Frontespizio

Le conclusioni provvisorie sono come i massi che ci consentono di attraversare un piccolo fiume: saltiamo dall'una all'altra, e possiamo farlo di volta in volta solo perché i "massi" precedenti ci hanno portato a quel punto.

«Che cosa rimane del pensiero critico, se rinuncia alla tentazione di aggrapparsi a schemi mentali, a retoriche e ad apparati argomentativi prefabbricati e di sicuro effetto scenico (manicheismo, messianismo, settarismo, complottismo, moralismo e simili...)? Non perde forse la sua capacità di attrarre l'attenzione dell'uditorio distratto facendogli sentire il suono delle unghie che graffiano la superficie delle cose?» può domandarsi qualcuno.
No, al pensiero critico non servono “scene madri” né “effetti speciali”; anzi, quanto più si dimostra capace di farne a meno, tanto più riesce a far comprendere la fondatezza e l'urgenza dei propri interrogativi. (In my humble opinion, of course!)

domenica 26 giugno 2011

Straniero comunque. Una lettura amichevole di Piero Ciampi / 2

Vai alla prima parte


[Seconda parte]

Un altro capolavoro è senz'altro In un Palazzo di Giustizia, un piccolo film in forma di canzone. Qui l'autore-io narrante e la sua donna s'incontrano nel luogo citato nel titolo, per discutere una causa di separazione. L'ascoltatore riesce a “vederli” agire, a leggere i loro volti imbarazzati (“ci guardiamo di sfuggita”), la tensione che cercano di controllare (“Io ti sparo, tu mi spari...”).



Fra loro l'amore morto, trasformandosi in rancore, fa nascere un gioco di aspre ripicche, di velenose allusioni, che si scatena a causa della vicinanza fisica dei due protagonisti, costretti a condividere lo spazio dell'anticamera in attesa dell'udienza: “Tu mi provochi di nuovo, / tu mi guardi spaventata, / mi coinvolgi un'altra volta. / La tua astuzia è misteriosa”. Amarezza, accuse, insistenza della donna nel ribadire il suo ruolo di “parte offesa”... Tutto un dialogo, con le sue sfumature emotive, è riassunto da Piero Ciampi in quattro versi! E nonostante l'estrema sintesi, non perde nulla dei suoi significati e sottintesi...

E subito dopo aver accusato la donna di slealtà, lui cerca di giustificarne l'atteggiamento: la sua è, sì, “astuzia”, ma è “misteriosa”, cioè non è frutto di freddo calcolo, ma fa parte dell'insondabilità della donna, che non si può giudicare; l'autore ne è certo, tanto che aggiunge: “Forse tu non ne sai niente”.


Rinasce la speranza: lui cerca di recuperare il filo di un sentimento ormai compromesso, chiede una tregua: “Ho chiamato una carrozza / che si porti via il passato”. Il film realistico si trasforma in una colorata fiaba: riusciamo a immaginare i due che salgono su questa carrozza ideale, evocata dalla speranza dell'uomo; ma l'illusione si spezza presto: l'atteggiamento della donna ci riporta immediatamente al Palazzo di Giustizia. “Sei salita con rancore, / uno sguardo e tu sei scesa, / uno sguardo e tu sei scesa, / dopo un attimo sei scesa”.

Lei non è disposta a tornare sui propri passi, considera definitiva la decisione: non crede più in lui. Il suo senso della realtà ha preso definitivamente il sopravvento e ha mandato in soffitta l'amore, come un relitto inutile. La carrozza scompare nel nulla. I due, sebbene su posizioni diverse, si sentono smarriti: “Qui ci prende la paura, / ci sembrava tutto strano”.

E' strano in effetti per i due pensare che sino a non molto tempo prima cercassero il contatto l'uno dell'altra... è strano pensare che ora ci sia invece tanto rancore. Non si può considerare questo radicale cambiamento, questo capovolgimento dei sentimenti, un fatto qualunque, da classificare “nella norma”: su questo il poeta non riesce a sorvolare. Ma la sua donna non comprende il senso delle sue obiezioni (le prende forse per un segno di immatura ostinazione) - dunque ogni dialogo è ormai impossibile, i loro mondi sono irrimediabilmente distanti l'uno dall'altro. La “causa” va avanti, con le sue regole inesorabili, con le sue carte bollate.

