I
commenti del Web: una finestra sul cortile
Ci
sono periodi – della vita dei singoli o della storia “grande”
dei Paesi – che richiedono riflessione. Ciò che è accaduto negli
ultimi anni, non solo in Italia, da un lato sembra aver confermato
una direzione di marcia già in atto o comunque prevedibile (in una
certa misura), ma dall'altro ha introdotto elementi inediti sui quali
conviene e converrà meditare.
Da
tempo non aggiornavo questo blog non perché non avessi la tentazione
periodica di farlo, ma perché ritengo ci siano momenti nei quali,
più che spendere parole sull'onda delle impressioni del “fatto del
giorno”, è utile guardarsi attorno, ascoltare le “voci del
mondo”, gli umori vari e assortiti della moltitudine, e solo dopo
aver fatto da spettatore/registratore, raccogliere i pensieri e
metterli in bell'ordine, affinché acquistino voce a loro volta, si
esprimano e si intersechino con
le voci ascoltate.
E
principalmente di queste vorrei parlare, tanto per cominciare.
Il
Web apparentemente offre molteplici occasioni e spazi (virtuali) per
esprimersi, per “dire la propria”, lasciando al fruitore la
possibilità di essere se stesso senza filtri
(e scaricare nel Web, trasformato talora in vero e proprio
“sfogatoio”, malumori, rancori, invettive) oppure di indossare
una maschera e di interpretare
una parte (ad es. quella del ben
informato, del competente, di “quello che la sa lunga”, di
“quello che è vissuto tanti anni all'estero” anche se invece
all'estero è andato solo sporadicamente in vacanza; o ancora la
parte dell'onesto-integerrimo cittadino indignato per i vizi [altrui]
quando invece nella “real life” egli [o ella] integerrimo non è
affatto, viola il codice della strada, truffa i propri clienti,
ecc.).
E'
vero, il Web, come mai forse è accaduto in passato (perlomeno in
questa proporzione), ci offre la possibilità di dare del
tu ai potenti; chi attraverso un
social network come Twitter può “dirne quattro” al presidente
del Consiglio o a un ministro, sa o intuisce di avere tra le mani
un'opportunità che le generazioni passate non avevano; l'“alone sacrale” del quale i “potenti” un tempo si circondavano è
scomparso o almeno si è ridimensionato – così sembra. Loro
sono persone come noi
e non possono più nascondersi nei “palazzi” o dietro le insegne
della loro carica per sottrarsi al contraddittorio con il “popolo”.
Sorgono
però due domande, o meglio due dubbi, a questo punto: sappiamo
davvero (mediamente) usarla bene questa potenzialità del Web? E poi:
davvero i “potenti” sono “ridimensionati” in modo decisivo
grazie al contraddittorio “alla pari” al quale il Web ora li
costringe?
Il
Web richiede sintesi; se questa è ben congegnata, può fare
scaturire riflessioni e approfondimenti; ma non sempre, purtroppo, è
così. Si ha molto spesso invece l'impressione che la sintesi sia un
crivello che funziona al contrario, un filtro
che fa passare soprattutto l'approssimazione, lo slogan “da stadio”
(dietro il quale non c'è nessuna riflessione accurata; anzi...),
l'invettiva fine a se stessa, il delirio di onnipotenza di
qualcuno/a, pillole di saccenteria, luoghi comuni spiccioli o veri e
propri insulti legati alle personali idiosincrasie e ai pregiudizi
incalliti di chi li lancia, ecc.
Quando
la critica si sfrangia e si manifesta in queste forme, diventa un
puro rumore di fondo,
che rafforza anziché intaccare l'“aura di indispensabilità” del
“potente” al quale pretende di rivolgersi.
“Se
questo è il livello e il tono delle critiche, allora io sono un
gigante” ha buon gioco
nell'affermare il “criticato”.
