Frontespizio

Le conclusioni provvisorie sono come i massi che ci consentono di attraversare un piccolo fiume: saltiamo dall'una all'altra, e possiamo farlo di volta in volta solo perché i "massi" precedenti ci hanno portato a quel punto.

«Che cosa rimane del pensiero critico, se rinuncia alla tentazione di aggrapparsi a schemi mentali, a retoriche e ad apparati argomentativi prefabbricati e di sicuro effetto scenico (manicheismo, messianismo, settarismo, complottismo, moralismo e simili...)? Non perde forse la sua capacità di attrarre l'attenzione dell'uditorio distratto facendogli sentire il suono delle unghie che graffiano la superficie delle cose?» può domandarsi qualcuno.
No, al pensiero critico non servono “scene madri” né “effetti speciali”; anzi, quanto più si dimostra capace di farne a meno, tanto più riesce a far comprendere la fondatezza e l'urgenza dei propri interrogativi. (In my humble opinion, of course!)

martedì 17 luglio 2012

Dello scambiare ipotesi per certezze “assolute”, ovvero: Dialogo fra un Dogmatico e un Prudente


Quando si verifica un fatto di cronaca piuttosto eclatante o addirittura scioccante, il primo effetto che suscita è – dopo l'iniziale istante di sorpresa o di sconcerto – la produzione di opinioni. E' anche comprensibile; ciascuno di noi ha bisogno di dare forma al fatto “eclatante”, ossia di provare a comprenderlo; ma non si può comprendere un fatto, del quale si sa poco (se non alcune scarne coordinate, come: il luogo e l'ora in cui è avvenuto), se prima non si cerca di raffigurarselo, e soprattutto di raffigurarne le cause e le motivazioni.

Il problema è che questa ricerca della spiegazione, in assenza di dati “tangibili”, finisce troppe volte per mescolare in maniera arbitraria e confusa i dati certi con le ipotesi e le interpretazioni personali (influenzate inevitabilmente dalla “visione del mondo”, o del comportamento umano, che ciascuno ha).

Si slitta così – spesso inavvertitamente – dal bisogno di certezze alla convinzione granitica (benché basata solo su vaghe congetture e supposizioni), sicché il bisogno di avere una (qualche) certezza si trasforma esso stesso in raggiunta certezza, senza passare attraverso alcuna plausibile verifica.


Nei casi estremi (ma non infrequenti...) una personale fantasia – paragonabile a una sorta di dettagliata sceneggiatura cinematografica – riguardo a un determinato fatto di cronaca prende interamente il posto della realtà, e chi elabora quella “fantasia” (a quella affezionandosi) non soltanto trascura ogni elementare cautela e prudenza nella ricostruzione di un fatto del quale oggettivamente si sa poco, ma addirittura nega categoricamente la validità di qualsiasi ipotesi difforme e di qualsiasi dato che contraddica – in tutto o in parte – la “fantasia” stessa. Davanti a una “fantasia” così (tenacemente) amata, per il soggetto che la elabora, insomma, non c'è evidenza che tenga.

Ultimamente abbiamo assistito al trionfare di ipotesi che vedevano forzatamente “retroscena politici” anche laddove non c'erano elementi sufficienti a indicarne la probabilità. Si vedono ovunque all'opera “oscure trame”, anche per la voglia diffusa di offrire spiegazioni “romanzesche” (delle quali, come già scrivevo altrove, la principale – da lungo tempo sulla cresta dell'onda – è la “teoria del complotto”, in una delle sue infinite varianti) a pasticci e fattacci (e persino a disgrazie tipicamente non dipendenti dagli esseri umani, come i terremoti!) che per la loro gravità fanno riflettere, indignare (e fantasticare a più non posso) cittadini e lettori di giornali.

Talora, come avviene in varie vicende umane, non è facile trovare una spiegazione per alcuni di questi “fattacci” (ad esempio per alcuni delitti eclatanti – che restano quindi “misteriosi” quanto a movente, mandanti ed esecutori) e, quando la si trova, càpita a volte che sia talmente incredibile da non coincidere (e non coincide quasi mai, in effetti...) con quella che la logica o le congetture di Tizio e di Caio (tutti pieni dei loro “Lo so io! Ve lo spiego io!”) avevano “predetto”.

Ad esempio, un noto recente fatto di cronaca è stato classificato freneticamente, nel giro di pochi giorni, come “terrorismo”, poi come “opera della mafia”, e ancora come “trama destabilizzante”, come “opera della criminalità comune”, o di “un pazzo seriale”, o di un “asociale”, per poi ricominciare da capo...

Il problema non sta – ovviamente – nel formulare ipotesi; sta invece nel proclamare – anche laddove prove non ci sono né s'intravedono – che la tale ipotesi (la nostra, guarda caso!) è l'unica giusta e dunque l'unica e definitiva verità sulla vicenda in questione. E' questo atteggiamento dogmatico o “fondamentalista” (che in tali casi fa per giunta riferimento a congetture personali e non a “fedi” plurisecolari...), e talora addirittura aggressivo (“Ma come? Non mi credi? Come osi? Io so di aver ragione, e basta!”) che non (mi) convince.

Facendo queste riflessioni, ho immaginato un dialogo fra due personaggi, che cerca di illustrare la mentalità del dogmatico di cui parlavo ora, intento a misurarsi con le obiezioni di un prudente. La loro conversazione verte su un fatto di cronaca X sul quale non vi sono certezze: o meglio, non vi sono certezze per nessuno tranne che per il dogmatico, che ha già la sua brava teoria “certissima” in proposito (ne ha sempre una su qualsiasi avvenimento del quale i giornali e i media parlino).

Dialogo fra un Dogmatico [DM] e un Prudente [PR]

DM – «E' andata così, non c'è alcun dubbio.»

PR – «Come fai a dirlo? Mi è impossibile avere la tua stessa certezza...»