Ma forse è sorda ostinazione anche quella, e l'io narrante di Piero Ciampi grida nel finale: “Tu sei pazza, vuoi spiegare / una vita con due frasi”.

E' una di quelle felici sintesi poetiche delle quali è capace. La donna di questo racconto-canzone avrà forse le sue ragioni, ogni separazione ha certo le sue ragioni; eppure ogni tentativo di “spiegare / una vita con due frasi” ha qualcosa di insensato.
La vita trascorsa, ricorda P. Ciampi, in quelle due frasi, che la procedura dei tribunali richiede, non c'è mai in realtà, non può esserci. Quale riassunto burocratico può davvero riportare a galla il vissuto di un rapporto d'amore? Con la fredda razionalità si può in apparenza sminuzzare e setacciare qualsiasi esperienza del passato che appartenga alla sfera personale, affettiva o sentimentale di qualcuno; eppure facendola a pezzi, sezionandola metodicamente tramite la ragione, quella esperienza non la si può mai comprendere nel suo vero valore (il valore che aveva per chi l'ha vissuta, e che è per sempre perso), e dunque non c'è, sfugge come sabbia tra le dita, si dissolve nel momento stesso in cui si pensa di averla razionalmente catturata e imprigionata fra le righe di un resoconto. E questo perché quell'esperienza la si è vissuta non freddamente e razionalmente, ma attraverso l'affetto, l'empatia, l'amore, tutte dimensioni che non parlano il linguaggio della ragione.

Tutto questo - la drammaticità di questo equivoco forse a volte inevitabile (ma pur sempre assurdo) - P. Ciampi lo riassume magistralmente con due righe!

Una suggestione analoga si coglie anche in Tu con la testa, io con il cuore, una canzone che riflette sulle dinamiche dei rapporti sentimentali in maniera insolita (insolita per la forma-canzone, in ogni caso), senza lasciarsi andare a sentimentalismi ad effetto, ma ponendosi anzi domande sulle cause dell'incapacità di stabilire un sereno equilibrio affettivo, da parte di una coppia.

E nella coppia della quale la canzone parla, lei ama pragmaticamente, conciliando i sentimenti con la “testa”, ovvero col “buon senso” - il protagonista invisibile (o meglio, l'antagonista per antonomasia) di molti brani di P. Ciampi - e lui invece lascia che sia solo l'ispirazione “del cuore” a guidare le proprie azioni.

Dice l'autore-io narrante: “Io ho paura della tua memoria / perché fai troppi conti col passato / e castighi i miei errori / ignorando i tuoi [...]”.

Anche qui, come nel finale della canzone precedente, compare l'“ipertrofia della ragione”, che pensa di poter governare l'amore dominando con precisione il passato, i ricordi comuni, e quindi avvalendosi di minuziose partite sentimental-contabili di “dare e avere”, nelle quali sono segnati in rosso indelebile i “debiti” dell'altro, del partner, le sue mancanze, le sue debolezze. Ma l'altro, l'uomo, a sua volta non registra con uguale precisione i deficit della “controparte”, e si trova perciò sempre messo sotto accusa, come colui che “deve rendere conto” e che è sempre in difetto, sempre in difesa.

Aggiunge poi P. Ciampi, in questa analisi di un rapporto di coppia, carica di sensibilità: “La nostra è una battaglia molto dura perché noi / non ci concediamo mai un perdono, / io col sentimento ti spavento / tu con la logica mi sgomenti”.