Purtroppo
la caratteristica esigenza di sintesi del Web – o meglio, di certi
luoghi del Web (i social
network, i commenti agli articoli dei giornali online, ecc.) –
rischia di ridurre il senso e il tenore degli interventi del
“pubblico” al modello classico (quindi tutt'altro che specifico
dell'era “Web 2.0”!) del commento “da bar” o “da sala di
attesa”. Niente di nuovo sotto il sole, dunque; e ciò vuol dire
che le potenzialità del Web in questo modo rischiano di andare
sprecate. Cambia l'ampiezza della platea, certo: il commento espresso
da un utente sul forum di un quotidiano online può essere letto da
centinaia o migliaia di persone; ma rischia di essere ugualmente
pulviscolo, componente
infinitesimale di un rumore di fondo
che non può trasformarsi, per le sue stesse caratteristiche, in
seria critica.
I
tipici commenti presenti sui forum e sui social network, anche se
pretendono di esprimere critiche all'operato del governo, oppure di
questo o quel partito, di questo o quel ministro, ecc., di fatto
raccontano soprattutto qualcosa degli utenti che li postano. Sono
finestre sui limiti della conoscenza umana, più che strumenti per
conoscere e/o discutere le “mancanze” o “magagne” della
politica, del “potere”, ecc..
Ad
esempio, una certa “famiglia” piuttosto nutrita di commenti Web
propone ricette semplici e lineari per la risoluzione di problemi
giganteschi “che i politici o i potenti – quegli incapaci! –
non sanno risolvere” (la crisi economica, la fame nel mondo, persino alcune epidemie preoccupanti... e così via). Potremmo chiamare questa categoria di
commenti: “Vi dico io come si fa!” oppure “Se solo ci
fossi io al governo...!”
Sembra
una regressione all'adolescenza, età in cui di solito si è convinti
che basterebbe l'intervento di un “giustiziere puro e immacolato”
o di un “supereroe” a risolvere i grandi problemi del mondo.
Commenti di questo tipo ci parlano appunto di colui/colei che li
esprime: persone che ritengono la convivenza umana una faccenda
semplice, in cui ogni problema si può risolvere con la “buona
volontà” e la decisione (a prescindere dal tipo di eroe da loro
preferito, sia esso lo sceriffo tutto d'un pezzo o la Fata Turchina),
e che immaginano che “con poche mosse” si possa “vincere”
qualsiasi partita, senza curarsi degli “effetti collaterali” di
ciascuna mossa, effetti dei quali la politica deve invece tener
sempre conto (se non vuole poi scontrarsi con nuovi problemi generati
dalla pseudorisoluzione dei precedenti, e quindi con altre proteste
sacrosante...).
Un
altro genere tipico di commenti è etichettabile come “So io chi
è il colpevole!”
In
questo caso, si accusa sistematicamente di ogni nefandezza un
personaggio politico, un partito oppure una categoria di persone
(un'etnia, una nazione, una categoria sociale, ecc.). E' una sorta di
“pensiero fisso”, che ci dice molto non sulle vere cause dei
problemi, ma sulla mentalità di chi lo esprime. Secondo questa,
tutto ciò che è “male” non può che derivare dall'azione o
anche dalla semplice presenza di colui/coloro che di volta in volta
si è convinti di poter identificare come “il/i cattivo/i”.
Intendiamoci: può darsi che “il cattivo” di turno abbia
effettivamente compiuto alcune o anche molte azioni scorrette,
esecrabili o illecite; ma il “commentatore” in questione lo
accusa anche di nefandezze delle quali egli non può esser ritenuto,
a rigor di logica, responsabile. E' il cattivo, e tanto basta:
dunque, qualsiasi male
nel mondo è causato da lui... E – questo forse è l'aspetto più
caratteristico di questa categoria – il commentatore inventa
spiegazioni/descrizioni contorte, fantasiose e improbabili pur di
riuscire a dimostrare (beninteso, senza prove concrete...) che il
“colpevole” del misfatto è comunque e in ogni
circostanza il “cattivo” da
lui/lei additato e prescelto, sempre e invariabilmente lo stesso,
responsabile unico e perciò emblema del “male del mondo”.
