Quando si
verifica un fatto di cronaca piuttosto eclatante o addirittura
scioccante, il primo effetto che suscita è – dopo l'iniziale
istante di sorpresa o di sconcerto – la produzione di opinioni. E'
anche comprensibile; ciascuno di noi ha bisogno di dare forma
al fatto “eclatante”, ossia di provare a comprenderlo; ma non si
può comprendere un fatto, del quale si sa poco (se non alcune scarne
coordinate, come: il luogo e l'ora in cui è avvenuto), se prima non
si cerca di raffigurarselo,
e soprattutto di raffigurarne le cause e le motivazioni.
Il
problema è che questa ricerca della spiegazione, in assenza di dati
“tangibili”, finisce troppe volte per mescolare in maniera
arbitraria e confusa i dati certi con le ipotesi e le interpretazioni
personali (influenzate inevitabilmente dalla “visione del mondo”,
o del comportamento umano, che ciascuno ha).
Si
slitta così – spesso inavvertitamente – dal bisogno di
certezze alla convinzione
granitica (benché basata solo
su vaghe congetture e supposizioni), sicché il bisogno
di avere una (qualche) certezza si trasforma esso stesso in raggiunta
certezza, senza passare
attraverso alcuna plausibile verifica.
Nei
casi estremi (ma non infrequenti...) una personale fantasia
– paragonabile a una sorta di dettagliata sceneggiatura
cinematografica – riguardo a un determinato fatto di cronaca prende
interamente il posto
della realtà, e chi elabora quella “fantasia” (a quella
affezionandosi) non soltanto trascura ogni elementare cautela e
prudenza nella ricostruzione di un fatto del quale oggettivamente si
sa poco, ma addirittura nega categoricamente la validità di
qualsiasi ipotesi difforme e di qualsiasi dato che contraddica – in
tutto o in parte – la “fantasia” stessa. Davanti a una
“fantasia” così (tenacemente) amata, per il soggetto che la
elabora, insomma, non c'è evidenza che tenga.
Ultimamente
abbiamo assistito al trionfare di ipotesi che vedevano forzatamente
“retroscena politici” anche laddove non c'erano elementi
sufficienti a indicarne la probabilità. Si vedono ovunque all'opera
“oscure trame”, anche per la voglia diffusa di offrire
spiegazioni “romanzesche” (delle quali, come già scrivevo
altrove, la principale – da lungo tempo sulla cresta dell'onda –
è la “teoria del complotto”, in una delle sue infinite varianti)
a pasticci e fattacci (e persino a disgrazie tipicamente non
dipendenti dagli esseri umani, come i terremoti!) che per la loro
gravità fanno riflettere, indignare (e fantasticare a più non
posso) cittadini e lettori di giornali.
Talora,
come avviene in varie vicende umane, non è facile trovare una
spiegazione per alcuni di questi “fattacci” (ad esempio per
alcuni delitti eclatanti – che restano quindi “misteriosi”
quanto a movente, mandanti ed esecutori) e, quando la si trova,
càpita a volte che sia talmente incredibile da non coincidere (e non coincide quasi
mai, in effetti...) con quella che la logica o le congetture di Tizio e di Caio
(tutti pieni dei loro “Lo so io! Ve lo spiego io!”) avevano
“predetto”.
Ad
esempio, un noto recente fatto di cronaca è stato classificato
freneticamente, nel giro di pochi giorni, come “terrorismo”, poi
come “opera della mafia”, e ancora come “trama
destabilizzante”, come “opera della criminalità comune”, o di
“un pazzo seriale”, o di un “asociale”, per poi ricominciare
da capo...
Il
problema non sta – ovviamente – nel formulare ipotesi; sta invece
nel proclamare – anche laddove prove non ci sono né s'intravedono
– che la tale ipotesi (la nostra, guarda caso!) è l'unica
giusta e dunque l'unica e definitiva verità sulla vicenda
in questione. E' questo atteggiamento dogmatico o “fondamentalista”
(che in tali casi fa per giunta riferimento a congetture personali e
non a “fedi” plurisecolari...), e talora addirittura aggressivo
(“Ma come? Non mi credi? Come osi? Io so di aver ragione, e
basta!”) che non (mi) convince.
Facendo
queste riflessioni, ho immaginato un dialogo fra due personaggi, che
cerca di illustrare la mentalità del dogmatico di cui parlavo
ora, intento a misurarsi con le obiezioni di un prudente. La
loro conversazione verte su un fatto di cronaca X sul quale
non vi sono certezze: o meglio, non vi sono certezze per nessuno
tranne che per il dogmatico, che ha già la sua brava
teoria “certissima” in proposito (ne ha sempre una su qualsiasi
avvenimento del quale i giornali e i media parlino).
Dialogo
fra un Dogmatico [DM] e un Prudente [PR]
DM
– «E' andata così, non c'è alcun dubbio.»
PR
– «Come fai a dirlo? Mi è impossibile avere la tua stessa
certezza...»
DM
– «E' perché ti fai abbindolare dai media.»
PR
– «Anche alcuni media
hanno fatto le loro brave ipotesi, ma francamente non ho trovato
nemmeno in quelle elementi sufficienti per ritenerle attendibili. O
meglio, posso benissimo ritenerle ipotesi,
ma nulla di più. Non sono assolutamente certezze,
visto che si basano tutte, compresa la tua, solo su congetture e
supposizioni.»
DM
– «Non puoi metterle sullo stesso piano. Le loro ipotesi sono
inverosimili, la mia invece regge: quindi è più che un'ipotesi...
anzi sono certissimo che la verità sia quella che dico io.»
PR
– «Ma io non escludo a
priori
che tu possa aver visto giusto; se mi dài qualche elemento concreto,
sarò il primo a darti ragione.»