DM – «E' perché ti fai abbindolare dai media

PR – «Anche alcuni media hanno fatto le loro brave ipotesi, ma francamente non ho trovato nemmeno in quelle elementi sufficienti per ritenerle attendibili. O meglio, posso benissimo ritenerle ipotesi, ma nulla di più. Non sono assolutamente certezze, visto che si basano tutte, compresa la tua, solo su congetture e supposizioni.»

DM – «Non puoi metterle sullo stesso piano. Le loro ipotesi sono inverosimili, la mia invece regge: quindi è più che un'ipotesi... anzi sono certissimo che la verità sia quella che dico io.»

PR – «Ma io non escludo a priori che tu possa aver visto giusto; se mi dài qualche elemento concreto, sarò il primo a darti ragione.»

DM – «Prove inoppugnabili non ne ho, se è questo che intendi... Del resto chi ce le ha? Le prove quelli lì le fanno sparire. Sono bravissimi in questo. Però posso dirti una cosa: la spiegazione che do io è l'unica ad essere completamente logica, dall'inizio alla fine; quelle degli altri non si reggono in piedi, mancano parecchi dettagli. Io invece ho messo tutti i tasselli al posto giusto, quindi l'ipotesi che faccio è valida. Tutto combacia, tutto quadra...»

PR – «Quindi è come se tu sapessi già chi ha agito, chi ha commesso il fatto e perché... Eppure gli investigatori non hanno le tue stesse certezze, nonostante abbiano sottomano tutte le prove e tutti i dati che tu non puoi avere.»

DM – «E chi ti dice che invece loro non sappiano già tutto? Se non agiscono, se non arrestano il colpevole è perché vogliono coprire qualcuno... qualcuno che sta molto in alto, te lo dico io!»

PR – «Come fai a saperlo?»

DM – «In questa faccenda c'è qualcosa che non quadra...»

PR – «Ti faccio notare che poco fa dicevi il contrario...»

DM – «Che c'entra? E' la mia ipotesi che quadra... proprio perché sostiene che la cosa non quadra. Non la raccontano giusta. Ci sono implicazioni molto in alto, ecco perché fanno tanto mistero... vogliono coprire i veri colpevoli, pezzi grossi, grossissimi...»

PR – «Insomma tu, standotene comodamente a casa tua, ne sai più di tutti gli investigatori messi insieme... anche se non sei stato sul luogo del fatto e non hai raccolto quindi nessuna prova sul campo – nessuna prova concreta, intendo, che non si limiti al “sentito dire” o alla fantasticheria.»

DM «Ma ti ripeto che la mia ricostruzione regge, è logica, fila dall'inizio alla fine senza contraddizioni.»

PR – «D'accordo, ma le tue sono solo ipotesi! Ipotesi, non certezze... Non ti ho mica negato il diritto di formulare ipotesi. Quello che ti contesto è che scambi le pure ipotesi per certezze assolute – anzi per le uniche certezze possibili – e così facendo trasformi un semplice parto della tua fantasia nella realtà, senza passare attraverso il vaglio di una verifica seria e convincente. Pensi che ti basti la tua immaginazione per comprendere la realtà anche di fatti ai quali non hai personalmente assistito, e di cui ti sei fatto una semplice vaga idea solo leggendo giornali e ascoltando notiziari, gli stessi che abbiamo letto o ascoltato io e tanti altri...»

DM «Ma io sento che è come dico io; ho la sensazione che le cose siano andate in quel modo, e le mie sensazioni non sbagliano mai. Insomma, sono certo di aver ragione, e non solo perché – come ti ho detto – la mia ricostruzione è la più logica, ma anche perché a intùito, a pelle, sento che è così. Ti basta?»

PR «No, non mi basta affatto: mi spiace dirtelo.»

DM «E' perché sei prevenuto: sei uno scettico e un incredulo, certe cose non potrai mai riuscire a capirle.»

PR «Sono uno scettico solo perché vorrei prove più consistenti delle tue intuizioni e ricostruzioni logiche? Ti faccio notare che da un lato sostieni che la tua convinzione è l'unica giusta soltanto perché è la più logica, e dall'altro, per chiudere ogni discussione, fai appello alle tue sensazioni: il che non è molto coerente, a mio giudizio. Che legame c'è fra la logica e le sensazioni “a pelle”? Come puoi conciliare la tua convinzione secondo la quale la tua ricostruzione dei fatti è la migliore in quanto la più logica – e quindi l'idea che la logica spieghi la realtà meglio di qualsiasi altra cosa – con il primato delle sensazioni, che invochi quando dici di “aver ragione perché lo senti a pelle”?»

DM – «Dico soltanto che una cosa rafforza l'altra. Se tanto la logica quanto le sensazioni concordano, vuol dire che la mia convinzione è vera, anzi è l'unica vera

PR – «Un altro bel teorema, che è tutto da dimostrare... Ammetto che le sensazioni sono importanti: molte volte proprio a partire da una semplice intuizione sono nate grandi scoperte scientifiche; però, appunto, la sensazione in sé non dimostra nulla; diventa significativa soltanto se poi, alla luce di verifiche empiriche, si rivela fondata. Infatti, così come ci sono state intuizioni e sensazioni “illuminanti” che hanno portato a grandi scoperte, nella storia del sapere umano ci sono state anche intuizioni e sensazioni sbagliate, ingannevoli o fuorvianti. Anche Aristotele, in base alle sue “sensazioni” e intuizioni, che si sono poi rivelate in buona misura errate, ha costruito una sua teoria del mondo fisico e del cosmo; e per millenni si è dato credito alla teoria dei “quattro elementi” fondamentali, sempre sulla base di intuizioni e sensazioni sbagliate. Anche i sostenitori del sistema tolemaico, in base alle loro “sensazioni”, potevano ritenere di aver ragione. E poi è arrivato Copernico a smentire la fondatezza di quelle “sensazioni”. Il fatto è che il più delle volte le nostre “sensazioni” sono influenzate dalle nostre abitudini, dalle nostre convinzioni sedimentate (non sempre giuste), dalle nostre preferenze e persino dai nostri desideri, dalle nostre aspettative e dalle nostre antipatie e simpatie... quindi sono tutt'altro che infallibili.»

