I social network si possono giudicare
in tanti modi; e soprattutto si può valutare in molti modi
l'uso che di essi viene fatto dagli utenti.
In particolare, per l'importanza che
oggi i social network innegabilmente rivestono (sempre più
persone si iscrivono a Facebook o a Twitter, ad es.: piattaforme come
queste dunque vivono una fase di espansione della loro "popolarità" e
delle loro potenzialità), essi diventano strumenti sempre più
necessari e imprescindibili di comunicazione politica.
Ci si può chiedere se e
fino a che punto i social network influenzino il modo
di comunicare e di veicolare i messaggi anche in campo politico, e -
di converso - se e fino a che punto invece essi si
limitino a fornire un'arena pubblica (ma, a differenza di altri
media, con meno barriere nell'accesso e con la possibilità di
stabilire interazioni in tempo reale con altri utenti) per tendenze,
valori, atteggiamenti già presenti e formati all'interno della
società.
Si tratta di interrogativi importanti, che sono
di pertinenza di specifiche discipline che studiano la società
e la comunicazione, e ai loro studi rinvio per avere qualche
risposta. Li lascio quindi sullo sfondo, qui.
Sta di fatto che sui social network la
comunicazione politica, sia fra utenti comuni (per così
dire) che fra questi ultimi e i soggetti istituzionali
(singoli politici oppure partiti, istituzioni propriamente dette,
ecc.; senza contare poi il ruolo dei "media istituzionali"
- ad es., pagine Facebook di testate giornalistiche, ecc. - che è
una variabile in più nel discorso), è tendenzialmente
frammentata e sintetica, o forse costitutivamente laconica, e
concentrata quindi di necessità più sulla carica
emozionale da imprimere o consegnare al messaggio (e dunque al
destinatario) che non sullo "spessore analitico" dei suoi
contenuti.
Se i luoghi in cui si producono la
riflessione e la comunicazione politica sono diversificati e
plurali, e pariteticamente influenti, il caratteristico
modo "lapidario" e talora "impressionistico" di
veicolare la politica sui social network non diventa un problema
cruciale, giacché restano pur sempre aperti altri "canali"
o "media" che consentono di esprimere riflessioni più
ampie e articolate.
Se invece - per una serie di motivi che
andrebbero a loro volta analizzati - la comunicazione politica (nelle
due modalità, "orizzontale" e "verticale",
alle quali accennavo poc'anzi: cittadino/cittadino e
cittadino/soggetto istituzionale) finisce per essere strutturata in
maniera "monopolistica" (o quasi) secondo il modello
"lapidario/emozionale/impressionistico" dei social network
(per l'enorme diffusione di questi ultimi e/o per altri complessi
motivi collaterali), si rischia di ridurre la politica (la visione
che se ne offre, la definizione che se ne dà) alla dimensione
propria dei social network stessi, escludendo drasticamente (con
un'operazione di "semplificazione radicale" e brutale)
ulteriori dimensioni e contenuti (in particolare, la dimensione
dell'analisi argomentata e articolata dei concetti, dei fenomeni e
dei soggetti politici).
Insomma, per dirla in una battuta, in
questo modo lo slogan e/o lo stereotipo rischiano di
occupare interamente e definitivamente il campo del dibattito
politico, escludendo l'argomentazione, l'analisi e in
definitiva il dialogo (se inteso, quest'ultimo, non come puro
scambio di motti "prefabbricati", o peggio, di insulti,
anatemi e improperi).
Mi par di capire che il dibattito
intorno a questo tema così attuale (e in continua evoluzione)
sia tuttora aperto, e le riflessioni che produce non sono univoche.
Premesso tutto ciò - e non
sottovalutando il ruolo positivo che il cosiddetto "Web 2.0"
può avere nella comunicazione politica, nello scambio di
informazioni, ecc. - voglio qui soltanto far notare un aspetto della
tendenza alla "semplificazione radicale", cui accennavo,
che forse era già presente nella società e nel discorso
pubblico, ma che certamente risalta con particolare evidenza sui
social network - aspetto che si connette fra l'altro a un tema annoso
e non secondario del dibattito politico italiano, ovvero il
"giustizialismo".
Talora si assiste infatti, ad es. su
Facebook, ad una sorta di gara fra opposte tifoserie, che
segnano su un immaginario "tabellone segnapunti" le notizie
sfavorevoli all'avversario politico (indagini per corruzione, avvisi
di garanzia notificati a questo o a quel politico di spicco), che i
media di volta in volta (con cadenza quasi giornaliera) sfornano.