DM
– «Prove inoppugnabili non ne ho, se è questo che intendi... Del
resto chi ce le ha? Le prove quelli lì le fanno sparire. Sono
bravissimi in questo. Però posso dirti una cosa: la spiegazione che
do io è l'unica ad essere completamente
logica,
dall'inizio alla fine; quelle degli altri non si reggono in piedi,
mancano parecchi dettagli. Io invece ho messo tutti i tasselli al
posto giusto, quindi l'ipotesi che faccio è valida. Tutto combacia,
tutto quadra...»
PR
– «Quindi è come se tu sapessi già chi ha agito, chi ha commesso
il fatto e perché... Eppure gli investigatori non hanno le tue
stesse certezze, nonostante abbiano sottomano tutte le prove e tutti
i dati che tu non puoi avere.»
DM
– «E chi ti dice che invece loro
non sappiano già tutto? Se non agiscono, se non arrestano il
colpevole è perché vogliono coprire qualcuno...
qualcuno che sta molto in alto, te lo dico io!»
PR
– «Come fai a saperlo?»
DM
– «In questa faccenda c'è qualcosa che non quadra...»
PR
– «Ti faccio notare che poco fa dicevi il contrario...»
DM
–
«Che c'entra? E' la mia ipotesi che quadra... proprio perché
sostiene che la cosa non
quadra.
Non la raccontano giusta. Ci sono implicazioni molto in alto, ecco
perché fanno tanto mistero... vogliono coprire i veri
colpevoli, pezzi grossi, grossissimi...»
PR
–
«Insomma tu, standotene comodamente a casa tua, ne sai più di tutti
gli investigatori messi insieme... anche se non sei stato sul luogo
del fatto e non hai raccolto quindi nessuna prova sul campo –
nessuna prova concreta,
intendo, che non si limiti al “sentito dire” o alla
fantasticheria.»
DM
–
«Ma ti ripeto che la mia ricostruzione regge, è logica, fila
dall'inizio alla fine senza contraddizioni.»
PR
–
«D'accordo, ma le tue sono solo ipotesi!
Ipotesi, non certezze... Non ti ho mica negato il diritto di
formulare ipotesi. Quello che ti contesto è che scambi le pure
ipotesi
per certezze
assolute
– anzi per le uniche
certezze possibili
– e così facendo trasformi un semplice parto della tua fantasia
nella realtà, senza passare attraverso il vaglio di una verifica
seria e convincente. Pensi che ti basti la tua immaginazione per
comprendere la realtà anche di fatti ai quali non hai personalmente
assistito, e di cui ti sei fatto una semplice vaga idea solo leggendo
giornali e ascoltando notiziari, gli stessi che abbiamo letto o
ascoltato io e tanti altri...»
DM
–
«Ma io sento che è come dico io; ho la sensazione
che le cose siano andate in quel modo, e le mie sensazioni non
sbagliano mai. Insomma, sono certo di aver ragione, e non solo perché
– come ti ho detto – la mia ricostruzione è la
più logica,
ma anche perché a intùito, a pelle, sento che è così. Ti basta?»
PR
–
«No, non mi basta affatto: mi spiace dirtelo.»
DM
–
«E' perché sei prevenuto: sei uno scettico e un incredulo, certe
cose non potrai mai riuscire a capirle.»
PR
–
«Sono uno scettico solo perché vorrei prove più consistenti delle
tue intuizioni
e ricostruzioni
logiche?
Ti faccio notare che da un lato sostieni che la tua convinzione è
l'unica giusta
soltanto perché è la
più logica,
e dall'altro, per chiudere ogni discussione, fai appello alle tue
sensazioni:
il che non è molto coerente, a mio giudizio. Che legame c'è fra la
logica
e le sensazioni
“a pelle”? Come puoi conciliare la tua convinzione secondo la
quale la tua ricostruzione dei fatti è la migliore
in quanto la più
logica
– e quindi l'idea che la logica
spieghi la realtà meglio di qualsiasi altra cosa – con il primato
delle sensazioni,
che invochi quando dici di “aver ragione perché lo senti a
pelle”?»
DM
– «Dico soltanto che una cosa rafforza l'altra. Se tanto la logica
quanto le sensazioni concordano,
vuol dire che la mia convinzione è vera, anzi è l'unica
vera.»
PR
–
«Un altro bel teorema, che è tutto da dimostrare... Ammetto che le
sensazioni sono importanti: molte volte proprio a partire da una
semplice intuizione sono nate grandi scoperte scientifiche; però,
appunto, la sensazione in
sé
non dimostra
nulla;
diventa significativa soltanto se poi, alla luce di verifiche
empiriche, si rivela fondata. Infatti, così come ci sono state
intuizioni e sensazioni “illuminanti” che hanno portato a grandi
scoperte, nella storia del sapere umano ci sono state anche
intuizioni e sensazioni sbagliate,
ingannevoli o fuorvianti. Anche Aristotele, in base alle sue
“sensazioni” e intuizioni, che si sono poi rivelate in buona
misura errate, ha costruito una sua teoria del mondo fisico e del
cosmo; e per millenni si è dato credito alla teoria dei “quattro
elementi” fondamentali, sempre sulla base di intuizioni e
sensazioni sbagliate. Anche i sostenitori del sistema tolemaico, in
base alle loro “sensazioni”, potevano ritenere di aver ragione. E
poi è arrivato Copernico a smentire la fondatezza di quelle
“sensazioni”. Il fatto è che il più delle volte le nostre
“sensazioni” sono influenzate dalle nostre abitudini, dalle
nostre convinzioni sedimentate (non sempre giuste), dalle nostre
preferenze e persino dai nostri desideri, dalle nostre aspettative e
dalle nostre antipatie e simpatie... quindi sono tutt'altro che
infallibili.»
DM
– «Ma ti ho detto che io non mi baso solo sulle mie sensazioni, ma
anche sulla logica... e la logica non
sbaglia mai:
questo lo ammetterai, almeno, no?»
PR
–
«Tu la fai troppo semplice: permettimi di dirtelo...»
DM
– «E tu, oltre che uno scettico, sei un pignolo incontentabile!»
