Frontespizio

Le conclusioni provvisorie sono come i massi che ci consentono di attraversare un piccolo fiume: saltiamo dall'una all'altra, e possiamo farlo di volta in volta solo perché i "massi" precedenti ci hanno portato a quel punto.

«Che cosa rimane del pensiero critico, se rinuncia alla tentazione di aggrapparsi a schemi mentali, a retoriche e ad apparati argomentativi prefabbricati e di sicuro effetto scenico (manicheismo, messianismo, settarismo, complottismo, moralismo e simili...)? Non perde forse la sua capacità di attrarre l'attenzione dell'uditorio distratto facendogli sentire il suono delle unghie che graffiano la superficie delle cose?» può domandarsi qualcuno.
No, al pensiero critico non servono “scene madri” né “effetti speciali”; anzi, quanto più si dimostra capace di farne a meno, tanto più riesce a far comprendere la fondatezza e l'urgenza dei propri interrogativi. (In my humble opinion, of course!)

sabato 9 luglio 2011

In questi dieci anni...

Un decennio è un arco di tempo che riveste in qualche misura un significato simbolico.
Certo, ci si può domandare cosa ci sia di diverso, in fondo, tra 9 anni e 10 anni, o tra 10 e 11; cosa cambia? perché dobbiamo farci condizionare da simbologie arbitrarie, come quelle che si determinano quando attribuiamo un significato speciale alle cosiddette “cifre tonde” (il quinquennio, il decennio, il ventennio, e i relativi bilanci più o meno celebrativi: il decennale, il ventennale...)?

Tutte domande lecite e sensate, che di solito mi pongo.
Tuttavia a volte (non sempre) càpita che entità “simboliche”, come il decennio, per circostanze non facili da definire o spiegare interamente e chiaramente (anche per la molteplicità dei fattori coinvolti), coincidano con cicli effettivi della nostra esistenza, ovvero con periodi che si possono a ragione delimitare idealmente, senza essere per forza “arbitrari”.




In queste occasioni, quel lasso di tempo vissuto – dieci anni! – si trasforma in una specie di inevitabile, irresistibile “palla di vetro” nella quale non possiamo fare a meno di guardare per ritrovare immagini del sentiero ideale che abbiamo percorso.

E il paesaggio che ci càpita di rivedere non è quasi mai deserto: insieme coi nostri cambiamenti, osserviamo anche quelli di chi, a vario titolo, lungo il sentiero ci ha accompagnato, per un tratto breve o lungo. Questo perché i nostri percorsi non si definiscono mai in condizioni di solitudine “assoluta”: le persone con cui abbiamo intessuto relazioni (di qualsiasi genere: amicizia, affetto, condivisione di idee...) sono co-protagoniste della nostra esperienza di vita, hanno contribuito a renderla possibile e a configurarla in una determinata maniera piuttosto che in un'altra; sicché il “sentiero” stesso non avrebbe alcun senso se non fosse popolato – o meglio: non avrebbe senso ripercorrerlo col pensiero, poiché nulla avrebbe da dirci.


Da un po' di tempo mi accade di soffermarmi a pensare che vari fatti per me importanti siano capitati nel decennio che va dal 2001 ad oggi; forse anche perché registro con frequenza sempre maggiore l'esistenza di trasformazioni che riguardano non tanto me, ma piuttosto le persone che in un modo o nell'altro mi hanno idealmente accompagnato per qualche tratto lungo il “sentiero” di questi dieci anni.

Ma i loro cambiamenti in realtà riguardano anche me, nel senso che da un lato riflettono i miei personali cambiamenti, che dall'interno non posso percepire adeguatamente senza l'altrui “specchio” (a mio giudizio, non possiamo afferrare il passare del tempo in tutta la sua portata se non osservandone le tracce nelle persone a noi prossime), e dall'altro, lo sguardo puntato sulla differenza fra l'“adesso” e il “dieci anni fa”, moltiplicata per tante esperienze di vita a me vicine, mette alla prova le speranze che insieme ad altri ho coltivato in questo periodo, facendomi verificare quanto e fino a che punto ci siamo illusi, ingannati, ricreduti, consolati o semplicemente adattati a un “ambiente” più forte di noi.

