Frontespizio

Le conclusioni provvisorie sono come i massi che ci consentono di attraversare un piccolo fiume: saltiamo dall'una all'altra, e possiamo farlo di volta in volta solo perché i "massi" precedenti ci hanno portato a quel punto.

«Che cosa rimane del pensiero critico, se rinuncia alla tentazione di aggrapparsi a schemi mentali, a retoriche e ad apparati argomentativi prefabbricati e di sicuro effetto scenico (manicheismo, messianismo, settarismo, complottismo, moralismo e simili...)? Non perde forse la sua capacità di attrarre l'attenzione dell'uditorio distratto facendogli sentire il suono delle unghie che graffiano la superficie delle cose?» può domandarsi qualcuno.
No, al pensiero critico non servono “scene madri” né “effetti speciali”; anzi, quanto più si dimostra capace di farne a meno, tanto più riesce a far comprendere la fondatezza e l'urgenza dei propri interrogativi. (In my humble opinion, of course!)

domenica 28 agosto 2011

La trappola del possesso, ovvero un equivoco dei sentimenti

Il primo errore consiste nella scelta del verbo. Perché "avere"? Diciamo: ho una moglie, ho figli (ma anche - per quanto riguarda le donne - ho un marito...), eccetera.
No, nessuno appartiene a nessuno; usare la nozione di "possesso" (implicita nel verbo "avere") per riferirsi ai rapporti personali più stretti (familiari, di coppia) è un clamoroso errore - oppure è un abbaglio strategico, voluto da chi per primo ha cominciato a costruirlo così, il castello dei rapporti affettivi. Distorsione voluta per addomesticare ciò che più difficilmente, nella vita umana, si può ricondurre a linee razionali controllabili, programmabili o comunque prevedibili.

venerdì 5 agosto 2011

La violenza sulle donne: questione da affrontare "senza se e senza ma"

Perché - si potrà domandare qualche lettore - parlo di questo tema?
Le ragioni sono tante, ma principalmente questa, che credo da sola basti: lo considero un problema grave, che una società realmente "civile" dovrebbe a parer mio affrontare seriamente, senza rifugiarsi nei soliti alibi.


E la ricerca dell'alibi, di uno degli alibi qualsiasi coi quali si cerca solitamente di minimizzare la gravità della questione, mi dà in questo caso fastidio oltre ogni immaginazione.
Anche perché, mai come in questo caso, mi suona come una inopportuna e vergognosa fuga (collettiva) dalle responsabilità.


Perché parlarne adesso, oggi? Perché è un tema sempre attuale, ed ogni momento è quello buono (finché non troverà una vera soluzione).



martedì 2 agosto 2011

"Militanza" oppure "milizia": a proposito di politica e idee

Oggi si afferma e si ripete che la militanza politica è in crisi. Se questo è vero, è forse opportuno cercare di individuare le cause di questa crisi, dal momento che senza "militanti" veri, provenienti dai vari settori e strati della società, la politica si riduce sempre più ad un affare "da laboratorio", o anche da salotto, e comunque si concentra sempre più nel vertice degli "addetti ai lavori", semplificando in apparenza il linguaggio della comunicazione, ma non perché la politica si sia semplificata e si sia "avvicinata al cittadino"; nossignori, questa è pura retorica: il linguaggio politico si banalizza in realtà per venire incontro "alle ridotte capacità" di comprensione (rubo la battuta a Luttazzi...) dell'uditorio ormai "depoliticizzato", per suggerirgli che "stiamo lavorando per voi" facendo al tempo stesso di tutto però perché l'uditorio si contenti di quelle "ridotte capacità" e si tenga ben lontano da "quella cosa sporca" che è la politica. Trucco entro certi limiti ben riuscito, indubbiamente; almeno finché qualche evento eclatante non fa scoprire di colpo che non stanno affatto "lavorando per noi", lassù nel laboratorio chiuso della politica.

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