Frontespizio

Le conclusioni provvisorie sono come i massi che ci consentono di attraversare un piccolo fiume: saltiamo dall'una all'altra, e possiamo farlo di volta in volta solo perché i "massi" precedenti ci hanno portato a quel punto.

«Che cosa rimane del pensiero critico, se rinuncia alla tentazione di aggrapparsi a schemi mentali, a retoriche e ad apparati argomentativi prefabbricati e di sicuro effetto scenico (manicheismo, messianismo, settarismo, complottismo, moralismo e simili...)? Non perde forse la sua capacità di attrarre l'attenzione dell'uditorio distratto facendogli sentire il suono delle unghie che graffiano la superficie delle cose?» può domandarsi qualcuno.
No, al pensiero critico non servono “scene madri” né “effetti speciali”; anzi, quanto più si dimostra capace di farne a meno, tanto più riesce a far comprendere la fondatezza e l'urgenza dei propri interrogativi. (In my humble opinion, of course!)

mercoledì 2 gennaio 2013

Il Re è sempre il Re, anche se... (Ovvero: I vestiti nuovi dell'imperatore, possibile parte seconda)


Un semplice raccontino sui problemi causati da un certo tipo di mentalità.
Che succede in una monarchia assoluta (e – si badi bene – possono assomigliare a monarchie assolute anche alcune “sette”, o alcune organizzazioni [o gruppi ristretti di persone] che pendono dalle labbra di un qualche Capo che tutto-sa-tutto-decide-tutto-dispone, ecc.); cosa succede, dicevo, in una monarchia assoluta, quando il Re – per così dire – perde la lucidità?
In una monarchia assoluta è difficile dichiarare – sic et simpliciter – che il sovrano, fino a ieri infallibile, oggi di colpo non lo è più. Già: come si fa? L'infallibilità (e quindi il diritto di comandare e disporre senza venir mai contraddetti) per definizione non si può perdere, perché non è mai nei fatti, ma nella testa di chi la proclama.
Abbiamo un bell'aggrapparci alla convinzione che il sovrano sia onnisciente, essere sovrumano, o cose del genere, se i fatti ci sfidano; se intanto il Re, magari anche perché ubriacato dal suo potere, ha perso il lume della ragione (o addirittura non l'ha mai avuto), come se ne esce?

§


Da qualche tempo il Re non era più lo stesso.

Nel corso dei lunghi anni del suo regno, si era fatto conoscere per la brillantezza dei suoi motti e per l'atteggiamento sprezzante che riservava a tutti coloro che non suscitavano la sua simpatia o il suo interesse. Col potere che aveva, poteva permettersi una certa arroganza, e non ne faceva un uso parco e moderato.

I suoi discorsi, le sue intenzioni, i suoi disegni, avevano però sempre avuto il pregio di esser chiari. Nessuno un tempo avrebbe potuto accusare il Re di nascondere i propri pensieri o di usare giri di parole incomprensibili per occultare le proprie strategie.
Ma adesso non sembrava più la stessa persona. Ogni volta che compariva in pubblico, sembrava a disagio come chi si sia appena risvegliato e faccia fatica per qualche attimo a capire dove si trovi e perché; e per superare il suo stato di evidente confusione, andava sì all'attacco come un tempo contro nemici veri e soprattutto immaginari, ma pareva sferrare colpi a casaccio, entrando sovente perfino in contraddizione con se stesso.

La sfrontatezza di tutta una vita, ormai divenuta per lui una seconda pelle, gli consentiva di non farsi condizionare da alcun senso di impaccio nel parlare, sicché l'espressione attonita del viso era singolarmente in contrasto con la sicumera delle parole che gli uscivano di bocca.

I suoi ministri fidati, i collaboratori più stretti nonché i cortigiani addetti alla cura della sua agenda e della sua persona, le prime volte che il Re si era comportato in questo modo insolito, non avevano dato troppo peso alla cosa, pensando che si trattasse di un suo ghiribizzo del momento o tutt'al più di un malessere passeggero.

Tuttavia, man mano che i giorni e le settimane passavano, e che il comportamento del Re denotava un cambiamento pressoché stabile della sua personalità e quasi senz'altro un peggioramento del suo stato di salute, ministri, cortigiani e collaboratori cominciarono a domandarsi perplessi che cosa convenisse fare: bisognava far finta di nulla e lasciare che il Re continuasse a contraddirsi continuamente in pubblico, finendo per gettare il Paese nella costernazione e la corte nel ridicolo, oppure bisognava prendere gravi provvedimenti per impedire al Re di nuocere ancora a se stesso e alla nazione?

