Frontespizio

Le conclusioni provvisorie sono come i massi che ci consentono di attraversare un piccolo fiume: saltiamo dall'una all'altra, e possiamo farlo di volta in volta solo perché i "massi" precedenti ci hanno portato a quel punto.

«Che cosa rimane del pensiero critico, se rinuncia alla tentazione di aggrapparsi a schemi mentali, a retoriche e ad apparati argomentativi prefabbricati e di sicuro effetto scenico (manicheismo, messianismo, settarismo, complottismo, moralismo e simili...)? Non perde forse la sua capacità di attrarre l'attenzione dell'uditorio distratto facendogli sentire il suono delle unghie che graffiano la superficie delle cose?» può domandarsi qualcuno.
No, al pensiero critico non servono “scene madri” né “effetti speciali”; anzi, quanto più si dimostra capace di farne a meno, tanto più riesce a far comprendere la fondatezza e l'urgenza dei propri interrogativi. (In my humble opinion, of course!)

domenica 12 giugno 2011

Il diritto d'autore: aspetti discutibili

Il diritto d'autore sicuramente è per molti aspetti una conquista perché tutela il lavoro di chi mette a frutto i propri talenti e il proprio ingegno per dare alla luce opere letterarie, scientifiche, artistiche, musicali, ecc.: in passato, infatti, quando questo diritto non era protetto da alcuna legge, molto spesso capitava che il lavoro di un artista, scrittore, musicista o scienziato venisse "carpito" fraudolentemente da persone che se ne attribuivano la paternità e il merito, ricavando da questo comportamento disonesto vantaggi economici.



I plagi un tempo erano molto diffusi e venivano considerati quasi una pratica "normale", anche se danneggiavano intere categorie di persone (che potremmo definire "lavoratori dell'ingegno").


E' accaduto però che a lungo andare questo diritto, pur sacrosanto, abbia prodotto a sua volta alcune storture.
Qui ne citerò due, che mi sembrano rilevanti. La prima scaturisce dal fatto che il "diritto d'autore" si è trasformato impercettibilmente nel "diritto dell'editore", al punto che gli editori, col consenso delle norme vigenti, di fatto si arrogano il diritto di decretare l'oblio (con la scomparsa dalla circolazione) delle opere che hanno nella loro disponibilità, cioè nel catalogo (si tratti di libri, di dischi o di altro).

Avviene troppo spesso che questo o quell'editore (comprendendo nella categoria anche le case discografiche) decida di eliminare testi (o incisioni discografiche) molto importanti dai propri cataloghi, e la conseguenza è che quelle opere "eliminate" scompaiono in poco tempo dalla circolazione.

A nulla valgono le richieste dei competenti e degli appassionati di ripubblicare quei libri o quei dischi: all'editore interessano soprattutto i propri imperscrutabili "calcoli economici", e se decide che in un certo periodo anche molto lungo (vent'anni, persino) quell'opera che è nella sua disponibilità non dev'essere pubblicata, non c'è verso di fargli cambiare opinione - neppure se qualche illustre penna, o qualche insigne docente universitario prova a scrivergli per spiegare l'importanza della circolazione di quell'opera messa brutalmente "fuori catalogo".

Va bene, un editore può anche avere il diritto di non ripubblicare un'opera, non lo discuto; ma quello che non si può comprendere è il suo diritto a disporre in modo pieno ed esclusivo del "destino" di quell'opera, anche una volta che l'abbia eliminata dal catalogo e che non intenda ripubblicarla per decenni.

Intendo dire che non si comprende per quale ragione un'opera messa "fuori catalogo" da un editore non possa essere recuperata da qualcun altro - editore o non - di buona volontà, che voglia rimetterla in circolazione e ridarle quindi vita - solo perché l'editore originario, pur non volendola più pubblicare (ripeto: per decenni, non per pochi anni), possiede ancora i diritti dell'opera e li interpreta come puro "diritto di veto".

Qui infatti non si tratta più del diritto di trarre profitto dalla vendita delle copie di un volume o di un CD: il diritto d'autore, in questo caso, diventa un vero e proprio diritto "di vita e di morte" - anzi, soprattutto di morte - su un'opera dell'ingegno umano, esercitato, si badi, non dall'autore dell'opera (che in alcuni casi è deceduto), ma dall'editore.

Ritengo che questa sia una vera e propria "stortura" del diritto d'autore, così come ora è concepito, che spesso non tutela affatto gli autori (i quali anzi hanno l'interesse a veder circolare le loro opere), ma solo le imperscrutabili strategie aziendali di taluni editori, non di rado anche poco lungimiranti.

Vari scrittori, studiosi, musicisti meritevoli subiscono questo ingiusto "destino", le loro opere scompaiono dagli scaffali e diventano talvolta irreperibili (non basta, in molti casi, che ci sia "qualche" copia di testi importanti ormai fuori commercio nelle biblioteche) e alla collettività è tolta - senza diritto di replica - la possibilità di fruire di opere ancora attuali, che avrebbero ancora molto da dire e da esprimere.

Ogni opera dell'ingegno, specie se circolando precedentemente è diventata un punto di riferimento per la cultura e per il dibattito nel campo della letteratura, dell'Università, ecc., si colloca in una rete di rimandi, citazioni, letture, ricordi, e diventa insomma parte di un patrimonio comune della collettività: è un fatto che tutti, anche gli editori, devono riconoscere - e non solo nel momento in cui ne ricavano moneta...