DM – «Ma ti ho detto che io non mi baso solo sulle mie sensazioni, ma anche sulla logica... e la logica non sbaglia mai: questo lo ammetterai, almeno, no?»

PR – «Tu la fai troppo semplice: permettimi di dirtelo...»

DM – «E tu, oltre che uno scettico, sei un pignolo incontentabile!»

PR – «Non si tratta di pignoleria; stiamo cercando di accertare la fondatezza e la attendibilità di una teoria, che per inciso è la tua. E comprenderai che una tesi non è fondata o attendibile solo perché tu – o chiunque altro – la crede tale.»

DM – «Ci mancherebbe! Infatti io parlavo di elementi oggettivi, evidenti.»

PR – «Oggettivi? Sorvolo su questa tua asserzione... Ti faccio invece notare che tu adoperi la logica come verifica empirica delle tue sensazioni e contemporaneamente adoperi le tue sensazioni come verifica empirica del ragionamento logico. Crei insomma una specie di “corto circuito” argomentativo, in cui ogni elemento rinvia continuamente all'altro, sicché finisci per far passare le tue affermazioni per prove a sostegno di sé stesse! Dài per “intrinsecamente dimostrato” proprio ciò che dovresti dimostrare, come se le tue affermazioni fossero “autoevidenti”. E invece, se andiamo a guardare in dettaglio gli elementi da cui sono composte, troviamo soltanto congetture, deduzioni basate su congetture e “sensazioni”. Nient'altro. Niente che ci dia la minima ragionevole certezza. Intendiamoci – e del resto te l'ho già detto: le tue congetture, deduzioni e “sensazioni” potrebbero anche essere “nel giusto”, ma in mancanza di riscontri obiettivi, restano soltanto quello che sono, ovvero congetture, deduzioni basate su congetture e sensazioni “a pelle”. Non certezze.»

DM – «Bah... sarà... ma non hai potuto obiettare nulla sulla logica. Ripeto, è quella la prova più importante che dimostra come la mia tesi sia valida.»

PR – «Mi accingevo a trattare anche questo punto, non preoccuparti. Sappi che la logica di solito è sopravvalutata da chi non la conosce realmente. Tu credi davvero che gli avvenimenti del mondo e i comportamenti umani si spieghino semplicemente attraverso la logica? Se credi questo, ti sbagli fondamentalmente per tre motivi: a) innanzitutto, la logica, lungi dall'essere “perfetta”, ha limiti, e reca in sé insidie e “trappole”, che chi l'ha seriamente studiata ben conosce (e quindi chi adopera le argomentazioni logiche in maniera poco accorta o “dilettantesca” rischia di aggrovigliarsi, senza neppure rendersene conto, in una qualche fallacia, cioè appunto in una delle “trappole” della logica e del ragionamento in genere); b) in secondo luogo, non tutti i comportamenti umani hanno una motivazione strettamente logica; c) in terzo luogo (in parte anche in conseguenza delle due considerazioni precedenti), forse è difficile che una scienza come la logica, che non riesce a dar conto del proprio fondamento e non sempre sa rimediare alle proprie “falle”, possa fungere da spiegazione universale del comportamento umano e degli eventi del mondo. In conclusione, non è affatto detto che un'ipotesi di spiegazione riguardante un accadimento umano sia più vera di un'altra solo perché “a tavolino” sembra essere la più logica

DM – «Allora secondo te la logica non conta nulla? Tutto ciò che succede nel mondo è governato dal “caso”?»

PR – «Non ho detto che la logica “non conta nulla”. E poi, stai mescolando cose diverse. Il “caso” non è il perfetto contrario della “logica”. Se a volte ci sembra che gli avvenimenti del mondo siano governati dal “caso”, è perché le cause di quegli avvenimenti, o le variabili che contribuiscono a determinarli, sono talmente tante e s'intrecciano in maniera talmente complessa e imprevedibile, che non riusciamo a districare la matassa e a fare chiarezza; ma questo non vuol dire che quegli avvenimenti non abbiano precise cause. Non siamo però in grado di individuarle e di enumerarle – se non in via puramente ipotetica e con molta vaghezza.»

DM – «Ah, quindi mi stai dando ragione: la logica conta, nella spiegazione degli avvenimenti!»

PR – «Vacci piano! Ancora una volta mi pare che tu stia facendo confusione... Secondo me, dobbiamo liberarci da un equivoco: mi sembra che tu abbia la tendenza a dare rilievo a un'idea di “logica” astratta o idealizzata, o per meglio dire “disincarnata”, e con quella pretendi di comprendere gli avvenimenti; invece trascuri l'importanza della “logica spicciola” (che potremmo meglio definire come logica settoriale”, particolaristica e contingente”), che ritengo abbia molto più peso, nel campo delle scelte e delle decisioni umane. Per “logica spicciola” io intendo la nozione che ciascuno di noi si è fatto, nell'esperienza quotidiana, del meccanismo (non necessariamente “logico” nel senso rigoroso del termine) che governa questa o quella situazione nella quale ci siamo trovati.

Ad esempio, lavoriamo in un'azienda o in un ufficio Z, e col tempo abbiamo imparato a districarci fra le mille situazioni e i mille ostacoli che abbiamo trovato nell'attività giornaliera, acquisendo una “sapienza pratica” che contiene in un certo senso la “logica del sistema” in cui siamo inseriti; sappiamo cioè che se vogliamo ottenere un effetto X (ad esempio una certa concessione dal nostro “capo”), dobbiamo muoverci nel modo Y, dicendo determinate cose e non altre, cogliendo il momento giusto, eccetera. Si tratta però di una “logica” molto particolare, che conosce solo chi l'ha appresa “dal vivo” operando dentro quel particolare sistema (nell'esempio, l'azienda Z) e che, valutata in termini di “logica rigorosa”, può perfino risultare in realtà “illogica”. Per farti un esempio: secondo te gli sprechi, o le spese spropositate, in un'organizzazione economica teoricamente votata all'efficienza hanno senso dal punto di vista della “logica astratta” che dovrebbe governarle? Risponderesti sicuramente di no, a questa domanda, lo so; eppure, nella realtà, possiamo trovare organizzazioni economiche, come l'immaginaria azienda Z del nostro esempio, che si permettono sprechi o spese eccessive in certi settori, perché, attraverso una logica differente da quella che noi ci aspettiamo di trovare lì, si ripromettono altri vantaggi che non sono semplicemente “ragionieristici” oppure obbediscono a “logiche” che probabilmente, da osservatori esterni, ci sono ignote (rapporti di buon vicinato, usi locali, favoritismi di tipo “politico” o nepotistico, ambizioni di potere degli imprenditori e manager dell'azienda Z, e infinite altre “variabili”).

