Frontespizio

Le conclusioni provvisorie sono come i massi che ci consentono di attraversare un piccolo fiume: saltiamo dall'una all'altra, e possiamo farlo di volta in volta solo perché i "massi" precedenti ci hanno portato a quel punto.

«Che cosa rimane del pensiero critico, se rinuncia alla tentazione di aggrapparsi a schemi mentali, a retoriche e ad apparati argomentativi prefabbricati e di sicuro effetto scenico (manicheismo, messianismo, settarismo, complottismo, moralismo e simili...)? Non perde forse la sua capacità di attrarre l'attenzione dell'uditorio distratto facendogli sentire il suono delle unghie che graffiano la superficie delle cose?» può domandarsi qualcuno.
No, al pensiero critico non servono “scene madri” né “effetti speciali”; anzi, quanto più si dimostra capace di farne a meno, tanto più riesce a far comprendere la fondatezza e l'urgenza dei propri interrogativi. (In my humble opinion, of course!)

martedì 8 ottobre 2013

Riverberi real-virtuali dell'universo-Web


A M. e a S.

Strano universo, quello della Rete o Web.

Sono quasi 15 anni che lo frequento, ormai; si è tecnicamente rinnovato (del resto, un universo che nella tecnica ha la propria linfa vitale non può che mutare seguendo le innovazioni della tecnica medesima, votata a superare continuamente se stessa, a un ritmo che accelera costantemente); si è tecnicamente rinnovato, dunque, eppure il suo “fondo” rimane sostanzialmente lo stesso.

Lo chiamo fondo con cognizione di causa, anche perché mi viene in aiuto la metafora del mare, che sembra di uso comune in merito al Web (si “naviga”, no?). Infatti, poiché questo mare-Web è alquanto profondo, il suo “fondo” non possiamo vederlo ininterrottamente, anzi perlopiù rimane nascosto al nostro sguardo. Eppure gli “esseri”, o meglio gli umori e le energie, che se ne stanno laggiù come acquattati, all'improvviso salgono a galla e ci colgono di sorpresa.

E' pieno di persone, l'universo-Rete, e come mare è molto strano, giacché ospita una miriade di centri abitati, nei quali saltano agli occhi soprattutto le finestre, innumerevoli, che sono costantemente aperte. Gli interni che quelle aperture lasciano osservare sono illuminati a giorno, però non bisogna lasciarsi ingannare da cotanto sfavillio di luci e specchi: solo alcune stanze di solito ci è dato vedere, e probabilmente gli abitanti delle case curano con particolare attenzione la parte visibile della loro dimora, relegando la parte peggiore delle loro vite nelle stanze a noi invisibili e inaccessibili, che sono collocate proprio sul fondo, o nelle cantine se si preferisce altra metafora.

Si dice che un tempo, nel “Web primitivo”, quello abitato da selve di nickname, fosse più facile tenere nascosta la parte “impresentabile” della propria casa, ma ho l'impressione che questa sia solo un'illusione: anche ora che gli abitanti fanno di tutto per mostrare i loro volti, vi sono infiniti modi per tenere in ombra ciò che non si vuol mostrare. Anzi, la “trasparenza” apparente delle nuove case dell'universo-Rete può risultare un ottimo specchietto per le allodole.

Comunque – e questa è forse la cosa più caratteristica – non si vive mai totalmente là, nell'universo-Rete, ma si è sempre sdoppiati: siamo qui e contemporaneamente là; e nelle relazioni interpersonali che si intrecciano sul Web, noi siamo in questo universo e l'altro/a, che ci parla o al(la) quale ci rivolgiamo, invece è collocato in quello, ossia nel Web (per l'altro/a è vero il contrario...). Le parole che ci scambiamo nel Web tuttavia rimbalzano nel nostro consueto universo quotidiano, che potremmo definire nativo (giacché è in questo che indubbiamente veniamo al mondo come esseri fisici e pensanti...), e benché formulate da persone sconosciute (che per noi probabilmente resteranno per sempre tali) e rivolte non a noi, ma alla nostra parte temporaneamente consegnata all'universo-Rete, possono talvolta turbarci o addirittura ferirci qui ed ora, nel nostro universo “nativo”, fino a scatenare reazioni, fatte solitamente di altre parole “acuminate” che lanciamo a colui/colei che per noi è realmente solo un X abitante dell'universo-Rete (ma la nostra ferita illusoriamente ce lo mostra come avversario fisicamente presente, nel nostro “universo principale”).

Nonostante tutte le interazioni oggi consentite dall'universo-Rete (video, audio, foto, ecc.), sono ancora le parole a prevalere, e quindi le discussioni si accendono intorno a parole e frasi, spesso rapide, laconiche, e dunque soggette a fraintendimenti. A volte, senza rendersene conto, si supera il punto “critico”, al di là del quale diventa difficile spegnere l'incendio “virtuale”.