A dire il vero le ultime apparizioni pubbliche del sovrano erano state decisamente imbarazzanti, se non addirittura scandalose: al ricevimento solenne con gli ambasciatori dei Paesi di mezzo mondo si era presentato non solo indossando la camicia di Arlecchino – e non si era neppure in periodo di carnevale! – ma anche recando in tasca, in bella vista, una raganella, che aveva poi agitato a sorpresa in aria prima di prendere la parola.
Già nel vederlo agitare come un forsennato quello strumento di legno adatto a far rumore nelle feste, cortigiani e collaboratori si erano guardati in faccia smarriti e sbiancati; quando poi il Re aveva cominciato a parlare, dopo un attimo di sollievo (giacché il sovrano aveva esordito con un gentile e rituale saluto a tutti i presenti), avevano dovuto a stento trattenersi dal mettersi le mani tra i capelli per la vergogna e la disperazione.

Infatti il Re si era lanciato in affermazioni del tutto gratuite ed offensive su questo o quel Capo di Stato, non concordate con i vertici della diplomazia, affermazioni che non erano affatto legate a comportamenti politici dei personaggi insultati, ma alla loro presunta “antipatia”, al loro modo di vestire e persino al loro segno zodiacale («I segni di fuoco sono infidi e traditori!» aveva esclamato tra l'altro il Re, «e con gente di quei segni non firmerei neppure una petizione... figuriamoci un trattato!»).

Subito dopo, il Re aveva insistito per declamare in modo orrendo un brano dell'Amleto di Shakespeare e aveva detto che il teatro inglese è sopravvalutato.

«Un giorno scriverò un'opera sul teatro mondiale... anzi lo sto già facendo. Da noi si fa troppo poco per il teatro, sapete?» si era lanciato a dire il sovrano. «Fossi stato quello Shakespeare, alcuni monologhi li avrei scritti diversamente, e so già come... ma qui nel mio Paese forze oscure me lo impediscono. Qualcosa di loro ho già scoperto, la polizia politica lavora bene, per merito dei miei consigli... A volte ricevo bigliettini con strane cifre gialle, quelli sono tutti segnali che vanno decifrati, dietro certi numeri ci sono le tracce di un complotto per detronizzarmi; per questo la sera, prima di addormentarmi, mi ripeto a mente tutti quei numeri, perché se li ricordo alla perfezione non possono fregarmi».

Andò avanti così per circa mezz'ora, e i suoi collaboratori e i cortigiani non sapevano più dove nascondere la faccia; non era loro consentito interrompere il loro sovrano nell'esercizio delle sue funzioni, e dovettero quindi farlo parlare a ruota libera.

La stampa mondiale si divertì moltissimo a stilare resoconti sarcastici e pungenti di quel discorso; invece la stampa nazionale si scervellò rispettosamente per capire il senso recondito delle affermazioni del Re.

Il più importante dei Ministri del Re si assunse la responsabilità di emanare una “dichiarazione ufficiale” con lo scopo di «fornire la vera interpretazione del discorso dell'Amatissimo Sovrano».

«Le parole del Re» dichiarò dunque l'Autorevole Ministro «vanno interpretate in senso metaforico. E' chiaro e lampante – e solo chi è in malafede lo nega – che le sue affermazioni non vanno prese alla lettera... sono immagini, metafore che il Re ha graziosamente voluto offrirci per illuminarci sulla realtà della situazione mondiale attuale. Non sta a noi giudicare la bontà di quelle metafore: se il Re le ha scelte, evidentemente sono giuste, lui è fin troppo intelligente, fin troppo al di sopra dei suoi critici, e non fa mai niente a caso».

Bene, ma se erano “metafore”, cosa stavano a significare? - continuavano a chiedersi i comuni mortali. Ma le risposte ufficiali di questo o quel ministro erano vaghe e confuse.
Tuttavia in realtà, prima ancora che si avesse la possibilità di scandagliare i presunti “significati nascosti” del discorso regale, il sovrano ne aveva – per così dire – già “combinata un'altra” (anche se mai un'espressione simile sarebbe stata pronunciata in pubblico, in riferimento al monarca).