Ciascuno, restando legato al proprio modo di essere, rischia di considerare l'altro sempre più come un estraneo da convincere o addirittura da giudicare, e non invece la persona con la quale si condivide una storia d'amore. Così, chi è guidato dalla “logica” - la donna, in questo caso - non può realmente comprendere le azioni, le reazioni e le parole di un partner che si affida solo al consiglio e all'impulso dei “sentimenti”; quell'impulsività, quell'irrazionalità o meglio “irragionevolezza” dell'uomo, possono sembrare alla donna segni di follia - che è anche il modo di definire tutto ciò che si sottrae ai canoni della “pura logica”, quando questa pretende di stabilire un dominio assoluto sulla realtà.

Ma a sua volta, chi è guidato dall'“irragionevolezza” del sentimento si sente sistematicamente frainteso e schiacciato dal “tritasassi” inesorabile della logica altrui. Sono insomma due mondi che parlano due linguaggi distinti, e per questo, andando avanti, non possono che accrescere la misura della reciproca incomprensione.

Si arriva quindi nel finale ad una situazione simile a quella colta negli ultimi versi della canzone precedente (e anzi questa può costituire l'antefatto di quella): “Noi stiamo rovinando tutto con le parole / queste maledette parole...”.

Già: in questa situazione le parole non riducono le distanze, non definiscono, non risolvono nulla, ma possono al contrario aggiungere solo nuove occasioni di contrasto e di conflitto. Se si potesse fare a meno delle (troppe) parole...
Ma di fatto non si può.

E a proposito, non si può parlare di Piero Ciampi senza soffermarsi un momento su quella che forse è la sua più bella e importante canzone d'amore, ovvero Tu no. Stavolta, a differenza di quanto accade in L'amore è tutto qui, il tono non punta alla nonchalance, non si cammina “in punta di piedi”. Non c'è neppure aria di sfida. C'è il dolore dell'amante abbandonato, che si chiede, come mille altri nelle sue condizioni: “Ma perché mi succede questo?”.

Lui cerca di trattenere l'amata, ricordandole le piccole dolci situazioni che hanno vissuto insieme: “sedevamo nel giardino, / mi ascoltavi con amore”, e ricorda quindi momenti intensi che hanno condiviso, fatti quotidiani che a un estraneo possono sembrare banali ma che, nel codice a due di coloro che si amano, assumono un'importanza insospettabile. In realtà bastano due versi a evocare tutto questo: “ti ricordi via Macrobio? / qualche volta eri felice”.

Viene quindi richiamato un luogo preciso, una strada di Roma, che ha rappresentato per gli innamorati la culla del loro mondo in comune (e qui gli spunti autobiografici s'intrecciano in Ciampi con l'invenzione poetica): perché da quel ricordo, dal nome stesso di quella strada, può sorgere nell'amata il rimpianto di ciò che ha perso. Eppure iniziano in questi due versi anche le ammissioni che l'autore-io narrante fa, e che diventano sempre più aperte e dolorose come ferite, sino alla fine del pezzo: “qualche volta eri felice”; dunque, l'autore chiede all'amata di riconoscere la sua sincerità. Non sta raccontando favole: non è disposto a dire, inventando e imbellendo i fatti, che nel loro rapporto tutto è stato fantastico e luminoso; non c'è stata, nella loro vicenda sentimentale, una felicità sconfinata e incontaminata. Ci sono stati momenti, o forse periodi, di felicità; e tuttavia è in nome di quelli che l'autore chiede alla donna di rivedere la sua decisione di andar via. Saranno stati pochi o brevi, ma evidentemente hanno contato, per loro.

L'autore domanda smarrito: ma come fai ad abbandonarmi, “tu che sai tutto di me, / tu che hai la mia fiducia”? E' come se dicesse alla donna: “Ho condiviso interamente con te i miei pensieri più intimi, mi sono interamente affidato a te; e ora puoi andartene tranquilla, come se questo mio atto di estrema fiducia non contasse nulla? Non ha avuto dunque nessun significato, per te?”.
Ma il tono non è quello del rimprovero: in Tu no, dall'inizio alla fine, dominano semmai lo smarrimento e lo stupore, lo sgomento di fronte alla crudeltà delle cose, che la fine di una storia d'amore sancisce, a maggior ragione quando è stata intensa e appassionata.

