgia, serif;">“vissuto” orrido e raccapricciante che mi interessa e che non voglio né vorrei mai, per nessuna contingente </span><span style="font-family: Georgia, serif;">“convenienza”, dimenticare.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Dopo aver ascoltato varie testimonianze
di perseguitati politici di varia provenienza, e quindi il “monotono”
ripetersi di determinati metodi che evidentemente accomunano le
dittature, le autocrazie e le democrazie solo apparenti (o “solo
elettorali”) di vario colore e di varie latitudini [e </span><i style="font-family: Georgia, serif;">en passant</i><span style="font-family: Georgia, serif;">
chiedo ironicamente ai </span><i style="font-family: Georgia, serif;">fans</i><span style="font-family: Georgia, serif;"> delle dittature, che sono anche
tendenzialmente negazionisti: sono tutti mentitori, quei
perseguitati? Si sono segretamente messi d'accordo in tutto il mondo,
dalla Siberia a Guernica, dalle Ande al Fiume Giallo, da Phnom Penh ad
Auschwitz, per calunniare le “meravigliose, innocenti” dittature
del vostro cuore?], mi è capitato più volte di chiedermi: come mi
esprimerei io, al loro posto? In che termini riassumerei il mio
desiderio legittimo, sacrosanto di riappropriarmi della mia </span><i style="font-family: Georgia, serif;">pubblica</i><span style="font-family: Georgia, serif;"> </span><i style="font-family: Georgia, serif;">facoltà di
giudicare</i><span style="font-family: Georgia, serif;"> (e dunque anche di </span><i style="font-family: Georgia, serif;">criticare </i><span style="font-family: Georgia, serif;">e dissezionare con un ideale </span><span style="font-family: Georgia, serif;">“bisturi” discorsivo</span><span style="font-family: Georgia, serif;"> implacabilmente, senza alcun timore reverenziale</span><span style="font-family: Georgia, serif;">) l'operato dei
“miei” governanti-aguzzini, mettendoli davanti alle loro responsabilità, giacché non sono e non saranno mai dèi intoccabili e neppure semidei?</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Ho pensato che mi esprimerei più o meno
così... Un regime politico che incute terrore o paura ai propri
cittadini, e che anzi si mantiene in vita proprio grazie alla paura
che suscita, non può ottenere nessuna legittimazione, perché questa
– a meno che uno Stato non voglia degradarsi sino a somigliare a
una banda di malfattori e di <i>gangster</i> (sia pure legalizzati) – non si può estorcere con la forza. Un
governo che terrorizza i cittadini e viene a cercarli nelle loro
case, nel cuore della notte, comportandosi come un assassino
qualunque, senza un'accusa precisa nei loro confronti, senza nessuna
garanzia di legge, permettendosi di abusare a proprio piacimento dei
loro corpi e delle loro vite, non può chiamarsi “governo”, anche
se si è appropriato del “volto” e del sigillo dello Stato per
fare ciò che fa; ma Stato, ripeto, non è, perché non posso
riconoscere come Stato un gruppo di soggetti che non mi riconosce
come persona e che sbandierando una propria presunta infallibilità,
non accetta alcuna critica da parte mia o di altri. E non essendo
civilmente riconoscibile, poiché non offre nessuna garanzia, non può
invocare nessuna “ragione di Stato” per dare una parvenza di
necessità politica ai propri atti.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Un'ultima considerazione. La dittatura, o
autocrazia, non è che la <i>forma politica</i> e dunque
l'oggettivazione in termini istituzionali di un principio che
struttura anche la mentalità e i comportamenti di varie persone o
gruppi sociali: l'autoritarismo <i>inteso qui non come regime
politico ma come tendenza o atteggiamento mentale e/o culturale</i>.
Il problema più rilevante risiede proprio qui, in questo “sottofondo
collettivo”, sociale e psicologico, che si cela (o si svela, a
seconda delle occasioni) tra le pieghe della convivenza e dei
comportamenti più o meno diffusi. Troppe volte la dittatura può
reggersi e vantare (un minimo di) consenso proprio in quanto fa
l'occhiolino a questo atteggiamento mentale/psicologico/culturale, e
conta sulla sua “complicità” fattiva, esplicita o implicita che
sia.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Va da sé, quindi, che essere contrari
alla dittatura, come forma politica, significa essere radicalmente
critici e motivatamente, consapevolmente ostili nei confronti
dell'autoritarismo come “paradigma culturale” e come “forma
mentis” o atteggiamento di singoli o di gruppi.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="CENTER" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><i><b>POSTILLA
N. 1</b></i></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Come ho accennato più sopra, la condanna
delle dittature non implica che le democrazie siano, o si debbano
considerare, esenti da difetti e da critiche; non esclude nemmeno che
le democrazie possano degenerare. La “manutenzione” delle
democrazie è affidata ai cittadini, che devono imparare a
prendersene cura. D'altra parte, bisognerebbe anche imparare a
distinguere le varie esperienze democratiche, o che si presentano
come tali, giacché al di sotto delle apparenti somiglianze, i vari
ordinamenti democratici possono essere anche molto differenti fra
loro; alcuni possono essere semplici “democrazie in via di
costruzione” o “quasi-democrazie”. Inoltre, non tutti i regimi
che si presentano a un'analisi superficiale come democratici lo sono
poi veramente. Oggigiorno le forme più sofisticate di dittatura
possono perfino nascondersi sotto la comoda apparenza di “democrazie
(solo) elettorali”, regimi nei quali, al di là del “rito”
elettorale, svolto peraltro con disinvoltura (rito che serve a tenere
pulita la “facciata” esterna e “presentabile” del regime),
non c'è quasi nient'altro di realmente “democratico” (a
cominciare dalla libertà di stampa e di pensiero).</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="CENTER" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><i><b>POSTILLA
N. 2</b></i></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Forse è opportuno non dimenticare che in
molti casi la democrazia è frutto di lotte di liberazione e, anche
solo per questo motivo, e nonostante tutte le critiche che possono
esserle rivolte, merita rispetto (che è cosa diversa dalla
venerazione acritica).</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="CENTER" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><i><b>POSTILLA
N. 3</b></i></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Non escludo che, in virtù dei suoi
difetti e limiti, si possa superare l'attuale forma di democrazia,
per approdare a un ordinamento politico che rispecchi e rispetti
ancor meglio le aspettative e gli “spazi” dei cittadini; un
“superamento” di questo tipo non dovrebbe suscitare scandalo né
preoccupazione, neppure se il “nuovo” regime, per qualche buona
ragione, perdesse del tutto il nome di democrazia. Non è tanto al
“nome” che dobbiamo tenere, quanto ai contenuti. Quello che
invece non si può accettare, a mio parere, è che i difetti e i
limiti dell'attuale forma di democrazia vengano usati come <i>pretesto</i>
per riproporre, e per “rifilarci” un giorno, una qualche forma di
dittatura. Riassumendo, quindi: i mutamenti in sé non devono
spaventare, se si tratta di andare dal “meno” verso il “più”;
non sono invece ammissibili se, sotto la veste generica del
“cambiamento” o del “rinnovamento”, si nasconde in realtà un
“ritorno al vecchio”, i cui difetti inemendabili abbiamo già
abbondantemente sperimentato...</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="CENTER" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><i><b>POSTILLA
N. 4</b></i></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Non bisogna credere che la democrazia
(nella sua forma attuale) sia la panacea per ogni “male”
politico. Ad es., la convinzione secondo la quale le democrazie
sarebbero portate “per natura” alla pace si è rivelata infondata
[e comunque, ancora una volta, la dittatura <i>non è la soluzione</i>:
se le democrazie sono a volte aggressive, le dittature lo sono
mediamente per loro intrinseca natura, e lo sono quotidianamente
anche nei confronti dei loro stessi cittadini]. A mio personalissimo
parere, la democrazia, come oggi la conosciamo, è solo la tappa di
un percorso: la mia convinzione in merito l'ho in fondo espressa già
nella “postilla” precedente. Forse, per arrivare a un sistema
internazionale più equo e accettabile, bisognerà superare gli
“Stati-nazione” attuali, ancora basati su “microcosmi” etnici
e nazionali chiusi su se stessi, quasi del tutto incapaci di
cooperare coi propri “vicini” nella gestione dei territori e
delle risorse; quando la dimensione statuale-egoistico-nazionale
attuale sarà stata eventualmente superata, si imporranno nuove
“forme” politiche e probabilmente la “democrazia” dovrà
acquistare un nuovo significato o, per designare un assetto di
governo nuovo e inedito, dovrà assumere un nome differente. E' un
discorso che non si può sviluppare qui, in una semplice “postilla”;
in ogni caso, ritengo che per lavorare fin d'ora a questa auspicabile
trasformazione, si possano ad esempio istituire serie forme di
democrazia partecipativa.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><u><b>Riferimenti
bibliografici essenziali:</b></u></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">[La bibliografia che segue vuol essere
“minimale” e non ha nessuna pretesa di completezza; d'altra
parte, su temi come “dittatura” o “totalitarismo” esiste una
letteratura vastissima, e questo anche a prescindere dalla
letteratura su regimi specifici, come il nazismo o il fascismo, che è
immensa e che non viene considerata qui nel dettaglio]</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="CENTER" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><b>I.
Scritti sulla dittatura (o autocrazia) in genere e sull'autoritarismo</b></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;">- C. Schmitt, <i>La dittatura. Dalle
origini dell'idea moderna di sovranità alla lotta di classe
proletaria</i>, Laterza, Bari 1975 // ed. orig.: <i>Die Diktatur. Von
den Anfängen des modernen Souveränitätsgedankens bis zum
proletarischen Klassenkampf</i>, Duncker & Humblot, München
1921.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: #134f5c;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;">- B. Moore, <i>Le origini sociali della
dittatura e della democrazia</i>, Einaudi, Torino 1969 // ed. orig.:
<i>The Social Origins of Dictatorship and Democracy</i>, Beacon
Press, Boston 1966.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: #134f5c;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;">- S.P. Huntington e C.H. Moore (a cura
di), <i>Authoritarian Politics in Modern Societies: The Dynamics of
Established One-Party Systems</i>, Basic Books, New York-London 1970.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: #134f5c;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;">- J. J. Linz, <i>Autoritarismo</i>, in
<i>Enciclopedia delle Scienze Sociali</i>, Istituto della
Enciclopedia Italiana, Roma 1991, vol. I, pp. 444-459.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: #134f5c;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;">- J.J. Linz, <i>Democrazia e
autoritarismo. Problemi e sfide tra XX e XXI secolo</i>, Il Mulino,
Bologna 2006.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: #134f5c;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;">- G. Sartori, <i>Dittatura</i>, in Id.,
<i>Elementi di teoria politica</i>, Il Mulino, Bologna 1995, pp.
57-93.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="CENTER" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><b>II.
Scritti sul totalitarismo </b>(a
sostegno o a sfavore della categoria concettuale “totalitarismo”)</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;">- H. Arendt, <i>Le origini del
totalitarismo</i>, Ed. di Comunità, Milano 1967; 1996; Einaudi,
Torino 2004 // ed. orig.: <i>The Origins of Totalitarianism</i>,
Harcourt, Brace & Co., New York 1951.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: #134f5c;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;">- F. Neumann, <i>Lo Stato democratico e
lo Stato autoritario</i>, Il Mulino, Bologna 1973 // ed. orig.: <i>The
Democratic and the Authoritarian State</i>, Free Press, Glencoe
(Ill.) 1957.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: #134f5c;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;">- C.J. Friedrich (a cura di),
<i>Totalitarianism</i>, Harvard University Press, Cambridge (Mass.)
1954.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: #134f5c;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;">- C.J. Friedrich, <i>Totalitarian
Dictatorship and Autocracy</i>, Harvard University Press, Cambridge
(Mass.) 1965 (ed. riveduta di un volume scritto dall'autore nel 1956
in collab. con Z. Brzezinski).</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: #134f5c;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;">- H.J. Spiro, <i>Totalitarianism</i>, in
<i>International Encyclopedia of the Social Sciences</i>, Macmillan &
Free Press, London-New York 1968, vol. XVI, pp. 106-113.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: #134f5c;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;">- C.J. Friedrich / M. Curtis / B.R.
Barber, <i>Totalitarianism in Perspective: Three Views</i>, Praeger,
New York 1969.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: #134f5c;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;">- R. Aron, <i>Démocratie et
totalitarisme</i>, Gallimard, Paris 1965; 1987.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: #134f5c;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;">- G. Sartori, <i>Totalitarianism. Model
Mania and Learning from Error</i>, in «Journal of Theoretical
Politics», 1993, vol. 5, n. 1, pp. 5-22.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: #134f5c;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;">- E. Gentile, <i>Le religioni della
politica. Fra democrazie e totalitarismi</i>, Laterza, Roma-Bari
2001.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: #134f5c;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;">- D. Fisichella, <i>Totalitarismo. Un
regime del nostro tempo</i>, Carocci, Roma 2002.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: #134f5c;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;">- D. Losurdo, <i>Per una critica alla
categoria di totalitarismo</i>, in «Hermeneutica», 2002, pp.