Un altro aspetto che mi convince poco delle attuali norme sul diritto d'autore riguarda i "poteri" che tale diritto concede agli eredi dell'autore.

Il diritto d'autore, secondo me, non può essere trattato alla stregua di un "oggetto" come gli altri, non è un mobile antico o una villa...
Se gli eredi sono davvero competenti, il problema in effetti non si pone; però il guaio è che talvolta gli "eredi" non sono all'altezza (intellettuale, morale, umana, artistica, scientifica, ecc.) del titolare originario di quei diritti.

Facciamo l'esempio di uno studioso importante (che so? sociologo, filologo, storico, filosofo) o di uno scrittore, o di un artista in genere: come fa un erede "non all'altezza" a regolarsi correttamente nel decidere se pubblicare o no un'opera inedita dello studioso o scrittore?

A volte - se non è davvero competente e scrupoloso nel tutelare il valore culturale dell'opera "ereditata" - si regola in modo insensato o puramente influenzato dal tornaconto economico immediato che può derivargli, oppure spinto da semplice brama di esercitare un suo potere sulle opere dell'"illustre estinto" (è anche successo: non c'è limite ai "tarli mentali" dell'umanità); così facendo danneggia l'opera dell'"illustre", e le leggi gli dànno il diritto di farlo.

Ci sono infatti casi in cui le opere di un autore defunto non possono essere pubblicate o ri-pubblicate per capricci imperscrutabili degli eredi, che si autoproclamano interpreti esclusivi della volontà dell'"illustre estinto", senza averne spesso realmente le capacità o le qualità. Non è detto infatti che il figlio o il nipote di un grande storico, o filologo, o musicista, ecc., abbia le stesse qualità intellettuali (e di preparazione culturale, ecc.) dell'autore o dell'artista i cui "diritti d'autore" ha ereditato. Né è detto che abbia la reale volontà di rispettare l'opera dell'estinto e di conservarla e divulgarla correttamente.

E ribadisco che quando si tratta di opere dell'ingegno, non possiamo regolarci come se fossero un'automobile o una casa al mare: sono un patrimonio che non può dipendere dal capriccio o dalla contorta libido di qualche "indegno erede", perché ne deriva un danno a tutta la comunità. E oltretutto - cosa importante - non viene realmente tutelata l'opera dello studioso (o artista o intellettuale) defunto.

Ritengo che i diritti d'autore - ammesso che possano continuare ad esistere nella forma attuale - proprio per la loro "peculiarità" debbano essere regolati in maniera molto differente: tanto per cominciare, dev'essere lasciata al titolare originario dei diritti (studioso, artista, ecc.) la facoltà di decidere se tali diritti possano essere trasmessi a eventuali eredi o se si debbano estinguere con la scomparsa del titolare stesso.


E' bene che sia anzitutto lui/lei a valutare se esistono eredi "degni" - tanto più se non ha eredi diretti. E poi, dev'essere posto un limite al potere "dittatoriale" dell'erede su opere che comunque non ha scritto, elaborato o realizzato lui/lei; secondo me, non dev'essergli consentito di farne "ciò che vuole" oltre i limiti del ragionevole.

Si tratta, anche in questo caso, di evitare il "diritto di vita e di morte" su un'opera dell'ingegno, esercitato da persone che non siano l'autore dell'opera stessa.

Ci sarebbe ancora molto da dire sia sul tema dei diritti d'autore (ad es. sull'opportunità di dare spazio a nuove concezioni di questi diritti, come Creative Commons, ecc.), ma per ora mi fermo qui.

2 commenti:

  1. Stavolta sarò sintetica ;-)

    In merito alla prima parte della tua argomentazione, mi viene in mente un romanzo di Murakami Haruki, dal titolo "Sotto il segno della pecora", che è stato per molti anni introvabile, in quanto pubblicato originaramente da Longanesi e poi messo fuori produzione dalla stessa casa editrice; in seguito Einaudi ha acquistato i diritti di autore di questo scrittore giapponese, ma pare che ci siano stato dei disguidi in merito appunto alla sua prima opera pubblicata in Italia (appunto il sopracitato che era stato pubblicato da Longanesi), con il risultato di dover attendere anni prima di vederlo di nuovo ricomparire tra gli scaffali delle librerie.
    Chissà però, come giustamente evidenzi tu, quante opere risultino oggi introvabili proprio a causa di queste questioni "giuridiche".

    Per quanto riguarda invece la seconda parte delle tue riflessioni, ti consiglio (sempre che tu non l'abbia già visto) un bellissimo film: "Film Blu" di Kieslowski. :-)
    E non aggiungo altro.

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  2. Preziose le tue citazioni ("Film Blu" poi è magistrale :)
    Comunque ti assicuro che sono tanti i casi di libri spariti da anni dai cataloghi dei loro editori, e di fatto diventati introvabili. E non si tratta di "robette", ma di testi anche importanti di filosofi, pensatori, scrittori. Stesso discorso per le incisioni discografiche, e mi pare anche - adesso - per i film (su DVD, ecc.). Se uno ha la "colpa" di voler leggere un determinato autore, o ad es. - se insegna - di volerlo proporre ai suoi studenti come lettura o libro di testo, o di voler ascoltare un determinato musicista o cantautore che un qualche editore ha decretato ormai "fuori mercato" e messo quindi "fuori catalogo", deve limitarsi a sospirare rassegnato, chinando il capo davanti allo strapotere dei "signori del mercato". (E poi si lamentano se prospera la pirateria??)

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