Insomma, l'autore sembra domandarsi, con l'incredulità di chi davvero si sente un eterno “viandante straniero” fra le vicende dei sentimenti: “Ma è possibile che siano queste, le regole del gioco? e che senso hanno?”.

Invece di alzare una barriera fatta di recriminazioni, una trincea immaginaria dalla quale contrattaccare, però, l'autore-io narrante si affida interamente e sorprendentemente - come si è accennato - all'ammissione dei propri limiti: dice infatti: “sì lo so che non ho niente, / sì lo so che ti ho delusa”, quindi si pone dal punto di vista di colei che lo ha lasciato, comprende le sue ragioni e non le mette in dubbio. Parla addirittura di “milioni di rinunce” che ha fatto “sopportare” all'amata: ancora una volta torna il problema dei “soldi”, ricorrente in molte canzoni di P. Ciampi (lo si è visto già in L'amore è tutto qui; ma altri esempi possono essere Il lavoro o Te lo faccio vedere chi sono io). Il poeta dunque conosce bene gli imperativi del “buon senso”, e capisce soprattutto che la sua donna non può ignorarli; lui non è un vincente, non è un perfetto breadwinner (così direbbero gli anglosassoni: in parole povere, uno in grado di assicurare ogni giorno la presenza del pane in dispensa) e quindi non è un buon compagno, non può pretendere nulla da lei.

Eppure... Ecco quello che l'autore-io narrante desidererebbe: che la donna si spingesse a dargli fiducia nonostante tutto. Basterebbe che dicesse con lui: eppure, come il poeta suggerisce e si augura disperatamente, pur sapendo che è un desiderio troppo audace, in questo mondo di ferreo e inossidabile “buon senso”.

Scolpisce poi con parole semplici ma indelebili la definizione di questo modo di vivere i sentimenti, ripiegati su noi stessi e sul nostro personale libro contabile di “ricavi e perdite”, e per giunta anche sordi al linguaggio dell'altro - di colui o colei che condivide le nostre giornate e a cui diciamo qua e là frasi d'affetto: “è difficile capirsi, / è difficile aiutarsi”, anche se subito dopo aggiunge - quasi volesse dimostrare che non si tratta di banali scuse - che è colpa sua.

Le parole del poeta diventano ad un tratto un'invocazione commovente di aiuto: “io non so più come fare, / non capisco questa vita”, e questi versi sembrano riecheggiare in maniera più matura e sofferta alcuni dei suoi più vecchi, come: “in questa vita io sono uno straniero” (da L'ultima volta che la vidi, una delle primissime canzoni di Ciampi) o anche: “Stasera ti confesso: / non ci capisco più niente, / io voglio solo dormire / per non vedere nessuno” (da Confesso).

E' una confessione di resa: davanti al suo percorrere in tondo una realtà che gli è costantemente, tenacemente straniera, perché parla un linguaggio radicalmente differente dal suo - e alla crescente difficoltà di tradurre un linguaggio nell'altro - l'autore getta la spugna simbolicamente. Ma non per accettare di diventare ciò che non può essere e non sarà mai, bensì per invocare l'appoggio e l'aiuto dell'amata: lei che lo vede in quello stato, e che può comprenderlo, deve ora più che mai essergli vicina (anche altri versi lo ribadiscono: “tu mi devi star vicina / perché ormai io sono fuori”); l'amore per P. Ciampi è questa vicinanza fra due esseri, che persiste nonostante tutt'intorno la vita possa avvertirla come una corda stonata nel concerto generale, come un azzardo di suonatori che rinnegano a tradimento lo spartito che erano chiamati a interpretare.

Però l'amarezza dell'autore ci dice che la donna amata non accetta questo ruolo, e preferisce quello che il “buon senso” le affida, con l'approvazione universale; non vuole essere una corda stonata, non vuole naufragare nell'incoscienza, il solo dono certo che quell'amore ormai le promette, in una vita che è sempre troppo breve, ci incalza e fugge, e non si può “sprecare”.