131-166.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: #134f5c;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;">- M. Tarchi, <i>Il totalitarismo nel
dibattito politologico</i>, in «Filosofia Politica», 1997, n. 1,
pp. 63-79.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: #134f5c;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;">- S. Forti (a cura di), <i>La filosofia
di fronte all'estremo. Totalitarismo e riflessione filosofica</i>,
Einaudi, Torino 2004.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: #134f5c;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;">- J.J. Linz, <i>Sistemi totalitari e
regimi autoritari. Un'analisi storico-comparativa</i>, Rubbettino,
Soveria Mannelli 2006 // ed. orig.: <i>Totalitarian and Authoritarian
Regimes</i>, Lynne Rienne, Boulder-London 2000.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="CENTER" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><b>III. Scritti su casi particolari di
regimi autocratici</b> (bibliograf. relativa a testi di qualche
interesse per la teoria politica; per la letteratura strettamente
storiografica si rimanda a bibliografie di settore)</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;">- F. Neumann, <i>Behemoth. Struttura e
pratica del nazionalsocialismo</i>, Feltrinelli, Milano 1977; B.
Mondadori, Milano 1999 // ed. orig.: <i>Behemoth: The Structure and
Practice of National Socialism</i>, Oxford University Press, 1942.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: #134f5c;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;">- E. Fraenkel, <i>Il doppio Stato.
Contributo alla teoria della dittatura</i>, Einaudi, Torino 1983 //
ed. orig.: <i>The Dual State: A Contribution to the Theory of
Dictatorship</i>, Oxford University Press, 1941.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: #134f5c;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;">- G. Germani, <i>Autoritarismo, fascismo
e classi sociali</i>, Il Mulino, Bologna 1975.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: #134f5c;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;">- E. Gentile, <i>Le origini
dell'ideologia fascista (1918-1925)</i>, Laterza, Bari 1975; Il
Mulino, Bologna 1996.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: #134f5c;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;">- E. Gentile, <i>La via italiana al
totalitarismo. Il partito e lo Stato nel regime fascista</i>,
Carocci, Roma 2001.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: #134f5c;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;">- A. Aquarone, <i>La costruzione dello
Stato totalitario</i>, Einaudi, Torino 1965.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: #134f5c;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;">- P. Pombeni, <i>Demagogia e tirannide.
Studio sulla forma partito nel fascismo</i>, Il Mulino, Bologna 1984.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: #134f5c;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;">- G. Pasquino, <i>Militari e potere in
America latina</i>, Il Mulino, Bologna 1974.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: #134f5c;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;">- D. Collier (a cura di), <i>The New
Authoritarianism in Latin America</i>, Princeton University Press,
Princeton 1979.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: #134f5c;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: #134f5c; font-family: Georgia, serif;">- E. Nordlinger, <i>I nuovi pretoriani.
L'intervento dei militari in politica</i>, Etas Libri, Milano 1978 //
ed. orig.: <i>Soldiers in Politics: Military Coups and Governments</i>,
Prentice Hall, Englewood Cliffs (N.J.) 1977.</span></div>
ivaneuscarhttp://www.blogger.com/profile/13381655735594702472noreply@blogger.com8tag:blogger.com,1999:blog-215434595625178180.post-42619375828781919262012-11-05T00:06:00.002+01:002012-11-05T01:33:48.017+01:00Il lavoro "flessibile" e il suo "mercato" sono un decreto del "destino"? Qualche legittima domanda<br />
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Hanno fatto
scalpore, come tutti sappiamo, <a href="http://video.repubblica.it/dossier/articolo-18/fornero-i-giovani-non-devono-essere-troppo-choosy/108533/106918?ref=NRCT-45077451-6"><b>alcune dichiarazioni</b></a> del ministro
Fornero sul rapporto fra i giovani e il lavoro.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Al di là
dell'equivoco sulla qualifica di <i>choosy</i>
attribuita ai giovani di oggi – il Ministro ha spiegato che si
riferiva a un atteggiamento in voga sino a qualche tempo fa, giacché
i giovani precari di oggi sanno di “non potersi permettere” di
rifiutare un impiego – il suo discorso comunque riprende il <i>leit
motiv</i> della “flessibilità
obbligatoria”, da anni ormai ripetuto da politici, tecnici e
intellettuali influenti.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">C'è chi,
dai giornali o da “pulpiti” autorevoli, ci dice che “bisogna
abituarsi alla flessibilità”, che “bisogna abituarsi a cambiare
continuamente lavoro durante la propria vita”, che “bisogna
abituarsi alla globalizzazione del mercato finanziario”, che
“bisogna tagliare le spese sociali”, ecc.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Nessuno
però ci spiega veramente perché dovremmo abituarci a simili cose;
se qualcuno finalmente lo facesse, e se la spiegazione fosse davvero
convincente, magari potremmo essere indotti a dare ragione a chi
sostiene tutti quei “bisogna... bisogna...”.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Bisogna
<i>perché</i>?</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"></span></div>
<a name='more'></a><br />
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">L'unica
risposta che viene fornita – a parte la più <i>gettonata</i>, “Ce
lo impongono i problemi di bilancio” (che però in tante occasioni
vengono utilizzati come un pretesto per attuare determinate politiche
discutibili senza incontrare opposizioni) – è: “Perché adesso i
mercati vogliono così”, con qualche interessante variante:
“L'Europa vuole così”, oppure: “Oggi il mondo è cambiato e
bisogna essere all'altezza delle sfide attuali”.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Bene.
I mercati “vogliono”, dunque... E i mercati cosa o chi sono,
visto che “vogliono”? da dove vengono? Qualcuno avrà pur
istituito – attraverso accordi internazionali, leggi nazionali,
provvedimenti vari e assortiti – <i>questo</i>
sistema di scambi economici che per comodità chiamiamo “mercato”
(o al plurale, “mercati”). E' un sistema <i>come un altro</i>,
e non è <i>l'unico possibile</i>;
è fatto <i>così</i> perché
c'è chi <i>così</i>, e non
altrimenti, l'ha voluto; non si è “fatto da sé”. Non l'abbiamo
trovato un giorno già bell'e fatto, fuori dalla porta di casa.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Anche
solo per questo motivo (e non è comunque il solo) non ci si può
venire a dire che l'attuale struttura degli scambi commerciali
internazionali, delle transazioni finanziarie “globalizzate”,
ecc., sia <i>piovuta dal cielo</i>
e sia una sorta di “destino” che ci tocca solo accettare e
subire, con tutte le conseguenze che provoca e porta con sé.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">E
l'altro <i>leit motiv</i>,
“Oggi il mondo è cambiato (e bisogna eccetera eccetera...)”, non è
meno reticente e fuorviante. Il “mondo” non “cambia” <i>da
sé</i>; il “mondo” della
società umana, il “mondo” degli scambi economici, del lavoro
umano e della produzione è fatto di decisioni, transazioni e accordi
<i>fra persone</i> (anche in
rappresentanza di popoli, nazioni, ecc.).</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Se
“bisogna” accettare il “destino” della flessibilità
permanente (che per molti/e si tramuta in precariato perenne), si
deve prima di tutto spiegare da dove deriva questa “necessità”
(posto che sia davvero tale): non certo dal “mondo” che “è
cambiato” (espressione che in sé non dice nulla: anche quando
costruiscono un nuovo palazzo su uno spiazzo da anni incolto, o
quando allestiscono un nuovo giardino pubblico in città, il “mondo”
cambia: ma <i>qualcuno</i> ha
deciso di costruire <i>quel</i>
palazzo, o di far esistere <i>quel</i>
parco per motivi precisi, non sono nati un bel giorno <i>da sé</i>
come se fossero funghi!).</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Ma
sorvoliamo... D'accordo, possiamo anche ammettere che <i>il
mondo</i> sia <i>cambiato</i>;
di fatto cambia incessantemente; ma perché questo <i>cambiamento</i>
impone <i>in particolare</i>
ai lavoratori di diventare tutti flessibili e “non-choosy”? I
“sacrifici” devono essere imposti solo a una parte della
popolazione? Il “mondo” deve cambiare solo o soprattutto a
svantaggio dei lavoratori? L'unico “fattore produttivo” che deve
sacrificarsi, senza alcuna forma di “compensazione”, è il
lavoro? Questo non fa forse pensare che si tratti di un cambiamento
<i>strategico</i>, instradato
in una determinata direzione al fine di salvaguardare, ad es., la
remunerazione del capitale e (in particolar modo) la crescita
esponenziale e “globalizzata” delle speculazioni finanziarie?</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Le
garanzie minime delle quali godeva il lavoratore vanno “sacrificate”,
ci dice la vulgata “mercatista” (diffusa da buona parte dei
“media <i>mainstream</i>”):
innanzitutto il contratto di lavoro a tempo indeterminato (ed è un
sacrificio di non poco conto, giacché ne trascina altri con sé, ad
es. la possibilità di fare programmi economici a lunga scadenza
[come l'acquisto di una casa, o anche il semplice affitto...], o il
diritto al congedo di maternità per le lavoratrici). Ma il
lavoratore <i>cosa riceve in cambio</i>
di questo notevole sacrificio?</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">La
risposta che in genere si può ottenere se si pone questo tipo di
domanda è: “L'economia ci guadagna” o in alternativa: “Si
accresce la produttività [o la competitività]” o “Si favorisce
la crescita e così stiamo tutti meglio”.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Ma
sono delle <i>non risposte</i>,
in realtà; è come se alla domanda “Dove vai?” qualcuno
rispondesse “Porto cipolle”.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Ripeto
quindi la domanda: – In cambio dei sacrifici che gli vengono
chiesti, cosa <i>riceve il lavoratore</i>?
Come viene ripagato il suo sacrificio? –</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Un
interlocutore “mercatista” [altresì detto “fan della
globalizzazione sregolata e della finanziarizzazione
dell'economia”... ma è definizione troppo lunga] potrà forse
replicare, se ha voglia di evitare le banali risposte standard di cui
sopra: “Il suo sacrificio non può essere ripagato sùbito. Ma
rendendo più snello e flessibile il lavoro (sotto il profilo
contrattuale e degli oneri a carico dell'imprenditore), si avranno
crescita, sviluppo, migliore competitività, e così nel medio e
lungo periodo ci guadagneremo tutti, in quanto consumatori. Si
creeranno inoltre anche più posti di lavoro”.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Varie
sono le obiezioni che si possono muovere a un discorso del genere. In
primo luogo, bisogna intendersi sul significato da dare al concetto
di “crescita”. La si misura soltanto in termini di PIL e coi
consueti parametri (volume degli scambi commerciali, ecc.)? Il
“benessere” che la “crescita” dovrebbe attestare non è dato
forse anche da elementi che non possono essere compresi nella
semplice “sommatoria” della produttività [e fra questi elementi
dovremmo includere i fattori come l'ambiente che, pur non agevolmente </span><span style="font-family: Georgia, serif;">“monetizzabili”,</span><span style="font-family: Georgia, serif;"> contribuiscono alla “qualità
della vita” o ne sono indice]?</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">In
secondo luogo, anche ammesso che per “crescita” si debba
intendere ciò che vogliono i “mercatisti”, è tutta da
dimostrare sul lungo periodo la correlazione fra “flessibilizzazione”
del lavoro e “crescita” (o “sviluppo”). A maggior ragione
quella correlazione è discutibile se diamo un significato più
“esigente” (sotto il profilo sociale) al concetto di “crescita”.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Inoltre,
l'idea che i sacrifici dei <i>lavoratori</i>
vengano ripagati in termini di benefici ai <i>consumatori</i>
ha in sé qualcosa di contorto e forse “dissociato”. Perché
qualcuno pensa che ciascuno/a di noi, o comunque ciascuno dei
lavoratori, debba porsi in conflitto... con se stesso/a? Nessuno/a di
noi è <i>soltanto</i>
consumatore, giacché la qualifica di <i>consumatore</i>
è potenzialmente <i>universale</i>:
infatti nessuno può fare a meno di consumare beni almeno per
sostentarsi (cibo, indumenti, ecc.). Ma questo vuol dire che il
lavoratore salariato/stipendiato è (come chiunque) <i>anche</i>
consumatore. Tuttavia, per tornare alla risposta del “mercatista”
tipo, il lavoratore come può ottenere benefici <i>in quanto
consumatore</i> dalla riduzione
delle proprie garanzie contrattuali? In cosa consiste il <i>beneficio</i>
che riceve se ad es., <i>proprio come consumatore</i>,
non può più accedere al mutuo per acquistare una casa?</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">La
categoria di consumatore è molto amata e utilizzata ultimamente
nelle riflessioni sull'economia e persino sulla politica, proprio
perché è universale, e tiene i discorsi a distanza di sicurezza
dalla visione e dalla nozione dei conflitti e delle contraddizioni
sociali.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Se
gli unici problemi dei quali (all'interno dei dibattiti <i>mainstream</i>)
è sensato parlare si riducono ai <i>problemi del consumatore</i>,
ogni altro soggetto possibile, a partire dal <i>lavoratore</i>,
viene relegato ai margini del discorso.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Ma
il consumatore non è mai un “omino” astratto, privo di volto e
di qualità (tranne quelle rilevanti per il marketing), come vorrebbe
la modellistica dei “mercatisti”: e del resto da dove ricava i
soldi che gli servono per <i>consumare</i>,
quell'<i>omino astratto</i>? </span>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Soltanto
se restituiamo un vero volto e una vera identità a quell'“omino”
chiamato “agente razionale” dai mercatisti ci accorgiamo che il
soggetto “essere umano” non si può scindere a seconda delle
convenienze prendendone solo lo spicchio detto “consumatore” e
tralasciando sdegnati lo spicchio “lavoratore”. Perché lo
spicchio “consumatore” è molto sottile, anzi è solo una
superficie esterna, un involucro che non ha nessuna vita e nessun
significato senza il resto del corpo che <i>produce</i>
(e ri-produce!) per poter poi anche <i>consumare</i>.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">E
se nel suo complesso il soggetto, come soggetto che produce e lavora,
non viene valorizzato e anzi viene sfruttato, è difficile che quello
stesso soggetto, proprio <i>sul lungo periodo</i>
caro a certi mercatisti, possa trovare compensi e gratificazioni
nella sua riduzione a <i>consumatore</i>.