Mi sono accorto insomma di aver condiviso, lungo l'arco di questi dieci anni, progetti e speranze decisivi con persone per me importanti, e oggi mi chiedo che strada abbiano fatto le energie che in questo tempo abbiamo dimostrato di possedere. Le risposte si colorano perlopiù di toni che posso definire soltanto con questa espressione: rabbia malinconica.

Qualcuno, dopo aver esaurito tutte le illusioni possibili in patria, è andato nel frattempo all'estero a lavorare, e oggi mi manca. Qualcun altro ha adottato un figlio, realizzando così almeno un possibile microcosmo di solidarietà e amore, in mancanza di “macrocosmi” più accettabili.

Una brillante studiosa, dopo aver attraversato questo decennio senza ottenere da noi i riconoscimenti che avrebbe meritato, ha finalmente, grazie soltanto alla sua tenacia, ricevuto prestigiosi incarichi all'estero; e se oggi si permettesse di guardare dall'alto in basso lo Stivale, avrebbe inoppugnabili motivi per farlo, anche volendo escludere quelli puramente geografici...

(E a proposito dell'espressione “fuga dei cervelli”, penso che in essa il termine “fuga” non corrisponda al vero, in molti casi: più corretto sarebbe parlare di “ostracismo (a danno) dei cervelli”, con conseguente esilio forzato.)



Un'amica a me cara, che ha tentato con notevole successo iniziale (premi, riconoscimenti) e numerose speranze la strada dell'arte figurativa, ormai, stanca di bussare a porte che si aprivano solo per regalare menzogne, ha messo in pensione anticipata la sua dote principale, l'immaginazione creativa – che ne caratterizzava ogni momento estroso di vita – e accettando un matrimonio di ripiego, come una dama "rispettabile" del passato, si è confinata in una vita di provincia lontana dalle sue autentiche capacità e aspirazioni.

Un'altra amica, che dieci anni fa era una scrittrice di talento, promettente (anche lei ha vinto premi), ha dovuto adattarsi a traversie stremanti, adeguandosi per vivere a lunghi periodi di “lavoro precario” che non le davano alcuna sicurezza e in più la distoglievano dalla sua vera vocazione, rendendola quindi ulteriormente insoddisfatta; e oggi non crede più nella letteratura, perché ritiene che questo tempo non ci consenta di rifugiarci nell'immaginazione: mentre noi “ci rifugiamo”, infatti, il “sistema” implacabilmente ci sfrutta e ci danneggia. Quindi – così lei oggi sostiene – non di finzione dobbiamo vivere, ma di controinformazione e contestazione permanenti, instancabili, inesorabili, sacrificando ogni tentazione di compromesso e anche i nostri sogni di una tranquilla “realizzazione affettiva”, se necessario: infatti non sogna più la “famiglia felice”, dopo varie delusioni subite, e resta volutamente “ai margini” di tutto, patendo in sovrappiù gli insulti dei benpensanti offesi dagli argomenti della sua contestazione radicale.

Riflettendo su queste due amiche, ritengo che in tempi meno ingrati e cinici avremmo forse potuto avere due talenti artistici in più, o almeno due persone che, guardando con fiducia al mondo e all'avvenire, avrebbero potuto costruire a loro volta intorno a sé un ambiente felice. Invece no...

Ma mi sono limitato a fare qui solo alcuni esempi, i primi che mi venivano in mente. Credo che questi siano tempi di dissipazione, nei quali i talenti vengono quasi ovunque scoraggiati, come se il nostro sistema sociale potesse permettersi il lusso di sprecarli così e di buttarli via...

Forse il decennio di cui parlo è un decennio come tanti altri, non particolarmente significativo, se considerato dal punto di vista distaccato dello storico, del sociologo o della “generalità”: non so. A mio parere, comunque, in questi anni le promesse che il nostro modello di vita fa sono sempre più alte, e quindi l'abisso di delusione che poi induce con la sua “ingratitudine”, o meglio col suo modo di agire come una “bisca clandestina” che trucca spudoratamente il gioco a vantaggio di pochi privilegiati di “corazza corporativa” muniti, è sempre più profondo.