Il
“ricostruttore della storia” è invece colui/colei che
adatta un evento o un periodo storico alle proprie esigenze,
ritagliandolo sapientemente (con omissioni, citazioni non corrette o
manipolate, ecc.) in modo da darsi ragione. A volte il “ricostruttore
della storia” può intrecciarsi con la tipologia precedente,
giacché la sua ossessione principale può essere quella di
attribuire colpe al suo “cattivo preferito”.
Il
“ricostruttore della storia” s'intreccia a volte anche con
un altro tipo molto diffuso di commentatore Web, il “difensore
dell'eroe”, che come suggerisce l'etichetta a lui attribuita
seleziona accuratamente gli elementi della realtà (la storia, i
problemi sociali, l'andamento dell'economia, le scelte dei governi,
ecc.) in modo che il suo “eroe” preferito (leader politico,
generalmente) abbia sempre ragione... soprattutto quando in realtà
ha torto. Dalla ricostruzione storica esclude sapientemente ciò che
può mettere in dubbio l'infallibilità del suo “eroe” e non
esita a manipolare date e dati pur di raggiungere lo scopo. Anche le
colpe macroscopiche o eclatanti dell'“eroe” che non può nascondere riesce funambolicamente
a giustificarle con la fatalità o con la “macchinazione” di
coloro che “remano contro” (i fallimenti e gli errori del capo,
talora anche i suoi misfatti, sono giustificati tipicamente
attribuendone la responsabilità a “traditori” infidi,
infiltrati, quinte colonne, che carpendo la candida fiducia
dell'eroe, si sono insinuati nell'immacolato corpo dei suoi seguaci).
“La
colpa è di quelli come te/voi!”
Questa
categoria è per molti aspetti una variante di “So io chi è il
colpevole!”, ma in questo caso il presunto “colpevole” si
identifica con l'interlocutore, che viene inchiodato all'appartenenza
a una determinata categoria particolarmente esecrata dal commentatore
(si tratti dei giornalai o dei giornalisti, dei docenti o degli
studenti, dei dipendenti o dei commercianti...), in modo da poterlo
“lapidare” simbolicamente.
“E
tu allora che soluzione proponi?”
E'
la reazione di difesa rispetto a chi cerca di non banalizzare le
questioni. In realtà chi pone questa domanda non comprende che prima
di proporre soluzioni (sensate) è necessario portare alla luce la
vera natura di un problema e che allo scopo non bastano il “sentito
dire” o le proprie cognizioni sommarie.
“Queste
sono chiacchiere; il vero problema è...”
E'
una tipologia di commenti che è stata già analizzata a sufficienza
da altri; va detto comunque che la politica “reale” non può
permettersi il lusso di risolvere i problemi uno alla volta
(cominciando magari dal “più importante in assoluto” [e qual è?]
per procedere via via a risolvere gli altri in ordine decrescente di
importanza [ammesso che un tale ordine si possa stabilire non
arbitrariamente]) ma deve affrontare tutti quelli che man mano
incontra sul cammino; lo farà quindi come potrà (al netto delle sue
storture e patologie, come la corruzione, ecc.), dovendo suddividere
energie e risorse in più rivoli.
La
politica deve affrontare i problemi nel loro complesso e deve anche
fare in modo che le soluzioni adottate non generino a loro volta
problemi più grandi o più gravi; inoltre spesso le soluzioni non
sono immediate; per avere effetti hanno bisogno di tempo. Non c'è il
“pulsante magico” che risolve all'istante problemi che a volte si
sono stratificati per decenni. E non c'è neppure la “formula
segreta” che dona per sua sola virtù la felicità e la serenità
alle genti.