Lo potrà fare forse per <i>un certo tempo</i>,
usando il consumo anche come rifugio, ma se a lungo andare le sue
energie si riducono e parallelamente aumenta lo stress (perché
sottopagato da troppo tempo, perché i debiti si accumulano, perché
ha sperimentato di non riuscire a costruire un progetto di vita
stabile, ecc.), il <i>consumo</i>
si stabilizza al livello della sopravvivenza “possibile” e può
essere semplicemente motivo di frustrazione, non più di
gratificazione.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">E
quale “crescita” si costruisce in simili condizioni, se questa
situazione si moltiplica per tante persone immerse nella medesima
“palude”?</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Non
si può poi parlare di “sviluppo” quando le condizioni medie dei
lavoratori di oggi, specie se hanno famiglia (e una certa età),
tendono a essere peggiori di quelle dei lavoratori di trenta o
quaranta anni fa. Diverse analisi recenti hanno sottolineato infatti
(e con una certa evidenza mediatica) che per la prima volta, da
quando l'Italia ufficialmente “cresce” per la sua
industrializzazione, “i figli stanno peggio dei padri”,
soprattutto se si guarda al potere di acquisto dei salari.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Ma
davanti a una simile constatazione, sorge un'altra serie di domande,
che si vorrebbero porre a chi esalta l'attuale assetto dell'economia
e dei “mercati”.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Perché
un lavoratore di oggi dev'essere meno tutelato di un lavoratore di
ieri? E' forse meno degno? Perché una lavoratrice oggi, se ha un
contratto di lavoro “precario”, ha meno diritto (eufemismo per
dire che non ha affatto diritto) al congedo per maternità? Cos'hanno
che non va, le lavoratrici e i lavoratori di oggi? Sono meno
“virtuosi” di quelli di ieri? Hanno qualche colpa da scontare,
forse?</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">In sostanza, non esiste forse a questo riguardo un problema
di <i>equità</i> e di <i>giustizia</i>? Si possono cancellare con un
tratto di penna aspettative che derivano da una maturazione politica
e sociale (o, se si vuole, da un'evoluzione dei rapporti sociali ed
economici, che si è tradotta persino in una evoluzione del
“costume”) durata decenni e che ha comportato anche lotte e
sacrifici? L'emancipazione (e la mobilità sociale, che a questa è
inscindibilmente associata) è un bene sociale o no? Dobbiamo
obbligatoriamente dare ragione a coloro che – con giri di parole –
cercano di farci intendere che sia invece un flagello del quale
sbarazzarsi al più presto?</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Dagli
anni Sessanta ad oggi, e specialmente negli ultimi decenni, in Italia
molti giovani, sostenuti dalle loro famiglie, hanno investito nella
propria formazione; e in questi decenni studiosi e governanti
italiani hanno garantito e ripetuto che una migliore formazione e una
qualifica di studio elevata (diploma di scuola media superiore o
laurea) avrebbero permesso a ciascuno/a di migliorare le proprie
<i>chances</i>, le proprie
opportunità di vita e di lavoro. E d'altronde avere più diplomati e
più laureati, anche dal punto di vista complessivo della società e
dell'economia (e non solo dal punto di vista “egoistico” delle
ambizioni individuali, pur importanti), significava avere “più
(opportunità di) sviluppo”. Ora è cambiato qualcosa nell'agenda
pubblica? Non va più bene studiare, formarsi?</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">In
realtà ancora adesso un giovane con una buona qualifica, con un
ottimo titolo di studio, dev'essere considerato in qualche modo
un'“eccellenza” o – per usare un termine antipatico se riferito
a persone – una “risorsa”, non solo per sé ma anche per la
collettività.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Ebbene,
e la collettività cosa fa poi di quella “risorsa”, dopo avere
investito soldi e strutture per ottenere un'alta “scolarizzazione”?
La dilapida, sottoutilizzandola? Perché è questo che succede, ad
es., quando a un laureato si chiede di andare a fare il cameriere –
non per una stagione o due, ma per anni e anni...</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">E
se noi “dilapidiamo” il patrimonio di formazione che è
costituito dai nostri giovani più preparati e colti, come
pretendiamo di tornare a “crescere”?</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">L'inefficienza
del nostro sistema economico è da addebitare interamente ai
fantomatici “giovani <i>choosy</i>” [che certo ci sono e ci
saranno, ma, come lo stesso ministro Fornero ammette, non sono più
rilevanti come fenomeno] o non è forse in gran parte dovuta
all'inefficienza del cosiddetto “mercato del lavoro”, che <i>non</i>
seleziona i migliori (tra i giovani in cerca di occupazione) e tanto
meno li premia o li valorizza, se non occasionalmente? E per “mercato
del lavoro” non intendo qui soltanto le strutture dello Stato e le
istituzioni pubbliche (formazione, legislazione sul lavoro, uffici
per l'impiego, ecc.) ma anche l'organizzazione delle imprese (e più
precisamente il modo in cui le imprese reclutano i lavoratori).</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">La
fuga dei cervelli, ad es., è dovuta all'atteggiamento <i>choosy </i>dei
giovani o è piuttosto un fenomeno da addebitare alle varie
disfunzioni, mancanze e storture delle istituzioni e del mercato del
lavoro (come definito sopra)? </span>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Perché
il mercato del lavoro da noi non tende a premiare i più preparati e
i più competenti (non parliamo poi dei più “geniali”) ma, nel
reclutare e selezionare i lavoratori (o meglio i candidati al
lavoro), sembra prediligere un'altra gerarchia di “valori”?
Sarebbe interessante capire quali sono questi “valori”
alternativi alla preparazione, all'attitudine e alla competenza, e
soprattutto <i>perché</i> vengono preferiti a quelli.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Perché
– e questo è solo un esempio – tanti giovani, quando presentano
un buon curriculum a un'azienda, con intenzioni tutt'altro che
<i>choosy</i>, si sentono rispondere: “Lei è troppo preparato per
noi”? Ma che vuol dire? Ma che sistema è? Dobbiamo forse arguire
che da noi si preferiscono gli impreparati e gli incompetenti? E
<i>perché</i>, di grazia? [E soprattutto: è con questi sistemi <i>naif</i>
di selezione e reclutamento che poi pretendiamo di ottenere lo
<i>sviluppo</i> e la <i>crescita</i>?]</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">D'altra
parte, se ci si forma per una determinata professione, spendendo
denaro, tempo (anni!) ed energie per raggiungere l'obiettivo (la
laurea, il dottorato, il “master”, ecc.), si possiede una
competenza che è legittimo desiderare di mettere a frutto.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">E
invece, la “flessibilità obbligatoria” costringe potenzialmente
tutti/e a cambiare continuamente e freneticamente lavoro, <i>senza
alcun riguardo</i> per la formazione
e la vocazione di ciascuno/a. La flessibilità “eterna”, se
spinta davvero al suo estremo limite, ci rende tutti fungibili,
intercambiabili, come se fossimo tutti “esseri senza (specifiche)
qualità”, e questo a mio parere non è un passo avanti.
Tutt'altro...</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">E'
vero che la società è diventata più “veloce”, il progresso
tecnologico rapido di oggi impone cambiamenti più frequenti anche
nei sistemi e metodi di produzione e negli stessi prodotti, ecc.;
tutto vero; ma la <i>capacità di adattamento</i>
implicita nel concetto di <i>flessibilità</i>
si scontra con la richiesta di <i>specializzazione</i>
che proviene dallo stesso sistema economico-produttivo.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">O
siamo iper-specializzati o siamo iper-flessibili. Sono due esigenze
antitetiche, e tuttavia il “mercato” oggi ci chiede di essere sia
l'una che l'altra cosa, <i>contemporaneamente</i>.
Come si può chiedere alle persone di investire (tempo, energie,
denaro) in una formazione iperspecialistica, dunque complessa, e poi
pretendere che quegli iperspecialisti (o anche solo specialisti
coscienziosi, senza “iper”), una volta formati, mettano da parte
il loro sapere specialistico per diventare “flessibili” e
adattarsi a qualsiasi lavoro? Davanti a una simile schizofrenia del
“mercato” sorge un dubbio: non è che per caso abbiamo rinunciato
a governare le trasformazioni e ci facciamo passivamente guidare da
processi decisi al di sopra delle nostre teste, senza nemmeno
chiederci (nemmeno davanti ad assurdità e contraddizioni evidenti)
dove stiamo andando? [E questa domanda la rivolgo specialmente ai
“tecnici” e ai decisori politici nazionali.]</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Per
tornare quindi al discorso del Ministro, qualcuno lo usa come spunto
per dire che “è vero, i giovani oggi non vogliono lavorare”. Ma
è lo stesso ministro a smentire questo <i>cliché</i>,
dicendo che non è vero, in quanto i giovani precari di adesso non
sono più così <i>choosy</i>.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Il
fatto è che molti/e confondono le proprie esperienze personali con
l'andamento generale delle cose. Hanno conosciuto qualche giovane che
“non vuole lavorare” e da questa loro conoscenza empirica pensano
di poter ricavare una regola universale del tipo: “<i>Ogni</i>
giovane non vuole lavorare oggi, e dunque il giovane che
eventualmente si lamenta della propria condizione (perché è
sfruttato, non trova lavoro, ecc.) è una sorta di impostore”.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Non
è così.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">In
realtà troppi giovani (e anche molti “non più giovani”) si
trovano non occasionalmente o saltuariamente ma pressoché
stabilmente a svolgere lavori sottopagati o addirittura non
retribuiti. Anche volendo credere a tutte le “buone ragioni” di
chi sostiene la “flessibilità obbligatoria”, come si può
ammettere e accettare che il lavoro non venga compensato, retribuito
e quindi <i>onorato</i> (nello stesso senso in cui si <i>onora</i> un
debito, ma anche perché il lavoro merita <i>rispetto vero</i> e non
solo retorico)? Come si fa a negare l'evidenza, ovvero il fatto puro
e semplice che queste forme di “lavoro” (sottopagato o
addirittura non retribuito) sono in realtà nuove forme di
sfruttamento?</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Possiamo
dare tutte le giustificazioni che vogliamo alla “flessibilità”;
e probabilmente qualcuna di esse può avere un qualche senso; ma ciò
non toglie che il lavoro – come forse sapevano le generazioni che
ci hanno preceduto – deve dare <i>dignità</i> alle persone e non
sopprimerla. Un salario che non consenta al lavoratore una vita
<i>dignitosa </i>non è ammissibile, specialmente in Paesi che
pretendono di far parte di “esclusivi club” come il “G8”; se
la <i>crescita</i>, tanto decantata dai “mercatisti”, implica
l'aumento delle disparità sociali, si trasforma in <i>crescita dei
privilegi</i> (e del <i>potere di ricatto</i> dei detentori di
posizioni privilegiate sul resto della società), ed è cosa ben
diversa da quel che il nome suggerirebbe. Quanto allo <i>sviluppo</i>,
poi, se si realizza gettando nell'incertezza della “precarietà”
milioni di persone (non occasionalmente, ma stabilmente), dal punto
di vista sociale non si può definire tale, perché si traduce nel
suo opposto, ovvero nella “desertificazione” progressiva delle
prospettive di emancipazione e di mobilità sociale.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Abbiamo
appena parlato dell'ipotesi in cui il salario non sia sufficiente a
consentire una vita dignitosa; e cosa dire dei tanti casi in cui il
lavoro non viene neppure retribuito?</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Se
ci mettiamo nei panni di un giovane di oggi, il quale dopo varie
“peripezie”, che si chiamano occupazioni saltuarie, lavori
interinali, lavori a chiamata, turni nei <i>call center</i>, ecc., e
nonostante quindi orari di lavoro “regolari” e tanta fatica,
dovendo registrare nel proprio personale bilancio lavori pagati poco,
salari ricevuti solo “a babbo morto” e lavori addirittura non
retribuiti, si accorge di non riuscire neppure a pagare regolarmente
il fitto di casa, dite davvero che non possiamo capire il suo
eventuale scoramento e la decisione di rinunciare a qualsiasi
progetto di vita a lungo termine, nel quale era compresa la fiducia
stessa nel lavoro?</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Se
il lavoro si trasforma in una gimcana senza senso e senza dignità,
che richiede tanta fatica, impiego di energie e di tempo, e
restituisce in cambio solo frustrazione a iosa e la sensazione di non
farcela, di essere sempre comunque ai margini, senza soldi né