Si possono fare innumerevoli altri esempi del genere, perché esistono infinite “logiche spicciole” di quel tipo, forse addirittura tante quante sono le situazioni di vita nel mondo. E addirittura, all'interno di ogni singolo “sistema” possono esistere più “logiche” che s'intrecciano: si pensi a un nucleo familiare: esisteranno in quel caso non solo una “logica” complessiva del “sistema”, ma anche una “logica” del padre, una della “madre”, una per ciascuno dei figli... Eh sì, perché ad esempio la figlia A adolescente sa che se vuole qualche soldo in più per fare shopping, deve adoperare una determinata “strategia” col padre e un'altra con la madre, e magari combinarle sapientemente; il padre a sua volta imbastisce proprie strategie (magari fatte anche di “coccole” e frasi dolci) per rassicurare la moglie – giacché conosce la “logica” del proprio rapporto con lei – e per potersi ritagliare qualche ora di autonomia – forse per una “scappatella”? – senza creare allarmi in lei.

E si potrebbero fare tanti altri esempi... I più significativi, però, per comprendere quel che voglio dire, sono quelli che riguardano le azioni motivate da passioni, anche negative, come il risentimento. Ci sono persone che, per vendicarsi di qualche torto subìto (magari soltanto immaginario), mettono in atto strategie contorte, macchinose, talvolta persino indecifrabili (anche per coloro che ne sono vittime): come si può utilizzare la “logica” (quella “astratta”, universale, “pura”) per comprendere queste azioni a volte del tutto irrazionali?

Il bello, insomma, è che se tu dall'esterno osservi tutti questi “microcosmi” di vita, puoi benissimo non capire le “logiche” (“particolaristiche”, settoriali e contingenti o addirittura soggettive) che li governano; e se pretendi di interpretarne le dinamiche attraverso la tua logica, o attraverso un'idea astratta e generale di “logica”, rischi in realtà di non capire niente e di fraintendere ciò che pretendi di spiegare.

A volte rischi di vedere calcolo laddove c'è soltanto l'improvvisazione del momento, o di non capire il contorto e imprevedibile “calcolo” (magari fumoso, o addirittura morboso, quindi “insensato”) che c'è a monte di un comportamento, oppure ancora di vedere altruismo laddove c'è solo una calcolata strategia retta dal tornaconto personale. O un'azione che ci sembra illogica e inspiegabile a volte in realtà rientra perfettamente in una “logica particolaristica e contingente” che ci è estranea e ci apparirebbe – se la conoscessimo – completamente distorta.

E' per questo che, se siamo affamati di “spiegazioni logiche” (nel senso di una logica “universale” e “idealizzata”), e ci facciamo influenzare da queste nel volere dare un senso agli avvenimenti “eclatanti” che ancora non trovano ufficialmente spiegazione, il più delle volte rischiamo di prendere clamorose cantonate...»

DM – «Ma in definitiva, con questo discorso cosa vuoi dire? Per caso sostieni che le spiegazioni illogiche sono quelle migliori?»

PR – «Oh no, ci mancherebbe! Nessuna spiegazione di un fatto è a priori la migliore. Te lo sto dicendo fin dall'inizio: contano i riscontri, le verifiche empiriche. Non dobbiamo lasciarci prendere dal fascino che una teoria può esercitare, giacché una teoria “stuzzicante” può essere ugualmente non vera. Non esiste un metodo semplice e automatico per produrre ipotesi sensate; non ha nessun senso dire: “Questa ipotesi segue rigorosamente la logica [quella per antonomasia!], dunque è l'unica vera”. Del resto possono esserci ipotesi ugualmente logiche, ma contrastanti con quella... magari perché partono da una premessa diversa. E in mancanza di elementi oggettivi, come fai a dire che le premesse da cui parti tu per costruire la tua ipotesi “logica” siano migliori delle premesse da cui parte un'ipotesi contrastante e alternativa alla tua?»

DM – «Per te la logica comunque non conta niente, se ho ben capito. Non l'apprezzi affatto; mi sembra strano, da parte tua, visto che ti consideri una persona razionale...»

PR – «Forse non mi sono spiegato bene... La logica è un meraviglioso strumento di analisi e di conoscenza della realtà, ma è appunto soltanto uno strumento, e come tutti gli strumenti va usato in maniera appropriata... Se usata a sproposito, e senza le dovute cautele “metodologiche”, rischia di condurre a conclusioni paradossali o, come ti ho già fatto notare, rischia di venire “snaturata” con il voler forzarle la mano, quando la si utilizza impropriamente a sostegno di tesi e ipotesi prive di riscontri oggettivi: le si fa svolgere insomma una funzione di supplenza indebita: “mancano le prove, dunque mi appiglio alla logica, e così posso fare a meno delle prove stesse”. Mi sembra – come ho già spiegato – un metodo discutibile e traballante, che oltretutto svilisce la logica (la sua vera funzione), non le rende un buon servizio. Ribadisco ancora una volta, per essere chiaro: in questi casi, la logica – sempre, però, se usata correttamente – può al massimo aiutare a formulare ipotesi verosimili, ma non certezze assolute

DM – «Mi stai confondendo le idee. Invece la logica è così chiara, così limpida! Di' quello che vuoi, ma io preferisco quella chiarezza assoluta a tutti i tuoi arabeschi e a tutti i tuoi “distinguo”.»