La constatazione con cui si chiude il brano è particolarmente efficace dal punto di vista espressivo, e rivela ancora una volta la folgorante capacità di sintesi poetica di P. Ciampi: “Qualche cosa te l'ho data / se mi guardi con quegli occhi”. Pochi attimi dopo la musica tace decisa, senza dissolvenze quindi, senza alcuno “sfumando”, come se davvero ogni altra aggiunta o indugio risultassero inutili.

Al di là delle difficoltà, delle colpe, delle parole, dei calcoli, resta alla fine qui uno sguardo, uno sguardo di donna, che possiamo soltanto intravedere attraverso i versi di Ciampi: non deve contenere rimprovero o rancore, ma forse ancora tenerezza, che tende a confondersi con una nostalgia dolorosa. Ma sono ipotesi; l'autore è certo di leggere in quello sguardo ciò che si aspettava di trovare, e questo basti. Non recupera il tempo andato, non smuove i sassi, lei va via in ogni caso; ma lui può rimanere sicuro di essere per sé “bello, bellissimo” (come esclamava in Adius), ossia di non dover sentire come un vizio da correggere il suo ritrovarsi “straniero comunque”.


Testi citati:

- [P. Ciampi 1992]: Piero Ciampi, Tutta l'opera, Arcana Editrice, Milano 1992;
- [De Angelis 1992]: Enrico De Angelis, Introduzione a P. Ciampi, Tutta l'opera (v. sopra);
- [Marchetti 2010]: Gianni Marchetti, Pagine di un incontro, in Il mio Piero Ciampi, Coniglio Editore, Roma 2010.

10 commenti:

  1. Un vero e proprio saggio questo!
    E l'ho letto con piacere, nonostante - e non pensare che non me ne vergogni - non conosca Piero Ciampi.
    Il bello dei blog (e dei libri, delle conversazioni, di qualsiasi tipo di "scambio") è proprio la possibilità di poter "imparare" qualcosa che non si sapeva, e quindi sono contenta di aver fatto la conoscenza - anche se per il momento solo attraverso le tue parole - di questo cantautore.

    Mi ritrovo in tante riflessioni da te riportate sui suoi pezzi, specialmente in quelle sull'amore ed il rapporto di coppia.
    Ed è vero che la cosa più difficile in un rapporto (e non solo amoroso) è accogliere l'altro per come è, vederlo per come è, e non secondo canoni o attraverso il filtro dei valori e dei giudizi che la società "insegna".

    Mi trovo anche molto d'accordo con la tua premessa sui grandi autori: è vero che li si può rispettare ed amare anche se non necessariamente la loro esistenza rispecchia la nostra.

    Quella del sentirsi stranieri ovunque si vada è una sensazione che ho provato spesso. O meglio, a me capita proprio di percepire la realtà in maniera diversa, nel senso di rendermi conto di alcune cose che gli altri invece accettano tranquillamente e considerano "normali".
    A volte mi domando: "perché solo io vedo certi orrori (o certe meraviglie!) mentre la "massa" ("massa" non in senso spregiativo, ma di insieme non dettagliato di persone) vociante, ridente, sciamante sembra come se avesse gli occhi bendati?".
    E provo un disagio enorme in queste situazioni. Un disagio ed un senso di solitudine infiniti. Anzi, più che definirla condizione di "straniero", io la definirei di "alieno" (da cui, in effetti, il termine "alienato") che, secondo me, è anche peggio, in quanto una lingua, abitudini e costumi di una terra diversa dalla propria si possono apprendere (metaforicamente parlando), mentre l'alieno è colui che proviene proprio da un luogo in cui la concezione stessa dell'esistenza è diversa, ad un livello molto più profondo.