prospettive, si può anche capire perché qualcuno scelga di
rifiutare certe “proposte di lavoro” che offre il “mercato”,
anche a rischio di essere definito <i>choosy</i>.</span></div>
ivaneuscarhttp://www.blogger.com/profile/13381655735594702472noreply@blogger.com9tag:blogger.com,1999:blog-215434595625178180.post-17182971840501392302012-10-25T17:19:00.000+02:002012-10-26T10:51:11.787+02:00Fin dove può spingersi un "esperto"? Ovvero: La scienza, la società e le nostre scelte<br />
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Non intendo
parlare in realtà della sentenza dell'Aquila [per i dettagli vedere ad es. <b><a href="http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/speciali/2012/10/22/-allertarono-Grandi-Rischi-condannata_7690717.html">qui</a></b> e <b><a href="http://www.corriere.it/cronache/12_ottobre_22/sentenza-grandi-rischi_a6f15a5e-1c59-11e2-b6da-b1ba2a76be41.shtml">qui</a></b>], della quale molto
si discute in questi giorni, anche perché evito per principio di
addentrarmi in casi specifici [poiché <i>a)</i> è inopportuno
improvvisarsi giudici ed entrare nel merito di una questione della
quale per forza di cose si conosce molto poco, ovvero solo i dati che
i media divulgano; <i>b)</i> spesso la discussione sul caso singolo
fa perdere consistenza alla “visione d'insieme”, sociale,
politica, ecc., di un problema, che mi interessa molto di più], però
prendo quel caso e la conseguente discussione come spunto per fare
alcune riflessioni che mi stanno a cuore su un tema forse “attiguo”
e “collaterale” (o forse importante per il caso stesso che ha
suscitato il dibattito... chissà, giudichi il lettore).</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Meditavo
infatti in questi giorni intorno a questa domanda che mi pongo e che
porrei a qualunque interlocutore interessato: <b>Quale ruolo devono
avere gli scienziati nell'arena pubblica?</b> (E per <i>arena pubblica</i>
non intendo ovviamente il loro ruolo specifico di ricercatori e
scienziati, ma lo spazio nel quale si <i>prendono decisioni</i>
di rilevanza pubblica e/o <i>si influisce</i>
autorevolmente sulle decisioni medesime).</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"></span></div>
<a name='more'></a><br />
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Ma
quella domanda a mio avviso è strettamente collegata a quest'altra,
non meno importante: <b>Che cosa ci aspettiamo <i>noi</i>
(intesi come “pubblico” di cittadini) dalla scienza e dagli
scienziati, studiosi, esperti, ecc.?</b></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">E
forse, per dare alla prima domanda una risposta che abbia un minimo
di senso, bisogna partire dalla seconda.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Cosa
chiede in effetti la “platea” dei cittadini alla scienza e agli
esperti?</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">A
mio parere, nella maggior parte dei casi, ci rivolgiamo alla scienza
e agli esperti per avere <i>certezze</i>,
<i>punti fermi</i>.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Se
così è, dobbiamo però chiederci: può la scienza darci davvero e
<i>in ogni caso</i> le
<i>certezze</i> che vogliamo
e cerchiamo? E' questa la sua vera funzione o “missione”?</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">E'
vero che la ricerca scientifica ha il compito di colmare gli
innumerevoli “vuoti” del sapere e della conoscenza che ci
portiamo dietro da sempre, e ha quindi la “missione” di svelare
la soluzione di enigmi in questo o quel campo (talvolta sfatando
leggende anche di vecchia data, come la teoria dei “quattro
elementi” o quella della “generazione spontanea”), ma questo
non vuol dire che la ricerca abbia in sé <i>tutte le risposte</i>
e <i>tutte le certezze</i>
che a volte le chiediamo o addirittura da essa <i>pretendiamo</i>.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">La
ricerca scientifica ha portato e porta tuttora benefici in termini di
miglioramento della qualità della vita, ma soprattutto ha imposto,
perlomeno da Galileo in poi, un nuovo sguardo sulla realtà, un nuovo
atteggiamento (anche collettivo, sociale), del tutto in antitesi col
vecchio principio di autorità in base al quale si riteneva un tempo
che pochi antichi “saggi” avessero già scoperto le “verità”
importanti, che bisognava solo commentare e interpretare e giammai
confutare e/o contestare. Lo sguardo “scientifico” sul mondo e
sulla realtà ha implicato quella che si potrebbe definire la
<i>rivoluzione della verifica</i>
(che si collega strettamente al <i>diritto di confutazione
delle presunte “autorità”</i>,
antiche o non): non possiamo arrivare a stabilire alcuna <i>certezza</i>
se non adottando un complesso metodo (che dai tempi di Galileo si è
andato sempre più affinando) mediante il quale si sottopone
qualsiasi ipotesi a verifica sperimentale. Ed è solo dopo tale
verifica che l'ipotesi può trasformarsi in una <i>certezza</i>,
la quale però – si badi – non è mai in sé definitiva né
<i>inconfutabile</i>, giacché
può essere a sua volta rimessa in questione, in tutto o in parte, da
nuove ipotesi scientifiche suffragate da nuove accurate verifiche
sperimentali.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">La
ricerca scientifica insomma, se è veramente tale, non ha <i>certezze
definitive</i> da offrire, bensì
<i>traguardi provvisori</i>.
Illumina numerosi aspetti della realtà che fino a poco prima erano
oscuri, enigmatici o addirittura ignoti, tuttavia la “luce” che
essa offre è simile a quella di una buona torcia, talora persino a
quella di un potente riflettore, ma non si può mai paragonare a
quella piena del sole splendente in un cielo limpido. Non può
insomma trasformare la notte in giorno, anche se può illuminare la
“notte” del nostro sapere in maniera egregia (e col tempo può
aumentare l'intensità della propria luce e il campo delle cose che
illumina).</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">La
scienza – non dovremmo dimenticarlo – è cosa “umana”,
sottoposta ai limiti costitutivi dell'umano (limiti non “assoluti”
e non certo definiti una volta per sempre, giacché si modificano
magari nel tempo proprio grazie alla conoscenza e all'esperienza, ma
pur sempre <i>limiti</i>);
non possiamo chiedere perciò che si faccia “sovrumana” per
venire incontro al nostro bisogno di rassicurazione.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">La
consapevolezza dei limiti della scienza, a mio avviso, dovrebbe
diventare parte della nostra coscienza civile; ma non è solo il
cittadino “comune” a dover rendersi conto che le sue richieste
nei confronti della scienza non possono essere “irragionevoli”.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Dopo
aver risposto alla seconda domanda, si può in effetti affrontare la
prima.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Se
è giusto che i cittadini sappiano di non poter chiedere sempre
rassicurazioni e certezze “assolute” alla scienza e agli
studiosi, è altrettanto giusto che i <i>decisori politici</i>
e gli studiosi stessi <i>evitino</i>
di fornire certezze nei casi in cui la scienza può fornire solo
<i>probabilità</i>.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Ritengo
che si debbano sempre nominare le cose col loro nome appropriato: le
certezze vengano pubblicamente definite certezze (laddove lo sono
davvero) e le probabilità siano definite pubblicamente probabilità.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">E
quando il <i>decisore
politico</i>
(sindaco, assessore, ministro, funzionario, ecc.) chiede allo
studioso di <i>dargli
certezze</i>
perché vuole rassicurare i cittadini, lo studioso a mio avviso non
dovrebbe essere tenuto a cedere alle ragioni dell'ordine pubblico,
giacché forse non è quello il suo compito; se sotto il profilo
scientifico non v'è certezza circa il futuro verificarsi di un
determinato evento, lo studioso dovrebbe a mio avviso sottolineare il
semplice <i>grado
di probabilità</i>
dell'evento stesso (ammesso che sia determinabile nel caso specifico)
e soprattutto <i>rifiutarsi</i>
di <i>fornire
certezze, in un senso o in un altro, se certezze scientifiche non vi
sono</i>.
Sia poi il <i>decisore
politico</i>
ad <i>assumersi per
intero l'onere e la responsabilità della decisione</i>,
dal momento che il suo specifico compito è quello.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Se
quindi poi, nonostante i dati corretti forniti dallo
studioso/esperto, il decisore politico inventasse per ragioni
“politiche” o di ordine pubblico (malinteso) una <i>certezza
che non c'è</i>,
dovrebbe essere chiamato successivamente a rispondere in prima
persona di tutte le conseguenze derivanti da quella sua “invenzione”.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">C'è
anche un caso più sottile: ad es., quando si discute dell'influenza
di determinati fattori (legati all'inquinamento, come le immissioni
di determinate industrie o le onde elettromagnetiche, ecc.) sulla
diffusione di determinate patologie, spesso gli esperti dicono che
non ci sono ricerche che confermino che vi sia una connessione tra il
“fattore sospetto” (inquinamento, ecc.) e la patologia. Alcuni di
loro, partendo da questo inoppugnabile dato di fatto [che chiamerò
per comodità discorsiva “affermazione A”], si spingono però a
dire che <i>siccome
non c'è la prova della connessione</i>,
bisogna agire, allo stato delle cose, <i>come
se</i>
quella connessione <i>non
potesse effettivamente esserci né potesse mai essere provata
</i>[“affermazione
B”].</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Se
però c'è il fondato sospetto (di fronte a dati statistici
allarmanti, ad es.) che quella connessione (tra fattore di rischio e
patologia), pur non provata <i>al
momento</i>
scientificamente, ci sia, perché mai i cittadini dovrebbero
attenersi alla “affermazione B” dell'esperto che è basata su
un'inferenza del tutto discutibile e soggettiva dell'esperto medesimo
(a differenza dell'“affermazione A”, rigorosamente scientifica) e
non invece a considerazioni prudenziali come la seguente: “Bene,
non ho la prova scientifica della connessione, ma poiché è molto
probabile che prossime ricerche la accertino, io evito per quanto
possibile di espormi alla fonte del rischio e/o faccio di tutto
perché le ricerche vengano continuate e approfondite e il pericolo
venga pubblicamente messo in rilievo”?</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Nell'esempio
qui fatto, è l'esperto stesso che, probabilmente per non “creare
allarmismi”, confonde la risposta sul merito scientifico della
questione, che gli compete (“affermazione A”), e la <i>prescrizione</i>
di un <i>comportamento</i>
(“affermazione B”) che – pur presentato come l'unico corretto –
è di fatto discutibile (pur potendo essere in astratto ragionevole);
ed è discutibile proprio perché non è l'unica conseguenza
ragionevolmente ricavabile dalla certezza “minimale” presentata
dall'esperto nella sua “affermazione A”.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Se
infatti una certezza del nesso fra causa ed effetto (ad es.,
inquinamento in una data zona e aumento dei decessi per una
determinata patologia) <i>oggi
non c'è</i>
(come si ricava dall'“affermazione A”), ciò non esclude comunque
che, dati i gravi indizi già esistenti (alta mortalità nella zona a
causa della patologia X), <i>domani</i>
o in un futuro non lontano questa certezza (o una probabilità alta
che si approssimi maggiormente alla certezza), sulla base di nuovi
studi e migliori cognizioni scientifiche, ci sia.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">E
allora, se io, Tizio, ad es. ho figli ancora piccoli, potrò e/o
dovrò agire in base alla prescrizione derivante dall'“affermazione
B” dell'esperto, e quindi tenermi tranquillamente l'inquinamento
senza minimamente protestare in virtù del fatto che oggi, <i>sulla
base delle conoscenze finora acquisite</i>,
non posso riconoscerlo come causa certa del pericolo di patologie? O
non dovrò/potrò piuttosto, come genitore di bambini piccoli,
comportarmi secondo una prudenza maggiore di quella che la semplice
“dichiarazione degli esperti” mi suggerisce, anzi velatamente mi
<i>prescrive</i>?</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Devo
insomma stare passivamente ad aspettare che la patologia grave X
colpisca anche me o la mia famiglia, sol perché “oggi la scienza
non è certa” circa il nesso tra inquinamento del mio quartiere e
patologia X, oppure devo attivarmi affinché le ricerche vengano
approfondite, il quartiere sia bonificato, siano prese misure
precauzionali dalle autorità competenti, ecc.?</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">In
sostanza, forse dovremmo ragionare sul fatto che, in una qualsiasi
questione, la “parola dell'esperto”, per quanto autorevole, non
può essere <i>l'ultima
parola</i>.