Leggendo
in sequenza i numerosi commenti che appaiono sul Web nei luoghi già
menzionati (forum di quotidiani, ecc.) si può essere portati a
ritenere che essi rappresentino “le opinioni prevalenti della
gente”, ma in realtà si può soltanto dire che si tratta delle
opinioni di coloro che decidono di intervenire sul Web, e non è una
differenza da poco; esprimono opinioni a caldo e con sicumera coloro
che ritengono di avere la risposta pronta (le categorie sopra
menzionate ce l'hanno sempre, per un motivo o per l'altro: devono
trovare il modo di dare sempre la colpa al loro “cattivo
preferito”, oppure mostrare – a parole – per l'ennesima volta
di poter sostituire in prima persona e con ottimi risultati “gli
incapaci che ci governano”, ecc.) e non certo coloro che sanno di
dover riflettere un po' più a fondo sulle cose (e magari cercare di
conoscere i fatti e i dati, in modo non epidermico) prima di
esprimersi.
Con
ciò non si vuole dire che gli sfoghi non siano legittimi: non
condivido la proposta, avanzata da alcuni (a volte in maniera
strumentale), di censurare il Web sol perché esistono commenti
irriverenti su questo o quel forum, su questo o quel social network
(sempre che non si tratti di stalking vero e proprio, che è cosa più
seria). Il fatto è che bisogna essere coscienti che la politica, e
la critica della politica, non possono ridursi a un concerto di
sfoghi e invettive; magari dopo essersi sfogati bisogna fare un lungo
respiro e passare a un'attività molto più impegnativa – e anche
per questo più incisiva – che consiste nell'immergersi nella
conoscenza delle cose, dei problemi, dei meccanismi sociali ed
economici, mettendo tra parentesi schemi acquisiti, formulette
facili, alibi ideologici rassicuranti.
Ad
esempio, chi tuona a ripetizione contro il “buonismo” (qualunque
cosa intenda con questo termine), quale responsabile unico dei “mali
del mondo”, dovrebbe cominciare a riflettere sul fatto che neppure
il suo “cattivismo”, che contrappone al “buonismo” altrui, va
molto lontano come soluzione politica dei problemi reali. Non c'è lo
sceriffo che possa rimettere tutto a posto con la sola forza della
sua stella e dei suoi “muscoli”, se non nei film (dove peraltro i
“cattivi”, in virtù di una sceneggiatura prestabilita, sono ben
delimitati nel loro numero, nelle loro capacità e nel loro raggio
d'azione e non ci sono variabili aggiuntive a complicare l'“azione
dell'eroe”); così come d'altra parte non basta predicare la bontà
(o anche offrirla) perché questa si diffonda nel mondo.
Non
è allontanando la “gente comune” dalla cosa pubblica che si
contribuisce a diffondere più coscienza politica, conoscenza della
reale natura dei problemi in campo, ecc.; i forum, i social network e
simili luoghi virtuali possono essere un punto di partenza,
insomma, ma occorre fare un passo in più.
Servono
più strumenti, più meccanismi di partecipazione (nella cosiddetta
“real life”, possibilmente), che aiutino a passare dallo sfogo
solitario (solipsistico, per meglio dire) al dialogo, e quindi a
comprendere che il “mondo personale” di ciascuno deve incontrarsi
con quello degli altri; la politica è sì in buona misura arte della
sintesi, ma se quest'ultima si intende non come banalizzazione dei
fatti e dei problemi (ridotti a slogan affinché funzionino da esche
per mobilitazioni epidermiche), bensì come risultato di un lavoro di
analisi (collettiva, se si è in democrazia, e dunque non riservata
ai soli “addetti ai lavori”) dei problemi e delle opzioni in
campo (le scelte da compiere, le soluzioni da adottare: non bisogna
credere generalmente a chi sostiene che per un problema in politica
esista una e una sola soluzione – la sua, ovviamente...).