    Riassumendo: post molto interessante, che mi ha suscitato un'autentica curiosità di conoscere questo autore.
    Ed io, quando apprendo qualcosa di nuovo, provo sempre tanta euforia :-)

    Buona serata

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  2. P.S.:
    ecco, ho appena ascoltato cinque brani: "Tu no", "Ha tutte le carte in regola", "Te lo faccio vedere chi sono io", "Tu con la testa, io con il cuore" e "L'amore è tutto qui" (comodo Youtube, eh? E penso che in passato avrei dovuto attendere domani, magari attraversare mezza città, scendere e salire dagli autobus, incontrare gente, magari un conoscente con cui avrei scambiato due chiacchiere e andare a prendere un caffè, e tutto questo solo per poter cercare e comprare un disco, che però sarebbe diventato anche altro, e quel disco forse negli anni a venire avrebbe conservato sempre anche il ricordo di quella giornata... e allora nella praticità della tecnologia di oggi, che rende tutto molto immediato, è vero sì che c'è tanta comodità, ma forse si perde un po' di poesia...).

    Cosa dire? Che davvero ti ringrazio di cuore per aver scritto di lui perché i suoi brani, quello che dice, la sua voce, l'arrangiamento musicale e tutto mi hanno davvero colpito tanto.
    "Tu no", che è stato il primo brano che ho ascoltato, mi ha dato letteralmente i brividi.

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  3. Sono contento che il mio post abbia suscitato in te la curiosità di conoscere le canzoni di Ciampi: evidentemente sono riuscito a essere convincente :-)
    In realtà avevo scritto tempo fa qualche appunto su lui, che poi ho ampliato fino a farne questo piccolo saggio; vuole essere soprattutto un omaggio a un autore col cui mondo poetico mi son ritrovato fin dall'inizio in sintonia, e desideravo che anche altri, leggendo queste pagine, potessero percepire l'importanza delle sue parole e canzoni. Mi fa piacere quindi sapere che il "messaggio" arriva, come tu mi confermi...
    L'arte, in tutte le sue forme, è un patrimonio che va condiviso: e con questo spirito ho pubblicato questo post; mi ritrovo quindi pienamente in quello che dici sull'opportunità di scambio e conoscenza che i blog (come conversazioni virtuali, e potenzialmente aperte a tutti) rappresentano e consentono.
    E il sentirsi stranieri... è una sensazione che descrivi bene; e del resto se ne ho parlato in queste pagine su Ciampi è perché le sue parole e "intuizioni" su questo tema (che ha segnato secondo me tutto il suo percorso umano e artistico) vibrano profondamente in me per consonanza. E forse, certo, il termine "alieno" rende ancor meglio il concetto - il fatto è che "straniero" aveva più attinenza con certi versi di Ciampi.
    Il tuo commento mi ha fatto felice, insomma, perché sono contento di sapere che non solo ho suscitato in te la curiosità di ascoltare le sue canzoni, ma che soprattutto ti hanno colpito. Dunque non mi sbagliavo: Piero Ciampi è un autore-poeta-cantante che lascia traccia di sé; e una volta conosciuto e *compreso* il suo mondo, non puoi dimenticarlo.

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  4. Gran bel post!
    Io però con ciampi ho qualche problema. riconosco la sua genialità, la sua posizione originale e non allineata ma non è mai riuscito a far scattare in me l’emozione e la passione che portano ad ascoltare e riascoltare una canzone, cantarla a squarciagola, far venire i lucciconi e riempire il cuore. affascinante figura di beautiful loser e autore di bei testi, ma una canzone per me è l’insieme di testo, musica, arrangiamento, voce, interpretazione e da questo punto di vista, nella produzione di ciampi, io non ne vedo. Anche l’amore è tutto qui, una delle sue più riuscite, testo eccellente, come hai giustamente sottolineato, ma all’ascolto si sentono troppo altri autori come moustaki, aznavour, endrigo, lauzi e tutti, nel 1971 avevano già inciso brani ben più importanti di quello di ciampi. e quello che per me è il suo album più importante, andare, camminare… ha degli spunti geniali (te lo faccio vedere chi sono io)ma nel complesso non sfonda.
    Meglio le interpretazioni di altri, penso in particolare a autunno a milano della milly o a dalida.
    Ma queste sono solo le mie opinioni.