La decisione finale può e deve spettare ad altri: a seconda delle
circostanze, alle autorità o, probabilmente nella maggior parte dei
casi, alle persone singole (o dev'essere affidata in certi casi alla
consultazione popolare).</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Una
volta che lo studioso/esperto ci ha descritto i dati del problema e
indicato alcuni suggerimenti operativi, il suo compito termina lì.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Se
l'esperto non sa fornirmi motivazioni scientifiche perché io agisca
o non agisca in un determinato modo, non si vede perché debba
prescrivermi un determinato comportamento piuttosto che un altro;
laddove, rispetto ad una particolare circostanza X, non v'è
certezza, perché la scienza<i>
sulla base delle conoscenze attuali e dei dati raccolti</i>
non può fornirla, la scelta circa il comportamento che le persone
singole o le collettività devono adottare (o è opportuno che
adottino) nella circostanza X dev'essere affidata interamente alle
persone o alle collettività in questione, che <i>hanno
il diritto di conoscere tutti i dati che possono metterle in
condizione di operare una scelta ponderata e ragionevole</i>.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Per
riprendere l'esempio del quartiere inquinato, io, Tizio, posso
scegliere di ignorare il pericolo e soprattutto i miei timori, e di
attenermi quindi alla <i>prescrizione
tranquillizzante</i>
dell'esperto (“affermazione B”); ma posso <i>ugualmente
e legittimamente</i>
non accontentarmi del semplice responso (“affermazione A”) che mi
dice: “al momento la scienza non ha le prove”, giacché questa
certezza, per il suo stesso contenuto “minimale”, nulla mi dice
circa i rischi che la mia salute (o quella dei miei familiari)
potrebbe effettivamente correre. “La scienza non sa”, certo, e
tuttavia, a fronte di dati comunque allarmanti (l'alta mortalità per
patologia X nel mio quartiere), magari l'inquinamento può essere
<i>davvero</i>
la causa della patologia X: chi può escluderlo? Il dubbio resta
ragionevolmente in piedi, e se c'è, posso/devo io ignorarlo? Non ho
forse la responsabilità di tutelare la mia salute e soprattutto
quella di chi mi è caro? E può questa responsabilità dirsi
<i>realmente</i>
soddisfatta se mi limito a ripetermi come un mantra: “al momento la
scienza non ha le prove”?</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">In
sintesi, quel che auspico è che, laddove se ne determini la
necessità (pericolo di calamità, situazioni gravi di inquinamento,
ecc.), sia data sempre e a tutti/e effettivamente la <i>possibilità
di conoscere i dati indispensabili che consentano a ognuno/a di
tutelarsi</i>
in maniera consapevole e oculata; e quindi, non soltanto gli esperti
e le autorità devono fornirci tutti i dati perché noi possiamo
valutare la questione, ma essi devono anche e soprattutto evitare di
<i>presentarci le
probabilità come certezze (o viceversa)</i>,
e di presentarci come <i>obbligate</i>
determinate scelte che invece obbligate non sono (essendo di fatto
opinabili).</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Forse,
per ciò che si è detto fin qui, è necessario che cambi il rapporto
fra la società e la scienza, diventando più maturo: noi non
dobbiamo più chiedere alla scienza ciò che questa non può darci
(il che presuppone però in tutti/e noi, o almeno nella gran parte di
noi, una maggiore “confidenza” con la conoscenza scientifica, i
suoi metodi, i suoi scopi, la sua mentalità) e d'altro canto gli
esperti/studiosi/scienziati devono, per così dire, giocare con noi a
carte scoperte: per dirla con una battuta, forse non è giusto
chieder loro di allarmarci a tutti i costi, ma neppure è giusto che
vengano chiamati (o si considerino chiamati) a “indorare la
pillola” che taluni decisori politici pretendono di farci mandar
giù “per il nostro (presunto) bene” (e, come si può ben capire,
quella “pillola” può rappresentare molte cose: ad es., la pace
sociale, la tranquillità pubblica, o peggio, determinati interessi
“intoccabili”).</span></div>
<br />ivaneuscarhttp://www.blogger.com/profile/13381655735594702472noreply@blogger.com16tag:blogger.com,1999:blog-215434595625178180.post-71780937607931767702012-07-20T19:43:00.001+02:002012-07-20T19:43:12.651+02:00Parole chiare (e semplici) sulla crisi. La lettera di un economista greco a un collega italiano<br />
<div style="line-height: 0.53cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Grazie
alla segnalazione di <u>Loredana Lipperini</u>, che l'ha pubblicata
integralmente nel suo <b><a href="http://loredanalipperini.blog.kataweb.it/">blog</a></b>, ho potuto leggere <b><a href="http://loredanalipperini.blog.kataweb.it/lipperatura/2012/07/20/mentre-leuropa-brucia/">una lettera</a></b> che
l'economista greco <u>Yanis Varoufakis</u> ha scritto al suo collega
italiano <u>Giulio Ecchia</u>, il quale l'ha letta nell'ambito
dell'iniziativa “Cuore di Grecia”, organizzata da “Teatri di
vita” [il testo integrale lo trovate <b><a href="http://www.teatridivita.it/cuoredigrecia/?p=532">anche sul loro sito</a></b>].</span></span></div>
<div style="line-height: 0.53cm;">
<br /></div>
<div style="line-height: 0.53cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Georgia, serif;">A mio
giudizio, è utile e importante che la leggiamo tutti/e, perché in
maniera semplice e a tratti “passionale” disegna un quadro –
non strettamente “tecnico”, e quindi non riservato a circoli
“esclusivi” di “addetti ai lavori” – della situazione in
cui noi, abitanti dell'Europa meridionale, in questo momento ci
troviamo.</span></span></div>
<div style="line-height: 0.53cm;">
<br /></div>
<div style="line-height: 0.53cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Non a
caso parlo di “quadro” anziché di “bilancio”. Si tratta
infatti di riflessioni che toccano l'aspetto sociale, il “vissuto”,
le condizioni di vita, le aspettative di chi vive in Paesi come la
Grecia o l'Italia, piuttosto che le nude questioni finanziarie,
monetarie, industriali, ecc. (in effetti, parlare di “nude”
questioni tecniche è spesso il modo migliore per tenere ben
distante, onde proteggerlo dal rischio di “interferenze
indiscrete”, il <i>sapere</i> dalle <i>cose</i> e dalle <i>vite</i>;
ma il sapere che non “annusa” e non tocca le vite alle quali
pretende di rivolgersi rischia sovente di restare sterile e
inapplicabile, come un teorema campato in aria).</span></span></div>
<div style="line-height: 0.53cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Georgia, serif;"></span></span></div>
<a name='more'></a><br />
<div style="line-height: 0.53cm;">
<br /></div>
<div style="line-height: 0.53cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Varoufakis
inizia la sua “lettera aperta” ricordando un'<i>altra Italia</i>
e <i>un'altra Grecia</i>, quelle dell'immediato dopoguerra. E cita in
proposito un film memorabile di Vittorio De Sica, <i>Ladri di
biciclette</i>, per poi osservare come le società greca e italiana
abbiano perso memoria di quel periodo “eroico” e difficile della
ricostruzione, dimenticando la miseria, le privazioni e le
difficoltà, per tuffarsi senza pensieri e senza remore nella
“società del benessere”, nella quale la televisione ha
sostituito via via la tradizione culturale di De Sica, Fellini,
Cacoyannis, ecc.</span></span></div>
<div style="line-height: 0.53cm;">
<br /></div>
<div style="line-height: 0.53cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Eppure
non molti anni separano l'era di <i>Ladri di biciclette</i> e l'era
della televisione. Il fatto è che si vive sempre la miseria <i>solo</i>
come un ricordo terribile da cancellare il prima possibile, e in
questo atto di totale oblio, di inappellabile condanna che la memoria
infligge a un'epoca detestata di sofferenza e privazioni, finisce per
cancellarsi presto, troppo presto, anche l'insegnamento che le
difficoltà ci hanno dato, ovvero quella <i>parte di verità</i> che
nel bisogno estremo siamo stati <i>costretti</i> a imparare – ad
esempio la necessità della solidarietà, della cooperazione; la
constatazione che “non ci si salva da soli”, ecc.</span></span></div>
<div style="line-height: 0.53cm;">
<br /></div>
<div style="line-height: 0.53cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Sembra
poi davvero che il “boom”, il “benessere conquistato”,
stravolgendoci per l'improvvisa ubriacatura, ci abbiano rapidamente
ammaestrato (e che bravi, bravissimi allievi, noi!) circa i vantaggi
dell'“egoismo proprietario” e dell'“individualismo
maniacal-rabbioso-intollerante” (talora in bilico fra una sorta di
misantropia di massa, il delirio corale di onnipotenza e la paranoia
collettiva), che nel caso italiano si è sposato a meraviglia con la
tradizionale tendenza alla cura del proprio personale “particulare”,
già magnificata dal Guicciardini.</span></span></div>
<div style="line-height: 0.53cm;">
<br /></div>
<div style="line-height: 0.53cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Dunque
fa bene, fa benissimo Varoufakis a ricordarci da dove veniamo, perché
uno dei nostri problemi (degli italiani e, a quanto egli scrive,
anche dei greci, nostri “parenti” mediterranei) è proprio la
memoria “disinvolta” (che si fa corta a piacere e a comando, e
quando – in rari casi – si spinge più in là risulta
puntigliosamente/faziosamente selettiva...).</span></span></div>
<div style="line-height: 0.53cm;">
<br /></div>
<div style="line-height: 0.53cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Osserva
tra l'altro l'economista: <br />
</span></span><br />
<blockquote style="background-color: #666666; color: #cfe2f3;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">«Durante questi anni di “crescita” e
consumismo, molti di noi speravano che le nostre società trovassero
in se stesse la capacità di ritrovare l’equilibrio perduto; di
conciliare lo stomaco pieno con la preferenza per un cinema dignitoso
al posto del volgare stile di vita proposto dagli show televisivi».</span></blockquote>
</div>
<div style="line-height: 0.53cm;">
<br /></div>
<div style="line-height: 0.53cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Io mi
confesso meno ottimista di lui, quanto a questo, tenuto conto,
almeno, di quanto ho osservato negli ultimi quindici o vent'anni. Ma
può darsi che la possibilità di ritrovare questo “equilibrio
perduto” ci sia; non ho motivi particolari per negarlo.</span></span></div>
<div style="line-height: 0.53cm;">
<br /></div>
<div style="line-height: 0.53cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Georgia, serif;">In
ogni caso, fa notare l'economista, proprio quando il “benessere”
sembrava ormai un traguardo acquisito e intangibile, la Crisi è
arrivata e in Paesi come la Grecia si è tornati alla situazione del
dopoguerra. Ma sembra – osserva tristemente – che non riusciamo
mai davvero a imparare dagli errori del passato (anche qui, è
questione di “smemoratezza” costitutiva...). Come poterono gli
statunitensi – si chiede –, all'epoca del Presidente Hoover,
pensare di affrontare le conseguenze della crisi del 1929 attraverso
il sistema «di ridurre rapidamente la spesa pubblica e di tagliare i
salari»? E come possiamo <i>di nuovo</i> pensarlo <i>noi</i>, che
<i>stiamo facendo lo stesso sbaglio</i>?</span></span></div>
<div style="line-height: 0.53cm;">
<br /></div>
<div style="line-height: 0.53cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Georgia, serif;">E come
i generali statunitensi impegnati nella guerra del Vietnam,
consapevoli dell'inutilità di quella guerra e dell'impossibilità di
portarla avanti ma tuttavia incapaci di ammetterlo fino in fondo e
apertamente, così oggi – dice Varoufakis – i governanti e i
“tecnici” dei Paesi europei, pur intuendo ciò che dovrebbero
fare, esitano a farlo.</span></span></div>
<div style="line-height: 0.53cm;">
<br /></div>
<div style="line-height: 0.53cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Difficile
trovare parole più chiare di queste per dirlo:</span></span></div>
<div style="line-height: 0.53cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Georgia, serif;">
</span></span><br />
<blockquote style="background-color: #666666; color: #cfe2f3;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">«Non
è che i membri delle nostre élite non riescano a vedere che
l’Europa è come un treno che sta deragliando al rallentatore, con
la Grecia che è la prima carrozza a lasciare i binari, seguita da
Irlanda e Portogallo, che a loro volta porteranno al deragliamento
delle successive carrozze più grandi: Spagna, Italia, Francia e,
infine, la stessa Germania. No, credo che, con l’occhio della loro
mente, possano vederlo, almeno così come i generali americani
potevano immaginare l’epilogo a Saigon, con gli elicotteri che
caricavano gli ultimi americani dal tetto dell’ambasciata degli
Stati Uniti. Ma, proprio come i generali americani, pensano sia
impossibile coordinare i loro punti di vista in una risposta politica
sensata. Nessuno di loro osa dirlo, quando entrano nelle sale in cui
vengono prese le decisioni importanti, perché temono di essere
accusati di essere dei deboli o confusi. Così, rimangono in silenzio
mentre l’Europa sta bruciando, sperando contro ogni speranza che il
fuoco si spegnerà da solo, pur sapendo, nel profondo del loro cuore,
che tutto questo non succederà.»</span>
</blockquote>
</div>
<div style="line-height: 0.53cm;">
<br /></div>
<div style="line-height: 0.53cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Non
vogliono forse abbandonare la strada già imboccata, non vogliono
abbandonare le loro abitudini di pensiero, le teorie alle quali sono
affezionati, anche se tutto sembra ormai dimostrare che quelle teorie
hanno in sé parecchi “bachi” (per usare un termine informatico)
che rendono il sistema sommamente instabile e ingestibile. Io userei
perfino una metafora ancora più semplice: come nella nota fiaba,
l'Imperatore è nudo, stranudo, ma nessuno, neppure davanti a una sì
lampante evidenza, osa ammetterlo – anche perché davanti a un
evento così clamoroso, che smentisce il senso del “mondo” da
loro conosciuto, i “dignitari di corte” della fiaba (che,
attualizzando la metafora, sono i nostri “esperti” e “decisori
politici”) preferiscono negare ciò che vedono e perciò ostinarsi
a dare un senso a ciò che non ne ha più, piuttosto che dover
accettare un “senso” nuovo e inedito che li spiazza e li mette
fuori gioco. Il che vuol dire che si tratta sì, certo, <i>anche</i>
di una questione di potere, ma <i>non soltanto</i>. (Anche perché
ostinarsi a mantenere una posizione del genere in simili condizioni
non è necessariamente una decisione “furba”, giacché può
ritorcersi contro gli “ostinati” e delegittimarne il potere).</span></span></div>
<div style="line-height: 0.53cm;">
<br /></div>
<div style="line-height: 0.53cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Georgia, serif;">In
alcuni passaggi la lettera dell'economista greco è un appello e
insieme un allarme, che faremmo bene ad ascoltare:</span></span></div>
<div style="line-height: 0.53cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Georgia, serif;">
</span></span><br />
<blockquote style="background-color: #666666; color: #cfe2f3;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">«Mentre
tergiversano, giocherellando mentre Atene, Roma, Madrid, Lisbona,
Dublino bruciano, le nostre società stanno affondando in una palude
nella quale la speranza svanisce, le prospettive sono annientate, la
vita è sminuita e in cui i soli vincitori sono i misantropi, i
‘nemici’, i cacciatori di capri espiatori in forma dell’alieno,
dell’Ebreo, del diverso, dell’altro. E quando le luci si spengono
– letteralmente – nel mio paese, con le famiglie che ’scelgono’
di farsi tagliare la fornitura di energia elettrica per poter mettere
del cibo in tavola, i teppisti ‘pattugliano’ le strade in cerca
del ‘nemico’.»</span>
</blockquote>
</div>
<div style="line-height: 0.53cm;">
<br /></div>
<div style="line-height: 0.53cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Georgia, serif;">E'
noto infatti – la storia sembra confermarcelo di continuo – che
nei periodi di crisi, quando ogni prospettiva sembra compromessa e il
futuro sembra senza speranze, può aumentare l'influenza (e il
consenso elettorale) dei gruppi politici di ispirazione razzista,
xenofoba, ecc., che in maniera “spiccia”, e senza troppi
ragionamenti, trovano un qualche “nemico della società” o “della
nazione” al quale addossare tutte le colpe; è quello che potremmo
definire l'“effetto untore” (o “caccia alle streghe”, se si
preferisce): la paura indistinta delle persone, dei cittadini,
assediati e spaventati dalla crisi, viene convogliata verso un “capro
espiatorio”, additato a sproposito come il “turpe colpevole di
tutto”. E questo crea una potenziale massa di seguaci che si
serrano compatti e pronti a compiere linciaggi e “pogrom” –
come se già nei secoli e perfino in anni recenti non ne avessimo
visti e sofferti già troppi... (Oh, memoria corta, ancora una volta
tu!).</span></span></div>
<div style="line-height: 0.53cm;">
<br /></div>
<div style="line-height: 0.53cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Georgia, serif;">Trovo
poi veramente degne di nota queste parole:</span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">
</span><br />
<blockquote style="background-color: #666666; color: #cfe2f3;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">«Vedo
che una geografia strana e bizzarra è al lavoro oggi in Europa:
l’Irlanda si preoccupa di sostenere che non è la Grecia, il
Portogallo strepita di non essere l’Irlanda, la Spagna grida che
non è il Portogallo e, naturalmente, l’Italia vuole credere di non
essere la Spagna. Dobbiamo, a mio avviso, mettere da parte questa
negazione idiota del nostro malessere comune. Certo, l’Italia non è
la Grecia, ma, nondimeno, la situazione in cui l’Italia si sta
sempre più trovando, mentre scrivo queste parole, non può essere
utilmente separata dalla situazione del mio paese. La nostra malattia
può aver provocato una febbre superiore di quella che avete voi, ma,
credetemi, il virus è lo stesso. La vostra febbre salirà domani al
punto in cui si trova la nostra oggi.»
