Frontespizio

Le conclusioni provvisorie sono come i massi che ci consentono di attraversare un piccolo fiume: saltiamo dall'una all'altra, e possiamo farlo di volta in volta solo perché i "massi" precedenti ci hanno portato a quel punto.

«Che cosa rimane del pensiero critico, se rinuncia alla tentazione di aggrapparsi a schemi mentali, a retoriche e ad apparati argomentativi prefabbricati e di sicuro effetto scenico (manicheismo, messianismo, settarismo, complottismo, moralismo e simili...)? Non perde forse la sua capacità di attrarre l'attenzione dell'uditorio distratto facendogli sentire il suono delle unghie che graffiano la superficie delle cose?» può domandarsi qualcuno.
No, al pensiero critico non servono “scene madri” né “effetti speciali”; anzi, quanto più si dimostra capace di farne a meno, tanto più riesce a far comprendere la fondatezza e l'urgenza dei propri interrogativi. (In my humble opinion, of course!)

venerdì 20 luglio 2012

Parole chiare (e semplici) sulla crisi. La lettera di un economista greco a un collega italiano


Grazie alla segnalazione di Loredana Lipperini, che l'ha pubblicata integralmente nel suo blog, ho potuto leggere una lettera che l'economista greco Yanis Varoufakis ha scritto al suo collega italiano Giulio Ecchia, il quale l'ha letta nell'ambito dell'iniziativa “Cuore di Grecia”, organizzata da “Teatri di vita” [il testo integrale lo trovate anche sul loro sito].

A mio giudizio, è utile e importante che la leggiamo tutti/e, perché in maniera semplice e a tratti “passionale” disegna un quadro – non strettamente “tecnico”, e quindi non riservato a circoli “esclusivi” di “addetti ai lavori” – della situazione in cui noi, abitanti dell'Europa meridionale, in questo momento ci troviamo.

Non a caso parlo di “quadro” anziché di “bilancio”. Si tratta infatti di riflessioni che toccano l'aspetto sociale, il “vissuto”, le condizioni di vita, le aspettative di chi vive in Paesi come la Grecia o l'Italia, piuttosto che le nude questioni finanziarie, monetarie, industriali, ecc. (in effetti, parlare di “nude” questioni tecniche è spesso il modo migliore per tenere ben distante, onde proteggerlo dal rischio di “interferenze indiscrete”, il sapere dalle cose e dalle vite; ma il sapere che non “annusa” e non tocca le vite alle quali pretende di rivolgersi rischia sovente di restare sterile e inapplicabile, come un teorema campato in aria).

martedì 17 luglio 2012

Dello scambiare ipotesi per certezze “assolute”, ovvero: Dialogo fra un Dogmatico e un Prudente


Quando si verifica un fatto di cronaca piuttosto eclatante o addirittura scioccante, il primo effetto che suscita è – dopo l'iniziale istante di sorpresa o di sconcerto – la produzione di opinioni. E' anche comprensibile; ciascuno di noi ha bisogno di dare forma al fatto “eclatante”, ossia di provare a comprenderlo; ma non si può comprendere un fatto, del quale si sa poco (se non alcune scarne coordinate, come: il luogo e l'ora in cui è avvenuto), se prima non si cerca di raffigurarselo, e soprattutto di raffigurarne le cause e le motivazioni.

Il problema è che questa ricerca della spiegazione, in assenza di dati “tangibili”, finisce troppe volte per mescolare in maniera arbitraria e confusa i dati certi con le ipotesi e le interpretazioni personali (influenzate inevitabilmente dalla “visione del mondo”, o del comportamento umano, che ciascuno ha).

Si slitta così – spesso inavvertitamente – dal bisogno di certezze alla convinzione granitica (benché basata solo su vaghe congetture e supposizioni), sicché il bisogno di avere una (qualche) certezza si trasforma esso stesso in raggiunta certezza, senza passare attraverso alcuna plausibile verifica.
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