PR (con un sorriso) – «Non so perché, ma ci avrei scommesso... Giacché non ami i miei arabeschi, ti risparmio la critica al “determinismo”, che è tipico del tuo modo di ragionare, con tutta quella sua incrollabile fede nel succedersi “regolarissimo” e inesorabile (e a parer mio tediosissimo!) di causa-effetto-causa-effetto, come se avessimo a che fare con una macchina perfetta (e perciò stesso inesistente!) che non invecchia, non perde mai colpi, non si guasta e, non dovendo subire l'“interferenza” dei capricci e desideri del conducente, non fa mai deviazioni e scarti “inspiegabili”: magari ci confronteremo in una prossima occasione su questo tema.

In ogni caso, a conclusione di questa chiacchierata, permettimi almeno di aggiungere una battuta: se l'umanità fosse solo una “macchina logica”, come tu credi e dici, nonostante tutta la sua bella “chiarezza rigorosa”, si sarebbe probabilmente estinta da un pezzo... Non ne sei convinto?» (Il sorriso si allarga, sommamente divertito)

19 commenti:

  1. Brillante e divertente dialogo! :-)
    Nella realtà ho incontrato spesso persone così, convinte di sapere tutto su un caso (specie quelli di cronaca, che poi sono quelli su cui maggiormente si arrovella la fantasia della gente) solo perché riescono a formulare delle ipotesi "astrattamente logiche". Peccato che i comportamenti umani spesso abbiano poco e nulla di logico e che, come ben spieghi tu, esistono tantissime spiegazioni logiche di un fatto, a partire da premesse diverse, che potrebbero essere tutte ugualmente valide eppure escludersi a vicenda. Inoltre i rapporti di causa-effetto non sono mai così regolari, spesso sono varie con-cause, non tutte identificabili, a provocare un determinato evento, con-cause che magari si perdono nella notte dei tempi, che risalgono a fatti anche scollegati tra loro.
    Ti dirò di più, nella mia modesta esperienza di vita ho anche capito che spesso, pure di fronte a quelle che sembrerebbero prove inoppugnabili, in realtà le cose sono andate in maniera ben diversa.
    Trovai molto interessante la trama di questo film ad esempio, in cui una donna viene accusata di omicidio perché ogni spiegazione logica conduce a lei, persino le prove... ma vedremo poi che le cose non saranno per nulla come appaiono:

    http://it.wikipedia.org/wiki/The_Next_Three_Days

    Un saluto. :-)

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    1. Ciao, e bentrovata Biancaneve!
      Nella realtà ho incontrato spesso persone così, convinte di sapere tutto su un caso (specie quelli di cronaca, che poi sono quelli su cui maggiormente si arrovella la fantasia della gente) solo perché riescono a formulare delle ipotesi "astrattamente logiche".
      Sì. Anch'io mi trovo a dialogare talvolta con persone che assumono questo atteggiamento.
      O leggo sul web articoli e post di persone che espongono loro personalissime ricostruzioni di fatti controversi (di cronaca, specialmente: delitti rimasti impuniti, stragi, ecc.), ricostruzioni che loro presentano, senza un minimo di cautela o di dubbio, come “verità rivelate”, “certissime”, come se quei fatti li avessero vissuti in prima persona.
      E' piuttosto diffuso, secondo me, questo vizio: sembra che ci vergogniamo di esporre una “semplice” opinione, come se fosse un fatto indecoroso, fuori dalle “regole del gioco” della conversazione ordinaria in società; invece ci sentiamo “a posto” e a nostro agio nella conversazione (pubblica o privata, sul Web o “in viva voce”, poco cambia...), se presentiamo l'opinione come “verità”. L'opinione e la prudenza sono “indecenti”, “scandalose”, nel discorso corrente, come se fossero “nude”; invece la “verità certa” (anche se di fatto verità non è, essendo invece solo un'opinione affermata con sicumera) è “vestita” decorosamente, secondo le regole, e quindi può essere ammessa in società e nelle conversazioni...

      [continuo]

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    2. Così, quando davanti a un fatto di cronaca doloroso e poco chiaro l'opinione pubblica, aizzata dalla stampa, comincia a schierarsi, dividendosi in innocentisti e colpevolisti (cioè persone in qualche modo certe [e su quale base?!] della colpevolezza o dell'innocenza di Tizio o di Caio!), io mi trovo sempre a disagio. Mi pongo infatti una domanda che mi sembra abbastanza scontata (ma che evidentemente per molti non lo è): Ma se nemmeno gli investigatori, che pure hanno a disposizione prove, testimonianze, ecc., riescono a cavare un ragno dal buco, come posso stabilire io, che non ho assistito ai fatti (né ho raccolto in prima persona prove ecc.), in che modo sono andate realmente le cose? E come possono pretendere di stabilirlo gli innumerevoli “innocentisti” e “colpevolisti”, esattamente come me estranei ai fatti?
      Posso al massimo limitarmi a dire, con estrema cautela: In base a ciò che finora ho letto sui giornali, posso esprimere la seguente opinione X, che però appunto è solo un'opinione incerta, ed essendo tale, va presa con beneficio d'inventario, perché i fatti potrebbero essersi svolti in tutt'altro modo.