Nonostante le preoccupazioni di collaboratori e cortigiani, il Re, soltanto tre giorni dopo il “memorabile” ricevimento, aveva voluto a tutti i costi tenere un discorso solenne in occasione di una festività nazionale. Avevano provato a dissuaderlo, ma il sovrano era particolarmente cocciuto (sempre più col passare degli anni...) e d'altronde la sua volontà era Legge, e così...

Comodamente e regalmente seduto sull'enorme poltrona rossa del proprio studio, il Re diede un'occhiata ai propri appunti, poi, come colpito da un'ispirazione improvvisa, li mise da parte e guardò dritto nella telecamera con espressione seria, anzi apparentemente irosa, come se ce l'avesse con qualcuno. E in effetti, puntando il dito verso gli spettatori, esclamò con aria feroce:

«Il nostro problema sono i maniscalchi! Fanno di tutto per rovinare la mia politica, non riescono a vedere ciò che c'è di buono nel mondo... no, loro sono pieni di livore, fanno fallire ogni cosa che faccio! E' perché io li ho scoperti che se la prendono così! Ma adesso ho preso una grave decisione e spero che tutti voi, miei amati sudditi, sarete dalla mia parte: abolirò la corporazione dei maniscalchi. Eh sì, non vedo altra soluzione... Bisogna spazzare via questi corporativismi infami che non ci permettono di migliorare le condizioni della nazione. E' tutta colpa loro. Sempre. Anche quando sembra che non c'entrino niente... anzi, è proprio in quei casi che le loro macchinazioni si fanno più subdole».

Nell'udire queste affermazioni, alcuni cortigiani lì presenti si scambiarono occhiate interrogative; uno di loro borbottò impercettibilmente: «Maniscalchi? Ma di che fischio sta parlando?».

«Abbi pazienza, è una delle sue più recenti fissazioni» gli replicò un altro.

Nel frattempo il Re continuava:
«Per non parlare dei postiglioni! Gente pericolosissima, che non vuol mollare i suoi privilegi e che v'imbottisce il cervello di frottole, vi esalta, vi illude... Ho letto uno dei loro libretti di propaganda... e ho capito che sono loro a mandarmi i bigliettini con le scritte gialle. Nemmeno la polizia politica se n'è accorta, ma io sì! Per questo sono il migliore di tutti!».

I volti dei cortigiani erano diventati rossi e blu e i loro sguardi vagavano impacciati da un angolo all'altro della stanza.
E il sovrano non si fermava più, anzi sembrava che il suo accanimento oratorio gli raddoppiasse le energie, come se si fosse innescato un “moto perpetuo”:

«Volevo annunciarvi» proseguì con occhi da invasato «che darò sovvenzioni a coloro che abitano nei portoni ad angolo, che da un sondaggio risultano tantissimi, perché il loro problema sociale mi sta talmente a cuore che la notte li penso e mi vien da piangere...».

Il labbro superiore a questo punto gli tremò, come se davvero egli fosse sul punto di lasciarsi andare al pianto; ma la sua attenzione fu catturata da un cortigiano che dietro le quinte si sbracciava disperatamente per comunicargli qualcosa.

«Ma cosa c'è?» fece allora stizzito il sovrano, senza curarsi della diretta televisiva.

Il cortigiano, premuroso ma impacciato, gli sussurrò:
«Maestà, ma proprio ieri avete dichiarato alla stampa che la gente che abita nei portoni ad angolo si lamenta ad arte per spillare quattrini allo Stato... avete detto che sono soltanto lazzaroni e infidi... e oggi invece...».

Il Re, in risposta, fece un gesto nervoso e sbrigativo che comunicava sovrana noncuranza, ma in quella un altro cortigiano si fece coraggio e sussurrò a sua volta:

«Senza contare poi che avantieri all'inaugurazione dell'ultima fiera, davanti a decine di inviati, avete dichiarato di non aver mai parlato di maniscalchi, Maestà, e avete detto anche che per voi neppure esistono... smentendo peraltro una vostra precedente conferenza stampa».

Il volto del Re si fece insofferente e paonazzo; per qualche secondo egli diede l'impressione di essere una pentola a cui stesse per saltare il coperchio, poi diede una rumorosa manata sulla propria scrivania e quasi ringhiando di furore disse, senza neppure guardare la telecamera:

«Ho avuto adesso l'ennesima prova che in questo Paese va cambiato tutto, proprio tutto! E soltanto io posso farlo, soltanto io! Voi, voi tutti» fece indicando i collaboratori lì presenti «siete i primi a sabotare i miei progetti, lo so da un pezzo... e adesso è bene che lo sappia tutta la nazione! Io vi ho tirati su dal nulla e proprio quando ho più bisogno del vostro appoggio, vi rivelate per quello che siete: un branco di iene e di smidollati!».