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  5. @eustaki: grazie per l'apprezzamento del post!
    Per quanto riguarda l'arte, la letteratura, la musica, sono arrivato da tempo a una conclusione (personale, certo): ai livelli "massimi" non ha senso stabilire gerarchie rigorose e categoriche, e quindi, nel caso specifico, non saprei dire se Ciampi è "migliore" in assoluto di Endrigo, o di De Andrè, o di Aznavour, o di altri "grandi"... Infatti, quello che dico nella premessa del post è che personalmente lo preferisco agli altri perché *a me* dà emozioni che altri non mi danno in egual misura; ma appunto è una "consonanza" a due, in qualche modo, fra me e le canzoni di Ciampi. - Una "consonanza a due" che si ripete e si conferma evidentemente in tutti coloro che prediligono quell'autore; e una constatazione analoga si può fare per qualsiasi altro autore, cantautore, ecc. - Non saprei indicare ragioni "oggettive", o solo oggettive, di questa "consonanza"; ma del resto penso che nelle questioni artistiche il gusto personale abbia un ruolo non secondario e comunque ineliminabile, e oltre un certo limite è proprio vero che di questioni di gusto "non si può disputare", perché portano alla luce il nostro mondo soggettivo, che "è come è", e non è in discussione. Aggiungo che le canzoni di cui ho parlato nel post sono solo un "campione", e ce ne sono altre, di Ciampi, che meriterebbero ugualmente attenzione (ma non potevo scrivere un trattato "enciclopedico" :-)
    Conosco amici che, come te, non amano le canzoni di Ciampi e non le sentono particolarmente vicine; ho qualche amichevole discussione con loro, ma in realtà capisco che si devono rispettare la sensibilità e il mondo interiore di ciascuno. Però è comunque stimolante e a volte "frizzante" confrontarsi.
    Rimango invece piuttosto perplesso davanti ai "culti" che rasentano l'idolatria: ad es., mi è capitato di avere discussioni accese con "cultori fanatici" di Battiato (un autore che peraltro è fra i miei prediletti!), solo perché osavo esprimere qualche cauta perplessità su alcuni aspetti a mio avviso non centrali della sua "poetica"; apriti cielo! Per loro era come se avessi mancato di rispetto a una divinità, o bestemmiato in un luogo di culto... Con tono di indignazione *autentica*, mi hanno quasi fatto a pezzi (metaforicamente), trattandomi come un "provocatore". Ecco, questi sono gli atteggiamenti che non capisco. (Altro esempio di insensatezza: le sequele di insulti incrociati che si inviano, in coda a qualche filmato di YouTube, i sostenitori di opposte "tifoserie" di cantanti: Il mio idolo sì che è grande, il tuo invece è una pattumiera...).
    In ogni caso, vari autori-interpreti di canzoni meriterebbero una trattazione, giacché la loro poetica ha una sua dignità: alcuni li hai citati tu; io - a parte Battiato (sul quale comunque c'è già una vasta letteratura) - aggiungerei, ad es., Jannacci (che - altra opinione *strettamente personale*, che mi fa discutere con gli amici - preferisco anche a De Andrè).

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  6. siamo d'accordo per quanto riguarda i gusti. invece penso che si possano fare delle distinzioni 'oggettive' rispetto al valore di un artista. mi spiego. nella storia dell'arte io amo molto lorenzo lotto ma so benissimo che tiziano è più bravo. voglio dire che ci sono artisti indiscutibilmente di primo livello, altri di livello inferiore e poi ci sono gli outsider. ciampi è un eccentrico, che come ho detto nel commento precedente ha spunti di genialità ma 'oggettivamente' non può essere incluso, in un ipotetico canone della canzone italiana, tra i fondamentali. io amo molto fabio giurato e penso che il suo album il tuffatore sia uno dei dischi più belli della musica italiana,non per questo inserirei giurato tra gli autori di primo livello. a me non piace guccini che invece fa parte dei classici. de andrè può piacere poco ma la sua grandezza è oggettivamente assoluta. in quanto a jannacci, fino a bartali incluso ha una discografia di altissimo livello con dei capolavori che ne fanno figura imprescindibile nell'affrontare qualsiasi discorso sulla musica italiana. non per fare classifiche ma penso che sia necessario stabilire graduatorie di valore.
    ma questo, come dici tu, non deve essere un fanatismo critico come purtroppo spesso accade