PR
– «Non si tratta di pignoleria; stiamo cercando di accertare la
fondatezza e la attendibilità di una teoria, che per inciso è la
tua. E comprenderai che una tesi non è fondata o attendibile solo
perché tu
– o chiunque altro – la crede
tale.»
DM
– «Ci mancherebbe! Infatti io parlavo di elementi oggettivi,
evidenti.»
PR
– «Oggettivi? Sorvolo su questa tua asserzione... Ti faccio invece
notare che tu adoperi la logica come verifica
empirica
delle tue sensazioni e contemporaneamente
adoperi le tue sensazioni come verifica
empirica
del ragionamento logico. Crei insomma una specie di “corto
circuito” argomentativo, in cui ogni elemento rinvia continuamente
all'altro, sicché finisci per far passare le tue affermazioni per
prove a sostegno
di sé stesse!
Dài per “intrinsecamente dimostrato” proprio ciò che dovresti
dimostrare, come se le tue affermazioni fossero “autoevidenti”. E
invece, se andiamo a guardare in dettaglio gli elementi da cui sono
composte, troviamo soltanto congetture, deduzioni basate su
congetture e “sensazioni”. Nient'altro. Niente che ci dia la
minima ragionevole certezza.
Intendiamoci – e del resto te l'ho già detto: le tue congetture,
deduzioni e “sensazioni” potrebbero anche essere “nel giusto”,
ma in mancanza di riscontri
obiettivi, restano soltanto quello che sono, ovvero congetture,
deduzioni basate su congetture e sensazioni “a pelle”. Non
certezze.»
DM
– «Bah... sarà... ma non hai potuto obiettare nulla sulla logica.
Ripeto, è quella la prova più importante che dimostra come la mia
tesi sia valida.»
PR
– «Mi accingevo a trattare anche questo punto, non preoccuparti.
Sappi che la logica di solito è sopravvalutata
da chi non la conosce realmente. Tu credi davvero che gli avvenimenti
del mondo e i comportamenti umani si spieghino semplicemente
attraverso la logica? Se credi questo, ti sbagli fondamentalmente per
tre motivi: a)
innanzitutto, la logica, lungi dall'essere “perfetta”, ha limiti, e reca in sé insidie e “trappole”, che chi l'ha seriamente studiata ben
conosce (e quindi chi adopera le argomentazioni logiche in maniera poco accorta o “dilettantesca” rischia di aggrovigliarsi, senza neppure rendersene conto, in una qualche fallacia, cioè appunto in una delle “trappole” della logica e del ragionamento in genere); b)
in secondo luogo, non tutti i comportamenti umani hanno una
motivazione strettamente logica; c)
in terzo luogo (in parte anche in conseguenza delle due
considerazioni precedenti), forse è difficile che una scienza come la logica, che
non riesce a dar conto del proprio fondamento e non sempre sa rimediare alle proprie “falle”, possa fungere da spiegazione
universale
del comportamento umano e degli eventi del mondo. In conclusione, non
è affatto detto che un'ipotesi di spiegazione riguardante un
accadimento umano sia più vera
di un'altra solo perché “a tavolino” sembra essere la più
logica.»
DM
–
«Allora secondo te la logica non conta nulla? Tutto ciò che succede
nel mondo è governato dal “caso”?»
PR
– «Non ho detto che la logica “non conta nulla”. E poi, stai
mescolando cose diverse. Il “caso” non è il perfetto contrario
della “logica”. Se a volte ci sembra che gli avvenimenti del
mondo siano governati dal “caso”, è perché le cause di quegli
avvenimenti, o le variabili che contribuiscono a determinarli, sono
talmente tante e s'intrecciano in maniera talmente complessa e
imprevedibile, che non riusciamo a districare la matassa e a fare
chiarezza; ma questo non vuol dire che quegli avvenimenti non abbiano
precise cause. Non siamo però in grado di individuarle e di
enumerarle – se non in via puramente ipotetica e con molta
vaghezza.»
DM
– «Ah, quindi mi stai dando ragione: la logica conta, nella
spiegazione degli avvenimenti!»
PR
– «Vacci piano! Ancora una volta mi pare che tu stia facendo
confusione... Secondo me, dobbiamo liberarci da un equivoco: mi
sembra che tu abbia la tendenza a dare rilievo a un'idea di “logica”
astratta o idealizzata, o per meglio dire “disincarnata”, e con
quella pretendi di comprendere gli avvenimenti; invece trascuri
l'importanza della “logica spicciola” (che potremmo meglio
definire come logica “settoriale”, “particolaristica” e “contingente”), che
ritengo abbia molto più peso, nel campo delle scelte e delle
decisioni umane. Per “logica spicciola” io intendo la nozione che
ciascuno di noi si è fatto, nell'esperienza quotidiana, del
meccanismo
(non necessariamente “logico” nel senso rigoroso del termine) che
governa questa o quella situazione nella quale ci siamo trovati.
Ad
esempio, lavoriamo in un'azienda o in un ufficio Z,
e col tempo abbiamo imparato a districarci fra le mille situazioni e
i mille ostacoli che abbiamo trovato nell'attività giornaliera,
acquisendo una “sapienza pratica” che contiene in un certo senso
la “logica del sistema” in cui siamo inseriti; sappiamo cioè che
se vogliamo ottenere un effetto X
(ad esempio una certa concessione dal nostro “capo”), dobbiamo
muoverci nel modo Y,
dicendo determinate cose e non altre, cogliendo il momento giusto,
eccetera. Si tratta però di una “logica” molto particolare, che
conosce solo chi l'ha appresa “dal vivo” operando dentro quel
particolare sistema (nell'esempio, l'azienda Z)
e che, valutata in termini di “logica rigorosa”, può perfino
risultare in realtà “illogica”. Per farti un esempio: secondo te
gli sprechi, o le spese spropositate, in un'organizzazione economica
teoricamente
votata all'efficienza hanno senso dal punto di vista della “logica
astratta” che dovrebbe governarle? Risponderesti sicuramente di no,
a questa domanda, lo so; eppure, nella realtà, possiamo trovare
organizzazioni economiche, come l'immaginaria azienda Z
del nostro esempio, che si permettono sprechi o spese eccessive in
certi settori, perché, attraverso una logica differente da quella
che noi ci aspettiamo di trovare lì, si ripromettono altri
vantaggi che non sono semplicemente “ragionieristici” oppure
obbediscono a “logiche” che probabilmente, da osservatori
esterni, ci sono ignote (rapporti di buon vicinato, usi locali,
favoritismi di tipo “politico” o nepotistico, ambizioni di potere
degli imprenditori e manager dell'azienda Z,
e infinite altre “variabili”).