«Maestà, ma cosa dite?...» provò a discolparsi uno di loro, ma il Re gli ingiunse di tacere.

«Sono circondato di ingrati!» esclamò gettando in aria i fogli del proprio discorso. «Mentre i postiglioni si stanno impadronendo del sapone e della candeggina, per portare a termine il loro complotto, e li fanno sparire dai supermercati, voi state qui a sottilizzare sulle mie virgole, come se fossimo ancora a scuola! Vergognatevi! Sono io che vi rimando a scuola, tutti! Sapete?».

Il cameraman, sentendosi un pesce fuor d'acqua, si guardò attorno per cercare di capire cosa dovesse fare; ma nessuno badava a lui, sicché a gesti comunicò al sovrano la propria intenzione di interrompere le riprese.

«No, no, tu continua il tuo lavoro!» disse il Re. «La nazione deve sapere certe cose... E sappiate tutti che ho il potere di rimandarvi a scuola, sto parlando sul serio... Se mi gira, faccio un decreto col quale vi dichiaro analfabeti e vi costringo a tornare alle elementari. Così dovrete andarvene all'istante di qui, perché non è un lavoro per analfabeti, questo».

Dopo queste frasi ci fu un lungo silenzio; il Re sembrava improvvisamente spossato e guardava le proprie ginocchia, senza muovere un muscolo.

Il cameraman interrogò con lo sguardo i cortigiani e sembrava dir loro: “Che faccio? Interrompo qui il collegamento?”; ma nessuno voleva prendersi la responsabilità di decidere.

Di colpo il Re si rianimò e con un sorriso sornione, come se nulla fosse, guardò nella telecamera e civettando coi suoi sudditi-spettatori fece suadente:

«Non preoccupatevi, conosco il grave problema delle pompe da giardinaggio... sto mettendo sotto pressione tutti i miei collaboratori per risolverlo... Alla fine ne verremo a capo, lo giuro. Fidatevi, fidatevi di me come sempre, non ve ne pentirete! Il vostro Re è una garanzia, è il migliore che ci sia al mondo... C'è solo una penuria momentanea di quelle benedette pompe, ma ho approntato un piano di importazioni straordinarie, tutto elaborato da me ovviamente... il problema si risolverà in trentadue giorni considerando i bisestili e i quartili. D'altra parte il giardinaggio è la principale attività economica del nostro Paese e mi impegno a trovare i fondi per rilanciarlo. Ho già deciso che detasserò i viaggi al di sopra del Circolo Polare Artico, così l'indotto delle pompe da giardino ne avrà beneficio e salverò moltissimi posti di lavoro. Le scuole resteranno chiuse a tempo indeterminato per rilanciare il settore della derattizzazione, che attualmente è in sofferenza... del resto, come tutti sappiamo, nel nostro Paese grazie ai miei sforzi l'analfabetismo non è più una minaccia per la salute».

Questo discorso del Re si candidò a entrare nella storia, anche se non per i motivi che il sovrano immaginava; ripensando alle parole che aveva pronunciato davanti a milioni di telespettatori, egli si sentiva soddisfatto, convinto di aver dato il meglio di sé, e anzi di essersi superato.

Non poteva sapere che moltissimi sudditi, nell'ascoltarlo, si erano sbellicati dalle risate – e non c'è niente di più funesto, per un monarca assoluto, che suscitare ilarità senza volerlo; altri sudditi, i più affezionati alla causa della monarchia, avevano assistito rabbrividendo alla performance del Re e avevano provato un senso di smarrimento, come se improvvisamente nelle loro vite si fosse spalancata una spaventosa voragine, che volevano istintivamente ricacciare indietro, senza però sapere come.

Nella notte i Ministri si riunirono a consulto ed esaminarono con franchezza i termini del problema.

«Parliamoci chiaramente» disse il Più Autorevole fra loro, «a questa cosa non c'è rimedio... I migliori medici del Regno me l'hanno spiegato: quella del nostro Amato Sovrano è una condizione irreversibile... andrà sempre peggio, col passare del tempo».

«Ma come? Non c'è nessuna cura? nessuna medicina?» domandò un altro Ministro.

«Purtroppo no, cari colleghi» rispose il Più Autorevole.