</span></blockquote>
<span style="font-family: Georgia, serif;">
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">A
che vale trattarci da appestati l'un l'altro? A chi giova questo
balletto (“no no, non guardate me... guardate lui... lui sì che
sta messo male”)? E' grottesco e non ci tira certamente fuori dai
guai, ma anzi ci impedisce di cercare strategie comuni, le sole che
forse potrebbero aiutarci.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Inoltre,
Varoufakis ci dice a chiare lettere che non stiamo assistendo (almeno
in Grecia) a una <i>recessione</i>,
ma a qualcosa di più preoccupante: si tratta infatti di una
<i>depressione</i> economica:</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">
</span><br />
<blockquote style="background-color: #666666; color: #cfe2f3;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">«[...] ciò
che sta succedendo in Grecia non è recessione! Qui, tutti stanno
collassando. Gli efficienti e gli inefficienti. I produttivi e gli
improduttivi. Le imprese potenzialmente redditizie e quelle in
perdita. So di fabbriche che esportano tutto quello che producono per
soddisfare i clienti, che hanno libri di ordini al completo, una
lunga storia di redditività; e, tuttavia, sono sull’orlo del
fallimento. Perché? Perché i loro fornitori esteri non accettano le
loro garanzie bancarie per fornire loro le materie prime necessarie,
visto che nessuno si fida più delle banche greche. Con i circuiti
del credito totalmente distrutti, questa Crisi sta affondando tutte
le navi, distruggendo ogni imbarcazione, assicurando che l’intera
società anneghi. E più tagliamo i salari, più aumentiamo le tasse,
più riduciamo benefici ai disoccupati, più profondo è il buco nel
quale ognuno sprofonda. Se qualcuno vuole spiegare il concetto di
circolo vizioso, oggi la Grecia è un caso di studio perfetto.»</span></blockquote>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Ecco,
e allora dove finiremo noi se ci ostiniamo nel “rigore” e
nell'<i>austerità</i>? La
domanda nasce spontanea... D'altra parte Varoufakis non si nasconde e
non nasconde le responsabilità degli economisti – e, mi permetto
di aggiungere, si potrebbe estendere il discorso agli “esperti” e
ai “tecnici” in generale, giacché forse non sono solo gli
economisti propriamente detti i responsabili delle decisioni
tecnico-politiche degli ultimi decenni... </span>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Scrive
infatti l'economista greco, rivolgendosi idealmente al
collega-interlocutore italiano:</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">
</span><br />
<blockquote style="background-color: #666666; color: #cfe2f3;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">«Pensaci
bene: dietro ogni obbligazione CDO tossica, dietro ogni ingegneria
finanziaria letale, là si nascondeva qualche immacolato
rappresentante della nostra categoria. Dietro ogni politica economica
responsabile di una crescita con lo schema-Ponzi (che è una presa in
giro) prima della Crisi del 2008, si possono trovare alcuni
celebrati, alcuni rispettati economisti che hanno fornito la
copertura ‘ideologica’ per la politica da adottare. Dietro ogni
misura di austerità oggi, che soffoca le nostre società, ancora una
volta sta un nostro collega accademico, i cui modelli e le cui teorie
forniscono i poteri necessari con l’audacia che serve per
infliggere tali politiche ai nostri popoli. In breve, io e te siamo
colpevoli per quello che i nostri compagni greci e italiani stanno
soffrendo. Anche se non abbiamo condiviso questi particolari modelli
economici, non abbiamo fatto abbastanza per mettere il mondo in
allerta per la loro tossicità. Siamo, insomma, colpevoli.»</span></blockquote>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">E
ancora:</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">
</span><br />
<blockquote style="background-color: #666666; color: #cfe2f3;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">«[...]
noi
abbiamo chiesto ai nostri studenti di avere fiducia nella capacità
delle istituzioni finanziarie di valutare correttamente il rischio,
noi ci siamo seduti a guardare i nostri studenti leggere libri di
testo che insegnavano loro la grande menzogna che i mercati si
autoregolano e che il meglio che lo stato possa fare è star fuori
dal mercato, lasciando che questo compia il suo miracolo. Sì, mio
caro collega, la nostra testa dovrebbe essere appesa per la vergogna.
Anche se individualmente ci siamo opposti alla tradizionale
’saggezza’ del nostro mercato.»</span></blockquote>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">In
definitiva, la lettera di Varoufakis ci esorta a osservare la crisi
da un punto di vista differente da quello generalmente privilegiato
dal discorso politico predominante e dai <i>mass-media</i>
considerati “più autorevoli”. Differente per almeno due motivi
(a parte la macroscopica ed evidente differenza nell'interpretazione
che dà della crisi): innanzitutto, come già accennavo, non si
sofferma né si compiace a tratteggiare aspetti “tecnici” e
“algidi” che servono di solito a intimorire il “pubblico
profano” e a zittirlo davanti a “cotanto sapere”, ma lega
costantemente le scelte economiche ai loro <i>effetti sociali</i>
e <i>culturali</i> (e anche
alla loro <i>radice ideologica</i>,
mi spingo a dire), e anzi da tali effetti parte per giudicare le
politiche economiche (piuttosto che dall'astratto “benessere dei
mercati” o “dei consumatori”, i quali chissà perché, in
questi ragionamenti “da tecnici”, devono sempre dimenticare di
essere anche produttori...); inoltre, è differente sotto il profilo
dell'assunzione di responsabilità. Non dice che la crisi è nata
perché qualcuno – qualche anonima entità – da qualche parte ha
schiacciato il tasto sbagliato sulla tastiera di un pc; no: parla di
scelte consapevoli, e consapevolmente deleterie, suggerite e favorite
da chi, pur avendo il compito e le capacità di analizzare i problemi
e mettere in guardia i “decisori” politici, non l'ha fatto.