Poi ci sono anche i provocatori di professione, i “cercatori di lite”, che sembra setaccino scientificamente l'universo-Rete a caccia di soggetti adatti alla bisogna; lanciano l'esca e qualche sventurato abbocca, senza comprendere che si tratta soltanto di uno spreco di tempo e di energie, che potrebbero utilmente essere dedicati ad altro: il provocatore (o la provocatrice) “professionista” non vuole discutere realmente, ma solo imporsi in una sorta di “battaglia” il cui senso a stento egli stesso(/ella stessa) è in grado di comprendere, dunque è del tutto inutile impegnarsi in un dialogo con lui (o lei). Non vale neppure la pena di controbattere: le contumelie gratuite di un illustre sconosciuto sono come sputi lanciati in aria...

Per fortuna tuttavia nell'universo-Rete c'è anche altro. Ci sono altre persone, con le quali conversiamo volentieri: condividono con noi gusti, passioni, visioni del mondo e il dialogo con loro ci gratifica e talora ci apre persino la mente.

Qualche volta, quando nell'universo “nativo” ci sembra di essere finiti in una zona d'ombra, nell'universo-Rete possiamo scoprire che ci sono compagni d'esilio.

In realtà poi le commistioni tra i due “universi” sono continue, sembra che l'uno non possa fare a meno dell'altro: ad esempio, c'è una speciale casa attrezzata nell'universo-Rete che consente, con un telescopio tutto suo, di percorrere quasi metro per metro le strade delle città più importanti dell'universo “nativo”. Ma siamo noi, di qua, a sbirciare in quella specie di telescopio.

Fino a poco tempo fa, in questo universo “arcaico” una strada non la potevi percorrere se non recandotici fisicamente e calpestandone il suolo; adesso la puoi conoscere, e rendertela familiare, anche senza schiodarti dalla tua sedia, oppure, se già ti è nota, la puoi rivedere senza doverti spostare.

E' grazie a cose come queste che si creano nuovi rifugi e nuove mete per le nostalgie. Erano anni che non capitavi più lì, d'altra parte si tratta di una città lontana dalla tua... La strada, col potente telescopio virtuale dell'universo-Rete, la trovi facilmente, e puoi rivedere molti dettagli, fino a stupirtene: puoi persino alzare la testa, come un vero viandante, e osservare i tetti, la forma delle finestre... poche cose ti sembrano cambiate, anzi quasi nulla.

Bastano quelle immagini precise – che non sono semplici immagini, dato che ti permettono di scorrazzarci dentro – e certe sensazioni sembrano ritornare e ti investono, quasi ti travolgono; hai persino il tempo di osservare tutto con calma, come non avevi mai fatto, ma non puoi ritrovare quel che cerchi. Il vissuto infatti è fuggito via inesorabilmente, anche se il luogo non è mutato; è la beffarda persistenza delle cose, che ciascuno conosce e tuttavia preferisce testardamente ignorare (beffarda in rapporto alla mobilità convulsa e non predeterminabile delle vite). La precisione della tecnica rende insensati i ricordi, dopo averli recuperati dal torpore che li custodiva e li tacitava.

Tu ora sei lì, nella strada che osservi, eppure non ci sei; e se ci fossi fisicamente, non cambierebbe nulla: potresti toccare le cose che ora vedi, muri, porte, case, percepire l'aria che quelle cose sfiora, ma il pensiero che ti rimarrebbe sarebbe lo stesso (nessun luogo, per quanto suggestivo e significativo, nella sua persistenza che ha come corollario una “neutrale indifferenza”, conserva memoria delle nostre esperienze private: anche i segni che possiamo lasciarvi – come una scritta su un muro – perdono colore, intensità e senso con l'andar del tempo). L'universo-Rete ti ha risparmiato un'inutile fatica, ha anticipato servizievolmente le conclusioni che avresti dovuto in ogni caso trarre.

Ecco, poi, a parte gli sguardi che rimanda sul nostro universo, anche nell'universo-Rete ci sono case abbandonate e disabitate, o relitti inabissati: blog iniziati e sul più bello interrotti e non più aggiornati, testimonianze di intenzioni naufragate per motivi ignoti a chi osserva; qualche volta sono case con tante stanze, ancora arredate, ma invase da un velo inesorabile di polvere che tutto copre; in altri casi si tratta di costruzioni appena abbozzate, senza infissi, che promettevano o speravano qualcosa che non è più arrivato.

O forse tutto questo mondo in apparenza solido, ma affidato a cavi, connessioni, satelliti, bit, server, elettricità..., ci costringe a fare e disfare infiniti castelli di sabbia, o fragili capanne che una tempesta chiamata rinnovamento o anche obsolescenza può portare via in un soffio.

Che ne sarà delle maestose città della Rete, piene di scritti, dati e informazioni, e di indaffarate conversazioni? Potranno davvero sfidare la Biblioteca di Babele o seguiranno la sorte della carta che hanno contribuito a cestinare? E se capiterà il peggio, verranno altre Città a prendere il loro posto e a far compagnia a questo universo nativo e arcaico, bisognoso di un doppio?