«Ma questa è una vera tragedia per la nostra monarchia!» esclamò il Ministro della Corona, il più anziano dei presenti, con in viso un'espressione autenticamente affranta. «Come si fa? Come si fa?» ripeté più volte.

«Già» riprese la parola il Più Autorevole, il cui piglio pragmatico contrastava con il tono melodrammatico dell'anziano collega: «come facciamo a dire che il nostro Amato Re, che da sempre è proclamato negli atti ufficiali e nelle cerimonie solenni Stella Polare della Nazione, Luce del Nostro Cammino, Guida Sicura della Legislazione... come facciamo a dire ai sudditi che un uomo del genere adesso è solo un povero demente come tanti?».

«Assolutamente non si può! Sarebbe inaudito! Inverecondo! Inammissibile!» protestò il Ministro della Corona, tutto scandalizzato.

«La monarchia non potrebbe sopportare un simile vulnus! Ne morirebbe!» proclamò il Ministro della Giustizia, che era anche un acclamato e fine giurista.

«La monarchia è sacra... e sacra deve rimanere: è un imperativo!» sentenziò con occhi di fuoco il Generale Supremo Comandante della Guardia Reale, e qualcuno, a quelle parole, immaginò perfino di veder roteare nell'aria la sua sciabola. «La monarchia è il Re e nient'altro che il Re, signori... E voi tutti sapete bene che chi si azzardasse a mancar di rispetto al Re, dovrebbe poi vedersela con me e coi miei uomini» aggiunse, come per mettere in chiaro il suo pensiero, fissando gli altri Ministri con aria truce.

«Ma questo vuol dire, colleghi», fece il Più Autorevole con un sorriso appena accennato, «che siete d'accordo con me: ci tocca sostenere il Re fino in fondo, è questo il nostro compito adesso... un compito difficile ma necessario».

«Sì... ma cosa raccontiamo alla gente?» ragionò ad alta voce il Ministro del Tesoro, che sino a quel momento aveva taciuto pensieroso.

«Da questo momento in poi le parole del sovrano devono essere costantemente interpretate... interpretate in maniera da fornire loro un significato, quando questo sia oscuro. Signori, dobbiamo intervenire ogni volta che sia necessario, sulla stampa, in televisione, dovunque, per dare un senso, un senso qualsiasi alle parole del Re, anche a quelle che sembrano più strampalate» affermò il Più Autorevole.

«Le parole del Re per definizione non possono mai essere strampalate: chi dice il contrario bestemmia, signori miei!» esclamò prossimo all'indignazione il Generale Supremo Comandante della Guardia Reale.

«Allora, caro collega, lasciami bestemmiare!» replicò il Ministro del Tesoro, visibilmente spazientito. «Io capisco tutto, ma arrivare a negare la realtà fino a questo punto no! Se non te ne sei accorto, te lo dico io: il Re ormai non ci sta più con la testa. E' inutile che sbuffi e fai segno di “no”: almeno fra noi non prendiamoci in giro, per cortesia! Se continuiamo a far finta di niente, questo Paese va a rotoli: lo capite, tutti quanti? Credete di cavarvela con qualche sotterfugio da baraccone? Le frottole ormai lasciano il tempo che trovano, la gente non ci crede più, non si lascia più incantare... Ma dico, pensate davvero che i nostri concittadini usino ancora portare la sveglia appesa al collo?».

«Ma allora tu che cosa proponi?» s'inalberò a sua volta il Ministro della Giustizia. «Dobbiamo rinnegare tutto? tutti i princìpi della monarchia? l'infallibilità mistica del sovrano, il suo potere indiscutibile e perfetto, la sua assoluta insostituibilità? Ti rendi conto che se cominciamo a rinnegare il Re, a sminuire le sue parole o – peggio! – se ci mettiamo in testa di mandarlo in pensione, tutto il nostro edificio sociale e politico crolla un istante dopo? Se l'infallibile per definizione si rivela un comune mortale come tanti, capace come tutti di dire scempiaggini, nessun altro Re potrà essere al sicuro dopo di lui! Ogni suddito, da questo momento in poi, si sentirà autorizzato a criticare i voleri del sovrano o addirittura a sbeffeggiarlo nella pubblica piazza!».

«Questo mai! Nella pubblica piazza giammai!» tuonò con scandalizzato disgusto il Generale Supremo Comandante (eccetera). «Sua Maestà degradato al rango di guitto! Questo non accadrà mai, perché io non lo permetterò, ve lo giuro sul mio onore!».