In alcune giornate, i post si
susseguono freneticamente. Un utente di centrodestra posta sul suo
profilo Facebook la notizia di un avviso di garanzia riguardante un
noto politico di centrosinistra, accompagnata da commenti personali
assimilabili a quelli che un tifoso di calcio esprimerebbe in
riferimento a un goal subìto da una squadra "rivale"
nel campionato. Poco dopo un utente di centrosinistra fa la stessa
cosa, con l'unica differenza che la notizia da lui postata sul
proprio profilo Facebook è relativa a un politico di
centrodestra; anche lui si lascia andare a commenti da tifoso. Gli animi si scaldano, e si comprende che non è "soltanto un gioco": c'è in ballo qualcosa di più.
Successivamente, come per emulazione, altri utenti di opposti
schieramenti politici prendono parte a questa tenzone, facendo quasi
a gara nel postare il maggior numero di notizie sfavorevoli (sotto il
profilo giudiziario, quasi sempre) per lo schieramento avversario.
Nel corso di questa "gara di
campionato" nessuno di quei "tifosi" sembra essere
sfiorato dal dubbio che una politica dilaniata da corruzione e
inchieste giudiziarie sia un male per tutti, a prescindere dal
colore politico dell'indagato.
Inoltre, colui/colei che intende la
politica alla stregua del tifo calcistico non è nella migliore
disposizione d'animo per comprendere la necessità di
rovesciare quel suo modo di ragionare; ovvero, lui/lei non riesce a
comprendere (finché si muove idealmente all'interno di quello
schema mentale) che dovrebbe piuttosto esaminare con severità
il comportamento della propria parte politica di riferimento,
perché avrebbe il diritto di pretendere, dai rappresentanti
della parte politica sulla quale maggiormente fa affidamento,
comportamenti trasparenti e rispettosi della legge. Dovrebbe annotare
insomma innanzitutto le mancanze del proprio partito di
riferimento, perché in quanto elettore ha il diritto di
chiedere conto dell'operato degli eletti nei quali si riconosce.
(Questo atteggiamento da parte dell'elettore, diametralmente opposto
rispetto a quello del tifoso, è a mio parere una delle
precondizioni per giungere a un "ambiente" politico
tendenzialmente più incline alla trasparenza e alla
correttezza.)
E ancora, questo modo di intendere la
politica come mera "tifoseria" è in sostanza una
delle tante "applicazioni" del doppio standard, che
in questo caso si traduce praticamente così: uno stesso fatto [ad
es., la notizia di un avviso di garanzia per corruzione: non sappiamo
ancora se l'indagato è colpevole o no, quindi siamo nel campo
dell'opinabile!], a parità di ogni altra condizione,
acquista un significato, un valore e un peso diversi, a seconda del soggetto coinvolto e
della convenienza personale o politica di chi lo comunica, lo
interpreta o lo commenta; se cioè ad essere indagato è
un esponente dello schieramento politico da me avversato,
quell'indagine è giusta e sacrosanta a priori (ancor
prima di conoscere i fatti, a volte!) oppure la colpa dell'indagato è
gravissima, imperdonabile ed evidente (sempre a priori...); se
invece ad essere indagato è un esponente del mio schieramento
politico di riferimento, quell'indagine è ingiusta e
strumentale a priori e l'indagato è senz'altro
innocente o almeno ha diritto al beneficio del dubbio (e
l'interpretazione che dò dei fatti viene condizionata da
questo "a priori", anche se non lo voglio ammettere).
Se il confronto politico dovesse
ridursi completamente a questo uso incrociato del doppio standard,
è chiaro che svuoteremmo la politica di ogni contenuto e
porremmo la pura contesa tra fazioni - ossia, di fatto, la mera contesa per
l'occupazione del potere - al di sopra di ogni altra
considerazione (confronto fra diversi programmi politici, fra diverse
interpretazioni della realtà, fra diverse possibili classi
dirigenti, ecc.).
Una conseguenza particolarmente
devastante dell'uso disinvolto del doppio standard poi è
che tale uso si rifà al fuorviante principio: "Il fine
giustifica i mezzi"; ovvero, per vincere la lotta politica, si
ritiene lecito anche il ricorso alla "doppia morale", un
"mezzo" sgradevole certo, ma considerato un "male minore"
rispetto alla vittoria della "fazione" avversa.
[Si tratta di un principio purtroppo
ben noto (per le numerose volte in cui è stato ed è
tuttora messo in pratica, nei più svariati contesti,
"pubblici" o "privati"), che personalmente
considero deleterio e fonte di scempi di vario genere: infatti, esso
è in grado di rovinare e "sporcare", snaturandole,
anche le cause più nobili. Questo perché, a mio parere,
i "mezzi" non sono mai neutri e finiscono invariabilmente
per condizionare pesantemente il "fine" al quale sono
(apparentemente) subordinati; nel momento in cui si sceglie di
utilizzare un "mezzo" piuttosto che un altro per arrivare a
un determinato scopo, si sceglie anche - lo si voglia o no - di dare
un senso (un volto, un contenuto, un orientamento) piuttosto
che un altro allo scopo medesimo - e anche di segnarlo con un
preciso destino. Non mi soffermo ulteriormente su questa
riflessione, anche perché intendo riprenderla e approfondirla,
se ne avrò occasione, in futuri post, riguardanti argomenti
più "densi".]
