Frontespizio

Le conclusioni provvisorie sono come i massi che ci consentono di attraversare un piccolo fiume: saltiamo dall'una all'altra, e possiamo farlo di volta in volta solo perché i "massi" precedenti ci hanno portato a quel punto.

«Che cosa rimane del pensiero critico, se rinuncia alla tentazione di aggrapparsi a schemi mentali, a retoriche e ad apparati argomentativi prefabbricati e di sicuro effetto scenico (manicheismo, messianismo, settarismo, complottismo, moralismo e simili...)? Non perde forse la sua capacità di attrarre l'attenzione dell'uditorio distratto facendogli sentire il suono delle unghie che graffiano la superficie delle cose?» può domandarsi qualcuno.
No, al pensiero critico non servono “scene madri” né “effetti speciali”; anzi, quanto più si dimostra capace di farne a meno, tanto più riesce a far comprendere la fondatezza e l'urgenza dei propri interrogativi. (In my humble opinion, of course!)

lunedì 6 giugno 2011

L'abusato mito del "passato felice": maneggiare con cura

Quando qualcuno esalta acriticamente situazioni o istituzioni del passato, o interi periodi storici, presentandoli come perfetti, idilliaci e/o immacolati, bisogna diffidare: sta barando. Come minimo, omette strategicamente di presentare all'interlocutore anche tutte le brutture, gli orrori e gli "accidenti" del periodo prediletto, o decide soggettivamente di minimizzarne l'importanza, cercando di farci accettare subdolamente (ossia attraverso la suggestione della sua capacità retorica e non attraverso un esame obiettivo di tutti i pro e i contro) questa sua decisione a priori.

E' il vecchio mito dell'età dell'Oro, che si ripropone di continuo - l'illusione (della quale a quanto pare gli umani non sanno proprio fare a meno) che sia esistito un tempo nel quale il mondo era felice, pacificato, senza contraddizioni né tensioni gravi. Ma è un mito che a ben considerare vale quattro soldi: l'oro che cerca di contrabbandare è "taroccato".

Prendiamo il periodo X, ad esempio, che un anziano signore [il quale può essere tanto italiano quanto cileno, russo, spagnolo o cambogiano], avendolo conosciuto da giovane, esalta dicendo che era un'epoca felice, felicissima, in cui non c'era delinquenza, non c'erano tensioni, né scioperi, e tutti "filavano" (per lui la felicità è quella, una felicità da caserma, ma tant'è...). Dispiace dover constatare come l'anziano signore Y ometta di considerare che la sua eventuale felicità è stata pagata a caro prezzo dall'infelicità di altri, di molti, di troppi... che hanno subìto ingiustizie sociali, povertà, umiliazioni di ogni genere, proprio mentre il signore Y "si sentiva felice".

Se il periodo X col suo regime politico, i suoi pregiudizi, i suoi costumi, ecc., è finito, lasciando il posto ad altri periodi (e regimi, e costumi...), una ragione ci sarà pure stata: e non sono stati un "complotto" o la "corruzione umana" a mettergli la parola "Fine". Eh sì, perché esiste anche qualcosa chiamato bisogno di giustizia, che nessun regime X del passato ha mai soddisfatto pienamente.

Se poi il signore Y è giovane, e non è neppure vissuto nel periodo X, bisogna semplicemente chiedergli: Ma di cosa stai parlando, carissimo? Ci sei vissuto in quel periodo? come fai a sostenere che fosse felice e perfetto? Non sai tu quanto dolore e quanta ingiustizia ci fossero allora? E se lo sai, e vuoi ignorarlo, non sei in buona fede oppure sottovaluti colpevolmente il peso dell'ingiustizia, del pregiudizio e dell'oppressione. O forse sei superficiale - a parte il caso di chi parla per ignoranza (ahimè sempre più diffuso...).

Il passato è forse - come ha detto qualcuno - "una terra straniera", ma è soprattutto, io aggiungo, una "terra di conquista", sulla quale si possono impiantare le coltivazioni più improbabili e poi rivenderne i frutti a un pubblico affamato ma non necessariamente dal fine palato (vedere ad es. la continua fioritura di "nuove tradizioni" ricavate da uno studio fantasioso della storia, per poter poi produrre succosi miti politici... remunerati a suon di voti).

Chissà, in questo periodo nel quale la retorica politica più scatenata e ruspante cerca di rimescolare i dadi del passato, per tirarne fuori numeri inediti (e inverosimili...) da utilizzare al tavolo del presente (che, forse frastornato da decenni di progetti tramontati, oggi accetta senza difficoltà, e anzi avidamente, qualsiasi scommessa-sconnessa), anche considerazioni così semplici, che sembravano scontate, diventano improvvisamente importanti.

