A
M. e a S.
Strano
universo, quello della Rete o Web.
Sono quasi
15 anni che lo frequento, ormai; si è tecnicamente rinnovato (del
resto, un universo che nella tecnica ha la propria linfa vitale non
può che mutare seguendo le innovazioni della tecnica medesima,
votata a superare continuamente se stessa, a un ritmo che accelera
costantemente); si è tecnicamente rinnovato, dunque, eppure il suo
“fondo” rimane sostanzialmente lo stesso.
Lo chiamo
fondo con cognizione di causa, anche perché mi viene in aiuto
la metafora del mare, che sembra di uso comune in merito al Web (si
“naviga”, no?). Infatti, poiché questo mare-Web è
alquanto profondo, il suo “fondo” non possiamo vederlo
ininterrottamente, anzi perlopiù rimane nascosto al nostro sguardo.
Eppure gli “esseri”, o meglio gli umori e le energie, che se ne
stanno laggiù come acquattati, all'improvviso salgono a galla e ci
colgono di sorpresa.
E' pieno di
persone, l'universo-Rete, e come mare è molto strano, giacché
ospita una miriade di centri abitati, nei quali saltano agli occhi
soprattutto le finestre, innumerevoli, che sono costantemente aperte.
Gli interni che quelle aperture lasciano osservare sono illuminati a
giorno, però non bisogna lasciarsi ingannare da cotanto sfavillio di
luci e specchi: solo alcune stanze di solito ci è dato vedere, e
probabilmente gli abitanti delle case curano con particolare
attenzione la parte visibile della loro dimora, relegando la parte
peggiore delle loro vite nelle stanze a noi invisibili e
inaccessibili, che sono collocate proprio sul fondo, o nelle
cantine se si preferisce altra metafora.
Si dice che
un tempo, nel “Web primitivo”, quello abitato da selve di
nickname, fosse più facile tenere nascosta la parte
“impresentabile” della propria casa, ma ho l'impressione che
questa sia solo un'illusione: anche ora che gli abitanti fanno di
tutto per mostrare i loro volti, vi sono infiniti modi per tenere in
ombra ciò che non si vuol mostrare. Anzi, la “trasparenza”
apparente delle nuove case dell'universo-Rete può risultare un
ottimo specchietto per le allodole.
Comunque –
e questa è forse la cosa più caratteristica – non si vive mai
totalmente là, nell'universo-Rete, ma si è sempre sdoppiati: siamo
qui e contemporaneamente là; e nelle relazioni interpersonali che si
intrecciano sul Web, noi siamo in questo universo e l'altro/a,
che ci parla o al(la) quale ci rivolgiamo, invece è collocato in
quello, ossia nel Web (per l'altro/a è vero il contrario...).
Le parole che ci scambiamo nel Web tuttavia rimbalzano nel
nostro consueto universo quotidiano, che potremmo definire
nativo (giacché è in questo che indubbiamente veniamo al
mondo come esseri fisici e pensanti...), e benché formulate da
persone sconosciute (che per noi probabilmente resteranno per sempre
tali) e rivolte non a noi, ma alla nostra parte temporaneamente
consegnata all'universo-Rete, possono talvolta turbarci o addirittura
ferirci qui ed ora, nel nostro universo “nativo”, fino a
scatenare reazioni, fatte solitamente di altre parole “acuminate”
che lanciamo a colui/colei che per noi è realmente solo un X
abitante dell'universo-Rete (ma la nostra ferita illusoriamente ce lo
mostra come avversario fisicamente presente, nel nostro “universo
principale”).
Nonostante
tutte le interazioni oggi consentite dall'universo-Rete (video,
audio, foto, ecc.), sono ancora le parole a prevalere, e
quindi le discussioni si accendono intorno a parole e frasi, spesso
rapide, laconiche, e dunque soggette a fraintendimenti. A volte,
senza rendersene conto, si supera il punto “critico”, al di là
del quale diventa difficile spegnere l'incendio “virtuale”.
Poi ci sono
anche i provocatori di professione, i “cercatori di lite”, che
sembra setaccino scientificamente l'universo-Rete a caccia di
soggetti adatti alla bisogna; lanciano l'esca e qualche sventurato
abbocca, senza comprendere che si tratta soltanto di uno spreco di
tempo e di energie, che potrebbero utilmente essere dedicati ad
altro: il provocatore (o la provocatrice) “professionista” non
vuole discutere realmente, ma solo imporsi in una sorta di
“battaglia” il cui senso a stento egli stesso(/ella stessa) è in
grado di comprendere, dunque è del tutto inutile impegnarsi in un
dialogo con lui (o lei). Non vale neppure la pena di controbattere:
le contumelie gratuite di un illustre sconosciuto sono come sputi
lanciati in aria...