Si
possono fare innumerevoli altri esempi del genere, perché esistono
infinite “logiche spicciole” di quel tipo, forse addirittura
tante quante sono le situazioni di vita nel mondo. E addirittura,
all'interno di ogni singolo “sistema” possono esistere più
“logiche” che s'intrecciano: si pensi a un nucleo familiare:
esisteranno in quel caso non solo una “logica” complessiva del
“sistema”, ma anche una “logica” del padre, una della
“madre”, una per ciascuno dei figli... Eh sì, perché ad esempio
la figlia A
adolescente sa che se vuole qualche soldo in più per fare shopping,
deve adoperare una determinata “strategia” col padre e un'altra
con la madre, e magari combinarle sapientemente; il padre a sua volta
imbastisce proprie strategie (magari fatte anche di “coccole” e
frasi dolci) per rassicurare la moglie – giacché conosce la
“logica” del proprio rapporto con lei – e per potersi
ritagliare qualche ora di autonomia – forse per una “scappatella”?
– senza creare allarmi in lei.
E
si potrebbero fare tanti altri esempi... I più significativi, però,
per comprendere quel che voglio dire, sono quelli che riguardano le
azioni motivate da passioni, anche negative, come il risentimento. Ci
sono persone che, per vendicarsi di qualche torto subìto (magari
soltanto immaginario), mettono in atto strategie contorte,
macchinose, talvolta persino indecifrabili (anche per coloro che ne
sono vittime): come si può utilizzare la “logica” (quella
“astratta”, universale, “pura”) per comprendere queste azioni
a volte del tutto irrazionali?
Il
bello, insomma, è che se tu dall'esterno osservi tutti questi
“microcosmi” di vita, puoi benissimo non capire le “logiche”
(“particolaristiche”, settoriali e contingenti o addirittura soggettive) che li governano; e se
pretendi di interpretarne le dinamiche attraverso la tua
logica, o attraverso un'idea astratta
e generale
di “logica”, rischi in realtà di non capire niente e di
fraintendere
ciò che pretendi di spiegare.
A
volte rischi di vedere calcolo laddove c'è soltanto
l'improvvisazione del momento, o di non capire il contorto
e imprevedibile “calcolo” (magari fumoso, o addirittura morboso,
quindi “insensato”) che c'è a monte di un comportamento, oppure
ancora di vedere altruismo laddove c'è solo una calcolata strategia
retta dal tornaconto personale. O un'azione che ci sembra illogica
e inspiegabile
a volte in realtà rientra perfettamente in una “logica
particolaristica e contingente” che ci è estranea e ci apparirebbe
– se la conoscessimo – completamente distorta.
E'
per questo che, se siamo affamati di “spiegazioni logiche” (nel
senso di una logica “universale” e “idealizzata”), e ci
facciamo influenzare da queste nel volere dare un senso agli
avvenimenti “eclatanti” che ancora non trovano ufficialmente
spiegazione, il più delle volte rischiamo di prendere clamorose
cantonate...»
DM
–
«Ma in definitiva, con questo discorso cosa vuoi dire? Per caso
sostieni che le spiegazioni illogiche
sono quelle migliori?»
PR
– «Oh no, ci mancherebbe! Nessuna spiegazione di un fatto è a
priori
la migliore. Te lo sto dicendo fin dall'inizio: contano i riscontri,
le verifiche empiriche. Non dobbiamo lasciarci prendere dal fascino
che una teoria può esercitare, giacché una teoria “stuzzicante”
può essere ugualmente non
vera.
Non esiste un metodo semplice e automatico
per produrre ipotesi sensate; non ha nessun senso dire: “Questa
ipotesi segue rigorosamente la logica [quella per antonomasia!], dunque
è l'unica vera”. Del resto possono esserci ipotesi ugualmente
logiche, ma contrastanti con quella... magari perché partono da una
premessa diversa. E in mancanza di elementi oggettivi, come fai a
dire che le premesse da cui parti tu per costruire la tua ipotesi
“logica” siano migliori delle premesse da cui parte un'ipotesi
contrastante e alternativa alla tua?»
DM
– «Per te la logica comunque non conta niente, se ho ben capito.
Non l'apprezzi affatto; mi sembra strano, da parte tua, visto che ti
consideri una persona razionale...»
PR
– «Forse non mi sono spiegato bene... La logica è un meraviglioso
strumento di analisi e di conoscenza della realtà, ma è appunto
soltanto uno strumento,
e come tutti gli strumenti va usato in maniera appropriata... Se
usata a sproposito, e senza le dovute cautele “metodologiche”,
rischia di condurre a conclusioni paradossali o, come ti ho già
fatto notare, rischia di venire “snaturata” con il voler forzarle
la mano, quando la si utilizza impropriamente a sostegno di tesi e
ipotesi prive di riscontri oggettivi: le si fa svolgere insomma una
funzione di supplenza
indebita:
“mancano le prove, dunque mi appiglio alla logica, e così posso
fare a meno delle prove stesse”. Mi sembra – come ho già
spiegato – un metodo discutibile e traballante, che oltretutto
svilisce la logica (la sua vera funzione), non le rende un buon
servizio. Ribadisco ancora una volta, per essere chiaro: in questi
casi, la logica – sempre, però, se usata correttamente – può al
massimo aiutare
a formulare ipotesi
verosimili,
ma non certezze
assolute.»