Un
errore che generalmente si fa, quando si ragiona in solitudine,
magari sull'onda dei fatti del giorno, è quello di limitarsi a
considerare il proprio punto di osservazione, trascurando la visione
d'insieme – che invece la politica “praticata” deve avere
presente. Se poi questo errore è causato – come a volte succede –
da proprie personali esperienze che si è portati ad enfatizzare
assumendole come paradigma universale del comportamento delle persone
e delle collettività, è in fondo umanamente comprensibile;
l'importante è non credere – quando si passa a ragionare in
termini politici – che la propria personale esperienza (buona o
cattiva che sia), con le sue illusioni o i suoi rancori (pur talora
motivati), sia l'unica realtà possibile. [Il che – beninteso –
non vuol dire che la propria personale esperienza non conti nulla,
giacché è anche da questa che nascono le legittime rivendicazioni
di ciascuno.]
Per
fare un esempio: chi trovandosi a mangiare in un ristorante di un
Paese straniero, o di una città che non conosce, dopo un pasto
deludente si vede presentare un conto stratosferico, può essere
arbitrariamente portato a pensare che la categoria intera dei
ristoratori di quella nazione o di quella città, se non addirittura
l'intera cittadinanza, sia costituita da imbroglioni e di conseguenza
può addirittura costruire una vera e propria teoria personale della
società e della politica su questo assunto di partenza. Analogamente
può accadere a chi subisce un trattamento sanitario non corretto (e
individua nei medici in blocco, come categoria, il suo “nemico
sociale”), a chi da studente riceve una valutazione ingiusta da
parte di un docente, a chi viene truffato da un operatore finanziario, a chi
scopre che un giornalista ha alterato i fatti che aveva il compito di
riportare in un suo articolo di stampa, ecc. ecc.
Qualche
fatto del giorno e qualche illusione sempreverde
Passando
al caso concreto di un “fatto del giorno” che attrae commenti di
utenti del Web contenenti soluzioni perentorie, presentate in molti
casi come “infallibili e sicure”, non ha molto senso immaginare
che di fronte al problema del disordine politico ora esistente in
Paesi come la Libia (e all'avanzare di movimenti terroristici che da
quello deriva), il dilemma per l'Europa sia tutto nell'alternativa:
bombardare sì o bombardare no – o detto altrimenti, come sostiene
qualcuno, nell'alternativa fra “buonismo” e “non-buonismo”
(ovvero “cattivismo”, come l'ho chiamato poc'anzi).
A
mio modesto avviso, prima di prendere qualsiasi decisione,
bisognerebbe piuttosto prendere atto dello scollamento progressivo
che in quell'area del mondo si sta verificando tra le società e gli
Stati; in altre parole, vi sono alcuni Stati che stanno implodendo,
si stanno liquefacendo, e nel vuoto che per questo si viene a
determinare, che vede il dissolversi di qualsiasi attitudine al
rispetto di autorità politiche che società forse per troppo tempo
compresse e mortificate da regimi crudeli non riconoscono più, si
inseriscono opportunisticamente forze senza scrupoli che mirano a
stabilire su quei territori la loro disumana, insensata e discutibilissima “legge”.
Vi
è chi dice che alcuni Paesi europei e occidentali, fra cui l'Italia
stessa, intervenendo nel conflitto determinatosi in Libia nel 2011 a
séguito delle “primavere arabe”, abbiano spezzato l'equilibrio
politico che un regime come quello di Gheddafi aveva per decenni
garantito. Che l'intervento dei Paesi europei e occidentali sia stato
inopportuno (a dir poco) è fuori di dubbio; ma non perché – in
sua assenza – quell'equilibrio sarebbe potuto durare ancora
all'infinito. Chi coltiva questa illusione (postuma) temo si sbagli.
Lo scollamento fra le popolazioni e gli Stati in certe aree del mondo
va ben al di là di ciò che noi possiamo fare, dire, auspicare,
favorire o impedire [non intervenendo, insomma, avremmo forse
rinviato anche di anni l'appuntamento col “disordine” attuale, ma
non l'avremmo evitato in maniera definitiva].