      [continuo]

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    3. Questione ben diversa, secondo me, è la presa di posizione motivata che assume un carattere “epocale” o comunque politico, in particolari contesti: mi riferisco al celebre J'accuse di Zola, o al famoso Io so di Pasolini; quelle “denunce” innanzitutto portano un nome e cognome ben preciso (Zola o Pasolini si assunsero chiaramente e personalmente la responsabilità morale e politica di ciò che dicevano), inoltre non intendono essere “(pseudo)processi improvvisati” e infine vanno al di là del “caso” singolo, perché intendono additare storture e contraddizioni di una società, di una mentalità, di un sistema politico, ecc.
      A meno che i vari “dogmatici” di cui parlavo nel post non si sentano tutti “novelli Zola” o “Pasolini in sedicesimo”... d'altra parte, con la megalomania che dilaga sin quasi a diventare una piaga sociale, non me ne stupirei troppo.
      Poi sono d'accordissimo con questa tua affermazione: Ti dirò di più, nella mia modesta esperienza di vita ho anche capito che spesso, pure di fronte a quelle che sembrerebbero prove inoppugnabili, in realtà le cose sono andate in maniera ben diversa.
      Ulteriore ragione per sfoderare più dubbi che “granitiche certezze” nell'interpretare fatti controversi...
      Quanto al film, non l'ho visto, ma la tua indicazione mi ha incuriosito.

      Un saluto :-)

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  2. L’opinione è ciò che resta, a mio avviso, una volta riconosciuta onestamente l’irragiungibilità della verità.
    Eraclito sosteneva che gli uomini vivono come se possedessero una loro particolare saggezza, e questa non era di certo fatta di Verità, ma di opinioni. Nella relatività del sapere nessuno può credere di possedere la verità certa e quindi tutti siamo portatori di conoscenze opinabili. La conoscenza, addirittura, è sempre opinabile.
    La prima domanda che verrebbe in mente di porsi è: perché abbiamo il bisogno (sia il prudente che il dogmatico) di rappresentare nella nostra mente la pantomima di un verità, che in quanto rappresentata cessa di avere necessità d’esistenza? Da quel momento, quello della rappresentazione, basta la pantomima, in effetti.
    L’opinione rende quindi superflua la verità. Non si richiedono grandi sforzi per allestirla, resiste egregiamente alle confutazioni, in quanto plastica e malleabile; e alla bisogna si può rimpiazzare con opinioni più adatte al momento o al pubblico a cui la si rivela.
    In fondo, allora, a che serve la Verità?
    Buona giornata Ivan

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    1. Buona giornata a te, Xtc!
      Anch'io farei volentieri a meno delle “verità”, e in qualche modo questa mia presa di posizione emergeva già tra le righe del dialogo, e dalle risposte che ho dato a Biancaneve.
      Il Prudente del dialogo cerca di spostare tutto il discorso sull'opinione, allontanandolo dalla ricerca di una (peraltro sempre presunta) verità, perché sa che quest'ultima è una chimera.
      Il fatto è che molte istituzioni umane sono fatte per accertare e cercare una qualche verità; da qualche parte c'è questo bisogno, negli esseri umani, specialmente laddove si è verificata una ferita (ingiustizia, sopruso, delitto, ecc.).
      Tali istituzioni a mio parere dovrebbero sempre muoversi con prudenza (appunto), dando il buon esempio, proprio perché la Verità, come assoluta corrispondenza e coincidenza fra le cose o i fatti e la loro ricostruzione (tramite congetture, deduzioni, logica, ecc., ossia attraverso l'intelletto) forse non esiste in quanto tale. Mi trovo infatti d'accordo con quanto dice Biancaneve nel commento precedente: persino quando sembrano esserci “prove inoppugnabili”, forse le cose sono andate in modo diverso, imprevedibile, inconoscibile forse in maniera “certa”.

      [continuo]

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    2. Si possono ricostruire probabilità, forse, e giammai certezze. Però l'umanità sembra atterrita da questa prospettiva; non è educata ad accettarla e capirla, e preferisce perciò quella che tu chiami opportunamente la pantomima della verità, nella quale rientra perfettamente la “certezza granitica” del dogmatico, il quale può essere spesso arrogante nei modi (“Io so! E voi, tutti zitti, ché non sapete!”), ma nel fondo risulta tragicomico, perché non si rende conto di ricorrere a una pantomima.
      Sottoscrivo pienamente questo tuo passaggio, per quello che dice e per come lo dice: L’opinione rende quindi superflua la verità. Non si richiedono grandi sforzi per allestirla, resiste egregiamente alle confutazioni, in quanto plastica e malleabile; e alla bisogna si può rimpiazzare con opinioni più adatte al momento o al pubblico a cui la si rivela.
      In fondo, allora, a che serve la Verità? 

      Ciao e grazie del commento!

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  3. Le opinioni basate sull'umano sentire sono tutte lecite, ecco perché come avevo scritto mesi fa nel blog io evito di commentare i fatti di cronaca, specialmente quelli di nera. Perché so che scatenano poi le reazioni peggiori che, ripeto, sono anche normali di fronte alla crudeltà e agli orrori ma farne argomento di conversazione è pericoloso. Tutti ricordiamo cosa successe a "zio Miché"; su facebook circolava un video con tutte le peggiori dichiarazioni, commenti fatti da utenti di cui si vedevano foto sorridenti, donne che avevano un bambino in braccio, uomini al mare, vedere quelle facce e leggere cosa erano stati capaci di dire [nel video c'era un sottofondo musicale dolcissimo per evidenziare il contrasto di quello che si vedeva e si leggeva] a me aveva spaventato. Perché quella gente può essere un amico, il vicino di casa, e sapere che le persone che io frequento, con cui vado a cena, in vacanza, abbiano poi certi pensieri in testa mi disturba non poco. I ragionatori di pancia non mi piacciono mai.
    E, a proposito di verità penso che un segreto può essere utile a salvaguardare qualcosa di importante, la verità non è sempre uno strumento finalizzato ad un obiettivo positivo; si può usare al contrario proprio come arma di offesa, quando venire a conoscenza di qualcosa non solo non sposta di una virgola la risoluzione di un problema ma aggiunge umiliazioni, mortificazioni che si potevano e si dovevano evitare. Io non mi sono mai fidata di quelli che "è meglio una brutta verità ad una bella bugia", perché qualche volta quella bugia può servire, aiutare qualcuno a vivere meglio. Ci sono casi, ad esempio quello di cui si sta parlando in questi giorni circa la trattativa stato mafia però no, lì la verità è necessaria a restituire respiro, speranze, a credere che qualcosa si può aggiustare, migliorare, e chi la nega non dicendo peraltro neanche bugie "belle" ma solo balle, evidentemente non vuole restituire niente a nessuno; vuole tenere tutto per sé.
    Orwell è stato un principiante se confrontato alla perversione mentale di chi pensa che un luogo istituzionale sia una sorta di camera oscura, di zona franca dove poter far entrare e uscire quello che si vuole all'insaputa di chi quella istituzione rappresenta. Dove si possono aiutare ministri bugiardi a cui nessuno dice di non disturbare; ai giornalisti invece essendo notoriamente molestatori, specie quelli che fanno le domande e pretendono risposte va bene una cornetta sbattuta in faccia dopo due secondi[quando dal Fatto Quotidiano hanno chiesto al Quirinale se Napolitano sarebbe andato a Palermo il 19 luglio gli è stato risposto: "perché, che c'è il 19 luglio? e comunque io non parlo con voi del Fatto"] , e chissà perché la stessa cornetta non è stata sbattuta in faccia al vero molestatore, ma forse non dava poi così fastidio; siamo TUTTI autorizzati a pensare quel che vogliamo di questa porcheria sì o no? io dico di sì. E non erano meglio le seratine eleganti di berlusconi? ;-))