DM
– «Mi stai confondendo le idee. Invece la logica è così chiara,
così limpida! Di' quello che vuoi, ma io preferisco quella chiarezza
assoluta
a tutti i tuoi arabeschi e a tutti i tuoi “distinguo”.»
PR
(con un sorriso) – «Non so perché, ma ci avrei scommesso...
Giacché non ami i miei arabeschi, ti risparmio la critica al
“determinismo”, che è tipico del tuo modo di ragionare, con
tutta quella sua incrollabile fede nel succedersi “regolarissimo”
e inesorabile (e a parer mio tediosissimo!) di
causa-effetto-causa-effetto, come se avessimo a che fare con una
macchina perfetta (e perciò stesso inesistente!) che non invecchia,
non perde mai colpi, non si guasta e, non dovendo subire
l'“interferenza” dei capricci e desideri del conducente, non fa
mai deviazioni e scarti “inspiegabili”: magari ci confronteremo
in una prossima occasione su questo tema.
In
ogni caso, a conclusione di questa chiacchierata, permettimi almeno
di aggiungere una battuta: se l'umanità fosse solo una “macchina
logica”, come tu credi e dici, nonostante tutta la sua bella
“chiarezza rigorosa”, si sarebbe probabilmente estinta da un
pezzo... Non ne sei convinto?» (Il sorriso si allarga, sommamente
divertito)
Brillante e divertente dialogo! :-)
RispondiEliminaNella realtà ho incontrato spesso persone così, convinte di sapere tutto su un caso (specie quelli di cronaca, che poi sono quelli su cui maggiormente si arrovella la fantasia della gente) solo perché riescono a formulare delle ipotesi "astrattamente logiche". Peccato che i comportamenti umani spesso abbiano poco e nulla di logico e che, come ben spieghi tu, esistono tantissime spiegazioni logiche di un fatto, a partire da premesse diverse, che potrebbero essere tutte ugualmente valide eppure escludersi a vicenda. Inoltre i rapporti di causa-effetto non sono mai così regolari, spesso sono varie con-cause, non tutte identificabili, a provocare un determinato evento, con-cause che magari si perdono nella notte dei tempi, che risalgono a fatti anche scollegati tra loro.
Ti dirò di più, nella mia modesta esperienza di vita ho anche capito che spesso, pure di fronte a quelle che sembrerebbero prove inoppugnabili, in realtà le cose sono andate in maniera ben diversa.
Trovai molto interessante la trama di questo film ad esempio, in cui una donna viene accusata di omicidio perché ogni spiegazione logica conduce a lei, persino le prove... ma vedremo poi che le cose non saranno per nulla come appaiono:
http://it.wikipedia.org/wiki/The_Next_Three_Days
Un saluto. :-)
Ciao, e bentrovata Biancaneve!
EliminaNella realtà ho incontrato spesso persone così, convinte di sapere tutto su un caso (specie quelli di cronaca, che poi sono quelli su cui maggiormente si arrovella la fantasia della gente) solo perché riescono a formulare delle ipotesi "astrattamente logiche".
Sì. Anch'io mi trovo a dialogare talvolta con persone che assumono questo atteggiamento.
O leggo sul web articoli e post di persone che espongono loro personalissime ricostruzioni di fatti controversi (di cronaca, specialmente: delitti rimasti impuniti, stragi, ecc.), ricostruzioni che loro presentano, senza un minimo di cautela o di dubbio, come “verità rivelate”, “certissime”, come se quei fatti li avessero vissuti in prima persona.
E' piuttosto diffuso, secondo me, questo vizio: sembra che ci vergogniamo di esporre una “semplice” opinione, come se fosse un fatto indecoroso, fuori dalle “regole del gioco” della conversazione ordinaria in società; invece ci sentiamo “a posto” e a nostro agio nella conversazione (pubblica o privata, sul Web o “in viva voce”, poco cambia...), se presentiamo l'opinione come “verità”. L'opinione e la prudenza sono “indecenti”, “scandalose”, nel discorso corrente, come se fossero “nude”; invece la “verità certa” (anche se di fatto verità non è, essendo invece solo un'opinione affermata con sicumera) è “vestita” decorosamente, secondo le regole, e quindi può essere ammessa in società e nelle conversazioni...
[continuo]
Così, quando davanti a un fatto di cronaca doloroso e poco chiaro l'opinione pubblica, aizzata dalla stampa, comincia a schierarsi, dividendosi in innocentisti e colpevolisti (cioè persone in qualche modo certe [e su quale base?!] della colpevolezza o dell'innocenza di Tizio o di Caio!), io mi trovo sempre a disagio. Mi pongo infatti una domanda che mi sembra abbastanza scontata (ma che evidentemente per molti non lo è): Ma se nemmeno gli investigatori, che pure hanno a disposizione prove, testimonianze, ecc., riescono a cavare un ragno dal buco, come posso stabilire io, che non ho assistito ai fatti (né ho raccolto in prima persona prove ecc.), in che modo sono andate realmente le cose? E come possono pretendere di stabilirlo gli innumerevoli “innocentisti” e “colpevolisti”, esattamente come me estranei ai fatti?
EliminaPosso al massimo limitarmi a dire, con estrema cautela: In base a ciò che finora ho letto sui giornali, posso esprimere la seguente opinione X, che però appunto è solo un'opinione incerta, ed essendo tale, va presa con beneficio d'inventario, perché i fatti potrebbero essersi svolti in tutt'altro modo.
[continuo]
Questione ben diversa, secondo me, è la presa di posizione motivata che assume un carattere “epocale” o comunque politico, in particolari contesti: mi riferisco al celebre J'accuse di Zola, o al famoso Io so di Pasolini; quelle “denunce” innanzitutto portano un nome e cognome ben preciso (Zola o Pasolini si assunsero chiaramente e personalmente la responsabilità morale e politica di ciò che dicevano), inoltre non intendono essere “(pseudo)processi improvvisati” e infine vanno al di là del “caso” singolo, perché intendono additare storture e contraddizioni di una società, di una mentalità, di un sistema politico, ecc.