«E io vi dico invece che se continuiamo così, andiamo alla rovina! e anche in fretta!» insisté il Ministro del Tesoro. «Una delle cose peggiori di questa situazione è che Sua Maestà ormai rinnega ogni giorno quello che ha detto il giorno precedente... si sta creando un vero caos amministrativo e contabile, non c'è più nessuna certezza delle norme e delle decisioni, i miei sottoposti stanno letteralmente impazzendo per star dietro a queste continue giravolte... In pratica non esiste più un vero bilancio dello Stato, perché un giorno il Re decide di finanziare il giardinaggio, una settimana dopo si rimangia tutto e allora bisogna disfare quello che si è già fatto per seguire il nuovo capriccio del sovrano e dirottare in fretta e furia i soldi assegnati in un primo momento al giardinaggio verso i nuovi destinatari, i produttori di vino analcolico, ma non si fa in tempo a farli arrivare a costoro perché il Re improvvisamente cambia ancora idea... E poi ci sono le spese straordinarie e folli, che di colpo prosciugano interi settori del bilancio. Per non parlare poi delle entrate, le tasse che vanno e vengono a mesi alterni, i privilegi concessi e poi improvvisamente rinnegati... Ma vi sembra che si possa andare avanti ancora per molto in queste condizioni?».

«Io so soltanto una cosa, signori, e la so per certo», si accanì il Generale Supremo Comandante (eccetera), gonfiando il petto con atteggiamento solenne, «l'infallibilità del nostro Sovrano non può essere messa in discussione. Dimenticate forse che egli è la Stella Polare della Nazione, la Luce del Nostro Cammino, la Guida Sicura della Legislazione? Dimenticate che egli è la Giustizia e solo da lui può venire l'ispirazione per le sentenze giuste emesse dai nostri tribunali? Devo forse ricordarvelo io?».

Ancora una volta i ministri ebbero l'impressione di veder roteare minacciosa nell'aria la sciabola del Generale Supremo Comandante...; tutti forse con l'eccezione del Ministro del Tesoro, il quale infatti sghignazzò, per poi esclamare:

«Benissimo, benissimo, continuiamo pure così, se ci fa piacere!».

Rivolgendosi quindi al Generale Supremo Comandante (eccetera), proseguì:
«Visto che la sai lunga, vieni tu a sbrogliare i pasticci che “l'infallibile” sta causando nei conti pubblici! E' comodo snocciolare dogmi standosene seduti in poltrona, senza confrontarsi poi coi fatti, vero?».

«E tu» intervenne a quel punto il Ministro degli Esteri, «a chi devi la tua brillante carriera politica, se non al Re?».

«Per caso stai parlando con me?» fece il Ministro del Tesoro.

«Certamente» replicò l'altro. «Io ero già nobile e ricco di famiglia, avevo tutto quel che volevo, senza bisogno dei favori del Re... Mi pare invece che una certa persona fosse solo un miserabile avvocaticchio di provincia, prima che il Re lo trasformasse in un uomo di Stato. Allora però a quella certa persona le scelte del Re andavano bene, specialmente se erano a suo vantaggio; o sbaglio?».

«Mi duole constatare che il nostro Ministro degli Esteri è particolarmente disinformato: grave, gravissima pecca, per un celebre diplomatico... Si dà il caso che, ben prima che il Re si accorgesse di lui, quell'avvocaticchio di provincia avesse pubblicato studi molto importanti, citati sulla stampa specializzata. Io non ero raccomandato e se il Re mi ha nominato Ministro, lo ha fatto perché ha riconosciuto i miei meriti. Non si può dire la stessa cosa dell'esimio Ministro degli Esteri, che d'altronde ha appena ammesso con candore di appartenere a una famiglia potente e influente, oltre che ricca...».

A questo punto gli sguardi infiammati dei due contendenti si incontrarono e si sarebbe forse arrivati perfino allo scontro fisico, se non fosse intervenuto il Più Autorevole dei Ministri a calmare gli animi.

«Signori, signori, per cortesia!» esortò. «Non mi sembra il momento di dare sfogo a ripicche personali! Dobbiamo prendere gravi decisioni, stasera... Certamente, e in questo do ragione al collega Ministro del Tesoro, non possiamo far finta che non stia succedendo niente. Cerchiamo di conservare la lucidità per fare la scelta giusta».