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    1. Ciao Estrella!
      Neanche a me piacciono i "ragionatori di pancia"; lo spettacolo di gente "comune", apparentemente mite, che si mette a discettare o straparlare di ciò che farebbe se "gli/le capitasse tra le mani" il mostro di turno è agghiacciante; anche perché quella gente rientra appunto nella categoria dei "dogmatici" di cui sopra: sono convinti di sapere la verità, anzi sono convinti di essere la "voce della ragione", salvo poi scoprire che il presunto colpevole non era affatto il mostro che si diceva... Ma quei "ragionatori di pancia", stai sicura, poi non chiedono nemmeno scusa per le enormità che hanno detto, neppure quando scoprono di aver avuto l'intenzione di linciare un innocente, sulla base di "certezze" incrollabili (e fasulle), che sono il vero mostro in molti casi (ricordi il detto di Goya? Il sonno della ragione genera mostri: ecco, le “certezze” di questi “linciatori della domenica” sono uno di quei mostri...).
      Prima o poi penso che scriverò un post anche su questo tema - quello del "linciaggio facile" - strettamente collegato a quello di cui mi sono occupato in questo post, perché mi sta a cuore (e perché vedo dilagarne segni e sintomi, specialmente in certi luoghi del Web, ma anche - come giustamente dici - nei luoghi in cui viviamo, lavoriamo, ecc.).

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    2. Sono d'accordo quando parli dell'uso (o abuso) "inopportuno" della verità come "arma di offesa". La sincerità a tutti i costi non mi convince, non è veramente "umana"...
      La parte più politica del tuo commento meriterebbe una riflessione a parte: Ci sono casi, ad esempio quello di cui si sta parlando in questi giorni circa la trattativa stato mafia però no, lì la verità è necessaria a restituire respiro, speranze, a credere che qualcosa si può aggiustare, migliorare, e chi la nega non dicendo peraltro neanche bugie "belle" ma solo balle, evidentemente non vuole restituire niente a nessuno; vuole tenere tutto per sé. 
      In effetti, già rispondendo a Xtc, mi ponevo il problema della “ricerca della verità” nei casi in cui la società esige (giustamente) la riparazione di un sopruso o la punizione di un crimine. E questo partendo comunque dal presupposto – come già dicevo in quella risposta – che la Verità, come tale, è una chimera sfuggente. Ricordo che un professore di diritto diceva che la verità processuale non è la verità tout court, la verità “pura e semplice”, perché questa è forse irraggiungibile, inattingibile.

      [continuo]

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    3. Come “umani” dobbiamo accontentarci di ciò che più si avvicina alla verità, quella “processuale”, o anche quella “storiografica” in alcuni casi, insomma quella “umanamente possibile”. Questo non ci esime dal dovere civile di accertare i fatti; ma ci deve rendere sempre prudenti e cauti: dobbiamo cioè sempre essere disposti a rivedere le nostre posizioni e le nostre certezze, pronti a “spalancare” la nostra mente e la nostra attenzione a ipotesi alternative, senza mai presumere di aver raggiunto il Certo, il Giusto, il Vero una volta per tutte e in maniera definitiva...
      Il discorso meriterebbe maggiore approfondimento; ma del resto è uno dei Problemoni dell'umanità, che sicuramente non si può risolvere in poche battute.

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  4. A me solo i titoli, anche quelli di Zola e Pasolini, così perentori, così massimalisti, non mi danno tanto piacere. Se è vero, strizzando all'estremo lo straccio, che gli scrittori si dividono in affermativi o dubitativi, io preferisco i dubitativi, che sicuro non fanno male a nessuno. Il fatto è che davanti ai fatti e al linguaggio bisogna andarci sempre cauti, e anche quando pensiamo d'avere le migliori ipotesi e abbiamo visto le cose accadere dal "migliore" angolo possibile, è sempre una grande prova di minorità e di eleganza, forse di intelligenza, lasciare alle nostre parole una via di fuga verso l'incerto. verso la loro naturale incertezza.
    bel post