EliminaA meno che i vari “dogmatici” di cui parlavo nel post non si sentano tutti “novelli Zola” o “Pasolini in sedicesimo”... d'altra parte, con la megalomania che dilaga sin quasi a diventare una piaga sociale, non me ne stupirei troppo.
Poi sono d'accordissimo con questa tua affermazione: Ti dirò di più, nella mia modesta esperienza di vita ho anche capito che spesso, pure di fronte a quelle che sembrerebbero prove inoppugnabili, in realtà le cose sono andate in maniera ben diversa.
Ulteriore ragione per sfoderare più dubbi che “granitiche certezze” nell'interpretare fatti controversi...
Quanto al film, non l'ho visto, ma la tua indicazione mi ha incuriosito.
Un saluto :-)
L’opinione è ciò che resta, a mio avviso, una volta riconosciuta onestamente l’irragiungibilità della verità.
RispondiEliminaEraclito sosteneva che gli uomini vivono come se possedessero una loro particolare saggezza, e questa non era di certo fatta di Verità, ma di opinioni. Nella relatività del sapere nessuno può credere di possedere la verità certa e quindi tutti siamo portatori di conoscenze opinabili. La conoscenza, addirittura, è sempre opinabile.
La prima domanda che verrebbe in mente di porsi è: perché abbiamo il bisogno (sia il prudente che il dogmatico) di rappresentare nella nostra mente la pantomima di un verità, che in quanto rappresentata cessa di avere necessità d’esistenza? Da quel momento, quello della rappresentazione, basta la pantomima, in effetti.
L’opinione rende quindi superflua la verità. Non si richiedono grandi sforzi per allestirla, resiste egregiamente alle confutazioni, in quanto plastica e malleabile; e alla bisogna si può rimpiazzare con opinioni più adatte al momento o al pubblico a cui la si rivela.
In fondo, allora, a che serve la Verità?
Buona giornata Ivan
Buona giornata a te, Xtc!
EliminaAnch'io farei volentieri a meno delle “verità”, e in qualche modo questa mia presa di posizione emergeva già tra le righe del dialogo, e dalle risposte che ho dato a Biancaneve.
Il Prudente del dialogo cerca di spostare tutto il discorso sull'opinione, allontanandolo dalla ricerca di una (peraltro sempre presunta) verità, perché sa che quest'ultima è una chimera.
Il fatto è che molte istituzioni umane sono fatte per accertare e cercare una qualche verità; da qualche parte c'è questo bisogno, negli esseri umani, specialmente laddove si è verificata una ferita (ingiustizia, sopruso, delitto, ecc.).
Tali istituzioni a mio parere dovrebbero sempre muoversi con prudenza (appunto), dando il buon esempio, proprio perché la Verità, come assoluta corrispondenza e coincidenza fra le cose o i fatti e la loro ricostruzione (tramite congetture, deduzioni, logica, ecc., ossia attraverso l'intelletto) forse non esiste in quanto tale. Mi trovo infatti d'accordo con quanto dice Biancaneve nel commento precedente: persino quando sembrano esserci “prove inoppugnabili”, forse le cose sono andate in modo diverso, imprevedibile, inconoscibile forse in maniera “certa”.
[continuo]
Si possono ricostruire probabilità, forse, e giammai certezze. Però l'umanità sembra atterrita da questa prospettiva; non è educata ad accettarla e capirla, e preferisce perciò quella che tu chiami opportunamente la pantomima della verità, nella quale rientra perfettamente la “certezza granitica” del dogmatico, il quale può essere spesso arrogante nei modi (“Io so! E voi, tutti zitti, ché non sapete!”), ma nel fondo risulta tragicomico, perché non si rende conto di ricorrere a una pantomima.
EliminaSottoscrivo pienamente questo tuo passaggio, per quello che dice e per come lo dice: L’opinione rende quindi superflua la verità. Non si richiedono grandi sforzi per allestirla, resiste egregiamente alle confutazioni, in quanto plastica e malleabile; e alla bisogna si può rimpiazzare con opinioni più adatte al momento o al pubblico a cui la si rivela.
In fondo, allora, a che serve la Verità?
Ciao e grazie del commento!
Le opinioni basate sull'umano sentire sono tutte lecite, ecco perché come avevo scritto mesi fa nel blog io evito di commentare i fatti di cronaca, specialmente quelli di nera. Perché so che scatenano poi le reazioni peggiori che, ripeto, sono anche normali di fronte alla crudeltà e agli orrori ma farne argomento di conversazione è pericoloso. Tutti ricordiamo cosa successe a "zio Miché"; su facebook circolava un video con tutte le peggiori dichiarazioni, commenti fatti da utenti di cui si vedevano foto sorridenti, donne che avevano un bambino in braccio, uomini al mare, vedere quelle facce e leggere cosa erano stati capaci di dire [nel video c'era un sottofondo musicale dolcissimo per evidenziare il contrasto di quello che si vedeva e si leggeva] a me aveva spaventato. Perché quella gente può essere un amico, il vicino di casa, e sapere che le persone che io frequento, con cui vado a cena, in vacanza, abbiano poi certi pensieri in testa mi disturba non poco. I ragionatori di pancia non mi piacciono mai.
RispondiEliminaE, a proposito di verità penso che un segreto può essere utile a salvaguardare qualcosa di importante, la verità non è sempre uno strumento finalizzato ad un obiettivo positivo; si può usare al contrario proprio come arma di offesa, quando venire a conoscenza di qualcosa non solo non sposta di una virgola la risoluzione di un problema ma aggiunge umiliazioni, mortificazioni che si potevano e si dovevano evitare. Io non mi sono mai fidata di quelli che "è meglio una brutta verità ad una bella bugia", perché qualche volta quella bugia può servire, aiutare qualcuno a vivere meglio. Ci sono casi, ad esempio quello di cui si sta parlando in questi giorni circa la trattativa stato mafia però no, lì la verità è necessaria a restituire respiro, speranze, a credere che qualcosa si può aggiustare, migliorare, e chi la nega non dicendo peraltro neanche bugie "belle" ma solo balle, evidentemente non vuole restituire niente a nessuno; vuole tenere tutto per sé.