«Ecco, appunto, e per questo non possiamo mandare in malora i sacri princìpi del Regno!» proclamò con solennità, ancora una volta gonfiando il marziale petto, il Generale Supremo Comandante (eccetera eccetera).

«Colleghi, ve lo dico con sincerità... io non potrei mai rinnegare il mio Re, dopo tutti questi anni... Piuttosto mi dimetto» disse con sofferta dignità l'anziano Ministro della Corona.

«Si tratta soltanto di prendere atto della realtà» ribatté il Ministro del Tesoro. «Non possiamo pensare solo a noi, alle nostre abitudini, ai nostri privilegi e ai nostri tarli mentali... il regno, il prestigio, i sacri princìpi... macché, quando la casa sta bruciando bisogna semplicemente fare di tutto per spegnere l'incendio, per salvare le persone e le cose. Tutto il resto conta relativamente... E poi, diamine! cosa c'è di più salutare della verità? Cosa c'è di male nel dire che un signore di una certa età, foss'anche il Re, ora non sta più bene e ha bisogno di cure, e per questo va sostituito? Non capite che i sudditi ci apprezzerebbero anche di più, se dicessimo come stanno realmente le cose?».

«Traditore» mormorò con disprezzo il Generale Supremo Comandante (eccetera) e la sua sciabola parve tintinnare.

«Opportunista» sussurrò disgustato il Ministro degli Esteri con un digrignar di denti.

Il Ministro del Tesoro si lasciò sfuggire una risata.

«Ma sì, divertitevi pure a mettere le vostre solite etichette, voi! E' l'unico sport che vi riesce bene da una vita» disse, e poi rivolgendosi al Generale Supremo Comandante aggiunse: «Oh quante volte hai dato del “traditore” a chi osava contraddire i tuoi dogmi! Ne ho perso il conto... Hai mandato in rovina tanta brava gente, con quella semplice infamante parolina; anche gente che ha cercato di servire il Paese ma che non si piegava a dar sempre ragione a te e agli amici del Re. Ne hai sulla coscienza, tu, con la tua sciabola, sempre al servizio della tua “ortodossa fedeltà”... diciamo pure ottusa, e anche molto comoda. Ma sappi che quella tua parolina ormai non ti servirà più a niente, la sua carica magica si è esaurita».

Non si arrivò alle vie di fatto solo perché ancora una volta il Più Autorevole fu pronto a intervenire.

«Signori, vi prego...» disse. «Voi dimenticate che una soluzione d'emergenza in questi casi c'è sempre. La via ce l'ha indicata nell'ultimo discorso, magari senza volerlo, proprio il nostro amato sovrano: trovare dei nemici sui quali scaricare tutti i disagi, i problemi, le colpe...».

«Roba vecchia: non funziona più» scosse la testa il Ministro del Tesoro.

«Stavolta sono d'accordo col collega» soggiunse il Ministro della Giustizia.

«Ma come?» insisté il Più Autorevole. «Quando si è alle strette, si svela l'esistenza di un bel complotto, con tutti i crismi, e si dà così all'indignazione del popolo un bersaglio perfetto sul quale sfogarsi. “I nemici tramano contro di noi”... Chi resiste al fascino arcano di questa sensazione? E' come il richiamo della foresta, signori miei! Vi assicuro che anche il più compassato degli intellettuali si fa catturare da questa suggestione e comincia a scrivere su questo tema, moltiplicando a sua volta la suggestione... Da un giorno all'altro tutti i giornali cantano all'unisono, esercitandosi a scavare nelle trame imbastite dal “Nemico”, e fior di scrittori e saggisti si mettono a pubblicare libri e libelli per proclamare al mondo: “Anch'io, anch'io so tutto del Maledetto Nemico col suo Complotto! Anch'io me ne sono accorto e ve lo racconto!”».

«Vedo che non ci capiamo proprio» sospirò con aria preoccupata il Ministro del Tesoro. «I nostri conti sono in rosso! Una pagliacciata del genere non risolve un bel niente, anzi rischia di darci il colpo di grazia!».

«Disfattista» commentò, quasi sputando, il Generale Supremo Comandante (eccetera).

«Caro collega medagliato» replicò sottovoce il Ministro del Tesoro, «a quanto vedo, il tuo vocabolario e il tuo sguardo sono sempre fermi al 1600 e dintorni... ma che noia!».