Consapevolmente non l'ha fatto, dice Varoufakis.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Per
questo ed altri motivi, dei quali ho succintamente parlato, la
lettera dell'economista greco è un documento utile per riflettere,
per confrontarsi, e per ritrovare le “ragioni” sociali delle
scelte economiche, che nossignori, non sono solo “tecniche” e
“roba da tecnici”, ma ci riguardano tutti/e.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><b><u>Testo citato:</u></b></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><b><u><br /></u></b></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">- <u>Y. Varoufakis,<i> Lettera a Giulio Ecchia ("Da economista a economista")</i>, testo reperibile ai seguenti indirizzi Web (URL):</u> </span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><u>1- </u></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><u>http://loredanalipperini.blog.kataweb.it/lipperatura/2012/07/20/mentre-leuropa-brucia/</u></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><u>2 -</u></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><u>http://www.teatridivita.it/cuoredigrecia/?p=532</u></span></div>
<br />ivaneuscarhttp://www.blogger.com/profile/13381655735594702472noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-215434595625178180.post-18644834080304327272012-07-17T16:58:00.000+02:002012-07-18T11:24:46.660+02:00Dello scambiare ipotesi per certezze “assolute”, ovvero: Dialogo fra un Dogmatico e un Prudente<br />
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Quando si
verifica un fatto di cronaca piuttosto eclatante o addirittura
scioccante, il primo effetto che suscita è – dopo l'iniziale
istante di sorpresa o di sconcerto – la produzione di opinioni. E'
anche comprensibile; ciascuno di noi ha bisogno di dare <i>forma</i>
al fatto “eclatante”, ossia di provare a comprenderlo; ma non si
può comprendere un fatto, del quale si sa poco (se non alcune scarne
coordinate, come: il luogo e l'ora in cui è avvenuto), se prima non
si cerca di <i>raffigurarselo</i>,
e soprattutto di raffigurarne le cause e le motivazioni. </span>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Il
problema è che questa ricerca della spiegazione, in assenza di dati
“tangibili”, finisce troppe volte per mescolare in maniera
arbitraria e confusa i dati certi con le ipotesi e le interpretazioni
personali (influenzate inevitabilmente dalla “visione del mondo”,
o del comportamento umano, che ciascuno ha). </span>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Si
slitta così – spesso inavvertitamente – dal <i>bisogno di
certezze</i> alla <i>convinzione
granitica</i> (benché basata solo
su vaghe congetture e supposizioni), sicché il <i>bisogno</i>
di avere una (qualche) certezza si trasforma esso stesso in <i>raggiunta
certezza</i>, senza passare
attraverso alcuna plausibile verifica. </span>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"></span></div>
<a name='more'></a><br />
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Nei
casi estremi (ma non infrequenti...) una personale <i>fantasia</i>
– paragonabile a una sorta di dettagliata sceneggiatura
cinematografica – riguardo a un determinato fatto di cronaca prende
<i>interamente</i> il posto
della realtà, e chi elabora quella “fantasia” (a quella
affezionandosi) non soltanto trascura ogni elementare cautela e
prudenza nella ricostruzione di un fatto del quale oggettivamente si
sa poco, ma addirittura nega categoricamente la validità di
qualsiasi ipotesi difforme e di qualsiasi dato che contraddica – in
tutto o in parte – la “fantasia” stessa. Davanti a una
“fantasia” così (tenacemente) amata, per il soggetto che la
elabora, insomma, non c'è evidenza che tenga.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Ultimamente
abbiamo assistito al trionfare di ipotesi che vedevano forzatamente
“retroscena politici” anche laddove non c'erano elementi
sufficienti a indicarne la probabilità. Si vedono ovunque all'opera
“oscure trame”, anche per la voglia diffusa di offrire
spiegazioni “romanzesche” (delle quali, come già scrivevo
altrove, la principale – da lungo tempo sulla cresta dell'onda –
è la <b><a href="http://almancoprov.blogspot.com/2012/02/complottismo-che-triste-destino.html">“teoria del complotto”</a></b>, in una delle sue infinite varianti)
a pasticci e fattacci (e persino a disgrazie tipicamente non
dipendenti dagli esseri umani, come i terremoti!) che per la loro
gravità fanno riflettere, indignare (e fantasticare a più non
posso) cittadini e lettori di giornali.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Talora,
come avviene in varie vicende umane, non è facile trovare una
spiegazione per alcuni di questi “fattacci” (ad esempio per
alcuni delitti eclatanti – che restano quindi “misteriosi”
quanto a movente, mandanti ed esecutori) e, quando la si trova,
càpita a volte che sia talmente incredibile da non coincidere (e non coincide quasi
mai, in effetti...) con quella che la logica o le congetture di Tizio e di Caio
(tutti pieni dei loro “Lo so io! Ve lo spiego io!”) avevano
“predetto”.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Ad
esempio, un noto recente fatto di cronaca è stato classificato
freneticamente, nel giro di pochi giorni, come “terrorismo”, poi
come “opera della mafia”, e ancora come “trama
destabilizzante”, come “opera della criminalità comune”, o di
“un pazzo seriale”, o di un “asociale”, per poi ricominciare
da capo... </span>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Il
problema non sta – ovviamente – nel formulare ipotesi; sta invece
nel proclamare – anche laddove prove non ci sono né s'intravedono
– che la <i>tale</i> ipotesi (la nostra, guarda caso!) è l'<i>unica
giusta</i> e dunque l'<i>unica e definitiva verità</i> sulla vicenda
in questione. E' questo atteggiamento dogmatico o “fondamentalista”
(che in tali casi fa per giunta riferimento a congetture personali e
non a “fedi” plurisecolari...), e talora addirittura aggressivo
(“Ma come? Non mi credi? Come osi? Io <i>so</i> di aver ragione, e
basta!”) che non (mi) convince.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Facendo
queste riflessioni, ho immaginato un dialogo fra due personaggi, che
cerca di illustrare la mentalità del <i>dogmatico</i> di cui parlavo
ora, intento a misurarsi con le obiezioni di un <i>prudente</i>. La
loro conversazione verte su un fatto di cronaca <i>X </i>sul quale
non vi sono certezze: o meglio, non vi sono certezze per nessuno
<i>tranne che</i> per il <i>dogmatico</i>, che ha già la sua brava
teoria “certissima” in proposito (ne ha sempre una su qualsiasi
avvenimento del quale i giornali e i <i>media </i>parlino).</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="CENTER" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><u>Dialogo
fra un Dogmatico [DM] e un Prudente [PR]</u></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><b>DM</b>
– «E' andata così, non c'è alcun dubbio.»</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><b>PR</b>
– «Come fai a dirlo? Mi è impossibile avere la tua stessa
certezza...»</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><b>DM</b>
– «E' perché ti fai abbindolare dai <i>media</i>.»</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><b>PR</b>
– «Anche alcuni <i>media</i>
hanno fatto le loro brave ipotesi, ma francamente non ho trovato
nemmeno in quelle elementi sufficienti per ritenerle attendibili. O
meglio, posso benissimo ritenerle <i>ipotesi</i>,
ma nulla di più. Non sono assolutamente <i>certezze</i>,
visto che si basano tutte, compresa la tua, solo su congetture e
supposizioni.»</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><b>DM</b>
– «Non puoi metterle sullo stesso piano. Le loro ipotesi sono
inverosimili, la mia invece regge: quindi è più che un'ipotesi...
anzi sono certissimo che la verità sia quella che dico io.»</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><b>PR</b>
– «Ma io non escludo <i>a
priori</i>
che tu possa aver visto giusto; se mi dài qualche elemento concreto,
sarò il primo a darti ragione.»</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><b>DM</b>
– «Prove inoppugnabili non ne ho, se è questo che intendi... Del
resto chi ce le ha? Le prove quelli lì le fanno sparire. Sono
bravissimi in questo. Però posso dirti una cosa: la spiegazione che
do io è l'unica ad essere <i>completamente
logica</i>,
dall'inizio alla fine; quelle degli altri non si reggono in piedi,
mancano parecchi dettagli. Io invece ho messo tutti i tasselli al
posto giusto, quindi l'ipotesi che faccio è valida. Tutto combacia,
tutto quadra...»</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><b>PR</b>
– «Quindi è come se tu sapessi già chi ha agito, chi ha commesso
il fatto e perché... Eppure gli investigatori non hanno le tue
stesse certezze, nonostante abbiano sottomano tutte le prove e tutti
i dati che tu non puoi avere.»</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><b>DM</b>
– «E chi ti dice che invece <i>loro</i>
non sappiano già tutto? Se non agiscono, se non arrestano il
colpevole è perché vogliono coprire <i>qualcuno</i>...
qualcuno che sta molto in alto, te lo dico io!»</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><b>PR</b>
– «Come fai a saperlo?»</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><b>DM</b>
– «In questa faccenda c'è qualcosa che non quadra...»</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><b>PR</b>
– «Ti faccio notare che poco fa dicevi il contrario...»</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><b>DM
</b>–
«Che c'entra? E' la mia ipotesi che quadra... proprio perché
sostiene che la cosa <i>non
quadra</i>.
Non la raccontano giusta. Ci sono implicazioni molto in alto, ecco
perché fanno tanto mistero... vogliono coprire i <i>veri</i>
colpevoli, pezzi grossi, grossissimi...»</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><b>PR
–</b>
«Insomma tu, standotene comodamente a casa tua, ne sai più di tutti
gli investigatori messi insieme... anche se non sei stato sul luogo
del fatto e non hai raccolto quindi nessuna prova sul campo –
nessuna prova <i>concreta</i>,
intendo, che non si limiti al “sentito dire” o alla
fantasticheria.»</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><b>DM</b>
<b>–</b>
«Ma ti ripeto che la mia ricostruzione regge, è logica, fila
dall'inizio alla fine senza contraddizioni.»</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><b>PR
–</b>
«D'accordo, ma le tue sono solo <i>ipotesi</i>!
Ipotesi, non certezze... Non ti ho mica negato il diritto di
formulare ipotesi. Quello che ti contesto è che scambi le pure
<i>ipotesi</i>
per <i>certezze
assolute</i>
– anzi per le <i>uniche
certezze possibili</i>
– e così facendo trasformi un semplice parto della tua fantasia
nella realtà, senza passare attraverso il vaglio di una verifica
seria e convincente. Pensi che ti basti la tua immaginazione per
comprendere la realtà anche di fatti ai quali non hai personalmente
assistito, e di cui ti sei fatto una semplice vaga idea solo leggendo
giornali e ascoltando notiziari, gli stessi che abbiamo letto o
ascoltato io e tanti altri...»</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><b>DM</b>
<b>–</b>
«Ma io sento che è come dico io; ho la <i>sensazione</i>
che le cose siano andate in quel modo, e le mie sensazioni non
sbagliano mai. Insomma, sono certo di aver ragione, e non solo perché
– come ti ho detto – la mia ricostruzione è <i>la
più logica</i>,
ma anche perché a intùito, a pelle, sento che è così. Ti basta?»</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><b>PR</b>
<b>–</b>
«No, non mi basta affatto: mi spiace dirtelo.»</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><b>DM</b>
<b>–</b>
«E' perché sei prevenuto: sei uno scettico e un incredulo, certe
cose non potrai mai riuscire a capirle.»</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><b>PR</b>
<b>–</b>
«Sono uno scettico solo perché vorrei prove più consistenti delle
tue <i>intuizioni</i>
e <i>ricostruzioni
logiche</i>?
Ti faccio notare che da un lato sostieni che la tua convinzione è
l'<i>unica giusta</i>
soltanto perché è <i>la
più logica</i>,
e dall'altro, per chiudere ogni discussione, fai appello alle tue
<i>sensazioni</i>:
il che non è molto coerente, a mio giudizio. Che legame c'è fra la
<i>logica</i>
e le <i>sensazioni</i>
“a pelle”? Come puoi conciliare la tua convinzione secondo la
quale la tua ricostruzione dei fatti è la <i>migliore</i>
in quanto <i>la più
logica</i>
– e quindi l'idea che la <i>logica</i>
spieghi la realtà meglio di qualsiasi altra cosa – con il <i>primato
delle sensazioni</i>,
che invochi quando dici di “aver ragione perché lo senti <i>a
pelle</i>”?»</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><b>DM</b>
– «Dico soltanto che una cosa rafforza l'altra. Se tanto la logica
quanto le sensazioni <i>concordano</i>,
vuol dire che la mia convinzione è vera, anzi è l'<i>unica
vera</i>.»</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><b>PR
</b>–
«Un altro bel teorema, che è tutto da dimostrare... Ammetto che le
sensazioni sono importanti: molte volte proprio a partire da una
semplice intuizione sono nate grandi scoperte scientifiche; però,
appunto, la sensazione <i>in
sé</i>
non <i>dimostra
nulla</i>;
diventa significativa soltanto se poi, alla luce di verifiche
empiriche, si rivela fondata. Infatti, così come ci sono state
intuizioni e sensazioni “illuminanti” che hanno portato a grandi
scoperte, nella storia del sapere umano ci sono state anche
intuizioni e sensazioni <i>sbagliate</i>,
ingannevoli o fuorvianti. Anche Aristotele, in base alle sue
“sensazioni” e intuizioni, che si sono poi rivelate in buona
misura errate, ha costruito una sua teoria del mondo fisico e del
cosmo; e per millenni si è dato credito alla teoria dei “quattro
elementi” fondamentali, sempre sulla base di intuizioni e
sensazioni sbagliate. Anche i sostenitori del sistema tolemaico, in
base alle loro “sensazioni”, potevano ritenere di aver ragione. E
poi è arrivato Copernico a smentire la fondatezza di quelle
“sensazioni”. Il fatto è che il più delle volte le nostre
“sensazioni” sono influenzate dalle nostre abitudini, dalle
nostre convinzioni sedimentate (non sempre giuste), dalle nostre
preferenze e persino dai nostri desideri, dalle nostre aspettative e
dalle nostre antipatie e simpatie... quindi sono tutt'altro che
infallibili.»</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><b>DM</b>
– «Ma ti ho detto che io non mi baso solo sulle mie sensazioni, ma
anche sulla logica... e la logica <i>non
sbaglia mai</i>:
questo lo ammetterai, almeno, no?»</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><b>PR
</b>–
«Tu la fai troppo semplice: permettimi di dirtelo...»</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><b>DM</b>
– «E tu, oltre che uno scettico, sei un pignolo incontentabile!»</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><b>PR</b>
– «Non si tratta di pignoleria; stiamo cercando di accertare la
fondatezza e la attendibilità di una teoria, che per inciso è la
tua. E comprenderai che una tesi non è fondata o attendibile <i>solo
perché </i>tu
– o chiunque altro – la <i>crede</i>
tale.»</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><b>DM</b>
– «Ci mancherebbe! Infatti io parlavo di elementi <i>oggettivi</i>,
evidenti.»</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><b>PR</b>
– «Oggettivi? Sorvolo su questa tua asserzione... Ti faccio invece
notare che tu adoperi la logica come <i>verifica
empirica</i>
delle tue sensazioni e <i>contemporaneamente</i>
adoperi le tue sensazioni come <i>verifica
empirica</i>
del ragionamento logico. Crei insomma una specie di “corto
circuito” argomentativo, in cui ogni elemento rinvia continuamente
all'altro, sicché finisci per far passare le tue affermazioni per
<i>prove a sostegno
di sé stesse</i>!
Dài per “intrinsecamente dimostrato” proprio ciò che dovresti
dimostrare, come se le tue affermazioni fossero “autoevidenti”. E
invece, se andiamo a guardare in dettaglio gli elementi da cui sono
composte, troviamo soltanto congetture, deduzioni basate su
congetture e “sensazioni”. Nient'altro. Niente che ci dia la
minima ragionevole <i>certezza</i>.
Intendiamoci – e del resto te l'ho già detto: le tue congetture,
deduzioni e “sensazioni” potrebbero anche essere “nel giusto”,
ma in mancanza di <i>riscontri</i>
obiettivi, restano soltanto quello che sono, ovvero congetture,
deduzioni basate su congetture e sensazioni “a pelle”. Non
certezze.»</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><b>DM</b>
– «Bah... sarà... ma non hai potuto obiettare nulla sulla logica.
Ripeto, è quella la prova più importante che dimostra come la mia
tesi sia valida.»</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><b>PR</b>
– «Mi accingevo a trattare anche questo punto, non preoccuparti.
