E' piuttosto diffusa
fra i “ceti abbienti-influenti” italiani e certi loro referenti
politici una tendenza: essere “per l'ordine” quando hanno
paura che qualcuno tocchi “la roba loro” e diventare invece (in
un Paese in cui la faccia di bronzo è considerata virtù)
disinvoltamente anarchici quando le stesse istituzioni “della
legge e dell'ordine” (che in altre occasioni loro appoggiano con
passione) vanno a spulciare tra le malefatte del loro ambiente e
degli “amiconi” loro.
E'
veramente lunga la strada per arrivare a una giustizia “uguale
per tutti” (perlomeno come principio socialmente acquisito, patrimonio della collettività da non mettere mai più in discussione).
Sulla carta
il codice penale (come qualsiasi altro testo di legge) sembra neutro,
imparziale, rivolto indistintamente a tutti; ma quando poi le norme
che contiene devono essere applicate nei confronti di persone
concrete, cominciano i “distinguo” e i classismi vari vengono a
galla: e allora, se tu sei “brutto sporco e cattivo” [cit.],
la legge – secondo “benpensanti”, determinati notabili immarcescibili e
certi settori dei ceti abbienti & socialmente influenti – ti
deve colpire con tutta la durezza possibile, senza sconti (anche se
hai “soltanto” sputato per terra o ti sei appropriato di un euro
non tuo, caduto dalla tasca di un altro); se invece fai parte di certi segmenti della
classe benpensante/abbiente/influente (la gente che conta davvero, insomma), il tuo clan amical-social-familiare, con buona probabilità, ti difende con
tutti i mezzi a sua disposizione e – se proprio l'hai combinata
grossa e non ti può subito sottrarre alle “ire” della giustizia
(ad es., hai ridotto sul lastrico risparmiatori che si son fidati di
te, hai intascato mazzette e ti han colto sul fatto, hai investito
qualcuno con la tua Maserati e poi sei scappato via senza
soccorrerlo) – perlomeno fa di tutto, coi megafoni della stampa &
Tv, per invocare a tuo beneficio clemenza, comprensione &
perdono – quelle stesse cose che non ha mai invocato per il
“brutto sporco e cattivo” che magari aveva solo
imbrattato un muro in un momento di rabbia.
Eppure
io vorrei una legge “uguale per tutti” (in
mancanza della quale la democrazia rimane monca); e se ci
devono essere comprensione e clemenza (alle quali sono peraltro
favorevole: ci mancherebbe!), che si cominci dal basso, dai poveri
cristi, e non da chi detiene il potere (politico, economico,
finanziario, culturale, mass-mediale).
[Oltretutto,
chi ha il potere, in democrazia, ha il dovere di usarlo in maniera
trasparente, rendendo conto pubblicamente punto per punto di ciò che
fa (altro che privacy! e altro che arcana imperii!
- bella scusa per non rispondere delle proprie “magagne”), e
non ci possono essere sconti su questo. A mio avviso, chi accetta di
ricoprire un incarico parlamentare, di governo, ecc., deve accettare
anche la regola dell'assoluta trasparenza, e se invece la trasparenza non gli va a genio è meglio che
faccia altro, nella vita: come si suol dire, “non gliel'ha mica
ordinato il dottore” di fare il parlamentare, il ministro, ecc.]
Altrimenti
restiamo sempre all'ancien régime, nel quale i nobili
venivano giudicati da tribunali diversi da quelli che giudicavano i
“comuni mortali”, ricevendo “in automatico” trattamenti di
favore. Quanti passi avanti abbiamo fatto da allora? In questo campo
pochi, temo, almeno in certi settori dell'opinione pubblica, della “società civile” e della politica (non poco influenti).
E' ora di
cambiare. Smettiamola di giudicare sempre con occhio benevolo i
notabili e i cacicchi “del nostro cuore” (più o
meno carismatici... ma oggi il “carisma”, ridotto all'ombra di se
stesso, passa persino per il cabaret televisivo!), come se fossero
semidei autorizzati a ignorare le leggi umane.
E chi parla di
“tolleranza zero”, a mio modesto avviso, deve essere disposto ad applicarla anche agli
amici suoi, ai sodali suoi ed al suo ambiente (sociale,
professionale, politico, ecc.), altrimenti non è sincero e non sta
parlando di severità della legge, bensì sta proclamando per
l'ennesima volta con sfacciataggine l'inaccettabile diritto ai “due
pesi e due misure”, a difesa del proprio privilegio (e non
della legge).
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