Ma dietro quelle “città” – ecco che apparentemente torniamo alla partenza – ci sono le nostre “ombre elettroniche”, i nostri “avatar”, o meglio i pezzi delle nostre vite che concediamo alla Rete, e che grazie a questa s'incontrano, s'incastrano e s'incrociano in maniera autonoma e imprevedibile. Qualcuna di quelle “ombre in bit” può diventare importante non solo per la nostra “ombra” ma perfino per noi come persone; riconosciamo la persona che c'è dietro l'“ombra” che ci parla tramite la Rete, ne capiamo talora i valori, il carattere, le passioni...

E quando qualcuna di quelle persone, che la marea della Rete ha condotto per via di imperscrutabili correnti sino a noi, un bel giorno scompare, quell'universo si rivela definitivamente aggrappato a questo, che ci era sembrato il reale per antonomasia. Sono vicini di pianerottolo, invece, e ogni giorno possono incontrarsi sullo stesso balcone, senza rendersene conto.

Ecco, come i siti e i blog, anche le persone che, in questo molteplice palcoscenico elettronico, ne erano gli autori e i registi, talvolta si assentano senza preavviso, per darci appuntamento a mai, in un luogo che nessuno potrebbe precisare. E una volta di più, noi che troviamo i riflettori inopinatamente spenti, diamo ragione all'intuito di Calderón, la vita è sogno.

La vostra voce, amici, non si è spenta in noi che rimaniamo qui, ancora increduli, a fissare il sipario chiuso; le parole che avete pronunciato dal vostro caldo palco rimbalzano con echi inaspettati nei nostri ricordi. E le custodiamo nitide, anche se siete stati soltanto comprimari di un sogno, del resto tali siamo e saremo anche noialtri; sappiate che quello nel quale ci siamo incontrati è uno di quei sogni che non si piegano all'inesorabile oblio della veglia.

Sì, spesso penso a voi, alle vostre parole, ai nostri dialoghi e a quelli che non ci sono più concessi; penso a questi sogni che s'incrociano di continuo per poi cedere alla loro natura e dunque svanire.

E' vita anche quella che si rivela nelle sembianze del cosiddetto “mondo virtuale”, perché quando nel suo dissolversi interrompe il flusso di un intenso fraterno dialogo, ci impone un rimpianto che ci è tremendamente familiare.

4 commenti:

  1. che tristezza quando un blog chiude e chi aveva aperto una finestra sul suo mondo la richiude senza lasciare neanche una briciola ad indicare un sentiero

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    1. Sì, è vero... trasmette un senso di smarrimento e di sconfitta, soprattutto per la mancanza di un'indicazione sulle ragioni di quella chiusura. Ci si pone domande, si fanno ipotesi (forse la stanchezza, forse qualche delusione, qualche commento che ha amareggiato il/la blogger...). Quando un canale di comunicazione e di dialogo si chiude bruscamente, un rimpianto, grande o piccolo, rimane sempre in giro. In fondo è lo spettacolo che offre la caducità delle nostre intenzioni; i mille rumori del "daffare" quotidiano, che interferiscono coi nostri personalissimi sentieri e li interrompono.

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  2. Il brutto è che a volte troviamo i riflettori accesi, la tavola apparecchiata, un post magari di due anni prima, commenti a corollario, contatori in attesa di una visita, ed il padrone di casa volatilizzato. Con la porta di casa aperta. Come ancora accade in certi paesini del sud... triste ma reale. Non c'è un vortice a trasformare in buco nero l'abbandonante e l'abbandonato. Rimane un tempo cristallizzato. E noi spesso rompiamo il silenzio e spostiamo la polvere. Con discrezione, spero...

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    1. Sì, è vero, un tempo cristallizzato, è proprio questa l'impressione. Prima di scrivere questo post mi era capitato di affacciarmi su qualche blog e sito che un tempo (non tanto remoto, ma neppure recente...) avevo frequentato. Tutto immutato, in quelle "stanze", come se il tempo si fosse fermato, come se davvero da un momento all'altro i padroni di casa potessero riapparire. Le ultime riflessioni e gli ultimi commenti in evidenza nella schermata si presentavano candidi al "cibernavigante", proprio come se risalissero al giorno prima. Ma ci è voluto (e ci vuole) appena un attimo a ricordare che quelle parole erano state già lette, già commentate, ma già lontane nel ricordo, tanto da essere state dimenticate dal "navigante" fino a un momento prima. Che beffa quando le parole si staccano da noi e continuano a vivere di vita propria; restano lì, sulla pagina di un diario, di una lettera o di un blog "sopravvissuto", a indicare attese, speranze e umori che non hanno più un soggetto, sogni senza più un sognatore... frasi tipiche e tic sintattici che rivelano dettagli di una personalità che resterà ormai solo un'ipotesi, un tarlo della nostra immaginazione.

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