Orwell è stato un principiante se confrontato alla perversione mentale di chi pensa che un luogo istituzionale sia una sorta di camera oscura, di zona franca dove poter far entrare e uscire quello che si vuole all'insaputa di chi quella istituzione rappresenta. Dove si possono aiutare ministri bugiardi a cui nessuno dice di non disturbare; ai giornalisti invece essendo notoriamente molestatori, specie quelli che fanno le domande e pretendono risposte va bene una cornetta sbattuta in faccia dopo due secondi[quando dal Fatto Quotidiano hanno chiesto al Quirinale se Napolitano sarebbe andato a Palermo il 19 luglio gli è stato risposto: "perché, che c'è il 19 luglio? e comunque io non parlo con voi del Fatto"] , e chissà perché la stessa cornetta non è stata sbattuta in faccia al vero molestatore, ma forse non dava poi così fastidio; siamo TUTTI autorizzati a pensare quel che vogliamo di questa porcheria sì o no? io dico di sì. E non erano meglio le seratine eleganti di berlusconi? ;-))
Ciao Estrella!
EliminaNeanche a me piacciono i "ragionatori di pancia"; lo spettacolo di gente "comune", apparentemente mite, che si mette a discettare o straparlare di ciò che farebbe se "gli/le capitasse tra le mani" il mostro di turno è agghiacciante; anche perché quella gente rientra appunto nella categoria dei "dogmatici" di cui sopra: sono convinti di sapere la verità, anzi sono convinti di essere la "voce della ragione", salvo poi scoprire che il presunto colpevole non era affatto il mostro che si diceva... Ma quei "ragionatori di pancia", stai sicura, poi non chiedono nemmeno scusa per le enormità che hanno detto, neppure quando scoprono di aver avuto l'intenzione di linciare un innocente, sulla base di "certezze" incrollabili (e fasulle), che sono il vero mostro in molti casi (ricordi il detto di Goya? Il sonno della ragione genera mostri: ecco, le “certezze” di questi “linciatori della domenica” sono uno di quei mostri...).
Prima o poi penso che scriverò un post anche su questo tema - quello del "linciaggio facile" - strettamente collegato a quello di cui mi sono occupato in questo post, perché mi sta a cuore (e perché vedo dilagarne segni e sintomi, specialmente in certi luoghi del Web, ma anche - come giustamente dici - nei luoghi in cui viviamo, lavoriamo, ecc.).
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Sono d'accordo quando parli dell'uso (o abuso) "inopportuno" della verità come "arma di offesa". La sincerità a tutti i costi non mi convince, non è veramente "umana"...
EliminaLa parte più politica del tuo commento meriterebbe una riflessione a parte: Ci sono casi, ad esempio quello di cui si sta parlando in questi giorni circa la trattativa stato mafia però no, lì la verità è necessaria a restituire respiro, speranze, a credere che qualcosa si può aggiustare, migliorare, e chi la nega non dicendo peraltro neanche bugie "belle" ma solo balle, evidentemente non vuole restituire niente a nessuno; vuole tenere tutto per sé.
In effetti, già rispondendo a Xtc, mi ponevo il problema della “ricerca della verità” nei casi in cui la società esige (giustamente) la riparazione di un sopruso o la punizione di un crimine. E questo partendo comunque dal presupposto – come già dicevo in quella risposta – che la Verità, come tale, è una chimera sfuggente. Ricordo che un professore di diritto diceva che la verità processuale non è la verità tout court, la verità “pura e semplice”, perché questa è forse irraggiungibile, inattingibile.
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Come “umani” dobbiamo accontentarci di ciò che più si avvicina alla verità, quella “processuale”, o anche quella “storiografica” in alcuni casi, insomma quella “umanamente possibile”. Questo non ci esime dal dovere civile di accertare i fatti; ma ci deve rendere sempre prudenti e cauti: dobbiamo cioè sempre essere disposti a rivedere le nostre posizioni e le nostre certezze, pronti a “spalancare” la nostra mente e la nostra attenzione a ipotesi alternative, senza mai presumere di aver raggiunto il Certo, il Giusto, il Vero una volta per tutte e in maniera definitiva...
EliminaIl discorso meriterebbe maggiore approfondimento; ma del resto è uno dei Problemoni dell'umanità, che sicuramente non si può risolvere in poche battute.
A me solo i titoli, anche quelli di Zola e Pasolini, così perentori, così massimalisti, non mi danno tanto piacere. Se è vero, strizzando all'estremo lo straccio, che gli scrittori si dividono in affermativi o dubitativi, io preferisco i dubitativi, che sicuro non fanno male a nessuno. Il fatto è che davanti ai fatti e al linguaggio bisogna andarci sempre cauti, e anche quando pensiamo d'avere le migliori ipotesi e abbiamo visto le cose accadere dal "migliore" angolo possibile, è sempre una grande prova di minorità e di eleganza, forse di intelligenza, lasciare alle nostre parole una via di fuga verso l'incerto. verso la loro naturale incertezza.
RispondiEliminabel post
Ciao Dinamo, grazie del commento!
EliminaIn effetti i titoli perentori non piacciono neanche a me; i testi che citavo – forse specialmente quello di Zola – hanno avuto però un ruolo incisivo nel dibattito politico del tempo (il “caso Dreyfus” è importante da studiare ancor oggi, per ciò che di inquietante rivela intorno all'influenza che i pregiudizi e la “mentalità diffusa” di un'epoca e di una società – o anche di un'élite influente – possono avere sul comportamento di istituzioni che dovrebbero – in teoria – procedere nei loro atti con serenità di giudizio e giungere a decisioni ponderate e non avventate, ed essere insomma il “baluardo” dell'imparzialità, della giustizia, ecc.).