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    1. Ciao Dinamo, grazie del commento!
      In effetti i titoli perentori non piacciono neanche a me; i testi che citavo – forse specialmente quello di Zola – hanno avuto però un ruolo incisivo nel dibattito politico del tempo (il “caso Dreyfus” è importante da studiare ancor oggi, per ciò che di inquietante rivela intorno all'influenza che i pregiudizi e la “mentalità diffusa” di un'epoca e di una società – o anche di un'élite influente – possono avere sul comportamento di istituzioni che dovrebbero – in teoria – procedere nei loro atti con serenità di giudizio e giungere a decisioni ponderate e non avventate, ed essere insomma il “baluardo” dell'imparzialità, della giustizia, ecc.).
      Tu scrivi: davanti ai fatti e al linguaggio bisogna andarci sempre cauti, e io sono perfettamente d'accordo.
      E, riprendendo quel che dicevo già a Xtc (e concordando con le sue parole), aggiungo che dovremmo rinunciare all'ossessione della Verità (quella con la maiuscola...), perché questa ossessione ci porta sistematicamente su una strada sbagliata, anzi senza uscita.
      Come possono essere, che aspetto possono avere la nostra vita, le nostre abitudini (mentali), in assenza di questa ossessione? Difficile immaginarlo, talmente siamo abituati a costruirci certezze (sempre illusorie, nella loro pretesa “assolutezza”), entro il perimetro delle quali muoverci (limitando quindi drammaticamente lo spazio effettivo di questo “muoverci”). Certezze che non possono fare a meno di aggrapparsi nella convinzione di fondarsi sulla Verità (che però è irraggiungibile, inconoscibile, ecc., come già dicevo).

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    2. Scrivendo questa risposta al tuo commento, mi è venuto in mente un episodio che si collega perfettamente con questo discorso.
      Ero ragazzo e ricordo che in televisione, in occasione di una conferenza stampa, alcuni giornalisti ponevano domande a un qualche magistrato inquirente (non ricordo chi fosse, ma non era certamente fra quelli più conosciuti); si parlava di un caso di cronaca nera del quale lui si stava occupando. Mi colpì il tono di assoluta certezza col quale si esprimeva: parlava dell'accusato dicendosi matematicamente certo che fosse il colpevole. Io nella mia giovanile ingenuità ebbi come un fremito istintivo: Ma come? mi chiesi: Come si può essere così certi di qualcosa? Addirittura matematicamente?. Quel magistrato si riteneva in possesso della Verità e questo mi turbò. Soprattutto – l'ho capito dopo – mi turbò la constatazione che esistono professioni nelle quali la convinzione che si sia in possesso della Verità costituisce una sorta di strumento di lavoro, anzi un... dovere d'ufficio...
      Non solo, ma il mio turbamento fu poi accresciuto dal fatto che l'accusato venne poi completamente scagionato e assolto in sede processuale. E anzi il colpevole, reo confesso, risultò essere un altro! E dunque? Quella certezza matematica che fine aveva fatto?

      [continuo]

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    3. Ora, certo, da “adulto”, mi pongo il problema, anzi il dilemma – del quale parlavo già nelle risposte agli altri commenti: come conciliare l'esigenza di giustizia con l'esigenza di liberarsi della (perniciosa e fuorviante) ossessione della Verità? Due necessità ugualmente importanti.
      Penso comunque che un cambiamento “rivoluzionario” nel modo di porci di fronte alla realtà – guardando alle certezze “perentorie” come a fantasmi che c'ingannano e dei quali dobbiamo perciò liberarci – non possa che giovarci. Non si abbandonano volentieri le abitudini consolidate, ed è per questo che temiamo questo cambiamento, e lo coloriamo dei peggiori colori, nella nostra fantasia, anche se il nostro “paradigma” attuale, quello fondato sulla presunzione di conoscibilità della Verità, non può condurci che ad errori, fraintendimenti e persino a orrori.
      Certo, sono molto sintetico e schematico nel dir questo, e per ragioni di spazio mi accontento solo di tracciare qui qualche “abbozzo di riflessione”, perché, a voler “fare sul serio”, è un argomento che richiederebbe un intero libro (o forse un'intera biblioteca...) per essere analizzato a dovere.

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    4. Errata corrige: Mi accorgo ora che nella prima parte della risposta ho scritto, tra l'altro: ...Certezze che non possono fare a meno di aggrapparsi nella convinzione... Intendevo in realtà scrivere: ...aggrapparsi alla convinzione....

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  5. Qui vorrei anche ricordare ad esempio il famoso caso Valpreda: additato dall'opinione pubblica come "mostro" e vittima di un errore giudiziario perché poi è stata dimostrata la sua estraneità alla strage di Piazza Fontana ed è stato anche assolto. Lo stesso Enzo Tortora fu uno dei suoi accusatori, salvo poi... anni dopo, passare dall'altra parte, da accusatore ad accusato ingiustamente. Eppure chissà quanti allora si sono ritenuti convinti di conoscere i fatti.

    Il film che ti ho citato è significativo per quanto ti ho esposto, ossia per far vedere come a volte anche quelle che possono essere considerate prove possano essere in realtà ben distanti dal "dire" la verità su un fatto, però non è un grandissimo film, diciamo un buon film di intrattenimento, ecco.
    Buon fine settimana. :-)

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    1. Eh sì, il caso Valpreda rientra nella tipologia che descrivevo... Dici bene, Eppure chissà quanti allora si sono ritenuti convinti di conoscere i fatti!
      Se il passato potesse davvero insegnare qualcosa, ci guarderemmo dal ripetere certi errori: perché il problema fondamentale è quello: nonostante i "disastri" numerosi e abbondanti già compiuti dalle "incrollabili certezze" - dimostratesi tragicamente infondate - di questo e di quell'altro, continuiamo imperterriti a voler imporre sbraitando le nostre nuove, nuovissime, fresche di giornata "certezze incrollabili", impugnando le quali (come rozze clave!) accusiamo il Tizio, condanniamo il Caio, minacciamo di linciare il Sempronio... e poi scopriamo che erano ennesime certezze fasulle... ma non ci pentiamo mai, eh no! non la smettiamo mai! Voltiamo la testa dall'altra parte, facciamo finta di niente e tiriamo avanti con grande faccia di bronzo, pronti domani o dopodomani - quando si presume la platea avrà dimenticato il nostro ultimo becero show di "certezze" senza sostanza - ad alzare di nuovo il bel ditino accusatore, anzi "condannatore"-linciatore, contro nuovi "certissimi colpevoli".
      E' questa ostinazione, da recidivi dell'ottusità, ciò che più mi dà fastidio... Si sarà capito, immagino
      :-)
      Buon fine settimana!

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