Frontespizio

Le conclusioni provvisorie sono come i massi che ci consentono di attraversare un piccolo fiume: saltiamo dall'una all'altra, e possiamo farlo di volta in volta solo perché i "massi" precedenti ci hanno portato a quel punto.

«Che cosa rimane del pensiero critico, se rinuncia alla tentazione di aggrapparsi a schemi mentali, a retoriche e ad apparati argomentativi prefabbricati e di sicuro effetto scenico (manicheismo, messianismo, settarismo, complottismo, moralismo e simili...)? Non perde forse la sua capacità di attrarre l'attenzione dell'uditorio distratto facendogli sentire il suono delle unghie che graffiano la superficie delle cose?» può domandarsi qualcuno.
No, al pensiero critico non servono “scene madri” né “effetti speciali”; anzi, quanto più si dimostra capace di farne a meno, tanto più riesce a far comprendere la fondatezza e l'urgenza dei propri interrogativi. (In my humble opinion, of course!)

martedì 28 febbraio 2012

Ci salveremo dai... "salvatori"? Un appello per la Grecia (e per tutti noi)

E' comparso sul Web, rilanciato da vari siti e blog, un appello agli intellettuali europei per "salvare la Grecia dai suoi salvatori". Ha già vari illustri firmatari, fra i quali cito soltanto Etienne Balibar e Jean-Luc Nancy, ed è aperto a ulteriori sottoscrizioni. 
Il testo integrale lo potete trovare tra l'altro (ma non solo) sul blog Incidenze.

Le accuse e le critiche che in questo appello sono mosse all'operazione di "salvataggio" della Grecia, i cui dettagli conosciamo spesso in maniera approssimativa e insoddisfacente per come ci vengono riferiti dai mezzi d'informazione, sono meritevoli di attenzione e di riflessione.




Mi soffermo qui su alcuni punti evidenziati nell'appello, che ritengo degni di nota (e di allarme).


Scrivono fra l'altro gli autori dell'appello:


«L’obiettivo non è il "salvataggio"della Grecia: su questo punto tutti gli economisti degni di questo nome concordano. Si tratta di guadagnare tempo per salvare i creditori, portando nel frattempo il Paese a un fallimento differito. Si tratta soprattutto di fare della Grecia il laboratorio di un cambiamento sociale che in un secondo momento verrà generalizzato a tutta l’Europa.»

Infatti è proprio questo che dobbiamo comprendere, prima che sia troppo tardi (forse lo è già?): la Grecia non è così lontana; quello che si sta sperimentando lì, perché per varie ragioni era il "laboratorio" ideale per cominciare in Europa un simile "esperimento", verrà prima o poi applicato su scala più vasta. Del resto, le ricette "neo-liberiste" sono state sperimentate prima in molti Paesi del cosiddetto Terzo Mondo (Sudamerica, Africa, Asia), e non ce ne siamo accorti perché erano luoghi troppo lontani, i loro problemi non ci toccavano a sufficienza. Ora il "laboratorio" si è avvicinato a noi, ma ancora ci illudiamo che sia abbastanza lontano, e che a noi non toccherà la sua stessa sorte, un giorno.

Gli autori dell'appello fanno poi notare:

«Ma perché questa offensiva neoliberista possa andare a segno, bisogna instaurare un regime che metta fra parentesi i diritti democratici più elementari. Su ingiunzione dei salvatori, vediamo quindi insediarsi in Europa dei governi di tecnocrati in spregio della sovranità popolare. Si tratta di una svolta nei regimi parlamentari, dove si vedono i "rappresentanti del popolo" dare carta bianca agli esperti e ai banchieri, abdicando dal loro supposto potere decisionale.»

Riprendendo il tema, o meglio il leit motiv, o il ritornello, della presunta inefficienza della democrazia, caro a un certo pensiero neoconservatore statunitense molto vicino alle "ragioni" del neoliberismo, si sta procedendo a sospendere, in nome dell'emergenza, i poteri delle istituzioni democratiche, soprattutto dei Parlamenti, che sono il cuore concreto e anche simbolico delle democrazie.

Lo spauracchio dell'emergenza consente di fare questo pur in assenza di un reale rimaneggiamento o stravolgimento delle costituzioni: sono gli stessi parlamentari, ovvero gli stessi rappresentanti dei cittadini che, volenti o nolenti, "si convincono" che per "il bene del Paese" è meglio che - conservando formalmente il loro ruolo costituzionale - abdichino di fatto, che rinuncino a esercitare i loro poteri e le loro prerogative e si limitino ad avallare le decisioni assunte in loro vece da questi salvifici "tecnici" che hanno commissariato il governo.

Com'è possibile che da un giorno all'altro coloro che avrebbero il compito di assumere decisioni, per mandato dei cittadini, scoprano di non essere all'altezza di quel compito? Cos'è successo? Erano incapaci da sempre? lo sono diventati strada facendo? e perché?
E se erano incapaci da sempre, lo sapevano fin dall'inizio, o se ne sono accorti dopo? E come?