Gli
interventi esterni, in ogni caso (dovremmo averlo imparato ormai,
spero), non portano “ordine”; uno dei più grandi errori della
politica estera occidentale in questi ultimi decenni è stato quello
di fondarsi sul presupposto che cacciare un dittatore equivale a
instaurare una democrazia. La politica (quella realmente “praticata”,
per così dire) non conosce questi automatismi, purtroppo; ad una
dittatura feroce può seguirne un'altra, talora persino più feroce.
Ciò a cui stiamo assistendo in questi ultimi tempi, poi, è il
costituirsi di dittature senza Stato, senza un territorio ben
definito; Stati implosi vengono attraversati da conflitti che
dividono la popolazione, un tempo apparentemente unita sotto una sola
bandiera nazionale, in molteplici fronti (etnici, tribali, religiosi,
ecc.).
In
uno scenario di questo tipo, il dilemma “bombardare sì /
bombardare no” temo si riduca ad un gioco di società dai macabri
risvolti; si può invertire il tempo, in modo che i frantumi di un
bicchiere appena caduto in terra si sollevino e tornino, come dotati
di una segreta intelligenza, a ricostituire il bicchiere? Non nella
realtà, certo, ma solo in un film, e grazie all'artificio della
moviola o del “rewind”. E così, non c'è bomba che possa
ricostituire l'unità di una nazione andata in pezzi, non c'è bomba
che possa sostituirsi alla volontà di una popolazione.
Qualcuno
può dunque chiedersi: ma allora che fare? Bene, se qualcuno avesse
realmente la ricetta infallibile e perfetta, non staremmo qui a
discutere...
E'
una risposta che delude le ansie di certezza? Ma la politica non
offre certezze granitiche, bensì possibilità che vanno
faticosamente coltivate, giorno per giorno, affrontando tutti gli
imprevisti e le variabili anomale del caso.
La
soluzione migliore, per ogni problema, è sempre quella che lascia un
margine di manovra per tornare sui propri passi se ci si accorge di
aver imboccato la via sbagliata.
Questo
è l'avvio di una risposta, ed è quanto di meglio si possa
offrire oggi...
C'è
chi fa affidamento sui “muscoli” delle “potenze” e delle
“superpotenze” per sentirsi rassicurato; ebbene, le vicende di
questi ultimi decenni dovrebbero averci insegnato che le
“superpotenze” non sono, né potranno mai essere, “onnipotenze”.
L'onnipotenza non appartiene ai singoli, come si sa, ma neppure agli
Stati.
Il
forte può molte cose, ma, al pari di chiunque, fortunatamente non
può tutto.
In
questo momento (sul breve e medio periodo, insomma), rispetto al
problema politico poc'anzi menzionato, possiamo forse ridurre
l'entità dei rischi, persino metterci al riparo, ma non risolvere
alcunché.
E'
duro ammettere che l'imperativo “dobbiamo fare qualcosa”,
che ci fa sentire utili e attivi, nonché virtuosi o perfino
“patriottici”, quando viene messo alla prova dell'azione,
specialmente se si basa sul presupposto un po' disperato che “anche
se non sappiamo bene cosa, qualcosa va comunque fatto”, può
anche tradursi – in certe circostanze e su certi terreni
accidentati – più che in una clamorosa sconfitta (che almeno fa
parte delle regole del gioco “teatrale” di ogni azione), in una
imbarazzante strada senza sbocco. Imbarazzante perché ci rivela che,
con tutto il nostro agire, non siamo andati da nessuna parte, o siamo
finiti in un posto sconosciuto, incomprensibile alle nostre consuete
“mappe”, impiegando energie e tempo senza capire davvero ciò che
stavamo facendo. Un pantano silenzioso, dove non arrivano né
applausi né fischi (troppo perplessi e disorientati i distanti
spettatori e testimoni), che non è esaltante ma neppure realmente
disonorevole; è solo la beffarda-dolorosa risposta “delle cose”
alla nostra ansia del “fare per fare”.