Per fortuna
tuttavia nell'universo-Rete c'è anche altro. Ci sono altre persone,
con le quali conversiamo volentieri: condividono con noi gusti,
passioni, visioni del mondo e il dialogo con loro ci gratifica e
talora ci apre persino la mente.
Qualche
volta, quando nell'universo “nativo” ci sembra di essere finiti
in una zona d'ombra, nell'universo-Rete possiamo scoprire che ci sono
compagni d'esilio.
In realtà
poi le commistioni tra i due “universi” sono continue, sembra che
l'uno non possa fare a meno dell'altro: ad esempio, c'è una speciale
casa attrezzata nell'universo-Rete che consente, con un
telescopio tutto suo, di percorrere quasi metro per metro le strade
delle città più importanti dell'universo “nativo”. Ma siamo
noi, di qua, a sbirciare in quella specie di telescopio.
Fino a poco
tempo fa, in questo universo “arcaico” una strada non la potevi
percorrere se non recandotici fisicamente e calpestandone il suolo;
adesso la puoi conoscere, e rendertela familiare, anche senza
schiodarti dalla tua sedia, oppure, se già ti è nota, la puoi
rivedere senza doverti spostare.
E' grazie a
cose come queste che si creano nuovi rifugi e nuove mete per le
nostalgie. Erano anni che non capitavi più lì, d'altra parte si
tratta di una città lontana dalla tua... La strada, col potente
telescopio virtuale dell'universo-Rete, la trovi facilmente, e puoi
rivedere molti dettagli, fino a stupirtene: puoi persino alzare la
testa, come un vero viandante, e osservare i tetti, la forma delle
finestre... poche cose ti sembrano cambiate, anzi quasi nulla.
Bastano
quelle immagini precise – che non sono semplici immagini, dato che
ti permettono di scorrazzarci dentro – e certe sensazioni sembrano
ritornare e ti investono, quasi ti travolgono; hai persino il tempo
di osservare tutto con calma, come non avevi mai fatto, ma non puoi
ritrovare quel che cerchi. Il vissuto infatti è fuggito via
inesorabilmente, anche se il luogo non è mutato; è la beffarda
persistenza delle cose, che ciascuno conosce e tuttavia preferisce
testardamente ignorare (beffarda in rapporto alla mobilità
convulsa e non predeterminabile delle vite). La precisione della
tecnica rende insensati i ricordi, dopo averli recuperati dal torpore
che li custodiva e li tacitava.
Tu ora sei
lì, nella strada che osservi, eppure non ci sei; e se ci fossi
fisicamente, non cambierebbe nulla: potresti toccare le cose che ora
vedi, muri, porte, case, percepire l'aria che quelle cose sfiora, ma
il pensiero che ti rimarrebbe sarebbe lo stesso (nessun luogo, per
quanto suggestivo e significativo, nella sua persistenza che ha come
corollario una “neutrale indifferenza”, conserva memoria delle
nostre esperienze private: anche i segni che possiamo lasciarvi –
come una scritta su un muro – perdono colore, intensità e senso
con l'andar del tempo). L'universo-Rete ti ha risparmiato un'inutile
fatica, ha anticipato servizievolmente le conclusioni che avresti
dovuto in ogni caso trarre.
Ecco, poi,
a parte gli sguardi che rimanda sul nostro universo, anche
nell'universo-Rete ci sono case abbandonate e disabitate, o relitti
inabissati: blog iniziati e sul più bello interrotti e non più
aggiornati, testimonianze di intenzioni naufragate per motivi ignoti
a chi osserva; qualche volta sono case con tante stanze, ancora
arredate, ma invase da un velo inesorabile di polvere che tutto
copre; in altri casi si tratta di costruzioni appena abbozzate, senza
infissi, che promettevano o speravano qualcosa che non è più
arrivato.
O forse
tutto questo mondo in apparenza solido, ma affidato a cavi,
connessioni, satelliti, bit, server, elettricità..., ci costringe a
fare e disfare infiniti castelli di sabbia, o fragili capanne che una
tempesta chiamata rinnovamento
o anche obsolescenza
può portare via in un soffio.
Che
ne sarà delle maestose città della Rete, piene di scritti, dati e
informazioni, e di indaffarate conversazioni? Potranno davvero
sfidare la Biblioteca di Babele o seguiranno la sorte della carta che
hanno contribuito a cestinare? E se capiterà il peggio, verranno
altre Città a prendere il loro posto e a far compagnia a questo
universo nativo e arcaico, bisognoso di un doppio?