In ogni caso, se sono davvero incapaci di ricoprire il loro ruolo, una soluzione democratica c'è (è anzi l'unica praticabile in democrazia): si dimettano e lascino il posto, dopo nuove elezioni, a nuovi parlamentari, preferibilmente scelti fra persone più competenti, forse anche più coraggiose o meno influenzate dai pluridecennali mantra del liberismo "mercatista".

In merito alle privatizzazioni, tramite le quali ora la Grecia e poi in successione numerosi altri Stati cederanno il loro diritto ad esistere (che consiste non tanto e non solo nella sovranità formale, ma nel diritto delle popolazioni di disporre del proprio territorio e delle sue ricchezze nonché di destinare risorse e beni a usi pubblici e di pubblica utilità), ritrovandosi ad essere nei fatti, anche se non formalmente, colonie dei poteri finanziari, scrivono gli estensori dell'appello:

«Poiché venditori e compratori siederanno dalla stessa parte del tavolo, non vi è dubbio alcuno che questa impresa di privatizzazione sarà un vero festino per chi comprerà.»

Questo "piano di salvataggio", a quanto scrivono gli autori dell'appello, è congegnato in modo che i soggetti che stabiliscono le modalità di salvataggio e i "beneficiari finali" delle privatizzazioni tendano sostanzialmente a coincidere. Ovvero i "salvatori della Grecia"  stabiliranno le condizioni di vendita (per così dire, semplificando un po' i termini) del patrimonio pubblico greco (pur non essendone loro i "proprietari", ma semmai i "curatori fallimentari") in modo da compiacere le richieste degli "acquirenti", dei quali condividono probabilmente la mentalità, le aspettative e forse anche la tessera di certi "club esclusivi" che da sola è sufficiente a dimostrare l'appartenenza al "mondo che conta".
Non c'è forse il... rischio di un "piccolo" conflitto di interessi?


Fare appello alla "situazione di emergenza" e al rischio di "catastrofi" serve ai "salvatori" e a tutti i loro più o meno interessati sostenitori a non dare alternative alla "vittima", che in questo caso è la Grecia. Non ci sono vie di scampo, deve cedere e accettare il piano che i "creditori" hanno deciso per lei, senza poter negoziare e senza quindi poterne cambiare neppure una virgola. 


D'altronde, come l'appello fa notare, spingere l'asticella sempre più su, e davanti a ogni nuova disperata concessione delle istituzioni greche scuotere la testa sentenziando: "Non basta ancora, dovete fare di più!", è una tattica per far sentire la Grecia completamente alla mercè dei suoi "creditori" e dei suoi "salvatori"; il popolo greco - che ha perso perfino il diritto a manifestare dissenso (questa "insopportabile appendice" della democrazia, secondo gli ultrà neoliberisti) -  è trattato insomma come un minorenne che non è in grado di prendere alcuna decisione sensata e deve abbandonarsi completamente nelle mani dei suoi tutori, accettando punto per punto e senza fiatare ciò che questi decidono "per il suo bene":

«C’è da scommettere che questa coorte di piani di salvataggio - ogni volta presentati come ‘ultimi’- non ha altro scopo che indebolire sempre di più la posizione della Grecia, in modo che, privata di qualsiasi possibilità di proporre da parte sua i termini di una ristrutturazione, sia costretta a cedere tutto ai creditori, sotto il ricatto "austerità o catastrofe".»

In gioco non c'è solo la perdita del patrimonio pubblico di un Paese, ma la fine del ruolo della politica e dello Stato, così come è stato disegnato dal modello politico-sociale europeo, attraverso decenni di storia, di maturazione democratica, di evoluzione della coscienza collettiva, di rivendicazioni e conquiste sociali. E' questo forse il passaggio più delicato e più importante dell'appello, specialmente nella parte che ho evidenziato con una sottolineatura:

«E il bottino che la classe finanziaria conta di strappare al ‘nemico’ sono le conquiste sociali e i diritti democratici, ma, alla fine dei conti, è la stessa possibilità di una vita umana. La vita di coloro che agli occhi delle strategie di massimizzazione del profitto non producono o non consumano abbastanza non dev’essere più preservata.»

L'abolizione della democrazia e quindi della stessa politica porta alla dittatura della "ferrea legge del mercato": e in base a questa, chi non si inserisce nel circuito produzione-consumo-profitto non ha il diritto di sopravvivere e deve perdere ogni dignità, deve essere bollato col marchio d'infamia e persino privato della cittadinanza e del diritto di parola.


Le lotte per migliorare la qualità della convivenza civile nei Paesi europei vengono cancellate con un tratto di penna e si ritorna a una confusa "guerra per bande" in una landa devastata e attraversata in lungo e in largo da predoni di ogni specie, che riconoscono solo la legge della loro prepotenza.

La tanto decantata e osannata "competitività" senza la civiltà (che è anche umanità, senso della giustizia e della collettività, e in termini politici democrazia "inclusiva") non è nulla e non potrà portare alla sognata "crescita", perché nel frattempo saremo tutti collassati e/o falliti.