E
se torniamo per un momento al ruolo che attribuiamo alle presunte
“onnipotenze terrene” (nei nostri commenti quotidiani, sul Web e
fuori), ci accorgiamo anche di un altro aspetto imbarazzante. In
questo caso il discorso si può estendere all'idea stessa di
“Occidente”. Quando diciamo “l'Occidente dovrebbe fare X”,
oppure “gli Usa dovrebbero fare Y”, il più delle volte –
e non necessariamente rendendocene conto – etichettiamo i popoli
del cosiddetto “terzo mondo” come eterni minorenni. In
particolare, quando sosteniamo e ripetiamo che ogni problema
politico che si determina in quelle aree del mondo è causato
(sistematicamente...) da un'azione, da una omissione, dalla “regìa”
o dallo “zampino” dell'Occidente, da un lato ricaschiamo nel
culto dell'onnipotenza terrena (delle nostre stesse istituzioni
politiche occidentali, o in alternativa americane: in sostanza,
diciamo o pensiamo che tutto ciò che accade nel mondo è
senza eccezione alcuna deciso, voluto, influenzato,
pianificato e diretto dai governi “nordatlantici”, novelli dèi
dell'Olimpo...) e dall'altro consideriamo i governi e i popoli del
resto del mondo, nella migliore delle ipotesi, come “buoni
selvaggi”, incapaci di intraprendere autonomamente strategie
politiche complesse perché “quasi bambini”, che quando agiscono
male lo fanno perché eterodiretti e succubi ingenui dei “subdoli
(ma intelligenti e maturi!) occidentali”.
Dunque
talora quando diciamo “l'Occidente dovrebbe fare X”,
oppure “gli Usa dovrebbero fare Y”, lo facciamo non perché
riteniamo che il più ricco debba andare in soccorso del più povero
(in questo caso la motivazione sarebbe più lineare e comprensibile),
ma perché sotto sotto pensiamo che “in ultima analisi” se i
“buoni selvaggi” ci creano problemi è perché non li abbiamo
“diretti” bene. In pratica – così pensiamo quando scriviamo
certi commenti (non solo sul Web, ma talora anche su pubblicazioni più o meno autorevoli...) – loro hanno deciso quello che
noi abbiamo “fatto in modo” che decidessero, e dunque sta a noi,
da coscienziosi burattinai, correggere la loro rotta.
Persino
quando da occidentali critichiamo le azioni dell'Occidente, insomma,
il più delle volte non possiamo fare a meno di lodare fra le righe
la potenza, la magnificenza e l'intelligenza “che pari non hanno”
delle nostre “superpotenze”, immaginarie divinità terrene. Tutto
il mondo, in sostanza, non farebbe che girare intorno a noi (oh
illusione...!).
In
conclusione
Come
dicevo, molti commenti ai “fatti del giorno” non svelano granché
dei fatti stessi, ma in compenso rivelano qualcosa circa chi li
scrive o esprime.
Se
si dà uno sguardo ad esempio a ciò che ultimamente si è detto o scritto sul
Web a proposito delle vicissitudini della Grecia, si possono
raccogliere parecchi spunti per riflettere sulle mentalità diffuse;
ma in particolare due tendenze mi paiono qui degne di nota: la
tendenza ad attribuire “colpe” a interi popoli (vecchia, ma a
quanto pare sempre rinnovata), i quali poi – come un “sol uomo”
(che di fatto non sono) – le dovrebbero “espiare” senza neppure
fiatare, e quella di schierarsi numerosi coi più forti, adducendo
motivazioni “tecniche” che spiegherebbero che – per carità –
non perché forti i forti devono prevalere, ma perché... hanno
ragione integralmente, hanno ragione su tutta la linea, e sempre e in
ogni circostanza l'avranno, qualsiasi cosa essi faranno (anch'essa
vecchissima).
Auspici
per il prossimo futuro? Che il Web, mezzo nuovissimo, sia capace di
rinnovare le attitudini e le abitudini mentali, anziché moltiplicare
senza gran costrutto l'eco di quelle vecchie e stagionate. Almeno per
cambiar musica...
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