«In casi estremi, caro collega, ti ricordo che c'è sempre la guerra» mormorò il Più Autorevole, improvvisamente fattosi scostante, rivolto al Ministro del Tesoro. «Quella ci darebbe almeno un po' di respiro e, come sai benissimo, risolleverebbe anche il bilancio. Che dite? Parliamo al Re di questa ipotesi? Sono convinto che approverebbe entusiasta».

«Oh, in questo modo il popolo dimenticherebbe finalmente contrasti e divisioni e si compatterebbe come un sol uomo! Perché il popolo è un sol uomo, ma i nostri nemici l'hanno traviato! Orsù, riportiamolo sulla retta via!» esclamò con sguardo mistico il Generale Supremo Comandante (eccetera).

«Ma che guerre volete fare, scusate?» saltò su il Ministro della Giustizia, in un soprassalto di realismo. «Lasciamo stare i paroloni e guardiamoci negli occhi! Noi non siamo di certo una superpotenza; se soltanto ci affacciamo fuori dei nostri confini armati di tutto punto, gli Stati che veramente contano si coalizzano contro di noi e ci impiegano appena due giorni a metterci in ginocchio. E vi sembra seriamente un rimedio ai nostri mali, questo?».

«Disfattista anche tu» sillabò sentenzioso il solito Generale Supremo (eccetera).

«Ma non c'è mica bisogno di una guerra di quelle classiche, esercito contro esercito!» scosse la testa il Più Autorevole dei Ministri. «Quel che veramente conta è che i nostri amati sudditi abbiano modo e occasione di sfogarsi menando le mani, agguantando numerosi esemplari del mitico “Nemico-che-trama-nell-ombra” in maniera da poterli conciare poi per le feste. La guerra la si può fare in casa nostra, strada per strada, ovviamente tenendola opportunamente sotto controllo».

«E come si mette in piedi questa specie di... carnevale?» domandò un giovane Ministro senza Portafoglio.

«L'importante, amico mio, è scegliere bene il tipo di “Nemico-che-trama-nell-ombra”: ma in questo il nostro Re è impareggiabile ancora adesso, possiamo tranquillamente lasciar fare a lui; una volta scelto il Nemico, vedrai quanti nostri sudditi sfogheranno su quel Nemico i loro livori personali, le loro paure più profonde, le loro frustrazioni, scateneranno la loro fame di giustizia inappagata... se la faranno con le loro mani, e noi li lasceremo fare, perché per la nazione un carnevale del genere – hai proprio usato il termine giusto! – è tutta salute. Il prestigio del Re e della monarchia in questo modo tornano a splendere: semel in anno licet insanire, dicevano gli antichi, e il sovrano che consente al suo popolo questo genere di “insania” liberatoria si garantisce imperitura gratitudine, stanne sicuro».

Come ubriachi, i Ministri si levarono in piedi esclamando: «Dal Re! Dal Re! Si vada sùbito dal Re!».

«À la guerre comme à la guerre! Et vive le Roi!» gridò una voce, e a quelle parole una risata collettiva oscena e sguaiata proruppe nell'ampia stanza.

«E tutto questo per non dover dire semplicemente: Signore e signori, il Re che avevamo sta dando i numeri, è ora di mandarlo in pensione» mormorò basito il Ministro del Tesoro, allontanandosi dalla sala e rinunciando ormai ad ogni ragionamento. Le voci dei colleghi in tripudio lo accompagnarono fino all'uscita del Palazzo; giunto in fondo alle scale gli parve anzi di sentire perfino un tintinnio di bicchieri. Si brindava, dunque, come se ogni problema fosse ormai risolto e il Paese si avviasse verso un'era di sconfinata prosperità...

§

[Trattandosi di un'opera di fantasia, ogni eventuale riferimento ad avvenimenti, vicende, persone e personaggi della realtà è da considerarsi puramente casuale.]

1 commento:

  1. Invito - italiano
    Io sono brasiliano.
    Dedicato alla lettura di qui, e visitare il suo blog.
    ho anche uno, soltanto molto più semplice.
    'm vi invita a farmi visita, e, se possibile seguire insieme per loro e con loro. Mi è sempre piaciuto scrivere, esporre e condividere le mie idee con le persone, a prescindere dalla classe sociale, credo religioso, l'orientamento sessuale, o, di Razza.
    Per me, ciò che il nostro interesse è lo scambio di idee, e, pensieri.
    'm lì nel mio Grullo spazio, in attesa per voi.
    E sto già seguendo il tuo blog.
    Forza, pace, amicizia e felicità
    Per te, un abbraccio dal Brasile.
    www.josemariacosta.com

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