Una teoria che si rifiuta di prendere in considerazione la sorte di chi è più debole, o di chi a causa delle "ferite" - ricevute dal sistema che quella teoria sostiene e produce - non riesce a rialzarsi e a proseguire la "competizione", è chiaramente una teoria lacunosa (a dir poco) nonché deleteria nella sua applicazione pratica, col cinismo che comporta - cinismo che si sostanzia in un malinteso (e continuamente resuscitato) "darwinismo" sociale, in base al quale attraverso l'economia e la politica che la supporta bisogna dividere il mondo in esseri utili, che trionfano accaparrandosi tutte le fette della torta (intesa come benessere, risorse, benefici sociali, ecc.), ed esseri inutili, che in quanto perdenti nell'universale competizione, non hanno diritto ad avere nulla, e possono solo aspirare a crepare di fame sull'asfalto delle strade.

«E’ urgente decostruire le lezioni di morale che occultano il processo reale in atto nella società. E diviene più che urgente demistificare l’insistenza razzista sulla "specificità greca" che pretende di fare del supposto carattere nazionale di un popolo (parassitismo e ostentazione a volontà) la causa prima di una crisi in realtà mondiale. Ciò che conta oggi non sono le particolarità, reali o immaginarie, ma il comune: la sorte di un popolo che contagerà tutti gli altri.»

Anche questa parte dell'appello, che è il cuore della sua conclusione, merita attenzione. 
Chi difende le misure che la UE, la BCE e il Fondo Monetario stanno imponendo alla Grecia, sostiene che quest'ultima in fondo sta subendo un destino che ha tracciato con le proprie mani, a causa delle politiche pubbliche e di bilancio dissennate a cui ha dato avallo e attuazione nei passati decenni. La Grecia insomma, dice parte dell'opinione pubblica, "se l'è cercata", ed è questo il motivo per cui la consideriamo con freddezza, quando addirittura non la additiamo agitando con sdegno l'indice accusatore (le lezioni di morale di cui parla l'appello).


Ci sono stati con molta probabilità errori, sprechi, inefficienze e altri fatti e atti negativi, nella gestione della cosa pubblica, in Grecia (come da noi, sia pure in un contesto diverso e con modi e misure diversi); ma l'impoverimento sistematico di un Paese, indotto da draconiane misure di "austerità" (come quelle volute e imposte dalla cosiddetta "Troika" UE-BCE-FMI) è un rimedio di gran lunga peggiore del male che pretende di risolvere.


I Paesi nei quali masse di persone sono spinte dall'oggi al domani nella povertà, anzi addirittura nella miseria, non sono in grado di risollevarsi nel breve o nel medio periodo; dunque le misure della "Troika" non sono giustificabili neppure come politiche di "crescita" o di sviluppo, nonostante l'ossessione della crescita che pervade le loro tesi. E poi, considerazione non meno importante, che razza di teoria economica e politica è mai quella che invece di combattere l'estendersi della povertà, fa di tutto per aumentarla e diffonderla?

Un sistema economico-politico che intende la "crescita" e il "benessere", nonché la libertà (dei mercati, della circolazione dei capitali, ecc.) solo come difesa delle prerogative di pochi (i possessori di titoli di credito, ad es.), e che per salvaguardare queste, è disposto a sacrificare tutti gli altri sino ad affamarli, è un sistema che attraverso la propria iniquità - che passa anche attraverso l'uso distorto di concetti e parole - rende palese il limite della propria legittimità.


[E' chiaro che l'aver delegato la costruzione di ogni gerarchia di valori al mercato e l'aver sottoposto quasi ogni campo delle relazioni umane e sociali alle "leggi del mercato", anche al di là dell'ambito dello scambio delle merci "materiali" vere e proprie, è uno dei problemi fondamentali, e uno dei difetti insanabili, del nostro modello di convivenza attuale, nonché della retorica pubblica ad esso associata. E' questo, a mio parere, "l'errore" principale da sanare, ad ogni livello. Invece la crisi, per certi "esperti", diventa un pretesto per riproporre ricette "risolutive" basate sulla conferma, e talora sull'ingigantimento, dello stesso errore. E' un argomento che va ulteriormente approfondito, anche perché certo la "soluzione" a un tale "errore" epocale non può essere trovata in poche battute.]

Se come spesso ci accade, distoglieremo lo sguardo da ciò che sta avvenendo in Grecia, perché erroneamente convinti di difendere meglio il nostro "benessere" concentrandoci egoisticamente sul nostro orticello, dimenticheremo una volta di più un fondamentale principio: nessuno si salva da solo. E un gruppo di curatori fallimentari, inviati dal Tribunale del Capitale Finanziario (ormai supremo Legislatore), acclamati come salvatori e resi più forti spietati e intransigenti dalla "vittoriosa" esperienza greca, busserà un giorno alla nostra porta (chissà, sotto le sembianze di un'altra Troika, o - perché no? - di un "quartetto"). Il resto del mondo volterà quel giorno (ancora una volta) la testa da un'altra parte.

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