Ma infine - per tornare alla "tifoseria
politica" sui social network - qualcuno dovrebbe spiegarmi che
cosa si vince, in un gioco del genere...
Mi spiego. Poniamo (come ipotesi
puramente inventata sul momento) che sull'ideale "tabellone
segnapunti" curato maniacalmente dagli utenti di Facebook
partecipanti alla "gara fra tifoserie", in una data y
scelta come giorno di riferimento, compaia un punteggio del genere:
Sx 18 (inteso come indagati, condannati, o quel che si vuole...) / Dx
16, o viceversa; questo solo confronto "numerico" -
in una situazione in cui la reputazione dei partiti è così
bassa (con così tante "notizie di reato"...) -
dimostra forse che lo schieramento che ha meno "punti"
(come indagati, ecc.) è il migliore? Ma migliore in che senso?
Se uno dei due contendenti ha un paio di indagati in meno dell'altro,
vince? ma vince che cosa? quale coppa, quale premio? Il premio di
credibilità no, in quanto, nell'ipotesi qui fatta, il gran
numero di inchieste giudiziarie (ammesso che una buona parte di
queste abbia una solida ragion d'essere) non depone comunque a favore
di nessuno dei due schieramenti. E allora? Ripeto: cosa si vince?
Ormai non potrei fare a meno di facebook, ho un account anche su twitter ma non mi ci ritrovo, non ho il dono della sintesi. Su facebook trovo le notizie che mi servono per l'altro blog, e ho una bella compagnia di persone intelligenti in lista con le quali ho degli interessanti scambi di opinione, non lo uso certamente per informare di quante volte faccio sesso, pipì o prendo il caffè. Sono, da sempre, un'accanita fan dell'uso consapevole della rete, poi è ovvio che essere sempre seri, rigorosi alla lunga stanca, anche lì si scherza e si ride ed ecco perché ho sentito l'esigenza di dividere in due blog la mia persona virtuale. Che poi è sempre la stessa ma come tutte le persone è fatta di tante piccole e grandi sfaccettature che si possono sfruttare a vantaggio della creatività, fantasia eccetera. Anche in modo utile come cerco di fare nel mio blog più "serio". ;-)
RispondiEliminaCirca Facebook e Twitter vedo che la pensiamo allo stesso modo :-)
EliminaSu Facebook, quando voglio rilassarmi, condivido qualche brano musicale o spezzone di film, ad esempio. Su Twitter non ci sono andato proprio, perché nemmeno io mi adatto troppo bene alle "costrizioni" della sintesi.
Da anni sostengo un uso "intelligente" e oculato del Web; è una grande miniera di informazioni condivise, e molte nozioni che una volta, per essere "catturate", richiedevano tempo e spostamenti (fra biblioteche e librerie varie...), oggi si possono ottenere in "tempo reale", come si dice. Però bisogna innanzitutto sapere cosa cercare: l'oggetto della ricerca è di per sé già importante e fa la differenza; e poi, bisogna saper discernere e distinguere fra le fonti, scartando i siti pieni solo di "bufale" mastodontiche e optando per quelli che si presentano come affidabili. E qui, come sempre, la differenza la fa la persona, l'utente: la Rete di per sé non è "buona" o "cattiva"; siamo noi utenti spesso a finire in "trappole" di varia natura perché capitiamo nei posti (virtuali) sbagliati o prendiamo per oro autentico ciò che non è neppure latta dorata, oppure ancora - su Facebook ad es. - esponiamo troppo di noi, anche quello che dovremmo ragionevolmente tenere riservato. Ma non è colpa dei social network o della "Rete cattiva" (come però qualche giornalista della domenica o "esperto" poco accorto si ostina a suggerire, inseguendo luoghi comuni più o meno consolanti), è sempre colpa, invece, delle nostre ingenuità, imprudenze, ecc.
Nel mio blog serio c'è un box dove ho scritto più o meno gli stessi tuoi concetti, io purtroppo ho avuto un'esperienza terrificante di stalking e molestie durata per anni, è successo su una piattaforma chiamata scherzosamente Libero. Ecco perché sono convinta che del web si debba fare un uso più responsabile, perché il rischio di complicazioni serie che poi si trascinano anche nella vita di sempre è molto alto. E questo non dovrebbe mai succedere.
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