Ma anche se l'esempio di questo decennio tra i tanti fosse solo un pretesto per riflettere sull'incapacità, che ci circonda, di accogliere adeguatamente progetti e volontà di giovani carichi di idee e di talento, sarebbe già importante.

Dov'è la decantata “efficienza” dei nostri tempi? Questo vero e proprio spreco di energie è efficienza? è efficienza la preferenza obbligata per il mediocre purché “di corazza munito”? ha un senso? e se sì, quale?

Chissà, forse per qualcuno saranno domande retoriche; ma secondo me la platea alla quale dare risposte si fa ogni giorno più ampia, giacché la sua ampiezza è direttamente proporzionale alle delusioni che subisce ad opera della gigantesca “bisca dissimulata” che questo modello di vita è diventato.

Intanto io rivado di quando in quando con la mente alle conversazioni che avevo dieci anni fa con questi ed altri amici, o alle giornate che passavamo insieme, e mi prende l'umana nostalgia per le nostre costruzioni lasciate a metà e coperte ora dall'invisibile ma spessa sabbia del tempo.

Non che adesso ogni speranza sia impossibile: anzi, nuovi progetti prendono forma lungo il cammino, per me o per altri; e – segno sempre positivo – non è certo la rassegnazione la nota dominante di questi tempi. Però a livello soggettivo resto affezionato, se così posso dire, alle speranze che avevo maturato agli inizi di questo decennio che si sta concludendo, e alle persone con cui le avevo condivise, quindi continuo a considerarle – le speranze e le persone – un punto di riferimento costante, uno “specchio” ideale che non posso e non voglio abbandonare in soffitta.

E l'avara macina del tempo se ne faccia una ragione!




6 commenti:

  1. Ciao :-)
    Interessanti riflessioni, come sempre, le tue.

    Per me la situazione è precipitata nel momento in cui i media (soprattutto la televisione) hanno fatto passare il messaggio che chiunque potrebbe divenire "famoso", a patto che "appaia" pubblicamente. Ciò che conta non è più il talento, la capacità, il sacrificio e la fatica spesi per realizzare un progetto (di qualsiasi natura sia, artistico, lavorativo ecc.), bensì avere i famosi cinque minuti di notorietà.
    C'è stato un appiattimento notevole verso il basso. Sono tutti tuttologi, tutti che vanno in tv a fare gli esperti (ricordo, una delle ultime volte che accesi la tv, un certo Dj Francesco che parlava in una trasmissione di anoressia, e mi domandai quali competenze di tipo medico e psicologico avesse per potersi permettere di affrontare un argomento tanto delicato, soubrettine che discutono di casi di cronaca e di argomenti che richiederebbero approfondimenti ben più complessi e così via) e allora in mezzo a tutto questo marasma si è finito per perdere di vista cosa significhi davvero essere particolarmente dotati, avere un talento - vero - o possedere determinate e specifiche capacità.
    Sai cosa penso? Che il bello ed il brutto dei tempi attuali è che chiunque possa dire la sua.
    E' meravigliosa ad esempio questa possibilità che offre internet di scrivere a chiunque, ma è anche destabilizzante perché in mezzo a tante opinioni - talvolta espresse in maniera confusa, anche linguisticamente parlando - si rischia di prendere per valida qualsiasi informazione e di far passare tutti per dei provetti "geni".
    A volte mi stupisco della facilità con cui tanti dicono: "ah, quello è un genio".
    La verità è che oggi l'unica moneta che paga è quella della mediocrità.
    Vuoi avere successo? Sii mediocre.