    ciao

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  7. Sono d'accordo sulla necessità di distinguere piano "soggettivo" dei gusti, e piano "oggettivo" del valore di un artista nel quadro della storia dell'arte, della musica, della letteratura, ecc.; anche perché altrimenti non potremmo neppure più distinguere un qualsiasi "menestrello di periferia" che, pur bravo tecnicamente (e che magari ci piace ascoltare una sera), ripete stilemi e formule già usati e abusati, dall'artista originale-innovatore.
    In sintesi, ci sono artisti che aggiungono qualcosa di nuovo al linguaggio di un'epoca, nella loro branca specifica - in questo caso, la canzone - e altri che invece hanno capacità espressive ma non sono altrettanto "determinanti", in un'ottica d'insieme, e che si possono definire "eccentrici di genio" o "di buon livello" (prendendo in prestito parte del tuo suggerimento).
    Per rifarmi ai nomi che citavo nel post, so bene che c'è una certa differenza sotto questo aspetto, ad es., tra Léo Ferré e Piero Ciampi: il primo si colloca sicuramente nella storia della canzone francese ed europea, per quantità e costanza di produzione (che ha attraversato ben quattro decenni), per livello creativo, per capacità di sintesi tra invenzione poetica e invenzione musicale (sotto questo profilo ha elaborato un suo "stile inconfondibile"), eccetera. Il secondo, invece, ha frequentato certamente un "territorio" artistico meno cruciale e centrale, e non tutti gli storici della canzone (se ce ne saranno) saranno d'accordo sulla sua collocazione. Dunque qualche differenza c'è e va fatta, certo.
    E poi sono d'accordo anche con altre cose che dici, ad es. su Guccini (non mi piace "anche se..."), De Andrè, Jannacci (vero: fino a "Bartali", anche se si è ripreso con qualcuno degli ultimissimi album, cioè quelli pubblicati nell'ultimo decennio, a mio parere).

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  8. Post scriptum. Spero che si capisca che con post come questi non intendo "rivoluzionare" campi del sapere, come la storia della musica, o "similia"; quindi non ho la presunzione di gridare al mondo che l'autore o artista X deve essere collocato in cima all'Olimpo degli Dei dell'Arte. Mi accontento invece di indicare, analizzare, alcune ragioni della mia predilezione nei confronti di determinati artisti - ragioni che s'intrecciano con elementi oggettivi, di valore, e che possono quindi portare a uno scambio di idee, impressioni ed esperienze, ma che non pretendono in nessun caso di "riscrivere" dalle fondamenta la musica, la storia, o che so io. Comunque quello che dice eustaki è importante, anche perché se ci riflettiamo bene è un "sintomo" della nostra capacità di essere "unici": si può amare l'opera di un artista anche se non è "il più grande"; se così non fosse, saremmo obbligati ad amare - che so? - soltanto Dante, soltanto Leonardo da Vinci, soltanto Mozart... Ma così - con tutto il rispetto che ho per loro - la cultura diventerebbe una specie di caserma.

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  9. Alcune canzoni potrebbero tranquillamente essere sceneggiature per film, o quanto meno corti. La tua attenta analisi ne fa un quadro molto interessante, ce ne fossero di testi d'autore!

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  10. @Roscio: Grazie per la lettura e l'attenzione.
    E' vero, alcune canzoni di Ciampi (anche altre di cui nel post non ho parlato) sono talmente ricche di immagini e di spunti per dialoghi, da apparire sceneggiature, o almento soggetti per brevi film.
    Ma forse, a mio parere, proprio la "sintesi evocativa" imposta dalla forma-canzone rende più suggestivi quegli spunti di narrazione.

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