3 commenti:

  1. Facciamo un passo indietro. Viene senz'altro in mente (lo dico da laico pieno di dubbi) quanto il Prof. de Ruggiero (La filosofia del Cristianesimo, Laterza, 1967) affermava sulla "necessità" della dichiarazione di eresia delle dottrine del prete Ario (dottrine c.d. "ariane") che prevalse al Concilio di Nicea del 325 d.C.; di quell'Ario che, con le parole del Maestro napoletano: "sosteneva la priorità della sostanza divina, identica ed immutevole, rispetto alla relazione tra Padre e Figlio. Dio esiste prima di essere Padre, e la sua paternità è avventizia e si effettua nel tempo, per un atto di volontà. Di qui si deriva che nel Figlio non si comunica la sostanza paterna; che permane in sé indivisibile; ma la sua generazione è una creazione, non dissimile da tutte le altre, che si effettua dal nulla" ... "Quel che vien detto del Figlio vale a maggior ragione per lo Spirito Santo, inteso come creatura del Figlio, e quindi anche più remota dalla divinità paterna."
    In soldoni, eravamo di bel nuovo in mezzo alla dottrina pagana (che qualcuno forse potrebbe definire "pantano") della mitica Età dell'Oro, di splendore e perfezione, contrapposta a quella attuale, "del ferro", per definizione decadente rispetto alla primeva era. Ma perché - sempre secondo il de Ruggiero, Ario - e con esso la figura di un Gesù visto come creatura elevatasi al divino e non di essere divino disceso tra noi - dovette essere sacrificato (nonostante una posizione addirittura maggioritaria nel mondo antico - si cita l'arianesimo dell'imperatore Costantino ad esempio, battezzato in punto di morte da un vescovo Ariano)?
    Perché "il Gesù storico doveva essere negato, per poter essere vivificato nel pensiero". Ricordo in proposito la bellissima scena de l'Ultima Tentazione di Cristo di M. Scorsese, quella dell'incontro tra Paolo di Tarso e Gesù, in cui il primo replica con tono solenne - alla considerazione di Gesù (sopravvissuto "miracolosamente" alla croce) e che aveva in incognito assistito alla predicazione paolina: , qualcosa come: "Sono contento di averti conosciuto, adesso so che il mio Cristo è diverso da te".
    (continua)

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  2. (segue dal precedente commento)
    Perché, insomma "... ciò che la coscienza storica esigeva da Gesù, era che non divinizzasse sé medesimo, ma noi" ... "estraniando Gesù dalla vita umana, essa lo eleva a Dio, e con quel tanto di umanità superstite che non esula mai dal concetto, anche astrattissimo, dell'uomo intacca la vecchia idea del divino, le imprime un movimento, una vita che prima erano sconosciuti. Il dramma di Gesù si ripete nei cieli" ... "Bisognava...che Gesù fosse assunto nei cieli, che la sua personalità umana divinizzata forzasse il rigido naturalismo del trascendente, che le nuove e più alte esperienze dello spirito si compissero in seno a quella Trinità che forma il grande incremento umano dell'esistenza divina; perché poi dal divino così accresciuto balzasse fuori la nuova umanità, non più limitata e circoscritta da una inesplorata trascendenza, ma riassumente in sé i valori essenziali di quella trascendenza."
    Insomma, "con [il] concetto ortodosso, anti-ariano, noi siamo già agli albori del mondo moderno. Essa ci dice che l'ansia del vivere non è una degradazione del mondo; che la perfezione non sta soltanto nel passato, nell'intatta virtù dei padri, ma che permane identica nei figli." Anzi, "darà ai figli una realtà anche superiore e più perfetta che non quella dei padri" ... "in modo che al regno storico di Dio Padre succede, più perfetto, il regno del Figlio e perfettissimo quello dello Spirito Santo, che chiude il corso delle vicende umane divinizzate."
    E' insomma, in poche parole, il trapasso dalla figura numinosa classica del Gesù storico a quella, originalissima, del Cristo che duemila anni di storia ci hanno reso normale ai nostri occhi (mentre così non dovette sembrare ai contemporanei di Ario).
    Insomma, il richiamo ad una magnifica età dell'oro sarebbe "eretica", da una parte; e il contrario, invece, ortodosso: tempo circolare (ma la fisica moderna non va proprio in questa eterodossa direzione?) contrapposto ad una lineare scala in ascesa verso un futuro di eterne delizie per i giusti.
    Non mi avventuro, naturalmente, nella terra incognita dell'applicazione concreta, soprattutto politica, di tali ritornanti idee.
    Ciao e complimenti per il tuo interessantissimo blog.

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  3. Ti ringrazio per l'articolato commento, e per le citazioni da Guido de Ruggiero, maestro del pensiero laico. Giuste considerazioni, queste: "con [il] concetto ortodosso, anti-ariano, noi siamo già agli albori del mondo moderno. Essa ci dice che l'ansia del vivere non è una degradazione del mondo; che la perfezione non sta soltanto nel passato, nell'intatta virtù dei padri, ma che permane identica nei figli."
    Tenendo conto del fatto che tutta l'antichità, ma anche l'Ancien Régime - anche quello post-medievale e proto-moderno - si sostenevano politicamente sul principio dell'autorità degli antichi, sicché una legge era valida e indiscutibile in quanto esistente da secoli. La stessa legittimità dei re si basava su un'investitura di origine divina che si perdeva nella "notte dei tempi", sicché al presente non rimaneva che chinare il capo davanti al passato, obbedire, rassegnarsi e tacere. Eppure quel "germe" nato dall'ortodossia cristiana ha poi dato importanti frutti in una terra originariamente un po' refrattaria. E si è anche compreso come gli esseri umani hanno il diritto di essere insoddisfatti dell'eredità ricevuta dal passato, e di sperimentare nuove idee, nuove forme di organizzazione sociale, politica, ecc.; ed è anche per questo che la storia, con tutto il suo oscillare (perché non è in ogni caso "infinito progresso": sarebbe una semplificazione), si muove "oltre".

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