    Tempo addietro guardai su youtube un'intervista di Daria Bignardi a Fabio Volo (conduttore, scrittore, attore) che, personalmente, trovo molto simpatico, anche intelligente, ma di certo non lo definirei un genio o un artista eccezionale. Ha scritto dei romanzetti, che sono, appunto... romanzetti. Gradevoli, scorrevoli, ma di una banalità e di un generalismo davvero disarmanti. Eppure ha avuto molto successo.
    Allora Daria Bignardi gli chiese come mai, secondo lui, avesse avuto tutto questo successo. Sai cosa rispose? "Perché sono un mediocre".
    E lì mi piacque moltissimo. Perché era vero.
    E secondo me è la televisione ed anche internet che hanno contribuito a questo livellamento qualitativo verso il basso.

    (segue)

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  2. Il problema dei "cervelli in fuga" poi è sicuramente causato dalla mancanza di fondi che hanno le università o i vari istituti (di ricerca, artistici ecc.) italiani (una mia amica laureata in biologia aveva intrapreso il dottorato, ma poiché non la pagavano alla fine è stata costretta a trovarsi un lavoro qualsiasi, e poi comunque le mettevano continuamente freni sui progetti che voleva perseguire sempre perché mancava il denaro per acquistare questo o quell'apparecchio ecc.), ma anche dall'unico vero valore che oggi sembra divenuto importante e cioé: essere fonte di reddito.
    Nell'editoria, nel mercato dell'arte, nel cinema, nella musica, in qualsiasi ramo artistico, se non sei un soggetto che può garantire un forte riscontro economico, non ti producono nulla. Non si cerca più la qualità, bensì il riscontro economico. E cos'è che garantisce un riscontro economico? La visibilità, la notorietà. E come si ottiene la visibilità, la notorierà? Attraverso il passaggio in tv. Se non passi attraverso la tv, non sei nessuno. Quindi, per accontentare il pubblico di massa che segue la tv, si deve abbassare e livellare la qualità al fine di per raggiungere una fetta di pubblico più ampia possibile.
    Ti porto un altro esempio per farti capire questa cosa che sto dicendo.
    Ho un amico che è un cantante lirico e musicista molto bravo. Ha studiato al Conservatorio, ha una voce bellissima. Non riesce ad emergere. Ogni volta che tenta delle strade, si sente ripetere sempre la solita domanda: "hai fatto X-Factor?", "hai partecipato a qualche trasmissione televisiva"? E quando lui risponde di no, allora si sente replicare: "niente da fare".

    Non interessa più accogliere e proteggere persone davvero talentuose, ma solo persone che possano produrre denaro.

    Tutto questo scoraggia e porta pian piano a rassegnarsi, ad abbandonare i progetti; la frustrazione ed il crollo dell'autostima che ne derivano minano e devastano le fondamenta della società. Ed è un circolo vizioso perché più ci si sente frustrati e più ci si indebolisce e si finisce per restare intrappolati nei meccanismi deleteri che hanno portato al collasso questa società.
    Uno potrebbe essere anche il genio più grande mai esistito, e saperlo, e crederci, ma se non avrà riscontro, smetterà di crederci anche lui.
    E allora, come è successo alle tue amiche, finisci per rassegnarti o rifugiarti in altro.

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  3. P.S.:
    quando poi i soggetti migliori di una società (chi ha il talento, chi ha davvero qualcosa da dire, chi potrebbe raggiungere dei traguardi volti a migliorare le attuali condizioni di vita, a far progredire la civiltà, e penso a tutti i settori possibili, arte, scienza ecc.) vengono (o direttamente, o indirettamente) messi da parte, cosa succede alla società stessa? Che si degrada sempre più. Che procede di male in peggio. Il peggio impera.
    E dominano la mediocrità, la volgarità, le regole del profitto.
    Probabilmente siamo soltanto in una fase di decadenza. Si spera che poi, dopo aver fatto il tonfo, ci rialzeremo.