Sappi che la logica di solito è <i>sopravvalutata</i>
da chi non la conosce realmente. Tu credi davvero che gli avvenimenti
del mondo e i comportamenti umani si spieghino semplicemente
attraverso la logica? Se credi questo, ti sbagli fondamentalmente per
tre motivi: <i>a)</i>
innanzitutto, la logica, lungi dall'essere “perfetta”, ha limiti, e reca in sé insidie e </span><span style="font-family: Georgia, serif;">“trappole”,</span><span style="font-family: Georgia, serif;"> che chi l'ha seriamente studiata ben
conosce (e quindi chi adopera le argomentazioni logiche in maniera poco accorta o </span><span style="font-family: Georgia, serif;">“dilettantesca” rischia di aggrovigliarsi, senza neppure rendersene conto, in una qualche <b><i><a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Classificazione_delle_fallacie">fallacia</a></i></b>, cioè appunto in una delle </span><span style="font-family: Georgia, serif;">“trappole” della logica e del ragionamento in genere</span><span style="font-family: Georgia, serif;">)</span><span style="font-family: Georgia, serif;">; </span><i style="font-family: Georgia, serif;">b)</i><span style="font-family: Georgia, serif;">
in secondo luogo, non tutti i comportamenti umani hanno una
motivazione strettamente logica; </span><i style="font-family: Georgia, serif;">c)</i><span style="font-family: Georgia, serif;">
in terzo luogo (in parte anche in conseguenza delle due
considerazioni precedenti), forse è difficile che una scienza come la logica, che
non riesce a dar conto del proprio fondamento e non sempre sa rimediare alle proprie “falle”, possa fungere da </span><i style="font-family: Georgia, serif;">spiegazione
universale</i><span style="font-family: Georgia, serif;">
del comportamento umano e degli eventi del mondo. In conclusione, non
è affatto detto che un'ipotesi di spiegazione riguardante un
accadimento umano sia più </span><i style="font-family: Georgia, serif;">vera</i><span style="font-family: Georgia, serif;">
di un'altra solo perché “a tavolino” sembra essere la più
</span><i style="font-family: Georgia, serif;">logica</i><span style="font-family: Georgia, serif;">.»</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><b>DM
</b>–
«Allora secondo te la logica non conta nulla? Tutto ciò che succede
nel mondo è governato dal “caso”?»</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><b>PR</b>
– «Non ho detto che la logica “non conta nulla”. E poi, stai
mescolando cose diverse. Il “caso” non è il perfetto contrario
della “logica”. Se a volte ci sembra che gli avvenimenti del
mondo siano governati dal “caso”, è perché le cause di quegli
avvenimenti, o le variabili che contribuiscono a determinarli, sono
talmente tante e s'intrecciano in maniera talmente complessa e
imprevedibile, che non riusciamo a districare la matassa e a fare
chiarezza; ma questo non vuol dire che quegli avvenimenti non abbiano
precise cause. Non siamo però in grado di individuarle e di
enumerarle – se non in via puramente ipotetica e con molta
vaghezza.»</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><b>DM</b>
– «Ah, quindi mi stai dando ragione: la logica conta, nella
spiegazione degli avvenimenti!»</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><b>PR</b>
– «Vacci piano! Ancora una volta mi pare che tu stia facendo
confusione... Secondo me, dobbiamo liberarci da un equivoco: mi
sembra che tu abbia la tendenza a dare rilievo a un'idea di “logica”
astratta o idealizzata, o per meglio dire “disincarnata”, e con
quella pretendi di comprendere gli avvenimenti; invece trascuri
l'importanza della “logica spicciola” (che potremmo meglio
definire come logica </span><span style="font-family: Georgia, serif;">“</span><span style="font-family: Georgia, serif;">settoriale</span><span style="font-family: Georgia, serif;">”,</span><span style="font-family: Georgia, serif;"> </span><span style="font-family: Georgia, serif;">“</span><span style="font-family: Georgia, serif;">particolaristica</span><span style="font-family: Georgia, serif;">”</span><span style="font-family: Georgia, serif;"> e </span><span style="font-family: Georgia, serif;">“</span><span style="font-family: Georgia, serif;">contingente”), che
ritengo abbia molto più peso, nel campo delle scelte e delle
decisioni umane. Per “logica spicciola” io intendo la nozione che
ciascuno di noi si è fatto, nell'esperienza quotidiana, del
</span><i style="font-family: Georgia, serif;">meccanismo</i><span style="font-family: Georgia, serif;">
(non necessariamente “logico” nel senso rigoroso del termine) che
governa questa o quella situazione nella quale ci siamo trovati.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Ad
esempio, lavoriamo in un'azienda o in un ufficio <i>Z</i>,
e col tempo abbiamo imparato a districarci fra le mille situazioni e
i mille ostacoli che abbiamo trovato nell'attività giornaliera,
acquisendo una “sapienza pratica” che contiene in un certo senso
la “logica del sistema” in cui siamo inseriti; sappiamo cioè che
se vogliamo ottenere un effetto <i>X</i>
(ad esempio una certa concessione dal nostro “capo”), dobbiamo
muoverci nel modo <i>Y</i>,
dicendo determinate cose e non altre, cogliendo il momento giusto,
eccetera. Si tratta però di una “logica” molto particolare, che
conosce solo chi l'ha appresa “dal vivo” operando dentro quel
particolare sistema (nell'esempio, l'azienda <i>Z</i>)
e che, valutata in termini di “logica rigorosa”, può perfino
risultare in realtà “illogica”. Per farti un esempio: secondo te
gli sprechi, o le spese spropositate, in un'organizzazione economica
<i>teoricamente</i>
votata all'efficienza hanno senso dal punto di vista della “logica
astratta” che dovrebbe governarle? Risponderesti sicuramente di no,
a questa domanda, lo so; eppure, nella realtà, possiamo trovare
organizzazioni economiche, come l'immaginaria azienda <i>Z</i>
del nostro esempio, che si permettono sprechi o spese eccessive in
certi settori, perché, attraverso una logica differente da quella
che noi ci aspettiamo di trovare lì, si ripromettono <i>altri</i>
vantaggi che non sono semplicemente “ragionieristici” oppure
obbediscono a “logiche” che probabilmente, da osservatori
esterni, ci sono ignote (rapporti di buon vicinato, usi locali,
favoritismi di tipo “politico” o nepotistico, ambizioni di potere
degli imprenditori e manager dell'azienda <i>Z</i>,
e infinite altre “variabili”). </span>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Si
possono fare innumerevoli altri esempi del genere, perché esistono
infinite “logiche spicciole” di quel tipo, forse addirittura
tante quante sono le situazioni di vita nel mondo. E addirittura,
all'interno di ogni singolo “sistema” possono esistere più
“logiche” che s'intrecciano: si pensi a un nucleo familiare:
esisteranno in quel caso non solo una “logica” complessiva del
“sistema”, ma anche una “logica” del padre, una della
“madre”, una per ciascuno dei figli... Eh sì, perché ad esempio
la figlia <i>A</i>
adolescente sa che se vuole qualche soldo in più per fare shopping,
deve adoperare una determinata “strategia” col padre e un'altra
con la madre, e magari combinarle sapientemente; il padre a sua volta
imbastisce proprie strategie (magari fatte anche di “coccole” e
frasi dolci) per rassicurare la moglie – giacché conosce la
“logica” del proprio rapporto con lei – e per potersi
ritagliare qualche ora di autonomia – forse per una “scappatella”?
– senza creare allarmi in lei. </span>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">E
si potrebbero fare tanti altri esempi... I più significativi, però,
per comprendere quel che voglio dire, sono quelli che riguardano le
azioni motivate da passioni, anche negative, come il risentimento. Ci
sono persone che, per vendicarsi di qualche torto subìto (magari
soltanto immaginario), mettono in atto strategie contorte,
macchinose, talvolta persino indecifrabili (anche per coloro che ne
sono vittime): come si può utilizzare la “logica” (quella
“astratta”, universale, “pura”) per comprendere queste azioni
a volte del tutto irrazionali? </span>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">Il
bello, insomma, è che se tu dall'esterno osservi tutti questi
“microcosmi” di vita, puoi benissimo non capire le “logiche”
(“particolaristiche”, settoriali e contingenti o addirittura soggettive) che li governano; e se
pretendi di interpretarne le dinamiche attraverso la <i>tua</i>
logica, o attraverso un'idea <i>astratta
e generale</i>
di “logica”, rischi in realtà di non capire niente e di
<i>fraintendere</i>
ciò che pretendi di <i>spiegare</i>.
</span>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">A
volte rischi di vedere calcolo laddove c'è soltanto
l'improvvisazione del momento, o di non capire il <i>contorto</i>
e imprevedibile “calcolo” (magari fumoso, o addirittura morboso,
quindi “insensato”) che c'è a monte di un comportamento, oppure
ancora di vedere altruismo laddove c'è solo una calcolata strategia
retta dal tornaconto personale. O un'azione che ci sembra <i>illogica
e inspiegabile</i>
a volte in realtà rientra perfettamente in una “logica
particolaristica e contingente” che ci è estranea e ci apparirebbe
– se la conoscessimo – completamente distorta. </span>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">E'
per questo che, se siamo affamati di “spiegazioni logiche” (nel
senso di una logica “universale” e “idealizzata”), e ci
facciamo influenzare da queste nel volere dare un senso agli
avvenimenti “eclatanti” che ancora non trovano ufficialmente
spiegazione, il più delle volte rischiamo di prendere clamorose
cantonate...»</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><b>DM
</b>–
«Ma in definitiva, con questo discorso cosa vuoi dire? Per caso
sostieni che le spiegazioni <i>illogiche</i>
sono quelle migliori?»</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><b>PR</b>
– «Oh no, ci mancherebbe! Nessuna spiegazione di un fatto è <i>a
priori</i>
la migliore. Te lo sto dicendo fin dall'inizio: contano i <i>riscontri</i>,
le verifiche empiriche. Non dobbiamo lasciarci prendere dal <i>fascino</i>
che una teoria può esercitare, giacché una teoria “stuzzicante”
può essere ugualmente <i>non
vera</i>.
Non esiste un metodo semplice e <i>automatico</i>
per produrre ipotesi sensate; non ha nessun senso dire: “Questa
ipotesi segue rigorosamente la logica [quella per antonomasia!], <i>dunque</i>
è l'unica vera”. Del resto possono esserci ipotesi <i>ugualmente</i>
logiche, ma contrastanti con quella... magari perché partono da una
premessa diversa. E in mancanza di elementi oggettivi, come fai a
dire che le premesse da cui parti tu per costruire la tua ipotesi
“logica” siano migliori delle premesse da cui parte un'ipotesi
contrastante e alternativa alla tua?»</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><b>DM</b>
– «Per te la logica comunque non conta niente, se ho ben capito.
Non l'apprezzi affatto; mi sembra strano, da parte tua, visto che ti
consideri una persona razionale...»</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><b>PR</b>
– «Forse non mi sono spiegato bene... La logica è un meraviglioso
strumento di analisi e di conoscenza della realtà, ma è appunto
soltanto uno <i>strumento</i>,
e come tutti gli strumenti va usato in maniera appropriata... Se
usata a sproposito, e senza le dovute cautele “metodologiche”,
rischia di condurre a conclusioni paradossali o, come ti ho già
fatto notare, rischia di venire “snaturata” con il voler forzarle
la mano, quando la si utilizza impropriamente a sostegno di tesi e
ipotesi prive di riscontri oggettivi: le si fa svolgere insomma una
funzione di <i>supplenza
indebita</i>:
“mancano le prove, dunque mi appiglio alla logica, e così posso
fare a meno delle prove stesse”. Mi sembra – come ho già
spiegato – un metodo discutibile e traballante, che oltretutto
svilisce la logica (la sua vera funzione), non le rende un buon
servizio. Ribadisco ancora una volta, per essere chiaro: in questi
casi, la logica – sempre, però, se usata correttamente – può al
massimo <i>aiutare</i>
a formulare <i>ipotesi
verosimili</i>,
ma non <i>certezze
assolute</i>.»</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><b>DM</b>
– «Mi stai confondendo le idee. Invece la logica è così chiara,
così limpida! Di' quello che vuoi, ma io preferisco quella <i>chiarezza
assoluta</i>
a tutti i tuoi arabeschi e a tutti i tuoi “distinguo”.»</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;"><b>PR</b>
(con un sorriso) – «Non so perché, ma ci avrei scommesso...
Giacché non ami i miei arabeschi, ti risparmio la critica al
<b><a href="http://www.treccani.it/enciclopedia/determinismo/">“determinismo”</a></b>, che è tipico del tuo modo di ragionare, con
tutta quella sua incrollabile fede nel succedersi “regolarissimo”
e inesorabile (e a parer mio tediosissimo!) di
causa-effetto-causa-effetto, come se avessimo a che fare con una
macchina perfetta (e perciò stesso inesistente!) che non invecchia,
non perde mai colpi, non si guasta e, non dovendo subire
l'“interferenza” dei capricci e desideri del conducente, non fa
mai deviazioni e scarti “inspiegabili”: magari ci confronteremo
in una prossima occasione su questo tema. </span>
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, serif;">In
ogni caso, a conclusione di questa chiacchierata, permettimi almeno
di aggiungere una battuta: se l'umanità fosse solo una “macchina
logica”, come tu credi e dici, nonostante tutta la sua bella
“chiarezza rigorosa”, si sarebbe probabilmente estinta da un
pezzo... Non ne sei convinto?» (Il sorriso si allarga, sommamente
divertito)</span></div>ivaneuscarhttp://www.blogger.com/profile/13381655735594702472noreply@blogger.com19