Tu scrivi: davanti ai fatti e al linguaggio bisogna andarci sempre cauti, e io sono perfettamente d'accordo.
E, riprendendo quel che dicevo già a Xtc (e concordando con le sue parole), aggiungo che dovremmo rinunciare all'ossessione della Verità (quella con la maiuscola...), perché questa ossessione ci porta sistematicamente su una strada sbagliata, anzi senza uscita.
Come possono essere, che aspetto possono avere la nostra vita, le nostre abitudini (mentali), in assenza di questa ossessione? Difficile immaginarlo, talmente siamo abituati a costruirci certezze (sempre illusorie, nella loro pretesa “assolutezza”), entro il perimetro delle quali muoverci (limitando quindi drammaticamente lo spazio effettivo di questo “muoverci”). Certezze che non possono fare a meno di aggrapparsi nella convinzione di fondarsi sulla Verità (che però è irraggiungibile, inconoscibile, ecc., come già dicevo).
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Scrivendo questa risposta al tuo commento, mi è venuto in mente un episodio che si collega perfettamente con questo discorso.
EliminaEro ragazzo e ricordo che in televisione, in occasione di una conferenza stampa, alcuni giornalisti ponevano domande a un qualche magistrato inquirente (non ricordo chi fosse, ma non era certamente fra quelli più conosciuti); si parlava di un caso di cronaca nera del quale lui si stava occupando. Mi colpì il tono di assoluta certezza col quale si esprimeva: parlava dell'accusato dicendosi matematicamente certo che fosse il colpevole. Io nella mia giovanile ingenuità ebbi come un fremito istintivo: Ma come? mi chiesi: Come si può essere così certi di qualcosa? Addirittura matematicamente?. Quel magistrato si riteneva in possesso della Verità e questo mi turbò. Soprattutto – l'ho capito dopo – mi turbò la constatazione che esistono professioni nelle quali la convinzione che si sia in possesso della Verità costituisce una sorta di strumento di lavoro, anzi un... dovere d'ufficio...
Non solo, ma il mio turbamento fu poi accresciuto dal fatto che l'accusato venne poi completamente scagionato e assolto in sede processuale. E anzi il colpevole, reo confesso, risultò essere un altro! E dunque? Quella certezza matematica che fine aveva fatto?
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Ora, certo, da “adulto”, mi pongo il problema, anzi il dilemma – del quale parlavo già nelle risposte agli altri commenti: come conciliare l'esigenza di giustizia con l'esigenza di liberarsi della (perniciosa e fuorviante) ossessione della Verità? Due necessità ugualmente importanti.
EliminaPenso comunque che un cambiamento “rivoluzionario” nel modo di porci di fronte alla realtà – guardando alle certezze “perentorie” come a fantasmi che c'ingannano e dei quali dobbiamo perciò liberarci – non possa che giovarci. Non si abbandonano volentieri le abitudini consolidate, ed è per questo che temiamo questo cambiamento, e lo coloriamo dei peggiori colori, nella nostra fantasia, anche se il nostro “paradigma” attuale, quello fondato sulla presunzione di conoscibilità della Verità, non può condurci che ad errori, fraintendimenti e persino a orrori.
Certo, sono molto sintetico e schematico nel dir questo, e per ragioni di spazio mi accontento solo di tracciare qui qualche “abbozzo di riflessione”, perché, a voler “fare sul serio”, è un argomento che richiederebbe un intero libro (o forse un'intera biblioteca...) per essere analizzato a dovere.
Errata corrige: Mi accorgo ora che nella prima parte della risposta ho scritto, tra l'altro: ...Certezze che non possono fare a meno di aggrapparsi nella convinzione... Intendevo in realtà scrivere: ...aggrapparsi alla convinzione....
EliminaQui vorrei anche ricordare ad esempio il famoso caso Valpreda: additato dall'opinione pubblica come "mostro" e vittima di un errore giudiziario perché poi è stata dimostrata la sua estraneità alla strage di Piazza Fontana ed è stato anche assolto. Lo stesso Enzo Tortora fu uno dei suoi accusatori, salvo poi... anni dopo, passare dall'altra parte, da accusatore ad accusato ingiustamente. Eppure chissà quanti allora si sono ritenuti convinti di conoscere i fatti.
RispondiEliminaIl film che ti ho citato è significativo per quanto ti ho esposto, ossia per far vedere come a volte anche quelle che possono essere considerate prove possano essere in realtà ben distanti dal "dire" la verità su un fatto, però non è un grandissimo film, diciamo un buon film di intrattenimento, ecco.
Buon fine settimana. :-)
Eh sì, il caso Valpreda rientra nella tipologia che descrivevo... Dici bene, Eppure chissà quanti allora si sono ritenuti convinti di conoscere i fatti!
EliminaSe il passato potesse davvero insegnare qualcosa, ci guarderemmo dal ripetere certi errori: perché il problema fondamentale è quello: nonostante i "disastri" numerosi e abbondanti già compiuti dalle "incrollabili certezze" - dimostratesi tragicamente infondate - di questo e di quell'altro, continuiamo imperterriti a voler imporre sbraitando le nostre nuove, nuovissime, fresche di giornata "certezze incrollabili", impugnando le quali (come rozze clave!) accusiamo il Tizio, condanniamo il Caio, minacciamo di linciare il Sempronio... e poi scopriamo che erano ennesime certezze fasulle... ma non ci pentiamo mai, eh no! non la smettiamo mai! Voltiamo la testa dall'altra parte, facciamo finta di niente e tiriamo avanti con grande faccia di bronzo, pronti domani o dopodomani - quando si presume la platea avrà dimenticato il nostro ultimo becero show di "certezze" senza sostanza - ad alzare di nuovo il bel ditino accusatore, anzi "condannatore"-linciatore, contro nuovi "certissimi colpevoli".
E' questa ostinazione, da recidivi dell'ottusità, ciò che più mi dà fastidio... Si sarà capito, immagino
:-)
Buon fine settimana!
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