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  4. Ti ringrazio per il tuo commento, che come sempre è a sua volta una fonte di ulteriori riflessioni.
    Pensa che proprio ieri sera una mia amica, sul suo blog, partendo da considerazioni su come sia cambiato il Web in un quindicennio di vita, arrivava poi, rispondendo a un mio commento, a conclusioni simili alle tue, cioè che oggi ognuno si sente autorizzato, sul Web ma anche fuori, a ritenersi un grande artista, un grande scrittore, ecc., e tutti insomma si sentono autorizzati ad auto-proclamarsi genii. Non ci sono più "filtri" che possano fare la differenza, premiare il talento, entrare nel merito delle competenze, verificare il valore reale delle "medaglie" che ci appuntiamo sul petto.
    E il fatto è che non sono solo il Web o la televisione (come giustamente fai notare) a incoraggiare questa tendenza. E' scaduta anche la qualità dei "selezionatori" istituzionali - come dicevo anche a quest'amica: oramai gli editori, i cosiddetti "grandi" in primo luogo (maggiormente responsabili, per l'oligopolio di fatto che si sono costruiti nel "mercato"), non sanno più selezionare i veri talenti, mandano in libreria cose mediocri e deludenti che cercano di spacciare per "il meglio che ci sia". Credo che il talento tuttora esista, in giro (ci mancherebbe!); non è morto, ma sta altrove, loro non lo sanno più distinguere, anche perché (come tu dicevi) inseguono altri parametri, come il "ritorno economico" immediato.
    Inoltre, come se questo non bastasse, non hanno più al loro interno standard qualitativi decenti: ci sono "grandi" case editrici, in passato famose per la cura che mettevano nelle loro pubblicazioni, prive di refusi ed errori di stampa, e (in caso di libri di autori stranieri) con traduzioni esemplari, che invece adesso sfornano libri con un editing sciatto, con un refuso ogni dieci pagine, traduzioni approssimative, da correggere severamente con la "matita rossa e blu"...

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  5. E' vero evidentemente che si fa di tutto per far prevalere la mediocrità. Forse perché rassicura, illude che tutto sia a portata di mano, che "l'uomo della strada" in questo sistema sociale possa realmente essere "l'eroe", come tanta cinematografia statunitense ci ha raccontato negli anni.
    Sicuramente c'è un contenuto democratico importante in questo; lo stesso fatto che il Web permetta a chiunque di esprimersi e di rivolgersi potenzialmente a tutti/e, è una grande opportunità di quest'epoca, che non sottovaluto. Però ogni grande opportunità espressiva o comunicativa è un canale attraverso cui emergono tutte le "facce" dell'essere umano, e questa non fa eccezione.
    Voglio dire che, se usato bene, il Web può essere strumento di informazione e conoscenza molto più potente di quelli del passato, perché arriva (quasi) ovunque e "in tempo reale" (quindi può essere aggiornato e arricchito di dati continuamente); ma può anche offrire un palcoscenico eccessivamente ampio (e quindi una forte tentazione di protagonismo) alle frustrazioni e ai risentimenti personali, alla mitomania, alla millanteria e alle manie di persecuzione di persone non in grado di costruire in maniera sana rapporti sociali.
    Siamo ancora nella fase della sperimentazione, forse, e non siamo capaci di trovare un equilibrio soddisfacente fra le potenzialità costruttive e i rischi.
    Poi condivido pienamente quel che dici sull'"impoverimento" spirituale progressivo (per così dire) di una società che mortifica il talento e costringe alla resa le persone più creative e brillanti.
    Credo che sia molto più grave, alla lunga, degli impoverimenti "materiali", ai quali pure stiamo assistendo.

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  6. "... ma può anche offrire un palcoscenico eccessivamente ampio (e quindi una forte tentazione di protagonismo) alle frustrazioni e ai risentimenti personali, alla mitomania, alla millanteria e alle manie di persecuzione di persone non in grado di costruire in maniera sana rapporti sociali"

    Esatto. Intendevo proprio anche questo.
    E condivido anche la fase della sperimentazione come probabile causale.
    E' strano, da una parte mi sembra di assistere ad una civiltà nel pieno della decadenza, dall'altro stiamo sperimentando tante cose nuove (il web è uno dei fattori più determinanti).
    Dovremmo avere la capacità di osservare con distacco, per poter meglio comprendere certe dinamiche. L'essere direttamente coinvolti certamente non aiuta. Ma temo sia cosa impossibile; in effetti ogni analisi delle società e civiltà del passato è stata possibile solo a posteriori, mai mentre era ancora in corso.

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