Frontespizio

Le conclusioni provvisorie sono come i massi che ci consentono di attraversare un piccolo fiume: saltiamo dall'una all'altra, e possiamo farlo di volta in volta solo perché i "massi" precedenti ci hanno portato a quel punto.

«Che cosa rimane del pensiero critico, se rinuncia alla tentazione di aggrapparsi a schemi mentali, a retoriche e ad apparati argomentativi prefabbricati e di sicuro effetto scenico (manicheismo, messianismo, settarismo, complottismo, moralismo e simili...)? Non perde forse la sua capacità di attrarre l'attenzione dell'uditorio distratto facendogli sentire il suono delle unghie che graffiano la superficie delle cose?» può domandarsi qualcuno.
No, al pensiero critico non servono “scene madri” né “effetti speciali”; anzi, quanto più si dimostra capace di farne a meno, tanto più riesce a far comprendere la fondatezza e l'urgenza dei propri interrogativi. (In my humble opinion, of course!)

mercoledì 21 novembre 2012

Dittatura, o perfida illusion


1. Premessa: un problema di classificazione...

Può sembrare facile parlare di un tema come la dittatura. Ciascuno di noi forse intuitivamente “sa” di cosa parliamo quando parliamo di dittatura (come concetto) o di dittature (come fenomeno storico e politico). Ma, come spesso càpita, quando si tenta di passare dalla conoscenza “intuitiva” alle definizioni, sorge qualche problema. Le definizioni infatti non riescono mai a “catturare” in maniera perfetta i fenomeni della realtà, giacché dovendoli classificare secondo categorie, e dovendosi quindi in questo processo confrontare con i problemi connessi all'uso del linguaggio, i dilemmi che esse producono e sollevano sono forse molti di più di quelli che riescono a sciogliere in maniera convincente.

lunedì 5 novembre 2012

Il lavoro "flessibile" e il suo "mercato" sono un decreto del "destino"? Qualche legittima domanda


Hanno fatto scalpore, come tutti sappiamo, alcune dichiarazioni del ministro Fornero sul rapporto fra i giovani e il lavoro.

Al di là dell'equivoco sulla qualifica di choosy attribuita ai giovani di oggi – il Ministro ha spiegato che si riferiva a un atteggiamento in voga sino a qualche tempo fa, giacché i giovani precari di oggi sanno di “non potersi permettere” di rifiutare un impiego – il suo discorso comunque riprende il leit motiv della “flessibilità obbligatoria”, da anni ormai ripetuto da politici, tecnici e intellettuali influenti.

C'è chi, dai giornali o da “pulpiti” autorevoli, ci dice che “bisogna abituarsi alla flessibilità”, che “bisogna abituarsi a cambiare continuamente lavoro durante la propria vita”, che “bisogna abituarsi alla globalizzazione del mercato finanziario”, che “bisogna tagliare le spese sociali”, ecc.

Nessuno però ci spiega veramente perché dovremmo abituarci a simili cose; se qualcuno finalmente lo facesse, e se la spiegazione fosse davvero convincente, magari potremmo essere indotti a dare ragione a chi sostiene tutti quei “bisogna... bisogna...”.

Bisogna perché?

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