Ma
dietro quelle “città” – ecco che apparentemente torniamo alla
partenza – ci sono le nostre “ombre elettroniche”, i nostri
“avatar”, o meglio i pezzi delle nostre vite che concediamo alla
Rete, e che grazie a questa s'incontrano, s'incastrano e s'incrociano
in maniera autonoma e imprevedibile. Qualcuna di quelle “ombre in
bit” può diventare importante non solo per la nostra “ombra”
ma perfino per noi come persone; riconosciamo la
persona che c'è dietro l'“ombra” che ci parla tramite la Rete,
ne capiamo talora i valori, il carattere, le passioni...
E
quando qualcuna di quelle persone, che la marea della Rete ha
condotto per via di imperscrutabili correnti sino a noi, un bel
giorno scompare, quell'universo si rivela definitivamente
aggrappato a questo, che ci era sembrato il reale per
antonomasia. Sono vicini di pianerottolo, invece, e ogni giorno
possono incontrarsi sullo stesso balcone, senza rendersene conto.
Ecco,
come i siti e i blog, anche le persone che, in questo molteplice
palcoscenico elettronico, ne erano gli autori e i registi, talvolta
si assentano senza preavviso, per darci appuntamento a mai, in un
luogo che nessuno potrebbe precisare. E una volta di più, noi che
troviamo i riflettori inopinatamente spenti, diamo ragione
all'intuito di Calderón, la
vita è sogno.
La
vostra voce, amici, non si è spenta in noi che rimaniamo qui, ancora
increduli, a fissare il sipario chiuso; le parole che avete
pronunciato dal vostro caldo palco rimbalzano con echi inaspettati
nei nostri ricordi. E le custodiamo nitide, anche se siete stati
soltanto comprimari di un sogno, del resto tali siamo e saremo anche
noialtri; sappiate che quello nel quale ci siamo incontrati è uno di
quei sogni che non si piegano all'inesorabile oblio della veglia.
Sì,
spesso penso a voi, alle vostre parole, ai nostri dialoghi e a quelli
che non ci sono più concessi; penso a questi sogni che
s'incrociano di continuo per poi cedere alla loro natura e dunque
svanire.
E' vita
anche quella che si rivela nelle sembianze del cosiddetto “mondo
virtuale”, perché quando nel suo dissolversi interrompe il flusso
di un intenso fraterno dialogo, ci impone un rimpianto che ci è tremendamente
familiare.
che tristezza quando un blog chiude e chi aveva aperto una finestra sul suo mondo la richiude senza lasciare neanche una briciola ad indicare un sentiero
RispondiEliminaSì, è vero... trasmette un senso di smarrimento e di sconfitta, soprattutto per la mancanza di un'indicazione sulle ragioni di quella chiusura. Ci si pone domande, si fanno ipotesi (forse la stanchezza, forse qualche delusione, qualche commento che ha amareggiato il/la blogger...). Quando un canale di comunicazione e di dialogo si chiude bruscamente, un rimpianto, grande o piccolo, rimane sempre in giro. In fondo è lo spettacolo che offre la caducità delle nostre intenzioni; i mille rumori del "daffare" quotidiano, che interferiscono coi nostri personalissimi sentieri e li interrompono.
EliminaIl brutto è che a volte troviamo i riflettori accesi, la tavola apparecchiata, un post magari di due anni prima, commenti a corollario, contatori in attesa di una visita, ed il padrone di casa volatilizzato. Con la porta di casa aperta. Come ancora accade in certi paesini del sud... triste ma reale. Non c'è un vortice a trasformare in buco nero l'abbandonante e l'abbandonato. Rimane un tempo cristallizzato. E noi spesso rompiamo il silenzio e spostiamo la polvere. Con discrezione, spero...
RispondiEliminaSì, è vero, un tempo cristallizzato, è proprio questa l'impressione. Prima di scrivere questo post mi era capitato di affacciarmi su qualche blog e sito che un tempo (non tanto remoto, ma neppure recente...) avevo frequentato. Tutto immutato, in quelle "stanze", come se il tempo si fosse fermato, come se davvero da un momento all'altro i padroni di casa potessero riapparire. Le ultime riflessioni e gli ultimi commenti in evidenza nella schermata si presentavano candidi al "cibernavigante", proprio come se risalissero al giorno prima. Ma ci è voluto (e ci vuole) appena un attimo a ricordare che quelle parole erano state già lette, già commentate, ma già lontane nel ricordo, tanto da essere state dimenticate dal "navigante" fino a un momento prima. Che beffa quando le parole si staccano da noi e continuano a vivere di vita propria; restano lì, sulla pagina di un diario, di una lettera o di un blog "sopravvissuto", a indicare attese, speranze e umori che non hanno più un soggetto, sogni senza più un sognatore... frasi tipiche e tic sintattici che rivelano dettagli di una personalità che resterà ormai solo un'ipotesi, un tarlo della nostra immaginazione.
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